La guerra della realtà contro le parole..un assurdo contro il buon senso e il buon gusto-

 

Asterisco, schwa, presidenta, e altre sconcezze. La tempesta in un bicchiere d’acqua. La ventata ideologica sulla parità di genere si è abbattuta sulla lingua e fa strage di buon senso, realtà ed evidenza, ma deturpa anche sul piano estetico parole, cose e concetti. Per dirimere le controversie è stata interpellata dai magistrati di Cassazione che si occupano delle pari opportunità, l’Accademia della Crusca: come scrivere gli atti giudiziari rispettando la parità di genere? Se è per questo, da rispettare non c’è solo la parità di genere, ma anche la consuetudine e la tradizione, la realtà e la verità, e pure la bellezza rispetto alle brutture lessicali imposte per ragioni ideologiche. La Crusca saggiamente respinge asterischi e schwa con cui si vorrebbe deturpare la lingua e deflorare i nomi. Poi, forzando la consuetudine nel nome della correttezza, rifiuta l’articolo davanti al cognome (la Meloni, la Schlein), che viene spontanea in molti casi e che viene usata solo al femminile e non al maschile (il Draghi, il Mattarella). E con assoluto buon senso, boccia le ridondanze ideologiche definite “reduplicazioni retoriche” ovvero la tendenza a ripetere: i cittadini e le cittadine, le lavoratrici e i lavoratori, le figlie e i figli, anche se è d’uso dire signore e signori. La questione si fa più controversa a proposito dei nomi di professione in versione femminile: l’Accademia dei cruscanti manda in soffitta quel suffisso “essa” (dottoressa, sindachessa, professoressa, avvocatessa; anche leonessa?) e non prende in considerazione di lasciare la qualifica nel termine maschile (ad esempio la rivendicazione di Beatrice Venezi di farsi chiamare direttore d’Orchestra) e propende per la declinazione al femminile: direttora, prefetta, questora – che sembra indicare l’ora in corso. Ma poi, se ho ben capito, ridà ragione a Beatrice (stavo per dire alla Venezi), quando avalla “il maschile non marcato” di alcune definizioni come il Presidente del Consiglio. Insomma direttora o direttore? A me sfugge un nostalgico direttrice…

La legge si scontra con la diversità acquisita nel linguaggio, la cacofonia, il disagio nel pronunciarla: perché magistrata e avvocata può anche andare, ma colonnella, architetta (con sciame di allusioni pettorali), addirittura “pubblica ministero”, suonano oggettivamente maluccio e non vengono poi spontanee. Detesto la giustificazione cripto-ideologica che si tratterebbe di definizioni “inclusive”; credo che abbia pari valore anche l’istanza opposta di riconoscere e rispettare le differenze, che non devono essere disparità di giudizio e di pregiudizio, o di rispetto. Ma che sono riconoscimento della differenza tra il femminile e il maschile senza stabilire gerarchie tra l’uno e l’altra. Timidamente la Crusca avverte di non sopravvalutare i principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzione delle presunte storture della lingua tradizionale. D’altra parte – aggiunge con salomonico cerchiobottismo la Crusca – queste mode hanno “un’innegabile valenza internazionale, legata allo “spirito del nostro tempo”, e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata». In medio stat virtus, o forse in medio stat virus, perché alla fine non si dirime la controversia ma si ondeggia tra le due sponde. Ci rincuora sapere invece la netta bocciatura di quel delirio ideologico che sono gli asterischi o schwa: «È da escludere – dice la Crusca, riferendosi almeno alla lingua giuridica – l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi” di cui però riconosce il beneficio delle buone intenzioni. E la precisazione è ancora più pertinente per una lingua come l’italiano che non ha il neutro, ma solo due generi grammaticali, il maschile e il femminile. Come è noto, la questione è esplosa al massimo livello quando la premier Meloni (e qui non riusciamo a fare a meno di metterci quel “la” davanti) ha disposto di farsi chiamare il presidente del Consiglio. Una definizione che spacca il fronte femminista e gender, ma anche il mondo conservatore, legato alla tradizione. Definizione al maschile, anche se la Crusca ne attenua l’impatto definendolo “maschile non marcato”, che può andar bene se è il riferimento generico, astratto, all’impersonalità del ruolo; ma quando poi devi declinarlo ad personam, viene spontaneo e più verace aggiungere quell’articolo determinativo, la Presidente, o la Meloni. Tornando sull’articolo determinativo, la Crusca, pur consigliandone la dismissione, ritiene che il suo uso non abbia un significato discriminatorio, ma nasce da un senso comune. Più insidioso, invece – ne convengo – è chiamare le donne solo per nome e chiamare invece gli uomini per cognome o titolo professionale. E’ d’uso ma non è un buon uso; senza crociate, è giusto auspicarne il disuso. Infine per superare quei richiami reduplicati al maschile e al femminile (impiegate e impiegati) la Crusca consiglia di usare forme neutre o generiche come la persona, anziché l’uomo, e il personale anziché i dipendenti al maschile.

