È bene, è giusto accogliere in chiesa eventi che esulano dalla liturgia cattolica e dalla vita cristiana? Lo chiedo nel giorno di San Francesco, il santo più amato dai laici e dai non credenti. Non mi riferisco alle chiese sconsacrate ormai aperte a eventi musicali, teatrali, culturali, mostre di ogni genere o trasformate in locande e resort per la ristorazione e l’albergo. Dico invece di chiese, cattedrali, dove si celebrano messe, eucarestia e sacramenti.
Sabato scorso sono stato a un suggestivo concerto della musica mistica di Franco Battiato nel duomo di Ibla dedicato a san Giorgio. Il concerto era nell’ambito della rassegna Oltre il sipario a cura di Vicky e Costanza Di Quattro. Canti di forte intensità spirituale, di un cantautore da me prediletto, eseguite in modo appropriato, alla presenza dell’arcivescovo di Ragusa, entusiasta, del parroco riluttante e di un vasto uditorio. Battiato non era un cattolico e un credente, la sua “mistica leggera” attinge a tradizioni esoteriche e religiose e repertori spirituali assai diversi: dall’Islam all’Induismo, da René Guénon a Georges Ivanovič Gurdjieff, dagli sciamani ai dervisci, ai Sufi, fino alle teorie della reincarnazione, come nella sua ultima canzone E torneremo ancora. In più aggiunge una venatura gnostica e l’influenza di un pensatore siciliano compiutamente e dichiaratamente ateo, “empio” e nichilista, Manlio Sgalambro, legato da forti vincoli di amicizia e di collaborazione canora con Battiato.
Il concerto di Battiato in cattedrale ha suscitato la comprensibile perplessità di qualche osservante della tradizione: si può ammettere in chiesa il canto di Giuni Russo, la cantante precocemente scomparsa che si unì in sodalizio canoro con Battiato, seguì la sua linea spirituale ed esoterica, ma poi si convertì alla fede cristiana, nel nome di Santa Teresa d’Avila e incontrò in convento la mistica cristiana. Ma Battiato resta estraneo alla fede cristiana…
Non è la prima volta che la musica leggera entra in chiesa, in cattedrale, in convento. È accaduto tante volte. Anzi, a dir la verità, è entrato ogni genere musicale: mi è capitato di sentire in chiesa o’Sole mio, e di riascoltarla in un rito nuziale nel duomo di Cuzco in Perù. Quando fu liquidato l’austero ordo missae in latino, fu come diffuso un tacito “rompete le righe”. Ricorderete le schitarrate, i capelloni, la musica pop e ogni altro genere di incontro in chiesa col mondo beat, hippie, sessantottino… Si svuotavano le chiese ma si aprivano alla musica alternativa.
Qualcuno potrà ancora obiettare che la musica leggera in fondo è innocua, non scalfisce minimamente la fede; più insidiosa è invece la spiritualità, in forma new age, esoterica, gnostica, i surrogati di religione o di altre religioni. Comprendo l’apprensione e apprezzo il rigore.
Ma non dimentichiamo che la cristianità, ai suoi albori e poi anche dopo, convisse con altri culti e altri riti, le chiese furono spesso erette su templi pagani e la sacralità precristiana dette linfa alla santità cristiana. Molti culti pagani, molte divinità furono trasfigurati nella cristianità, nelle icone, nelle devozioni e nelle leggende dei santi e della Madonna.
Se agli albori vi fu questo innesto e questa trasfusione, forse non è infondato che analoghi innesti, analoghe trasfusioni, o quantomeno incontri, aperture, vi possano essere nell’epoca del suo tramonto, o nel tempo della scristianizzazione. Certo, i pericoli ci sono, le ambiguità e i malintesi sono possibili, ma la cristianità – che vive tra ricorrenti contaminazioni col mondo secolarizzato e profano e con le esperienze odierne – può ritrarsi davanti a espressioni reali di spiritualità e di attenzione al sacro? Non si tratta di irenismo o di sincretismo, ma della capacità di confrontarsi e in una certa misura di trarre spunto, alimento e ispirazione da altre esperienze del sacro senza rinunciare alla propria. Questa mia convinzione discende dagli studi di Mircea Eliade ma anche di Frithjof Schuon che parlava dell’unità trascendente delle religioni, come Guénon: le religioni, diceva, sono come raggi di una ruota che tendono tutti verso lo stesso centro metafisico. Ciascuno percorre il raggio a lui più consono, quello in cui è nato e cresciuto, e che più rappresenta la tradizione della sua famiglia, del suo popolo, della sua civiltà, il suo lessico, la sua sensibilità. Certo, questa visione non si sposa facilmente col rigore della dottrina cristiana, con l’incontro con Gesù Cristo, “Io sono la via, la verità, la vita” (Giovanni, 14, 6). Ma la verità, spiegava Vincenzo Gioberti, filosofo e sacerdote, è un poligono, ciascuno conosce solo un lato; la verità suprema e integra la conosce solo Dio. Un modo per accettare con umiltà i propri limiti, e non ergersi a depositari esclusivi della verità, detentori di un monopolio che poi diventa prevaricazione: la verità esiste ma non ne possediamo le chiavi, piuttosto siamo abbracciati dalla verità, che ci trascende.
Anche l’esperienza musicale e spirituale di Battiato è un modo per avvicinarsi al Divino, per aprirsi all’Essere, per lodare l’Uno o l’Inviolato, come dice una sua canzone. Non è fede, dottrina, pratica religiosa, ma ci avvicina, per certi versi può preparare, comunque fa bene alla nostra anima. Lo stesso vale per i conventi che ospitano gli incontri con il poeta Franco Arminio e la sua idea del sacro “quotidiano”, “paesano”, “rupestre”.
La vera differenza tra l’ecumenismo filantropico che si è insinuato nella Chiesa dai tempi del Concilio Vaticano II e l’unità trascendente delle religioni è quella che corre tra il dissolversi orizzontale della cristianità nei precetti sociali, umanitari, cosmopoliti, etici o vagamente morali; o intraprendere la salita, il cammino in verticale, trovando conforto anche in altre esperienze religiose o spirituali.
E’ un discorso delicato, difficile, che non può essere sbrigato nell’arco di un articolo; ma importante nell’epoca dell’irreligione e della desacralizzazione.
L’avversario primario del cristianesimo non è la religione altrui ma la negazione di ogni fede e di ogni trascendenza o la loro sottomissione a un disegno predominio e di annientamento altrui nel nome di un dio, un demone o un idolo sterminatore. Detto in altre parole: il pericolo per i cristiani non è la diversa esperienza del sacro o la diversa espressione del cammino spirituale ma è il nichilismo o il fanatismo, e la mescolanza tra i due, anche travestita in “pappa del cuore”.
Marcello Veneziani