La terrificante utopia di Elon Musk…

Melon Musk sarà il temibile centauro, metà premier metà magnate, che sarà protagonista oggi ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia.

Per la precisione, Elon Reeve Musk, l’imprenditore australiano-canadese-statunitense, ammirevole e inquietante, torna sei mesi dopo in Italia, nuovamente ospite della Meloni, anzi ospite d’onore, con grande scuorno dei suoi avversari politici. Musk è l’uomo più ricco del mondo, secondo Forbes, con un patrimonio di oltre 250 miliardi di dollari, è il principale impresario del futuro. Ha una compagnia aerospaziale, SpaceX, che sforna imprese e lancia razzi in orbita nello spazio; ha la Tesla, leader delle auto elettriche; è da poco proprietario di Twitter che ha ribattezzato X; ha un sistema di trasporti avveniristico denominato Hyperloop e tante altre cose ma soprattutto ha due temibili mostri futuristi che sono Neuralink e OpenAI: la prima si occupa di neurotecnologie e punta a immettere nel cervello un chip per correggere malformazioni ma non solo. La seconda, invece, vuol rendere proficua, amichevole (friendly) l’Intelligenza artificiale. E’ considerato nel bene e nel male un visionario, si preoccupa del futuro sul piano scientifico e tecnologico e di temi rubati alla metafisica e alla religione, come per esempio l’immortalità e la sopravvivenza oltre la vita e oltre la Terra, usando la luna come stazione di servizio per Marte. (Fascisti su Marte, dirà qualcuno).

Come tutti i visionari che maneggiano cose e non solo parole, fa paura, anche perché se una persona limitata, come lo è ogni uomo, dispone di poteri che eccedono di gran lunga la sua capacità di conoscere e di capire gli esiti a cui vanno incontro le sue realizzazioni, si aprono scenari assai inquietanti. Il fatto che non sia uno Stato, o meglio un’unione di Stati ma un singolo individuo a occuparsi del futuro dell’umanità non rassicura ma genera ulteriore inquietudine. Non che gli stati ci lascino tranquilli, ma sono bene o male entità collettive, di solito con sistemi bilanciati di poteri e contropoteri, a volte devono rispondere anche ai popoli. I singoli imprenditori possono invece impazzire, lasciarsi prendere dal delirio di onnipotenza, o semplicemente credere che sia un bene per l’umanità quel che può invece rivelarsi una catastrofe.

Sto leggendo un’opera terrificante di un pensatore assai alla moda, Michel Onfray, pensatore ateo e irregolare. Si chiama Anima (ed. Ponte alle grazie), è un librone di 500 pagine, che l’autore presenta come un’inchiesta filosofica, dalle origini al transumano. E si conclude proprio con Elon Musk. Onfray vede nel progetto transumano di Musk un ulteriore aspetto inquietante: Musk definisce l’anima come la traccia digitale lasciata da un essere umano e riducibile a dati scaricabili e trasferibili. Ossia l’anima è un po’ come una pen drive, una chiave usb che si può trasferire dall’encefalo di un essere umano a un altro. E’ questo sarebbe il succo del suo progetto di installare un microchip nella testa dell’essere umano fino a creargli un’altra identità. Il totem di questa scienza, la cavia, è una scimmia chiamata Pager; attorniata da maiali, di cui una femmina, Gertrude. Sembra di vedere un cartoon horror, che però non serve a divertire i bambini ma a cambiare la testa degli umani. E qui ci spostiamo da Neuralink a OpenAI, dove Musk studia come produrre intelligenze artificiali superiori alle intelligenze naturali; anche qui il progetto è andare oltre l’umano, in una specie perversa di superuomo nietzschiano. Il progetto prevede la connessione tra i nostri smartphone o simili, i nostri dati digitali, e la corteccia cerebrale, creando una vera e propria telepatia tra l’uomo e la macchina. C’è un nome a questo progetto: è Neural Lace, che dovrebbe essere una specie di bluetooth neuronale, in cui collegare il cervello ai pc, cioè all’intelligenza artificiale. Avremmo così un’espansione infinita di memoria e di dati a disposizione; ma spariscono la mente, l’anima, l’identità di un soggetto che si limita a essere solo un porto in cui approdano e salpano dati, una stazione postale di passaggio. L’intelligenza naturale, spiega Onfray, sarebbe sostituita dall’intelligenza artificiale, con gigantesche capacità cognitive ma non più riconducibili a un umano ma a un incessante flusso extraumano, metaumano, transumano, verso un nuovo biotopo. Chi ne disporrebbe delle chiavi? Il processo sembra svolgersi autonomamente dai soggetti, realizzando quell’autonomia sovrana della tecnica, paventata da Martin Heidegger, che si svincola dall’umano e lo piega al suo dominio.

