Ribloggo con immenso piacere questo post di un carissimo amico.

LA DOMANDA NON E’ CHI E’?

Post n°4666 pubblicato il 06 Settembre 2023 da monellaccio19

 

“Il Festival del Cinema è morto”, l’ho letto da qualche parte e francamente non mi interessa più di tanto. Poi, andando oltre, ho voluto capire perché fosse morto per qualcuno e ancora in vita per tanti altri. Per me è morto non solo il festival di Venezia, ma è morto il cinema in genere, non solo come qualità e spessore artistico, ma è morto il modo di proporlo e di renderlo disponibile. Da ragazzino ho vissuto con il cinema, ne ero ghiotto e ci campavo: tra sale e tv (dal bianco e nero in poi) era una passione incontrollabile la mia. Pensate che il nostro primo televisore era un Phonola, mentre il primo televisore sul quale cominciai a seguire la RAI, era a casa dei miei nonni paterni, ed era un Dumont. Il nostro, era possibile accenderlo con una chiavetta: una piccola ma tignosa chiave che mia madre, toglieva dalla piccola serratura posta sul lato e mi impediva di rincretinire davanti allo schermo. Il cinema nelle sale, l’ho seguito fino alla metà degli ottanta, poi da quando la tv ha cominciato a trasmettere tanti film, ho lentamente mollato e ripreso a rimbambire davanti allo schermo. Sono troppo legato al passato, rivedo volentieri i vecchi film e ancora seguo i film a casa: reti tv e a pagamento. Mi soddisfano più i datati che no le nuove produzioni. Torno a Venezia e giusto per ragguagliarmi sui tg, noto ‘ste passeggiate sul red carpet e facce mai viste. Non ci crederete, ma di attori ne ho visti pochissimi, mentre di donne più o meno vestite, ne ho notate tante: ma kikakkio sono queste, non mi sembra di aver letto di film con la presenza di queste donne. Ilary Blasy? E che ci fa sul celebre tappeto? Un tripudio di “cani e porci” così come definiti da qualcuno altro e per cui non riuscivo a capacitarmi. E’ vero, Hollywood è in sciopero da mesi e mesi, quindi molti hanno disdettato l”invito a Venezia, ma sostituire il movimento di famosi attori con celebri ignoti, keciazzekka? La coppia che ha lasciato per prima “Temptation Island”, perché è lì? Booh!!!! Alla fine ho scoperto le ragioni di tutto ‘sto bailamme e come ha detto qualcuno: “E’ il mercato ragazzi”. Capito? E il mercato…quello rionale dove gli sponsor forniscono alle donne bonazze, vestiti, monili, ori e gioielli e loro fanno le influencer. Funziona così oggi e io mi sclero! Quindi, è vero, sono troppo vecchio per queste stronzate e lascio a voi che impazzite per costoro, il piacere di soddisfare vista e pensieri. Aspe’….e quella chi è? Mado’, pure Nikita Pelizon…e kikakkio è?

Perchè tanta violenza e tanta cattiveria?

La mia vita è da sempre governata da quello che molti reputano il peggiore dei difetti, perchè lega le persone fossilizzandole, rendendole incapaci di reazioni positive immediate al più piccolo disguido, l’abitudine. E tra le tante ce n’è una che l’amore per la lettura curiosa ha fatto prioritaria. La sera, appena a letto c’è una pagina a caso della Bibbia che mi aspetta, la mattina i giornali, e poi un po’ di classici sempre, prima di dedicarmi all’attualità, che , per dirla tutta, mi interessa sempre meno e spesso mi disgusta. La vita di oggi è diventata incomprensibile per me, cattiverie, odi, violenze, guerre, non c’è mai una notizia che possa aprire uno spiraglio alla speranza in qualcosa di nuovo, di entusiasmante, di bello, e soprattutto da poter scegliere di vivere con pieno senso di libertà, che oggi non esiste più. La libertà di fare tutto ciò che è cosa buona e giusta per una certa corrente di pensiero, non è libertà. Quando non si accettano pensieri diversi è totalitarismo. Oggi ho cercato Marco Aurelio e mi sono fatta un regalo.

