Deposta l’armatura, eccoci…

Quando siamo giovani, è l’illusione della perfezione di cui ci innamoriamo. Con l’età, è dell’umanità che ci innamoriamo- le struggenti storie del superamento, la profonda vulnerabilità dell’invecchiamento, le lotte che ci hanno fatto crescere in statura spirituale, il modo in cui un’anima si è modellata per accogliere le sue circostanze. Viene a mancare l’energia per sostenere la nostra armatura, siamo costretti ad abbandonare la sua protezione e mostrare tutta la nostra fragilità, le nostre paure ed affidare i nostri cuori l’uno all’altro . Dove prima le ferite ci spegnevano, ora vengono rivelate come prova dell’esistenza di Dio. Dove una volta vedevamo cicatrici incancellabili e i traumi , che si portavano appresso, ora vediamo le prove di una vita , che abbiamo vissuto nella sua pienezza e quel che resta , come un tesoro ,da custodire al meglio.

affidarsi all'altro

 

Con la vecchiaia si restringe il mondo…

Venti contro venti. L’anno che verrà si annuncerà una svolta importante nella storia sociale e anagrafica del nostro paese: si sfiorerà la parità tra venti milioni di lavoratori e venti milioni di pensionati. Il terzo restante, tra bambini, casalinghe, disoccupati, agiati e sommersi, completa la popolazione italiana. Tra pochi anni, poco più di una decina, avverrà il netto sorpasso degli anziani in quiescenza sui lavoratori. Ma non solo: le risorse pubbliche sono già assorbite per metà dalla previdenza (il 48%) e per oltre un quinto dalla sanità (21,8%). Insomma le risorse pubbliche vanno per il 70% in prevalenza sugli anziani, più che sui giovani, sulle politiche sociali (18,2%) o sull’istruzione (11,6%). A indicarlo è il Rapporto 2022 del Think Tank «Welfare, Italia».
Può far piacere sapere che grazie alla longevità e al benessere tanti italiani potranno godersi a lungo la pensione. Ma il fatto che per ogni lavoratore ci sia un pensionato, è una prospettiva socialmente ed economicamente preoccupante: il sistema previdenziale e pensionistico così non può reggere, è sempre più vicino al collasso; e l’Italia senza giovani e senza bambini, sprofondata nella terza età, non ha futuro. Ma non vorrei ripetere la solita denuncia sul paese di vecchi e nemmeno il pistolotto confortante per cui essere anziani oggi è cosa ben diversa da ieri, perché i pensionati hanno energie, sono in larga parte benestanti, anche se sono più soli e depressi.
Ma resta un nodo: quando si diventa vecchi, ovvero qual è il punto di passaggio alla senilità? Non cerco una risposta medica, scientifica o statistica, ma esistenziale, legata cioè alla realtà della vita.
Se dovessi definire, da vecchio ancora giovane, qual è l’aspetto saliente della vecchiaia, direi in una sola frase: si diventa vecchi quando si restringe il mondo e non solo il tempo futuro a tua disposizione. Si restringono le possibilità e le risorse, che si fanno meno accessibili, meno vaste e meno vigorose; si restringono molte facoltà, fisiche e mentali, si impoveriscono le energie e il fuoco che le ravvivava; si restringono i nomi che ricordi, insieme con i neuroni si accorciano le possibilità mnemoniche e le sinapsi; si accorcia la durata e la resistenza a ogni cosa, non solo urinaria, muscolare o respiratoria; si restringono le