In cambio di questa alienazione radicale, il progetto prevede una sopravvivenza post mortem, ricaricando il nostro “essere”, la nostra “anima”, il nostro “io” (ma in cosa consisterebbe così ridotto?) su un altro corpo, per esempio un robot. Musk avrebbe i mezzi tecno-economici per portare avanti la sua “follia”.

L’ateo Onfray si chiede: Chi potrà opporsi? E soprattutto in nome di che cosa? Di quale morale, di quale etica, di quale super-Io, di quali divieti, valori o tabù, o noi diremmo di quale Dio?  La sua conclusione è amara e in fondo classica, pascaliana: chi vuol fare l’angelo, come Musk, è destinato a fare la bestia; o meglio il demonio. Solo un dio ci può salvare, ma Lui non c’è, dice l’ateo.

Lasciamo aperto il quesito, promettente e minaccioso. Tornando sulla terra, a Roma, dove Musk verrà a portare il suo Verbo, mi chiedo e vi chiedo: ma tutto questo non vi terrorizza? Affidare il futuro al sogno di un visionario o invasato, al suo delirio di onnipotenza che va oltre la politica, la religione, gli stati, la tradizione, la cultura e la storia, non vi spaventa? Dove finisce l’identità, la storia, l’anima di un uomo e di un popolo, temi cari a quel mondo che si dice conservatore?

L’unico precedente di casa è il futurismo, anzi per la precisione il romanzo scritto nel 1909 in francese da Filippo Tommaso Marinetti, Mafarka il futurista. Mafarka vuole creare l’uomo nuovo, sogno condiviso nel primo novecento da americani, russi e italiani, comunisti e fascisti. E lo vuole creare “senza il concorso e la puzzolente complicità della matrice della donna”, un maschilismo che procrea senza donne, con l’ausilio delle macchine. Visionario anche lui, ma in questo caso era solo letteratura. Per fortuna.

       Marcello Veneziani     

Elon Musk, come un dio laico, ha in mente la creazione di un mondo nuovo, in cui un’unica intelligenza collettiva rappresenterà l’umanità.

 

Il Brano in lettura è tratto dal libro di Fabio Chiusi “L’uomo che vuole risolvere il futuro. Critica ideologica di Elon Musk”, edito da Bollati Boringhieri (134 pagine, 12 euro)

A Elon Musk chiediamo quello che chiediamo a un dio. Salvaci, diciamo all’uomo che è stato capace di diventare il più ricco del mondo. Mostraci la Via, liberaci dal male. Perché è una notte fonda, là fuori, buia e piena di terrori. Pandemie, guerre, catastrofi climatiche, crisi sociali ed economiche: c’è un senso greve di fine, di apocalisse, di disperazione, nel mondo. E allora illuminaci, salvatore! Illumina la notte, gli diciamo, devoti e insieme attoniti, nel mistero; rischiarala con la luce della verità.

È una religione laica, quella nell’imprenditore di Tesla e SpaceX, NeuraLink e ora anche Twitter, che al sacro ha sostituito la ragione, e ai comandamenti le leggi di natura. Ma che sempre come religione si configura. Le sue verità non sono rivelate dal Verbo, ma dal metodo scientifico; le sue profezie sono probabilistiche, ma ugualmente imperscrutabili; e il suo paradiso è terrestre, ma non meno paradisiaco. Musk non moltiplica pani e pesci, e tuttavia annuncia comunque un futuro di benessere e felicità infiniti, dove miseria, malattia, scarsità, perfino il lavoro non saranno altro che ricordi di un’epoca passata di barbarie e irrazionalità; errori di un’umanità nella sua adolescenza, destinata a redimersi con la tecnologia e l’ingegno, per poi godere una lunghissima, beata maturità. A patto che si rispettino i dogmi del “muskismo”. A patto che l’umanità tutta ragioni e si comporti come una unica, enorme intelligenza collettiva intenta esclusivamente a massimizzare il bene aggregato del massimo numero di esseri umani, presenti e futuri.

