L’Occidente è il peggior nemico di se stesso…

I massacri di Hamas in Israele e l’invasione dell’Ucraina sono stati letti come un attacco all’occidente che impone agli occidentali di schierarsi. Si tratta in realtà di due casi diversi: se l’attacco di Hamas ha una valenza ostile anche nei confronti dell’Occidente, l’invasione russa dell’Ucraina non era rivolta contro l’Europa ma mirava al più a ripristinare l’area d’influenza russa, come ai tempi degli Zar e dell’Urss ed evitare basi Nato ai confini russi.
Ma in entrambi i casi sale l’appello a difendere l’Occidente e a schierarsi di conseguenza.
È inutile negarlo ma nel mondo “conservatore” riaffiora un bivio ineludibile tra chi si schiera sempre e comunque dalla parte dell’Occidente, in primis degli Usa, e chi non si riconosce in un Occidente che rinnega le sue identità e le sue stesse matrici; la sua storia, il suo pensiero, la sua tradizione, la sua fede, le sue comunità naturali e corre verso una deriva postumana e nichilista. Si gira intorno a questa divaricazione ma non possiamo eluderla. È facile schierarsi con l’Occidente e con tutto ciò che esso esprime, se si riconosce senza indugi il suo modello economico e sociale come il non plus ultra; i suoi interessi, il suoi fluidi stili di vita e la sua prevalente ideologia, come la rappresentazione del bene, della libertà, della democrazia, dei diritti, del progresso e del benessere. E viceversa, è facile schierarsi contro l’Occidente se si è nemici del modello capitalista, del consumismo sfrenato, del colonialismo passato oppure se si vive con vergogna e senso di colpa l’eredità storica, civile e religiosa dell’Occidente e del suo “imperialismo”.
Ma diventa più difficile schierarsi di qua o di là se da un verso si ama la civiltà da cui proveniamo e dall’altro si detesta la sua decadenza e il suo rinnegamento; e il primato dell’individualismo, dell’economia, della tecnica, l’assenza di valori salvo i codici ideologici woke, black o politicamente corretti. Se sei sempre e comunque dalla parte dell’Occidente, ti appiattisci nella difesa di questo Occidente che rinnega la sua civiltà, le sua identità e le sue radici greche, romane e cristiane. Alla fine difendi solo il suo livello di benessere e la sua potenza, rinunciando a tutto il resto, mettendo a rischio pure la libertà e la democrazia. Se viceversa ti opponi all’Occidente, rischi di lavorare per i carnefici o per i nemici, dal fanatismo islamico alla dittatura cinese e di sostenere regimi e paesi che negano la libertà, i diritti e la democrazia. Non ci piace questo Occidente, e la supremazia americana, ma potremmo mai schierarci con i paesi del Brics e i loro nuovi alleati, ben sapendo stiamo comunque nel campo avverso? Ci si può schierare dalla parte di Putin, degli ayatollah o di Xi jinping perché si detesta questo Occidente? Bisogna andare oltre gli apocalittici e gli integrati.
Sul piano culturale o dei principi, si può trovare un punto di coerenza, abbracciando la civiltà e criticando alcuni aspetti della civilizzazione, amando e sostenendo la nostra identità nazionale, europea e mediterranea, civile e religiosa, e rigettando il modello globale uniforme e alienante promosso dal tecnocapitalismo. Attivando la capacità di distinguere sul piano internazionale (es. l’India è un interlocutore preferibile rispetto alla Cina).
Ma quando la storia ti costringe a scegliere di qua o di là del campo, e in tempi rapidi e cruenti; quando c’è una guerra in corso, o uno sterminio, che fai, resti nel mezzo, ti chiudi nella torre, scegli l’uno o l’altro sapendo comunque di tradire una parte essenziale del tuo essere europeo? C’è chi risolve tutto agitando senza indugi le bandierine del momento, quella ucraina, quella israeliana, come fa il presente governo; accetta l’elementare manicheismo dei media e dei soggetti più forti d’Occidente, non si pone domande critiche, non riconosce i precedenti e i presupposti, non vede le cose da più punti d’osservazione, non calcola gli effetti a lungo raggio, i dolori e i risentimenti di rivalsa che suscita. Divide in assoluto tra vittime e carnefici, senza porsi il problema se i carnefici di oggi sono le vittime di ieri e viceversa; è più facile il messaggio e magari è più vantaggioso, anche sul piano personale. Ma per chi ama la realtà e la verità e ha a cuore alcuni principi, non c’è una soluzione così semplice e unilaterale. Non resta che attenersi al senso della realtà, al primato del bene o dove non è possibile, alla preferenza del male minore, alla distinzione dei piani, dei tempi e delle priorità, all’equilibrio, nella considerazione dei diversi punti di interesse e di osservazione. Per fare un esempio a caldo sul presente, sconfiggere il terrorismo di Hamas è una priorità da condividere, ma il programma non può essere solo la salvaguardia di Israele, sacrosanta, senza considerare la necessità di garantire la vita al popolo palestinese e dar loro uno stato e un territorio. Le frustrazioni e i diritti elementari negati armano gli estremismi e minano il futuro assai più delle trattative e dei negoziati.
Enormi questioni premono sullo sfondo e richiamano il tema della cristianità al tramonto, la questione della tecnica che tutto pervade, l’accettazione o meno del capitalismo come orizzonte insuperabile, correggibile o superabile. E poi il rapporto tra Europa e Stati Uniti, e tra l’Europa e il resto del mondo. L’Occidente non è un blocco compatto, dire occidente significa designare almeno tre mondi irriducibili tra loro, anzi spesso divergenti: gli Stati Uniti, l’America latina e l’Europa. Una ragione in più per accantonare l’idea di Occidente come un corpo unico e parlare da un verso di Europa o di arcipelago delle patrie, e dall’altro di Multiverso, cioè di un mondo plurale con più aree di coesione.
Proprio il realismo dovrebbe imporci di partire da una considerazione: l’Occidente non è il mondo intero né il paradigma dell’universo ma è ormai una realtà minoritaria, destinata ad essere sempre meno centrale, se non soccombente, in molte sfide e tanti ambiti. Un Occidente che per giunta si vergogna di sé stesso, della sua identità, della sua storia e della sua cultura, tradizione e religione. All’interno dell’Occidente le priorità e gli interessi europei non coincidono con quelli atlantici. La conseguenza è accettare l’idea di un mondo multipolare, considerare l’Europa una di queste aree e superare la pretesa che gli Usa possano continuare ad essere gli arbitri supremi del pianeta. Quanto questa posizione si allontani o si incontri con si tratta di destra o di sinistra. Si tratta di difendere la realtà, il buon senso, l’eququella del presente governo ci interessa poco: qui non ilibrio, cercare pezzi di verità nel poligono della vita, difendere la civiltà e l’umanità, a partire da chi ti è più vicino.