opportunità, le cose che puoi fare, che puoi bere e che puoi mangiare; si restringono i piaceri e le performance vitali, le pulsioni naturali; si restringe il campo visivo e uditivo, ma anche gli altri sensi battono la ritirata, come i riflessi; si restringono i luoghi a cui puoi accedere, gli stadi e gli stati che prima raggiungevi; sei condannato alla prossimità; si restringe il numero delle persone che conosci e frequenti perché i morti e i malati svuotano il tuo mondo; si restringono le aspettative e la vita attiva, passando sempre più da protagonisti a spettatori, comparse, figure di passaggio. Si diventa sempre più spettatori e sempre meno attori e non solo nel senso cine-televisivo, da divano; anche nella vita si restringe lo spazio delle tue relazioni, vivi la vita degli altri, sei come alla finestra; i fatti ti riguardano sempre meno; sei solo uno spettatore, non sei più dentro la scena ma fuori. Se guardi una bella ragazza, sai che la cosa non ti tocca più direttamente; sei fuori, la osservi come se la vedessi in un video, non ti può riguardare. E così molti atti vitali sarebbero inappropriati e malvisti; devi mantenere la sobrietà, ovvero lasciar vivere gli altri al posto tuo. Si restringe anche il ruolo sociale, la rilevanza, la considerazione.
Non è dunque solo il tempo ad accorciarsi, che già genera qualche infelicità se non angoscia; ma il mondo si fa più piccolo, il campo delle possibilità si restringe sensibilmente e progressivamente. Si contrae, si accartoccia e si avverte che il processo è irreversibile, è un punto di non ritorno, di sola andata, in discesa. Senza possibilità di rivincita o di risalita. Questa è propriamente la vecchiaia, oltre gli acciacchi: il mondo ristretto; vivere, fare, essere meno. Vivere col segno “meno”.
Ci sono poi eterei risarcimenti, sottili compensazioni e tenui conforti: è possibile raggiungere una certa sazietà di vita e un gentile distacco dalle cose; c’è libertà di sottrarti a ciò che non ti piace e di vivere, hai meno obblighi e meno ansie, devi dar conto sempre meno, hai possibilità maggiori di contemplare la vita, di apprezzarne le sfumature, che nella fretta e nella furia delle tante possibilità vitali sfuggono ai più giovani. La lentezza dei vecchi non deriva solo dal peso degli anni e dei malanni, ma anche dal più lungo tempo a disposizione, il tempo libero che si allunga mentre si va accorciando la vita, gli affanni cedono il posto alla calma. C’è poi la bellezza della nostalgia, la dolcezza amara dei ricordi…Con la senilità sorge la tendenza naturale a farsi più spirituali, più leggeri pur nell’età grave, cercatori ostinati di luce rispetto al buio, alla sera e alle notti; ridimensioni l’importanza delle cose, e lo stress che ne scaturiva, fino a cogliere la loro irrilevanza; dai meno peso a molte faccende e vicende un tempo importanti e dai più peso ad altre che passavano inosservate.
Si, ci sono anche vantaggi e conquiste col passare degli anni, che un tempo andavano sotto il nome di saggezza, la saggezza dei vecchi. Magre consolazioni? Non saprei, segnano il passaggio dalla ricerca della felicità alla ricerca della serenità, ma la vita va accettata in tutte le sue stagioni e ogni stagione nel modo proprio che le si addice. Con amor fati.

