Viaggio nella Dualità tra immaginazione e realtà…

 

Sotto una piccola stella

Con uno sguardo mi ha resa più bella,
e io questa bellezza l’ho fatta mia
Felice, ho inghiottito una stella.

Ho lasciato che mi immaginasse
a somiglianza del mio riflesso
nei suoi occhi. Io ballo, io ballo
nel battito di ali improvvise.

Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino al midollo.
Gli parlo di tutto ciò che vuole:
delle formiche morenti d’amore
sotto la costellazione del soffione.
Gli giuro che una rosa bianca,
se viene spruzzata di vino, canta.

Mi metto a ridere, inclino il capo
con prudenza, come per controllare
un’invenzione. E ballo, ballo
nella pelle stupita, nell’abbraccio
che mi crea.

Eva dalla costola, Venere dall’onda,
Minerva dalla testa di Giove
erano più reali.

Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine
sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza il quadro.

Wislawa Szymborska

wisslawa

Descrizione di come  la poetessa si vede nell’illusione della immaginazione, esaltando il desiderio di migliorarsi per affascinare colui che si interessa a lei, in un incontro immaginario. Il tutto come opera di una stella  inghiottita  con la sua luce. Ma il confronto con la realtà deludente induce il lettore a riflettere profondamente sul fatto che l’essere umano tende costantemente a sminuirsi, a distruggersi nella mancanza di autostima. C’è sempre tuttavia un momento, quello dell’amore che, quando è vero, sincero , ti dà tutto quello che credi di non avere. Gli occhi dell’amore sono la miracolosa luce della stella.

Ci riesce meglio immaginare…

 

Ma perché non funziona tutto come nei film? Perché gli estranei in metropolitana, invece che limitarsi a guardarti, non attaccano bottone dicendoti che hai un sorriso bellissimo? Perché dopo trent’anni, in un caffé del centro, non rincontri mai la persona per cui hai lottato? Perché le madri fanno fatica a capire i propri figli e i padri ad accettarli? Perché la frase giusta arriva sempre durante il momento sbagliato? Perché non ti capita mai di correre sotto la pioggia, di arrivare davanti al portone di qualcuno, farlo scendere, scusarti e iniziare a parlare a vanvera per poi trovarti labbra a labbra e sentirti dire: “non importa, l’importante è che tu sia qui”? Perché non vieni mai svegliato durante la notte da una voce al telefono che ti dice: “non ti ho mai dimenticato”?
Se fossimo più coraggiosi, più irrazionali, più combattivi, più estrosi, più sicuri e se fossimo meno orgogliosi, meno vergognosi, meno fragili, sono sicura che non dovremmo pagare nessun biglietto del cinema per vedere persone che fanno e dicono ciò che non abbiamo il coraggio di esternare, per vedere persone che amano come noi non riusciamo, per vedere persone che ci rappresentano, per vedere persone che, fingendo, riescono ad essere più sincere di noi.

David Grossman

 

tiffany

Vivo di sentimenti , nati dalle emozioni. Per questo vivo tra serenità e inquietudini della realtà quotidiana

 

Sono una persona emotiva
che comprende la vita
solo poeticamente,
musicalmente,
nella quale i sentimenti
sono molto più forti
di qualsiasi ragione.
Sono così assetata
di meraviglia
che solo lo straordinario
ha potere di su me.
Tutto ciò che
non riesco a trasformare
in qualcosa di straordinario,
lo lascio andare.
La realtà
non m’impressiona.
Credo solamente
nell’ebbrezza, nell’estasi,
e quando
la vita ordinaria
mi vincola fuggo,
in un modo o in un altro.