Nel complesso, indicazioni sagge, abbastanza equilibrate (anche troppo, fino a sfiorare l’equilibrismo), e un invito a usare la testa prima della lingua. Ma, se permettete, continuate pure ad usare gli occhi, e non a chiuderli per sposare regole “inclusive” o cedere a “mode ideologiche”. La realtà vista con gli occhi, magari poi vagliata dagli “occhi della mente” di cui parlava Platone, aiuta molto a definire la realtà.

da Panorama        MV

NYT: urge un ritorno al realismo sulla guerra ucraina.

Il comitato editoriale del New York Times, organo di riferimento del partito democratico, chiede a Biden di chiudere la crisi ucraina.

“La guerra in Ucraina si sta complicando e l’America non è pronta” è il titolo dell’editoriale del giornale della Grande Mela che, pur elogiando il sostegno che l’America ha fornito a Kiev, chiarisce che ora la guerra è entrata in una fase nuova e gli obiettivi dell’amministrazione Biden stanno diventando sempre meno chiari. I suoi esponenti, infatti, in più occasioni si sono profusi in improvvide dichiarazioni che rendono nebulosi gli obiettivi di tale aiuto, che non possono essere identificati con la sconfitta della Russia, perché ciò è irrealistico e rischia di scatenare escalation, anche nucleare.

Tali obiettivi devono essere rivisti anche nel più ristretto ambito del conflitto ucraino. Così il Nyt: “Una vittoria militare decisiva per l’Ucraina sulla Russia, che vedrebbe l’Ucraina riconquistare tutto il territorio che la Russia ha conquistato dal 2014, non è un obiettivo realistico. Sebbene la pianificazione e le capacità militari della Russia siano stati sorprendentemente modesti, la Russia rimane troppo forte e Putin ha investito troppo prestigio personale nell’invasione per fare marcia indietro”.

“Gli Stati Uniti e la NATO sono già profondamente coinvolti, militarmente ed economicamente [nella guerra]. Ma aspettative irrealistiche potrebbero trascinarci sempre più in profondità in un conflitto lungo e costoso. La Russia, per quanto ferita e incapace, è ancora in grado di infliggere distruzioni indicibili all’Ucraina ed è ancora una superpotenza nucleare”.

“[…] Recenti dichiarazioni bellicose da Washington: l’affermazione del presidente Biden secondo cui Putin ‘non può rimanere al potere’, il commento del segretario alla Difesa Lloyd Austin secondo il quale la Russia deve essere ‘indebolita’ e la promessa del presidente della Camera, Nancy Pelosi, che gli Stati Uniti sosterranno l’Ucraina ‘fino alla vittoria’ possono riecheggiare come proclami travolgenti, ma non avvicinano ulteriormente i negoziati”, che oggi appaiono un miraggio lontano, essendo il dialogo tra le parti precipitato al punto più basso dall’inizio della guerra.

Le trattative invece urgono, per i motivi suddetti e perché le conseguenze globali della crisi diventeranno sempre più disastrose, sia a livello economico che sociale, dal momento che il conflitto (e le sanzioni anti-russe, ma questo il Nyt non lo può scrivere) sta impoverendo il mondo. E il popolo americano, che presto proverà i morsi di tali conseguenze, non continuerà a sostenere indefinitamente il supporto a Kiev, mentre gli ucraini continueranno a morire e il conflitto porrà rischi crescenti alla “pace e alla sicurezza a lungo termine nel continente europeo”.

Certo, la decisione di trovare un compromesso con Mosca deve essere presa dalla leadership ucraina, continua il Nyt. Sarà loro compito, infatti, “prendere le dolorose decisioni riguardo i territori che il compromesso richiederà“. Ma anche tale leadership deve fare i conti con la realtà.

Il Nyt non lo scrive, ma si può tranquillamente aggiungere che Zelensky appare come drogato dal supporto politico, economico e militare che sta ricevendo

Queste, infine, le conclusioni del Nyt: “mentre la guerra continua, Biden dovrebbe chiarire al presidente Volodymyr Zelensky e al suo popolo che c’è un limite al grado di intensità con il quale gli Stati Uniti e la NATO si impegneranno nello scontro con la Russia e limiti alle armi, al denaro e al sostegno politico che possono ricevere. È imperativo che le decisioni del governo ucraino siano basate su una valutazione realistica dei suoi mezzi e di quanta distruzione può sostenere l’Ucraina“.