Marcello  Veneziani     

Le donne forti…

 

Le donne forti
camminano dritte,
lungo l’asfalto della vita.
Sono donne difficili.
Sono donne che
non si accontentano più.
Hanno il sole negli occhi,
e qualche relitto di troppo
nel cuore.
Eppure, non si stancano
di sfidare l’incertezza del mare.
Vivono di sogni
mischiati al cemento.
E capita che non sappiano
più distinguere gli uni dall’altro.
Danzano scalze.
Un po’ zingare, un po’ selvagge. Eternamente bambine,
sotto le ciglia vestite di rimmel,
e le labbra rosso rubino.
E’ la mente a partorire
il loro erotismo che,
lento, si annida nel cuore.
E poi, sinuoso,
si traduce sul corpo.
Il loro fare l’amore,
è un fare l’amore complesso.
Per questo,
quando prendi una donna,
non ne prendi un pezzo soltanto.
Ne sposi l’armoniosa,
assoluta, totalità.
Le donne forti
spogliano l’anima,
la vestono di magnifico nulla,
la dividono in parti,
piccolissime parti,
e ne mettono una
in ogni cosa che fanno.
Tutto quello che toccano
diventa magia.
La loro vita
è una corsa ad ostacoli,
senza podio e senza medaglie.
Si portano addosso i fallimenti,
e le sconfitte,
con innata eleganza,
e dignità sofferta.
Come un tassello di vita che, malgrado il dolore,
non baratterebbero mai.
Perché sono ciò che sono.
E non lo rinnegano.
Le donne forti
non smettono di cercare qualcuno per cui valga la pena
tornare ad amare.
Perché le donne forti
tornano ad amare
una volta ancora,
una volta in più,
una di troppo.
Anche dopo aver
giurato a sé stesse
che mai più lo avrebbero fatto.
Le donne forti fanno paura.
Ma sono le sole
per cui valga lo sforzo.
Antonia Storace

donna forte

 

Trovare il tempo per instaurare fiducia reciproca nei giovani.