Marco Aurelio, Pensieri, 166/179 d.C.

La bontà è invincibile, se è autentica, priva di ipocrisia e di ostentazione. Che male infatti potrà mai farti chi ti offende, fosse anche l’uomo più prepotente, se, nonostante tutto, continui a mostrarti benevolo verso di lui e magari lo ammonisci con dolcezza e lo correggi pacatamente nel momento stesso in cui ti aggredisce? “No, fratello mio, non è per questo che siamo nati, il male lo fai a te stesso, non a me”. Digli così. E dimostragli, con diplomazia e allargando il discorso, che questa è la verità.

marco Aurelio

L’intimo ai giorni nostri.

L’intimo è ciò che si nega al pubblico per concederlo solo a chi si vuol far entrare nel proprio segreto profondo. Il pudore, che difende la nostra intimità, difende anche la nostra libertà. Non è una faccenda di vesti, sottovesti o abbigliamento intimo, ma una sorta di vigilanza, dove si decide il grado di apertura e di chiusura verso l’altro.

Ma contro tutto ciò soffia il vento del nostro tempo che vuole la pubblicizzazione della propria intimità, perché in una società consumista, dove le merci per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un costume che contagia anche il comportamento degli uomini, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra. Conformismo e consumismo hanno messo in circolazione un nuovo vizio che per comodità chiamiamo “spudoratezza”, con riferimento non tanto a uno scenario sessuale, quanto al crollo di quelle pareti che consentono di distinguere l’interiorità dall’esteriorità, la parte “privata”, “intima” di ciascuno di noi dalla sua esposizione e pubblicizzazione.

Ciò produce una metamorfosi dell’individuo che ormai si riconosce solo nella propria immagine, e perciò non cerca più se stesso. I nostri vissuti emotivi, che abitavano il segreto della nostra interiorità, dove domina il raccoglimento e il silenzio, ma forse anche la solitudine, le parole di preghiera, le parole d’amore, le parole d’amicizia, le parole di rabbia, le parole umane, hanno dovuto esteriorizzarsi come la pelle rovesciata di un serpente.

Umberto Galimberti, Il libro delle emozioni.

 

intimo

Arrestate il pino. E’ apologia del fascismo.