“Confrontarsi con questa realtà può essere doloroso, ma non si tratta di un appeasement [col nemico]. Questo è ciò che i governi sono tenuti a fare, non inseguire una illusoria ‘vittoria’. La Russia subirà le ferite dell’isolamento e delle sanzioni economiche per gli anni a venire e Putin passerà alla storia come un macellaio. La sfida ora è scrollarsi di dosso l’euforia, fermare gli scherzi e concentrarsi sulla definizione e sul completamento della missione. Il sostegno dell’America all’Ucraina è una prova del suo posto nel mondo nel 21° secolo e il signor Biden ha l’opportunità e l’obbligo di aiutare a definire ciò che sarà tale futuro”.

Si nota che quello del Nyt è un grido di vittoria, non certo un cedimento a Putin. Si tratta di trovare un accordo che possa consentire anche a Putin di rivendicare la sua vittoria, seppur non ampia come da aspettative.

Quanto all’Ucraina, se la guerra finisce qua, ha già ottenuto la sua vittoria, al di là della conservazione o meno dei territori oggi controllati dai russi, avendo conquistato un posto di primo piano nel mondo e potendo contare su un sostegno internazionale che gli consentirebbe non solo per ricostruire il Paese, ma anche di rilanciarsi ulteriormente. Vincerebbero tutti e il dolore per i morti sarebbe compensato con la consapevolezza di averne risparmiati ulteriori.

 

 

 

Il valore delle nostre scelte…

“Generale, il tuo carro armato è una macchina potente” è un breve componimento in cui Bertolt Brecht in prima persona si rivolge a un generale, oggetto dell’anafora ripetuta in tutte e tre le strofe che compongono la poesia. Le tre quartine sono un dialogo in cui il generale è il destinatario di una verità per lui scomoda: il carro armato della prima quartina, tanto quanto il “bombardiere” della seconda, sono armi potenti, capaci di distruggere tutto ciò che si trova dinanzi ad essi. C’è un però: entrambi hanno bisogno dell’essere umano per essere manovrati e adoperati.

Né la quantità sillabica, né le rime, vengono attenzionate da Bertolt Brecht nella versione originale del componimento non bada alle rime, crea unicamente assonanze e armonia, senza rendere i versi troppo ridondanti o studiati. Il risultato è una poesia molto semplice e scorrevole. Il messaggio si srotola come un gomitolo, che nell’ultima quartina giunge alla meta finale: non importa quante armi distruttive possegga l’uomo. La guerra non dipende da esse. Dipende dalla volontà degli uomini, dalle loro scelte, perché: “Generale, l’uomo fa di tutto./Può volare e può uccidere./Ma ha un difetto:/può pensare”. Una poesia che costituisce un autentico inno all’umanità, che ha il potere di decidere le sorti del mondo discernendo ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

 

carro armato

Ragioni e sragioni della guerra.

 

 

La questione Ucraina non è un capitolo dell’eterno conflitto tra libertà e oppressione. Questa rappresentazione ideologica e moralistica esclude la questione centrale che è di natura geopolitica con i suoi corollari storici, economici e sociali. Il problema è che l’Ucraina non è Occidente, per natura, cultura, storia e religione ma lo è solo rispetto alla Russia. Anche se il mercato globale e le oligarchie locali spingono verso ovest. Ma la Russia non può essere assediata dall’Occidente, ha bisogno di zone franche.

Collochiamo la storia dell’Ucraina nel suo destino geopolitico: essendo una terra di frontiera, border line, come dice il suo stesso nome, l’Ucraina ha vissuto sulla linea di confine tra oriente e occidente, esposta all’impero ottomano, ai mongoli, alla Polonia, e alla grande Russia. L’Ucraina è stata nazione diversa dalla Russia ma unita alla Russia, non solo dal legame religioso ortodosso. Del resto Rus si chiamava anche la nazione di Kiev già mille anni fa, all’ombra della chiesa di Costantinopoli-Bisanzio. Per secoli l’impero russo dominò sull’Ucraina, e nel suo periodo estremo gli zar cercarono di russificarla. I russi furono e sono una corposa minoranza nel Paese, anche se l’Urss impose come lingua ufficiale il russo anzichè l’ucraino. Poi dopo le turbolenze seguite alla Rivoluzione bolscevica, cent’anni fa, Lenin impose la repubblica socialista sovietica ucraina. E dopo alcuni decenni Kruscev impose di donare all’Ucraina la Crimea che mal sopportava l’annessione sentendosi pienamente russa. E’ per questo che alcuni anni fa la Crimea riuscì a liberarsi della Ucraina e tornò russa. Nel ’90 l’Ucraina si affrancò dall’Urss in caduta, dopo aver vissuto la tragedia di Cernobyl del 1986. I fatti recenti sono noti.