Ho debolezze eleganti, e cicatrici charmantes.

 Sono una donna felice, come lo dovrebbe essere qualunque donna al riverbero di questa età luminosa. Ho debolezze eleganti, e cicatrici charmantes. Non ho più illusioni sulla nobiltà delle persone, e per questo so apprezzare la loro inestimabile arte di convivere con le proprie imperfezioni. Sono clemente, alla fine, con me stessa e con gli altri. Così sono pronta ad invecchiare, ripromettendomi di farlo
negli eccessi e nelle sciocchezze. Se l’età adulta ti ha dato quello che volevi, l a vecchiaia dev’essere una sorta di seconda infanzia in cui torni a giocare, e non c’è più nessuno che ti può dire di smettere.

Alessandro Baricco

cicatrici

Ogni qual volta si legge qualcosa si è propensi a cercare nell’autore quel pensiero, che spesso ci rappresenta, che siamo pronti a fare nostro, a me succede, so che capita a molti. Rileggendo questo testo di Baricco, autore cha amo molto tra i contemporanei, mi ritrovo nella donna che descrive, che sono stata, che cogli anni ha mantenuto i suoi pregi, ha peggiorato i suoi difetti, nonostante si dica che il tempo ci renda più saggi e forse anche profetici. E qui mi fermo perchè la vecchiaia non è affatto un ritorno all’infanzia, come pensava Baricco quando scrisse. La vecchiaia, purtroppo, è il peggiore dei mali che possa capitare all’uomo. E se si ritorna all’infanzia lo è soltanto quando si perde l’autosufficienza per tornare a dipendere da altri, che non sono mamma e papà, a volte nemmeno i figli, che si prendono cura di te per denaro. Si sa come si nasce, ma non come si morirà. Quando si è anziani non si torna a giocare spensieratamente, e la gioia di quel periodo felice, che tutti vorremmo volasse, tanto si desidera la vita da grandi, a volte è scomparsa anche dai ricordi. Carpe diem, ossia vivi il giorno, l’attimo, non rinunciare a nulla, e soprattutto non organizzarti il futuro, perchè quando arriva la vecchiaia, tutto quello che avevi immaginato non c’è. Il destino, che nessuno di noi conosce scompiglia tutti i sogni, i progetti, i desideri, che avevi coltivato nell’età matura. Non sei tornato bambino, ma sei una barchetta di carta, che va sulle onde burrascose del tempo, sbattuta dal vento finchè l’aria tiepida che ti asciuga non cambierà direzione.

A proposito di vita e di vecchiaia…

La vecchietta rugosa si sentì riempire di gioia nel vedere quel bel bambino a cui tutti facevano le feste, a cui tutti volevano piacere; quell’essere grazioso, fragile come lei, e come lei senza denti e senza capelli.
E gli si avvicinò per fargli delle moine, per scherzare e farlo ridere.
Ma il bambino, spaventato, si dibatteva sotto le carezze di quella brava donna decrepita, e riempiva la casa di urla.
Allora la brava vecchia si ritirò nella sua eterna solitudine; e piangendo in un angolo diceva fra sé: «Ah, per noi vecchie femmine sventurate è passata l’età in cui piacere. Anche ai bambini innocenti che vorremmo amare, facciamo orrore!»

Charles Baudelaire, Lo spleen di Parigi, La disperazione della vecchia

nicolaes maes 1656, Vecchia

Nicolaes Maes (1656)
Vecchia sonnecchiante
Musées Royaux des Beaux Arts, Bruxelles

Sulla vecchiaia ricordo un passo di Sándor Márai ( da “Le braci” (1942)

“Si invecchia un poco alla volta: in un primo momento si attenua la voglia di vivere e vedere i nostri simili. A poco a poco prevale il senso della realtà, ti si chiarisce il significato delle cose, ti sembra che gli eventi si ripetano in maniera monotona e fastidiosa. Anche questo è un segno di vecchiaia. Quando ormai ti rendi conto che un bicchiere non è altro che un bicchiere e che gli uomini, qualunque cosa facciano, non sono altro che creature mortali. Poi invecchia il tuo corpo; non tutto in una volta, certo, invecchiano prima gli occhi, oppure le gambe, lo stomaco, il cuore. Si invecchia così, un pezzo dopo l’altro. Poi a un tratto invecchia la tua anima: anche se il corpo è effimero e mortale, l’anima è ancora mossa da desideri e ricordi, cerca ancora la gioia. E quando scompare anche questo anelito alla gioia, restano solo i ricordi e la vanità di tutte le cose; a questo stadio si è irrimediabilmente vecchi. Un giorno ti svegli e ti strofini gli occhi e non sai più perché ti sei svegliato. Conosci già esattamente quello che il giorno presenterà alla tua vista: la primavera o l’inverno, gli scenari abituali, le condizioni atmosferiche, l’ordine dei fatti. Nulla di sorprendente può ormai accadere: non ti sorprendono più neanche gli eventi inattesi, insoliti o raccapriccianti, perché conosci tutte le probabilità, hai previsto già tutto e non ti aspetti più nulla, né in bene né in male… questa è la vera vecchiaia”