 

Inutile lamentarsi del malessere adolescente, della vulnerabilità dei ragazzi e delle ragazze, della scuola che non funziona o della società che, ormai, sarebbe ostile ai giovani quando, da genitori, non si è capaci né di essere esempi né di diventare guide. Inutile persino spingerli a credere in se stessi, se non siamo noi i primi a credere in loro e a dar loro fiducia, invece di pretendere che siano affidabili e, solo poi, fidarci: la fiducia è sempre una scommessa; è sempre qualcosa che si dà indipendentemente dall’affidabilità altrui, soprattutto quando si parla delle relazioni tra genitori (o insegnanti) e figli (studentesse e studenti). Tanto più che loro, i più piccoli, hanno spontaneamente (e totalmente) fiducia negli adulti, e siano noi che fatichiamo a credere che possano farcela con le proprie gambe, esattamente come siamo noi a tradirli ogniqualvolta mettiamo i nostri bisogni e i nostri desideri davanti ai loro. Quando si è bambini, si dipende interamente dallo sguardo che hanno gli adulti, ci si sottopone al loro giudizio. E non c’è tradimento più grande di quello che si vive quando i propri genitori (ma anche i propri maestri o le proprie professoresse) mentono, non sono sinceri, non sono affidabili, non ascoltano. Anche se ascoltare è difficile, perché l’alterità altrui ci viene a sbattere contro. Ma se nemmeno noi genitori (professoresse, maestri) facciamo lo sforzo di aprirci all’alterità dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, come potranno poi loro, un giorno, accettare la propria alterità e venire a patti con l’esistenza?

estratto da un articolo di Michela Marzano 

disagio

Non è guerra ma sterminio ..