Cambiamo scenario. La Russia non è più come ai tempi dell’Unione sovietica un impero mondiale alla pari degli Stati Uniti, ma non è nemmeno solo una potenza regionale, periferica o una potenza in disfacimento come prima di Putin; si dovrebbe riconoscere un’area circostante di rispetto in cui evitare di stringere la Russia in assedio da tutte le parti. E invece, oltre a prefigurare l’entrata dell’Ucraina nell’Unione europea, importante per loro dal punto di vista economico-commerciale, significa già entrare come altri paesi ex sovietici, sotto l’influenza dell’Alleanza Atlantica; ma ora si stavano bruciando le tappe per collocare la basi militari della Nato in Ucraina.

Vi ricordate che successe a parti invertite quando a Cuba l’Unione Sovietica stava puntando i suoi missili contro gli Stati Uniti? Come sempre fu il “pacifista”, umanitario e democratico Kennedy che usò la forza e sfiorando il conflitto mondiale evitò quella minaccia contrapponendone un’altra. E vi ricordate gli interventi militari in Kosovo, le bombe umanitarie di Clinton, la Libia, l’Iraq, la Siria? Perché non dovrebbe fare la stessa cosa Putin? Certo, Putin non è un simpatico liberal-democratico, la sua è un’autocrazia con tratti illiberali, inquieta il suo curriculum, il suo modo di comportarsi, la guerra.

La soluzione ideale sarebbe stata: la Nato rinuncia alle basi in Ucraina, il processo d’integrazione europea non può prevedere una rapida integrazione ucraina. E la Russia rinuncia a invadere l’Ucraina e sottometterla al diktat russo, limitandosi a chiedere rispetto mondiale per una potenza di area così importante e garanzie per la minoranza filorussa e il Donbass. Le diplomazie sono complesse ma si può trovare un punto d’equilibrio se c’è questa volontà. Ma se si parte dalla pretesa che il mio allargamento è nel nome della Libertà e del Progresso e il tuo è solo aggressivo e regressivo, non si raggiunge nessun accordo. Che direbbero gli Usa se il Messico schierasse davanti a loro basi russe?

La follia di questa situazione è che le sanzioni colpiscono poco la Russia e molto l’Europa; e l’Unione europea, per fedeltà all’alleanza atlantica, dovrebbe accettare di perdere una sponda fondamentale ad oriente, perdere affari, energie, gas, solo per assecondare lo spirito pio dei democratici e del loro malfermo fantoccio, Joe Biden.

Il danno aggiuntivo è quello di spingere la Russia nelle braccia della Cina, comunista e colonialista, un nuovo impero in espansione che ormai dilaga dappertutto, in Europa come in Africa e in Asia. E la Cina mostra di ritenere (giustamente) inefficaci le sanzioni pur ritenendo deplorevole la minaccia di Putin e guarda come va la situazione perché freme dalla voglia di occupare Taiwan. Mai le sanzioni, a mia memoria, hanno migliorato le situazioni; hanno inacidito i rapporti, inasprito le relazioni, legato i popoli ai regimi sanzionati. E hanno prodotto alla fine ciò che dicevano di evitare: guerre, invasioni, attacchi terroristici, bombardamenti anche sulle popolazioni civili come l’infame embargo ai medicinali in Iraq e in Medio Oriente.

So che in Italia tutti hanno paura di non dire in premessa che sono zelanti e proni all’Alleanza Atlantica, capeggiati dal più zelante e guerrafondaio Pd; ma si tratta di avere il coraggio, almeno accennato da francesi e tedeschi, di non mettersi contro se stessi, contro la realtà geopolitica per far piacere agli Stati Uniti, dando pure vantaggi insperati alla Cina. Draghi è sempre angloamericano, allineato, gli altri sono al seguito, Mattarella non si è ancora ripreso dalla rielezione, il ministro degli esteri Di Maio gioca ai soldatini e i tutori non vogliono che vada in Russia. Si dovrebbe andare in altra direzione, ridiscutere la Nato come delega agli Usa della sovranità mondiale, far valere sul serio le sovranità, i patti e le unioni europee. E invece andiamo alla chiamata alle armi americane tirando il freno e sorridendo alla Russia, per cercare di salvare il salvabile. Ma ora è troppo tardi, è già tempo di guerra.

MV,(25 febbraio 2022)