Anais Nin

 

anais

Non amerai altri che te stesso…

 

Io amo Io, ossia sposarsi con se stessi

In origine era la famiglia numerosa. Poi venne la famiglia simmetrica e quadrangolare, padre madre figlio e figlia. Quindi la famiglia con figlio unico. Si passò poi alla coppia senza figli, anche dello stesso sesso. Poi fu varata la famiglia mononucleare, composta da un solo membro, il single. Adesso siamo arrivati alla sologamia. Di che si tratta? Il single si ama a tal punto che decide di convolare a nozze con se stesso e sposarsi con un rito ad hoc. Matrimonio narcisistico, potremmo dire, celebrato allo specchio, in un selfie. Garanzia di indissolubilità. Un’installazione di Elena Ketra al Gazometro di Roma ha figurato una donna che sposa se stessa, con tanto di marcia nuziale. A Kyoto esiste il self-wedding per singoli che amano se stessi al punto da prendersi in sposo/a; conta “lo stare bene con se stessi”, imperativo assoluto della nostra epoca. L’artista la motiva a contrario come una forma di “inclusione sociale” giacchè “amarsi è necessario per poter amare in modo libero ogni altro essere umano”.
Quel matrimonio onanistico, autoreferenziale, in cui si è sposo, sposa e figlio della propria unione, è una esibizione simbolica; portata all’estremo, rappresenta la tendenza e lo spirito della nostra epoca.
A conferma di questa tendenza ad amare se stessi sopra ogni cosa, e considerare lo “star bene con se stessi” come l’unico vero fine e requisito per l’esistenza, si possono citare altri due fatti concomitanti. Uno è il congelamento degli ovuli, o dei semi, che nasce da una motivazione originaria comprensibile: se sono single e temo che con gli anni perderò la fecondità, cerco di mettere in salvo la mia possibilità di riprodurre, per consentire – in caso di unione fuori tempo massimo per il mio corpo – di avere ugualmente figli. Ma l’ideologia sottostante al congelamento non è l’impulso alla maternità e tantomeno il desiderio di fare famiglia e coronare l’unione con un consorte; ma la possibilità di autoriprodursi, di lasciare in banca, congelato, la propria virtuale riproduttività, come si congelano anche corpi malati e senili che sperano di poter “risorgere” alla vita quando si troveranno le cure giuste per superare quella malattia ora mortale. Sentitele le single che depositano ovuli nella banca del futuro: è un modo per perpetuarsi, per lasciare lo stampino di se stessi, garantirsi se non l’immortalità, una possibilità di replicarsi ed eludere la mortalità.
Ancora una volta la religione, la filosofia di vita che traspare in queste scelte è lo sconfinato amore per se stessi, e l’inclinazione a pensare il partner non come colui col quale si desidera dividere la vita, giurarsi e praticare amore reciproco, e coronare la propria unione con uno o più figli; ma come l’inseminatore occasionale, il fuco rispetto all’ape regina, ossia il semplice donatore di seme che serve per ingravidare e consentire alla donna autarchica di riprodursi. Non un figlio, dunque, quanto una replica di se stesse, un modo per rigenerare il proprio io e i propri geni.
Per coronare questa visione autarchica e autoreferenziale della vita, consideriamo infine un altro aspetto, recentemente ribadito da una sentenza della magistratura. E’ possibile mutare la propria sessualità e tutto quello che ci identifica, comprese le generalità, semplicemente con un’autocertificazione o un’autopercezione. Lo ha stabilito una sentenza recente del tribunale di Trapani: si può cambiare sesso senza operazione chirurgica o mutazione ormonale, ma per un “puro” desiderio di farlo. Per cambiar sesso non c’è bisogno nemmeno di sottoporsi a un’operazione in modo da mettere anche la legge con le spalle al muro davanti a un’evidente mutazione genetica; basta sentirsi di un altro sesso per modificare i propri dati anagrafici e la propria identità sessuale.
Se la legge non parte dalla realtà oggettiva e da quel che noi siamo secondo evidenza e natura, ma deve sottomettersi a ciò che noi vogliamo essere, allora non solo la percezione del sesso dovrebbe costituire motivo sufficiente per la mutazione dei dati. Ma anche la percezione anagrafica: se io mi sento trent’anni di meno, vivo, vesto, penso e sono come un ragazzo, o se mi sento più africano o asiatico che italiano, perché non riconoscere la variazione d’età o di etnia rispetto a quel che dice la mia anagrafe? Un tema che avevamo già posto provocatoriamente in un controcanto paradossale di un anno fa. E che potrebbe estendersi oltremisura: se mi sento cinghiale, potrà bastare la mia percezione e la mia volontà di ungulato per decretare il mio cambiamento anagrafico e statutario? O l’umanità non può essere revocata, per la semplice ragione che non sarebbe mai possibile l’inverso, ovvero la domanda di un cinghiale di essere riconosciuto umano? Per avanzare una tale richiesta e manifestare la tua volontà devi essere almeno umano, non appartenere al regno animale, vegetale o minerale.
Naturalmente sono paradossi, resta però il principio di fondo: non conta più la realtà e la sua evidenza, la natura e la fisiologia, anzi non conta più l’oggettività; conta il soggetto, il suo sentire e volere soggettivo. Qui torniamo al punto di partenza: Io sono quel che voglio essere, se decido posso perfino sposarmi con me stesso, e riprodurmi in modo autarchico, usando il seme altrui come concime anonimo, impersonale. Io amo io, e basta.
Resta solo una domandina per voi: siete contenti di questa conquista, alzate le spalle dicendo che i tempi mutano, o vi rifiutate di accettare la fine ingloriosa dell’umanità, della natura, del buon senso e della civiltà?