No, non chiamatela guerra. Non è una guerra quella che è in corso in Israele. Guerre ne abbiamo viste tante, una è in corso in Ucraina. Ma questa non è una guerra. Questo è uno sterminio. Iniziato o esploso una settimana fa, covava da decenni e affiorava periodicamente ma episodicamente. Poi qualche giorno fa, è diventato uno sterminio, esteso alle popolazioni civili.
Non mi infilo nella spirale astiosa delle accuse su chi ha cominciato, nella matrioska delle persecuzioni, un popolo assediato e circondato da paesi ostili che ne assedia e ne circonda un altro. Anzi, uso il meno possibile il riferimento ai due popoli, israeliani o palestinesi. Chi uccide un bambino uccide un bambino; non un israeliano, non un palestinese, un ebreo. Un bambino, solo un bambino.
Se per punire uno Stato tu colpisci un popolo e sgozzi innocenti, tu non fai la guerra, ma compi uno sterminio. Se per punire un terrorista tu uccidi la sua famiglia, tu non fai la guerra né fai giustizia, compi uno sterminio. Se uccidi gente nelle case, mentre dorme, mangia, inerme e spaventata, tu non fai la guerra, fai uno sterminio. Se li fai morire come topi in gabbia, per asfissia o togliendo loro tutto ciò di cui vivono, costringendoli ad uscire per poi massacrarli, tu non stai combattendo una guerra, tu li stai sterminando. Lo sterminio è il grado peggiore dell’odio e della violenza, più della guerra, perché non combatte contro un nemico ma elimina tutta l’umanità che si muove all’interno dell’obbiettivo. Non vuole batterlo, ma cancellarlo. Col sottinteso che il nemico faccia altrettanto. E se elimina pure i bambini vuol dire che vuole sradicarlo, ne vuole impedire la ripopolazione futura. La guerra ha le sue regole, qui l’unica regola è portare al massimo livello di estensione e crudeltà il male che si vuol fare.
L’idea stessa che spinge gli sterminatori non è vincere la guerra, ma espiantare ed eliminare un popolo. Nello sterminio o nella fuga, disperdendolo altrove.
Il peggio, si sa, è il terrorismo, che è guerra ad personam senza confini né regole, col paradosso che le persone non contano, solo solo bersagli, simboli, categorie; ma non lo chiamerei male assoluto, come fanno in tanti, perché neanche nel male l’uomo può farsi assoluto. Il terrorismo è male radicale, forse il male peggiore che ci possa essere. Anche se la guerra, muovendo stati e armamenti poderosi può fare assai più devastazioni di un atto terroristico pur cruento. Poi resta da stabilire fin dove e a chi si possa estendere la definizione di terrorista, e se possa riguardare anche stati ed eserciti, come si sostiene da qualche tempo. Sul piano umano e personale anche il peggior male ha magari alle sue origini una giustificazione umana, il dolore e la disperazione per i tuoi cari sterminati davanti ai tuoi occhi. Nell’inferno dello sterminio, la vendetta è l’ultima traccia di umanità che resta, perché muove da una motivazione in origine comprensibile; la vendetta segna il passaggio dall’umanità alla ferocia, è il sentimento che precede e motiva quel diventare disumani.
Quanto al pericolo che si scateni una nuova guerra mondiale, e al fatto che ci stiamo andando assai vicini, la penso diversamente.
Ci siamo andati vicini nei primi anni novanta, ai tempi della Guerra del Golfo e poi dell’attacco all’Iraq. Ci arrivammo ancora più vicini al tempo delle due torri e di quel che ne seguì tra guerre e terrore. Abbiamo sfiorato il conflitto mondiale pochi mesi fa, tra la Russia e l’Occidente. Anche in questo caso, ci stiamo avvicinando a una guerra mondiale per quel che succede in Medio Oriente, che resta comunque la prima polveriera del mondo da più di mezzo secolo.
Ma la guerra sarà guerra mondiale, catastrofe globale, quando coinvolgerà direttamente i giganti della terra. E’ una minaccia che serpeggia; la vera sorpresa non è che ora siamo alle porte di una guerra, ma che lo siamo periodicamente da svariati decenni e non varchiamo mai quella soglia terribile; grazie a Dio, alla fortuna, agli uomini o agli eventi.
Ma lasciamo sullo sfondo il pericolo della guerra e vediamo quel che c’è davanti a noi, lo sterminio. A volte ti capita per un momento di sentirti lì dentro l’incubo, per le strade d’Israele o di Gaza, senza avere alcuna colpa se non quella di appartenere a quel popolo, di essere nato là e di abitarvi. Appena ti cali in quel luogo ti manca il respiro, ti senti soffocare, vorresti scappare e non si sa da dove verso dove. Poi ti sorge quel filo di umanissima viltà, e ti senti graziato o fortunato perché abiti in un’altra parte della terra, piena di problemi, ma un paradiso rispetto a quell’inferno. Ma non ti basta scamparla, ti insorge comunque il dubbio che possa capitare anche a te e ai tuoi cari, e comunque c’è qualcosa che è dentro di te che ti fa sentire partecipe, consorte, solidale a quel destino, da cui non puoi chiamarti del tutto fuori. E sorge un sentimento doloroso d’impotenza, in cui l’unico alibi per uscirne è che siamo troppo piccoli, fragili e passeggeri per caricarci di tutte le tragedie del mondo. Non servirebbe a nulla, sprofonderebbe solo noi stessi.
Ma l’orrore c’è, resta negli occhi e pure dentro, basta affacciarsi alla finestra, in forma di video, per rendercene conto. Poi pensi ad altro, capisci che nel mondo ci sono mille altre cose e noi abitiamo tanti mondi, con la memoria, con la fantasia, con la natura, con la speranza, con l’amore per la vita e per l’eterno. C’è vita oltre lo sterminio ed è più grande del male.

Marcello Veneziani 

Alle Scuderie del Quirinale si apre la mostra su Italo Calvino…

 

turno

[ L’operaio Arturo Massolari faceva il turno della notte, quello che finisce alle sei. ]

Arrivava a casa tra le sei e tre quarti e le sette, cioè alle volte un po’ prima alle volte un po’ dopo che suonasse la sveglia della moglie, Elide. Il letto era come l’aveva lasciato Elide alzandosi, ma dalla parte sua, di Arturo, era quasi intatto, come se fosse stato appena rifatto allora. Lui si coricava dalla propria parte, per bene, ma dopo allungava una gamba in là, dov’era rimasto il calore di sua moglie, poi ci allungava anche l’altra gamba, e così a poco a poco si spostava tutto dalla parte di Elide, in quella nicchia di tepore che conservava ancora la forma del corpo di lei, e affondava il viso nel suo guanciale, nel suo profumo, e s’addormentava.

Elide andava a letto, spegneva la luce. Dalla propria parte, coricata, strisciava un piede verso il posto di suo marito, per cercare il calore di lui, ma ogni volta si accorgeva che dove dormiva lei era già caldo, segno che anche Arturo aveva dormito lì, e ne provava una grande tenerezza.