Avete presente la nostra epoca imbevuta di ecologia, feticismo green dappertutto, perfino nella pubblicità, fanatismo ambientalista che paralizza ogni impresa? Beh, con il pino non vale. Il pino va sterminato, sradicato, cacciato dalle città; anche se sono belli, fanno parte ormai del paesaggio e svolgono utili funzioni contro l’inquinamento, il malefico CO2. La guerra contro il pino è la spia di una sensibilità, di un modo di (non) vedere e di una netta divaricazione tra l’ideologia green e la pratica nella realtà. Il pino è la metafora di un odio per l’esistente o per ciò che viene dal passato, nel nome di un Verde perfetto e utopico che verrà.
La battaglia contro il pino si combatte in molti luoghi d’Italia, a partire dalla Capitale, dove i pini erano veramente tanti e godevano di grande fama storica, pittorica e civile. Partiamo da un dato: nel 2016 erano censiti in Roma 120mila pini; ora, sette anni dopo, sono meno della metà, 55mila. Cos’è successo, è passata la Xilella Raggi, la sindaca Virginia? Ma no, la grillina avrà le sue colpe, però la guerra al pino è più vasta e diffusa. Curioso il caso del sindaco in carica, Roberto Gualtieri, che come Berlusconi, aveva promesso nella città un milione di nuovi posti per gli alberi, e invece ne ha piantati poche migliaia e i pini neopiantati, a fronte dell’ecatombe di questi anni, sono in gran parte moribondi. Questi dati mi sono stati forniti da una convinta pasionaria del pino, Jacopa Stinchelli, che si definisce “ministro della difesa dei pini” a cui si sta dedicando con abnegazione. Jacopa non è sostenuta dai movimenti green e dalla galassia ecologista che di solito insorge appena torci una foglia o un ramo di una pianta, ma della sua battaglia e della morìa dei pini in Roma se n’è occupato anche il New York Times il 13 agosto scorso.
Il problema è che il pino è in Italia un albero identitario, anzi è l’albero dell’italianità. Si diffuse con l’unità d’Italia, garibaldina e sabauda. La Regina Margherita fu madrina di pinete. Alla fine dell’ottocento fu lanciata nelle scuole la festa dell’albero, che era ancora viva quando andavo io alle scuole elementari e fu il primo assaggio di sensibilità verde per chi viveva in piena ebbrezza di industrializzazione, cemento e modernità. Si piantava un pino e si celebrava l’utilità, la bellezza e il ristoro che gli alberi davano agli uomini, alle città e alle località. La pigna fu eletta a simbolo dell’unità d’Italia, antico retaggio romano ed etrusco, che la consideravano sacra; il pino diventò il testimonial dei paesaggi nei pittori ottocenteschi che venivano in Italia (uno tra tanti, William Turner). Il pino fu reso famoso dai poeti, primo tra tutti Gabriele D’Annunzio con la sua pioggia nel pineto, che celebrava la Versilia ma anche la sua Pescara. Il pino fu amato dai musicisti, come Ottorino Respighi, che gli dedicò un poema sinfonico. Fa capolino nella musica leggera con i pini di Roma cantati da Antonello Venditti, mentre Brian May dei Queen dice che i pini di Roma lo affascinano in modo speciale. Anche nel cinema italiano fanno da sfondo a molti capolavori del passato e anche recenti. Le pinete diventarono sontuose cornici di litorali e accompagnarono amene località non solo marine.
Ma il pino l’ha combinata grossa, diventò pure il simbolo dell’Italia fascista, che potenziò la festa dell’albero, piantò pini dappertutto, da Ostia alla Maremma bonificata e in mille altri luoghi d’Italia. L’edilizia fascista, le città di fondazione e le colonie estive, erano contornate da pini. Piantavano pini nel risanamento dalle paludi e dalla malaria.
A Roma c’era un missionario dei pini, dall’Italia prefascista all’Italia fascista e poi alla repubblica: si chiamava Raffaele de Vico, era architetto, paesaggista e urbanista e propagò i pini in Roma, da Villa Glori al Parco della Rimembranza, dove i pini simboleggiavano le anime dei caduti. Insomma, il pino è un albero “patriottico”, la cui presenza suona come amor patrio e per taluni come apologia di fascismo. Dunque, va abbattuto o lasciato morire. Il Pino è fascista, e pure neofascista: vi dice nulla Pino Rauti, Pino Romualdi, Pino Tatarella (detto Pinuccio perché postfascista)?
Paradossi ideologici a parte, conosciamo i più ragionevoli motivi addotti per estirparli: sono pericolosi, soprattutto con il maltempo, le loro pigne sono contundenti, come i loro rami, le loro radici sono invasive, dissestano le strade. E poi sono cagionevoli, si ammalano, la loro manutenzione è faticosa, non sono autoctoni (anche in questo caso salta la retorica dell’accoglienza e si diventa improvvisamente identitari, in difesa delle specie vegetali autoctone, le pure “razze” nostrane rispetto agli alberi stranieri). Conosco la guerra del pino per esperienza personale, perché avendo quattro pini maestosi ai fianchi della casa, subisco una diffusa campagna pinofoba, con pressanti richieste di tagliarli, sfoltirli, abbatterli. Certo, i pini danno problemi, le radici, gli aghi, le pigne; ma danno senso e identità a un luogo, danno ombra e luce, aria e bellezza. E poi esistono rimedi efficaci contro i suoi malanni, assicura Jacopa, ci sono le cosiddette endoterapie, si possono contenere e incanalare le radici, lo dicono i pochi esperti e amanti del pinus pinea o dei pini domestici.
I pinicidi confidano in un famigerato parassita alieno, la cocciniglia toumeyella parvicornis, che fornisce un formidabile pretesto per la ” soluzione finale” dei pini. Il parassita s’insinuò prima nelle pinete di Napoli, dove i pini torreggiano nelle vedute più famose di Posillipo, del golfo e del Vesuvio. A differenza di altri allarmi ambientali, col pino si preferisce collaborare col parassita, tifare per lui, o precederlo negli abbattimenti, piuttosto che difendere la pianta. Prevale, come dice Jacopa, “l’invidia del pino”, variante arborea del famoso complesso freudiano. L’odio verso i pini, naturalmente con forti alibi sanitari, rivela l’ipocrisia dell’amore per la natura e il disprezzo per tutto quanto evochi una storia e un’identità. In pino veritas.

