Il voto in Austria ha confermato una vasta tendenza europea: la destra nazionalepopulista e sovranista, anti-establishment, è la prima forza in campo quasi ovunque. Forza di maggioranza relativa, di solito intorno al 30%, per governare ha bisogno di trovare alleati e questo succede con fatica. Di solito scatta la conventio ad excludendum, l’alleanza di tutti i perdenti contro il vincente, come sta profilandosi a Vienna. In Italia, grazie al varco aperto ai tempi di Berlusconi, è stato invece possibile allargare la coalizione al centro-destra. La prima difficoltà è dunque nel potere di alleanza; in un sistema elettorale come quello inglese, il trenta per cento dà la possibilità di governare con una maggioranza assoluta di seggi (come è capitato ora ai laburisti); in Francia no, come è successo con gli stessi voti alla Le Pen (ora è il suo turno nella persecuzione giudiziaria).
Intanto monta per i vincitori austriaci l’accusa di nazismo e antisemitismo. Un’accusa corale e folle, che s’inquadra in un grottesco quadro riassuntivo: Netanyahu è un nazi di estrema destra, chi condanna Israele per le sue invasioni e stermini di civili è un nazi di estrema destra, gli islamici che odiano Israele sono nazi di estrema destra, le destre europee che si oppongono alle invasioni islamiche sono nazi di estrema destra. Tutti nazi di estrema destra (e non abbiamo parlato di Putin e dell’Ucraina). Ma se è un quadrangolare tra nazisti, che fine hanno fatto gli altri? Chiedetelo ad esempio alla Gruber che sostiene quel quadrangolo.
Ma lasciamo i deliri, torniamo all’analisi dei fatti. Le difficoltà permanenti della destra al governo restano di tre tipi: l’ostilità dell’establishment e del relativo potere mediatico-giudiziario; i margini ristretti d’azione e decisione dovendo rispondere e attenersi a direttive e vincoli sovranazionali, supremazie e alleanze militari; e infine la difficoltà di selezionare e cooptare una classe dirigente qualificata di esperienza. Se la destra anti-establishment raccoglie di solito il trenta per cento dei voti, il suo antagonista primario, la sinistra, di solito è attestato poco oltre la soglia del venti per cento. Il resto si divide tra centristi, moderati, popolari, liberali o tra verdi e formazioni locali e radicali. In sintesi, metà elettorato non va a votare, e la metà votante è divisa in modo difficilmente componibile. L’ingovernabilità è l’esito più frequente, se non intervengono espedienti elettorali o di potere. Ma per un gioco di prestigio elettorale e una serie di combinazioni e agevolazioni, la sinistra si ritrova spesso in un ruolo preminente o egemone, pur raccogliendo meno voti di altri e riscuotendo il maggior tasso di avversione tra i votanti e i non votanti.
Prendiamo il caso italiano. Nonostante i riti wodoo della stampa, dei media e dei loro affiliati, il centro-destra mostra di essere più compatto e meno scomponibile dei suoi avversari. Invece, come si vede ogni giorno, il cosiddetto campo largo è sempre più difficile a comporsi, figuriamoci a reggere nel tempo. Al di là delle singole leadership, delle refrattarietà incrociate, c’è una considerazione elementare da fare: il Movimento 5 Stelle sa che in un’alleanza coi dem ha solo da perdere, in termini di consensi e agibilità politica. Il Pd è partito-establishment: per una forza nata come alternativa antisistema come il M5S è autolesionistico allearsi coi dem già in partenza e perdere consensi, identità e autonomia. Inutile quindi imprecare contro Conte; il suo calcolo è elementare e sensato, non è mica scemo a immolarsi per il Pd. Accade così che la sinistra in Italia, se non intervengono mani invisibili, pressioni sovranazionali e giochi di palazzo, non ha tecnicamente e politicamente la possibilità di esprimere una maggioranza. Del resto non è mai accaduto alla sinistra di essere maggioritaria in Italia. Il tetto dei suoi consensi risale alla breve parabola di Matteo Renzi, quando una leadership ambigua se non ambidestra, consentiva a Renzi di accumulare i voti ereditati dalla sinistra coi voti provenienti dal centro e da alcuni settori del berlusconismo. Si deve risalire all’epoca dei partiti popolari di massa per trovare una forza vasta e coesa come il Pci raggiungere il trenta per cento, riuscendo pure nella fase iniziale del declino democristiano, a godere l’ebbrezza transitoria del sorpasso.
Qual è allora la ragione per cui la sinistra appare a larga parte del paese come l’espressione dell’establishment e dunque degli assetti dominanti, a livello internazionale e non solo? I dem dispongono di tre poteri che la destra non ha e non riesce ad espugnare: il potere dirigenziale, il potere ideologico e il potere ostativo. Il potere dirigenziale è frutto di una sedimentazione nei decenni: da quando crollò il potere democristiano e Mani Pulite sotterrò il pentapartito, i ceti dirigenti del paese finirono in buona parte nell’orbita della galassia dem. La burocrazia ministeriale, regionale e locale, il ceto amministrativo, il personale delle amministrazioni comunali, inclinano o provengono più dalla sinistra. E anche quando si indicano candidati per gli enti locali, alla sinistra è più agevole trovare nomi più noti, collaudati, con più benevolenza mediatica.Il potere ideologico nasce dalla prevalenza (o egemonia) nel linguaggio e nel racconto della rappresentazione progressista, radical, liberal, rispetto a quelle opposte. Una dominazione che persiste, pervade, è esercitata a tutti i livelli, anche per la presenza di un ceto professionale, mediatico, intellettuale e docente affine. Nulla del genere esiste tra i cattolici, i moderati, i conservatori, le destre. Dai due poteri precedenti e dalla macchina propagandistica che ne deriva, sorge il potere ostativo, ossia la capacità di rendere difficile la vita a chi governa, se non impossibile. Ogni giorno un obiettivo da abbattere. Campagne mirate, strategie del discredito, della delegittimazione, della ridicolizzazione, e perfino della criminalizzazione (col prezioso supporto giudiziario) rivelano la potente macchina da guerra con un vasto potere di veto e di intimidazione. E poi la magistratura fa il resto. La sinistra non ha dimostrato in questi decenni capacità di governo, di durata, di coesione e di efficacia costruttiva ma detiene un formidabile potere distruttivo d’interdizione, demolizione e boicottaggio. Su questi tre poteri la sinistra costruisce la sua pretesa egemonica e il suo assedio ai governi nemici. Ah, se non ci fosse quell’inconveniente della sovranità popolare… In caso di emergenza chiamare il nazi.
Marcello Veneziani