Italo Calvino, Gli amori difficili, dal racconto L’avventura degli sposi

Non solo uomini inventori, ma anche cervelli femminili.

 

Invenzioni al femminile

 

Se qualcuno avesse dei dubbi che le donne ne sappiano davvero una più del diavolo, dovrà ricredersi. Basta scorrere alcune delle invenzioni che hanno cambiato la vita all’uomo. Le hanno inventate delle donne. Casalinghe disperate o abili inventrici? La lavatrice e la lavapiatti sono frutto dell’estro femminile. Ma anche il tergicristallo, la sedia a rotelle, il giubbotto salvagente e il Kevlar.

Il XX è sicuramente stato un secolo ricco di scoperte, invenzioni e brevetti , ma erroneamente, si tende a considerare il campo delle invenzioni e dei brevetti una prerogativa maschile. Nel corso del secolo scorso, sono moltissime le donne che hanno invaso il campo e rivoluzionato la vita delle donne contribuendo a facilitarla e a migliorarla, rendendo così la donna sempre più emancipata. Chi avrebbe mai pensato a una lavatrice o una lavastoviglie se non una donna? E ancora, era ovvio che prima o poi qualche signora si sarebbe insorta e si sarebbe ribellata a guaine e corsetti e avrebbe ridotto la biancheria intima in modo da dare meno fastidio possibile. Infatti, le modifiche subite da slip e reggiseni hanno più a che fare con la praticità che con la seduzione, ma il risultato non cambia, la biancheria intima si è ridotta al minimo.
Tra le invenzioni più stravaganti e impensate concepite dalle donne per una reale necessità della comunità ci sono quelle del tergicristallo, della guida per impedire alle ruote di treni e tram di uscire dai binari, il primo lampione pubblico a gas, la sedia a rotelle, il giubbotto salva-gente e perfino la scatola della pizza.
Dall’unione tra la capacità analitica di un uomo e l’estro di una donna è nato il primo prototipo di elaboratore elettronico, il bisnonno del nostro computer. Insomma, chi si ostina a pensare che le donne ragionino con la sola parte destra del cervello (quella dove risiede la sfera emotiva) sarà costretto a ricredersi, e a pensare che dopo tutto, la regola della necessità che aguzza l’ingegno non ha alcun genere.

Mattino e sera. Di Jon Fosse, premio Nobel 2023 per la letteratura.

 

Jan fosse

Non conoscevo ancora questo scrittore norvegese JonFosse, vincitore del premio Nobel per la letteratura 2023, ma ho iniziato subito a leggerlo . Mattino e sera, il racconto che ho letto , mi ha incantato, tolto il fiato dalla prima all’ultima parola;il racconto della vita di un uomo in due momenti, la nascita e la morte, il percorso che la vita da ad ognuno di noi.  Quello dello scrittore norvegese Jon Fosse è stato definito “un linguaggio silenzioso”, capace di parlare della vita e della morte in un lungo flusso di coscienza che abbraccia l’intero scorrere della vita. Dopo poche righe di un suo scritto sei già immerso in questo flusso esistenziale che scorre e scorre , quasi non ci fosse  nascita, vita, morte, ma solo un grande mare che si chiama esistenza e nel quale tutti siamo immersi. La  sua scrittura  riesce a ricostruire il pensiero, come se nascesse da una nota che riesce a creare una musica visibile, senza suono e ci trascina sul suo spartito fino all’ultima nota.

Perché sarà lo spirito di Dio presente in ogni cosa a rendere tutto più di un nulla, a trasformarlo in significato e colori e quindi, pensa Olai, anche la parola e lo spirito di Dio esistono in tutto, è così, sì, ne è sicuro, pensa Olai, ma che sia presente anche la volontà operante di Satana, anche di questo ne è convinto.

(Mattino e sera, La nave di Teseo, 2019)

Se sarà maschio si chiamerà Johannes, dice Olai
Vedremo, dice la levatrice Anna
Johannes, sì, dice Olai
Come mio padre, sì
Non c’è niente di male in questo nome, dice la vecchia levatrice Anna
e ora si sente un altro grido, adesso più aperto

(Mattino e sera, La nave di Teseo, 2019)

mentre la mamma Marta urla di dolore, verrà alla luce in questo mondo freddo dove sarà solo, separato da Marta, separato da tutti gli altri, sarà sempre solo e poi, quando verrà il momento, quando sarà la sua ora, si dissolverà e si trasformerà in nulla e ritornerà là da dove viene, dal nulla e al nulla, questo è il corso della vita.