(Panorama, n.31) Marcello Veneziani

 

La guerra della realtà contro le parole..un assurdo contro il buon senso e il buon gusto-

 

Asterisco, schwa, presidenta, e altre sconcezze. La tempesta in un bicchiere d’acqua. La ventata ideologica sulla parità di genere si è abbattuta sulla lingua e fa strage di buon senso, realtà ed evidenza, ma deturpa anche sul piano estetico parole, cose e concetti. Per dirimere le controversie è stata interpellata dai magistrati di Cassazione che si occupano delle pari opportunità, l’Accademia della Crusca: come scrivere gli atti giudiziari rispettando la parità di genere? Se è per questo, da rispettare non c’è solo la parità di genere, ma anche la consuetudine e la tradizione, la realtà e la verità, e pure la bellezza rispetto alle brutture lessicali imposte per ragioni ideologiche. La Crusca saggiamente respinge asterischi e schwa con cui si vorrebbe deturpare la lingua e deflorare i nomi. Poi, forzando la consuetudine nel nome della correttezza, rifiuta l’articolo davanti al cognome (la Meloni, la Schlein), che viene spontanea in molti casi e che viene usata solo al femminile e non al maschile (il Draghi, il Mattarella). E con assoluto buon senso, boccia le ridondanze ideologiche definite “reduplicazioni retoriche” ovvero la tendenza a ripetere: i cittadini e le cittadine, le lavoratrici e i lavoratori, le figlie e i figli, anche se è d’uso dire signore e signori. La questione si fa più controversa a proposito dei nomi di professione in versione femminile: l’Accademia dei cruscanti manda in soffitta quel suffisso “essa” (dottoressa, sindachessa, professoressa, avvocatessa; anche leonessa?) e non prende in considerazione di lasciare la qualifica nel termine maschile (ad esempio la rivendicazione di Beatrice Venezi di farsi chiamare direttore d’Orchestra) e propende per la declinazione al femminile: direttora, prefetta, questora – che sembra indicare l’ora in corso. Ma poi, se ho ben capito, ridà ragione a Beatrice (stavo per dire alla Venezi), quando avalla “il maschile non marcato” di alcune definizioni come il Presidente del Consiglio. Insomma direttora o direttore? A me sfugge un nostalgico direttrice…

