Le cozze, il vibrione e Baudelarie
In questi giorni d’agosto ricorre il cinquantennale del vibrione, sciagurato batterio che colpi il sud d’Italia provocando la rinascita del colera, con tanti morti e ricoverati. Correva l’agosto del 1973 quando si scoprì il malefico agente che si insinuava nelle cozze, di cui si abusava soprattutto nelle zone marine del sud, in particolare nel napoletano e in Puglia, dove si mangiavano frutti di mare crudi ben prima che importassimo il sushi giapponese. Per celebrare le “cozze d’oro” di quell’infausto evento, vi racconto brevemente cosa accadde e poi vi confiderò due segreti sulle cozze.
Ricordo le file nei cinema e nei teatri del sud per vaccinarsi contro il malefico vibrione e per munirsi di una patente di circolazione. Fu il primo green-pass della nostra vita, necessario per uscire dai confini della regione appestata. Quell’anno al liceo avevo vinto con un tema una borsa di studio con un viaggio e soggiorno-premio a Cervinia. Ma per viaggiare dovevi esibire il green pass annesso. Ricordo ancora la scena: ero su un treno locale tra Torino e Aosta e la gente accanto leggeva preoccupata su la Stampa i casi di colera al sud; uno di loro lesse che c’erano stati il giorno prima una decina di casi proprio al mio paese. “Speriamo che non ce li mandino qui”, disse uno di loro. Subito dopo passò il controllore e verificando il mio biglietto e il lasciapassare annesso, lesse ad alta voce la provenienza, Bisceglie. I compagni di viaggio mi guardarono atterriti; non solo terrone, per giunta nero nero, ma pure contagioso, esportatore potenziale di colera. Mi allontanai mortificato per evitare il loro imbarazzo e la loro paura. Tutto per colpa de l’Imputata, la cozza, a cui Eduardo de Filippo dedicò nel ’73 un sonetto con quel titolo. (…)
Dopo aver svelato nei giorni scorsi la teoria segreta delle cozze che fanno male solo a chi ne diffida, vi confido ora una seconda legge segreta delle cozze: più losca è la cozza, più si nutre di sporcizia e più è saporita. Più viene da luoghi marini inquinati, più è gustosa. Il sud, insegnava il Cozzaro nero, spacciatore di cozze, è come una cozza, si nutre d’impurità e corruzione; ma il segreto del suo sapore è l’eau de toilette, ossia l’acqua da latrina in cui vive. Disprezziamo le cozze in senso alimentare e in senso estetico, come sinonimo dispregiativo di una ragazza racchia, come si diceva un tempo, prima del metoo e del catcalling; e pure in senso etico (dicesi cozzaro un uomo rozzo, sgarbato, dai modi ruvidi); ma non vogliamo riconoscere che il magnifico mitilo o muscolo è gustoso sia in versione introversa (cozze in soutè), che in versione cabrio (cozze gratinate), e pure in versione villosa (cozze pelose) e promiscua (con gli spaghetti, da noi detto il pranzo del cornuto perché la moglie lo prepara in fretta dopo essersi dedicata all’adulterio). Merita un monumento, il Mitilo Ignoto, per le storie che racchiude nel suo guscio. Provate a spararvi una impepata di cozze degna, che riuscirebbe a corrompere anche Kant e la sua critica del giudizio, magari visitando un paese a sud di Bari che si chiama appunto Cozze. Lo dico proprio nel cinquantennale dell’intifada pugliese ai tempi del vibrione – la guerra di liberazione delle cozze proibite per rischio colera. Risale nella memoria una vibrante serata per festeggiare l’inaugurazione di una nuova sciala molfettese, con abuso recidivo di cozze crude. La cozza è la metafora sommersa del sud. So di contraddire Marco Travaglio e il pool di Mani pulite ma la corruzione non è sempre nociva: alle cozze, ad esempio, l’impurità giova al loro sapore. Le cozze sono un po’ come Baudelaire e Caravaggio, artisti maledetti: frequentano come loro bettole e bassifondi malfamati e come loro si nutrono d’impurità; ma così nascono i capolavori, pur malefici. Le cozze sono un po’ Les fleurs du mal dei nostri fondali.
Da Panorama
Mi riportate alla mente, una storia vissuta dopo un paio d’anni che ero sposato. Niente drammi: io e mia moglie passammo una mattinata intera presso il porto di Bari, dove fu allestito un punto di vaccinazione contro il colera. Prima ci scappava qualche frutto di mare crudo, mai cozze però, quelle tutt’ora, sempre cotte e fatte in tutti i modi. Quindi, non fummo colpiti e tuttavia, il pianto dei baresi lo sentivamo tutti: rinunciare alle cozze crude, era una proposta oscena. Eppure, molti dovettero adeguarsi e tanti altri alla faccia dei ben pensanti, per dispetto ne mangiavano tante e senza fermarsi mai! Che esperienza….oggi, i prodotti sono tutelati ed è più difficile contrarre il colera. Garanzie, tuttavia, non ve ne sono. Ora a Bari tutto tace.
Ciao cara Giovanna.
Cozze, lime e vermentino.
Tanto, vermentino.