(Mattino e sera, La nave di Teseo, 2019)

il Verbo com’era in principio, come dicono le Scritture, e che fa sì che uno capisca, sia nel profondo sia in modo faceto, che cosa è questo altro? già, chi può dirlo? sarà lo spirito di Dio presente in ogni cosa a rendere tutto più di un nulla, a trasformarlo in significato e colori

(Mattino e sera, La nave di Teseo, 2019)

Entra in soggiorno e poi nella camera e lì vede papà Johannes sdraiato sul letto e ha un’aria tranquilla, quasi come se stesse dormendo, pensa Signe e gli prende la mano, quasi come quando ero una bambina, pensa Signe e sente fremere dietro gli occhi e gli occhi si riempiono di lacrime.

(Mattino e sera, La nave di Teseo, 2019)

Fosse

Cielo a pecorelle. acqua a catinelle. Sarà vero oppure la solita baggianata dei vecchi?

 

Gli uomini, nel corso della storia lunghissima del nostro pianeta, da quando hanno iniziato a vivere ragionando sul modo di approvvigionarsi e di vivere una certa comunità, hanno fatto piccole regole ed hanno iniziato a guardarsi attorno con molta attenzione. La natura stessa ha sicuramente dato i maggiori stimoli, presentandosi ciclicamente, mostrando alternanze di fenomeni atmosferici e di temperature climatiche. Non saprei quando siano nati i primi modi di indicare fenomeni atmosferici come presagi di pioggia o bel tempo , ma so che noi anziani abbiamo molti proverbi che usiamo per raccontarci come sarà il tempo domani. I giovani ridono, abituati come sono oggi a previsioni scientifiche, che difficilmente sbagliano. Anzi la loro previsione serve spesso per evitare che disastri annunciati facciano vittime. Tuttavia alcuni di questi detti sono stati verificati dalla scienza, che ne ha giudicati veri molti. Su Focus c’è questa bellissima gallery, che spiega il tutto. Per vederla cliccare  il link.

https://www.focus.it/scienza/scienze/detti-scientificamente-fondati-sul-meteo

Cirrocumulus Cloud in blue sky on sunny peaceful day.

Da FOCUS-

…e le guerre non finiscono mai, anzi.

 

I bambini giocano alla guerra.

I bambini giocano alla guerra.
E’ raro che giochino alla pace
perché gli adulti
da sempre fanno la guerra,
tu fai “pum” e ridi;
il soldato spara
e un altro uomo
non ride più.
E’ la guerra.
C’è un altro gioco
da inventare:
far sorridere il mondo,
non farlo piangere.
Pace vuol dire
che non a tutti piace
lo stesso gioco,
che i tuoi giocattoli
piacciono anche
agli altri bimbi
che spesso non ne hanno,
perché ne hai troppi tu;
che i disegni degli altri bambini
non sono dei pasticci;
che la tua mamma
non è solo tutta tua;
che tutti i bambini
sono tuoi amici.
E pace è ancora
non avere fame
non avere freddo
non avere paura.

Bertolt Brecht

La poesia di Brecht, come si può comprendere anche in “i bambini giocano alla guerra”, vuole farci riflettere sulla realtà sociale e politica. La grande rivoluzione di Brecht fu quella di produrre una poesia marxista rivoluzionaria ,la critica della società borghese, capitalista. Il pubblico attraverso la poesia doveva poter prendere coscienza delle grandi contraddizioni della società. I conflitti sociali, la povertà, le contrapposizioni di ceto, la guerra, e così via, liberandosi dalle catene imposte dalla società. Giusto o sbagliato si interpreti il pensiero di Brecht, egli contribuì ad un’idea diversa del teatro e della poesia. Pertanto merita attenzione e soprattutto di essere letto con attenzione. Infatti scrive “è raro che giochino alla pace, perché gli adulti da sempre fanno la guerra”. Brecht cerca di farci riflettere su quello che, a volte, scambiamo come normale, anche il semplice “pum” durante un gioco. Quello sparo che, da un’altra parte del mondo, sta uccidendo qualcuno.
Educare un bambino alla pace non è una cosa semplice , significa insegare la condivisione, il rispetto, l’apertura mentale. Significa saper condividere l’amore, saper insegnare il concetto di amicizia e di famiglia. E, purtroppo, in molti posti nel mondo dove sono prioritari  discriminazioni, violenze, fame e sofferenza ,questi valori diventano poco o niente importanti.

guerre