La legge si scontra con la diversità acquisita nel linguaggio, la cacofonia, il disagio nel pronunciarla: perché magistrata e avvocata può anche andare, ma colonnella, architetta (con sciame di allusioni pettorali), addirittura “pubblica ministero”, suonano oggettivamente maluccio e non vengono poi spontanee. Detesto la giustificazione cripto-ideologica che si tratterebbe di definizioni “inclusive”; credo che abbia pari valore anche l’istanza opposta di riconoscere e rispettare le differenze, che non devono essere disparità di giudizio e di pregiudizio, o di rispetto. Ma che sono riconoscimento della differenza tra il femminile e il maschile senza stabilire gerarchie tra l’uno e l’altra. Timidamente la Crusca avverte di non sopravvalutare i principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzione delle presunte storture della lingua tradizionale. D’altra parte – aggiunge con salomonico cerchiobottismo la Crusca – queste mode hanno “un’innegabile valenza internazionale, legata allo “spirito del nostro tempo”, e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata». In medio stat virtus, o forse in medio stat virus, perché alla fine non si dirime la controversia ma si ondeggia tra le due sponde. Ci rincuora sapere invece la netta bocciatura di quel delirio ideologico che sono gli asterischi o schwa: «È da escludere – dice la Crusca, riferendosi almeno alla lingua giuridica – l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi” di cui però riconosce il beneficio delle buone intenzioni. E la precisazione è ancora più pertinente per una lingua come l’italiano che non ha il neutro, ma solo due generi grammaticali, il maschile e il femminile. Come è noto, la questione è esplosa al massimo livello quando la premier Meloni (e qui non riusciamo a fare a meno di metterci quel “la” davanti) ha disposto di farsi chiamare il presidente del Consiglio. Una definizione che spacca il fronte femminista e gender, ma anche il mondo conservatore, legato alla tradizione. Definizione al maschile, anche se la Crusca ne attenua l’impatto definendolo “maschile non marcato”, che può andar bene se è il riferimento generico, astratto, all’impersonalità del ruolo; ma quando poi devi declinarlo ad personam, viene spontaneo e più verace aggiungere quell’articolo determinativo, la Presidente, o la Meloni. Tornando sull’articolo determinativo, la Crusca, pur consigliandone la dismissione, ritiene che il suo uso non abbia un significato discriminatorio, ma nasce da un senso comune. Più insidioso, invece – ne convengo – è chiamare le donne solo per nome e chiamare invece gli uomini per cognome o titolo professionale. E’ d’uso ma non è un buon uso; senza crociate, è giusto auspicarne il disuso. Infine per superare quei richiami reduplicati al maschile e al femminile (impiegate e impiegati) la Crusca consiglia di usare forme neutre o generiche come la persona, anziché l’uomo, e il personale anziché i dipendenti al maschile.

Nel complesso, indicazioni sagge, abbastanza equilibrate (anche troppo, fino a sfiorare l’equilibrismo), e un invito a usare la testa prima della lingua. Ma, se permettete, continuate pure ad usare gli occhi, e non a chiuderli per sposare regole “inclusive” o cedere a “mode ideologiche”. La realtà vista con gli occhi, magari poi vagliata dagli “occhi della mente” di cui parlava Platone, aiuta molto a definire la realtà.

da Panorama        MV

Ucraina: la realtà oltre la propaganda.

 

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La guerra in Ucraina inizia ad affacciarsi nella sua cruda realtà, al di là cioè delle fantasie dei media, che in questi 100 giorni hanno descritto un conflitto virtuale. Così Pat Buchanan, in un pezzo su American Conservative, spiega come l’America abbia interessi divergenti rispetto a Kiev, che invano ha tentato di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto diretto contro la Russia. Un pezzo lungo e articolato il suo, del quale riferiamo l’ultima parte, che prende spunto dall’invio di nuovi e più sofisticati missili a Kiev: “Il Cremlino ha avvertito che qualsiasi nazione che invii armi avanzate in Ucraina dovrà affrontare dure ripercussioni. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha accusato l’Occidente di aver dichiarato una ‘guerra totale’ alla Russia”. “Ciò che questo suggerisce è che la guerra sta ora generando rischi e pericoli maggiori per gli Stati Uniti rispetto a qualsiasi guadagno che potrebbero realizzare dall”indebolimento’ della Russia prolungando i combattimenti. Potrebbe essere il momento di dire a Zelensky non solo ciò che forniremo e non forniremo, ma anche quelli che riteniamo siano i termini accettabili per una tregua“.

Di interesse il cenno finale anche perché l’idea di una tregua lascia in sospeso le controversie territoriali, cioè il ritiro o meno dei russi, di difficile, forse impossibile soluzione, anche perché Mosca sta ormai offrendo la propria cittadinanza ai cittadini del Donbass e non tornerà certo indietro. Peraltro, come scrive Buchanan, tali controversie non interessano affatto agli Stati Uniti (come implicito nel discorso di Biden), i quali non combattono per l’Ucraina, ma per i propri interessi nazionali. Brutale, quanto veritiero.