Anche la fede, infatti, è richiesta. Una fede militante, che si traduce nell’obbedienza di precisi precetti morali e rivoluzionarie scelte politiche, nell’adesione a una propria teoria della storia e della conoscenza. Perché chi trasgredisce i suoi comandamenti, ammonisce l’imprenditore-dio, non mette a repentaglio soltanto il suo futuro, ma quello dell’umanità intera. Perché è ora che bisogna credere: domani potrebbe essere tardi. Una Intelligenza Artificiale superintelligente potrebbe – quasi certamente potrà, dice Musk – superare l’umano e, per errore o diletto, annientarci ora e per sempre. O forse potrebbe essere la stupidità umana a mettere fine alla storia, questa volta per davvero. Una qualche sua perversione ideologica, una qualche conseguenza del suo agire senza considerare le conseguenze di lunghissimo termine delle proprie azioni. Qualunque sia la causa, la diagnosi è certa: è ora, che c’è bisogno di salvarci. Ora che i “rischi esistenziali” minacciano la fine della civiltà umana si impone la necessità di un salvatore.

Anche la religione del muskismo ha le sue apocalissi, dunque. Solo che non recano ad alcun giudizio universale: l’universo, direbbe Musk con il suo idolo e guida Douglas Adams, ha già da sempre giudicato; è già la risposta. Tutto ciò che possiamo fare è cercare le domande giuste, porle, e tentare di meglio avvicinarci alla sua comprensione – oppure estinguerci, sparire nel silenzio di un cosmo che potrebbe essere vuoto, senza di noi, privo della “luce della coscienza” che Musk vorrebbe, con la sua vita e le sue opere, estendere il più possibile, sulla Terra e nello spazio. Siamo noi, insomma, l’apocalisse. E solo a noi spetta il compito di evitarla.

Si potrebbe obiettare che il paragone tra un dio e un uomo, per quanto ricco e potente, sia fuorviante e ideologico. Che certo, Musk con un tweet può indirizzare i mercati e stravolgere le regole del dicibile, ma i miracoli ancora non gli competono. O ancora, che la sua religione prevede una nutrita schiera di miscredenti, che tendono a dipingerlo come un Satana, più che come un Cristo dell’era dell’Intelligenza Artificiale. E che dunque se di fede si tratta è quella di una setta, al più. A parte gli iniziati, non tocca nessuno. […] Ma il culto di Musk è tutt’altro che una setta. È, al contrario, espressione di una fede più ampia e strisciante nella nostra società iper-informatizzata, di cui Musk è solo la manifestazione più nitida: quella nel soluzionismo tecnologico. Intuita come tratto caratteristico della contemporaneità dallo scienziato politico Evgeny Morozov già un decennio fa, consiste in una incrollabile fede nel potere salvifico della tecnologia, e più di preciso nella capacità della scienza e della tecnica di risolvere da sé problemi sociali, politici, economici complessi.

Non importa quanto le sfide poste dalla realtà siano imbevute di storia, discriminazione, violenza. Importa la loro riduzione a risposta computabile, quantificabile, algoritmica. Quello che importa, insomma, è la loro riduzione scientifico-matematica, il loro essere sostanzialmente problemi di calcolo, di efficienza. Musk è elevato a rango di divinità perché incarna meglio di ogni altro questo mito soluzionista, che sta al fondamento dell’innovazione secondo Silicon Valley e insieme della nostra stessa idea di progresso. Perché gli ha dato un volto irriverente e affascinante. E perché, contrariamente alla maggioranza dei soluzionisti, qualche soluzione l’ha prodotta davvero.

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