 Marcello Veneziani       

Vivo di sentimenti , nati dalle emozioni. Per questo vivo tra serenità e inquietudini della realtà quotidiana

 

Sono una persona emotiva
che comprende la vita
solo poeticamente,
musicalmente,
nella quale i sentimenti
sono molto più forti
di qualsiasi ragione.
Sono così assetata
di meraviglia
che solo lo straordinario
ha potere di su me.
Tutto ciò che
non riesco a trasformare
in qualcosa di straordinario,
lo lascio andare.
La realtà
non m’impressiona.
Credo solamente
nell’ebbrezza, nell’estasi,
e quando
la vita ordinaria
mi vincola fuggo,
in un modo o in un altro.

Anais Nin

 

anais

Il viaggio…

 Il viaggio per me è stato sempre una ricerca, non solo di luoghi, di persone nuove,  ma una ricerca sulla mia vita, di come riesco a vivere fuori dalla routine quotidiana, tra persone che non conosco, ed stato sempre un piacere immenso.  Il viaggio più è una sorpresa, più mi piace . Ancora ora, dopo moltissimi anni ricordo quel tuo improvviso:”prepara le valigie, sistema i bambini, andiamo via  da qualche parte io  e te “. Senza sapere dove, senza saper che mettere in valigia, se non il necessario per la notte ed un giorno, viaggiare leggeri, lasciando a casa anche i pensieri per immergersi in un viaggio  senza meta, scegliendo semplicemente la direzione. Era bello fermarsi per ammirare un paesaggio e poi rimanere in quel posto anche un giorno intero, e il giorno seguente ripartire per un altro luogo. Era bello arrivare ad un aereoporto e comprare i biglietti per il primo volo in partenza ,e ci siamo ritrovati così a  New York, la prima volta che mi hai portato; era l’inizio dell’autunno e i suoi colori hanno dipinto per me il più bel ricordo di quella citta, meravigliosa sempre, dove per la prima volta ho visto il cielo in un fazzoletto, inghiottito dalla città e non viceversa, come succede dovunque.   Parigi, Londra,  Caracas,  Rio, persino Hong Kong hanno il loro cielo over,  New York no, lo devi andare a cercare, sul mare, nelle periferie. dove lo sguardo torna  a spaziare. Anche l’aria che si respira durante un viaggio è speciale,sempre diversa,  un paio d’ali o un pugno in testa che lascia stordito per la grande calura, afosa soffocante. E la gente.. a me piace quella pittoresca dei villaggi, come quelli peruviani,carnagioni caffelatte , incorniciate di colori, bimbi addormentati sulle schiene delle mamme , bellissimi piccoli indios coi capelli nerissimi. Mi piace la gente della sera nei bistrot di Parigi, la gente del quartiere, semplice, chiaccherona, che ti riconosce come estraneo, ma ti accoglie e ti invita a sedere. Mi piace la notte di Bali, là  a Tanah Lot dove abbiamo dormito tra le canne e l’erba profumata dei vetiver, catturati da quel posto, dal suo mare che si perdeva nella notte… Mi piace viaggiare   su pensieri leggeri come questi, che mi portano indietro sul cammino della vita, l’unico che non possiamo programmare, un cammino lungo, fantastico il nostro. Ed ora che sei nel mio amore non  ho viaggiato più, il mondo sta nei ricordi, in migliaia di foto; quando guardo il cielo scopro di nuovo la sua profonda immensità e non desidero altro che viaggiare lassù dove tu mi appari come un miraggio!

 

 

“Io non viaggio per andare da qualche parte, ma per andare. Io viaggio per amore del viaggio. Muoversi è la grande cosa.”

Robert Louis Balfour Stevenson.