Più articolato un articolo di William Moloney su The Hill. che spiega la realtà oltre la propaganda, che cioè l’idea di Putin di prendere il controllo del Donbass “non appare più così irreale, come riferito in precedenza”. E come l’opinione pubblica americana ed europea inizi a interpellarsi sulla guerra e ad assumere posizioni critiche verso la propaganda politico-mediatica. Non solo la guerra sul campo di battaglia, anche la guerra economica va diversamente di come avevano sognato le cancellerie occidentali: “Un altro elemento della convinzione comune che sta crollando è l’idea che le sanzioni paralizzanti imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea avrebbero presto messo in ginocchio l’economia russa”. “Invece, ci sono prove che potrebbe accadere il contrario, con sanzioni che fanno più danni alle economie occidentali che a quelle russe. Lungi dal registrare le ‘macerie’ previste dal presidente Biden, il rublo a maggio ha toccato il massimo da due anni e le esportazioni russe di energia e agricoltura hanno prodotto ricavi record, perché l’Europa e gran parte del resto del mondo non possono farne a meno” (sul punto rimandiamo a un più dettagliato articolo di Larry Elliot sul Guardian, dal titolo: “La Russia sta vincendo la guerra economica – e Putin non è più vicino al ritiro delle truppe”).“Collegato a tali fenomeni – aggiunge Moloney  – è l’assoluta irrealtà del mito fondamentale di questa guerra, vale a dire che gli Stati Uniti hanno radunato quasi il mondo intero contro la Russia, ormai quasi totalmente isolata. In verità, su 195 paesi del mondo, solo 65 hanno accettato di aderire al regime sanzionatorio americano, il che significa che 130 hanno rifiutato, tra i quali Cina, India, Brasile, Messico, Indonesia, la maggior parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, paesi che insieme costituiscono il stragrande maggioranza della popolazione mondiale”.“[…] Un esempio lampante del rifiuto dell’assunto del dominio degli Stati Uniti si è avuto nel corso” del recente G-20. Infatti, “quando la delegazione statunitense ha abbandonato la sala durante l’intervento del delegato russo, solo tre delle 19 delegazioni presenti l’hanno seguita. Ciò dice a qualsiasi osservatore obiettivo che non è la Russia la superpotenza più isolata al mondo, ma forse gli stessi Stati Uniti”.

Dismessi i feroci accenti propagandistici della prima ora, continua Moloney, – l’idea di assassinare Putin, il regime-change a Mosca etc – “gli Stati Uniti e i loro alleati sembrano aver assunto una posizione diversa e sembrano barcamenarsi per trovare un percorso accettabile verso un compromesso che ponga fine alla guerra”. “Con quasi tutte le nazioni occidentali che stanno affrontando lo spettro di una crisi economica più o meno profonda e il governo degli Stati Uniti sull’orlo di un massiccio rigetto da parte degli americani” – per i quali, come dicono i sondaggi, “la massima priorità è mettere a posto l’economia Usa e ripristinare il sogno americano” in rapida consunzione – “il mondo sta cambiando in modi inaspettati e profondi”. Non si tratta di esaltare le magnifiche e progressive sorti della Russia, che comunque uscirà ferita da questo avventurismo. Solo registrare che certe derive propagandistiche iniziano a mostrare la corda. E che nonostante i falchi continuino a alimentare una narrativa farneticante e a spingere per un approccio solo muscolare al conflitto, tanti iniziano ad abbracciare una posizione più realista, l’unica che possa chiudere questa maledetta guerra. Se ne parlerà sicuramente al Bilderberg, una sede decisionale alta dell’Occidente, che non a caso stavolta si è riunito a Washington. Presente anche Kissinger, che ha espresso posizioni più che realiste sul tema.

Infine, da registrare, di ieri, la visita del presidente dell’Unione africana, il presidente del Senegal Macy Sall, in Russia per tentare di sbloccare la crisi del grano che sta affamando il mondo. Putin ha ribadito la sua disponibilità ad aprire un corridoio sicuro nel Mar Nero per il transito di tale risorsa (Associated Press). Ma sul punto si attende la visita di Lavrov In Turchia che potrebbe aprire prospettive concrete (Anadolu). Vedremo.