Gli italiani sono delusi dall’Europa e dall’Occidente. Considerano in larga maggioranza l’Europa un guscio vuoto inutile o dannoso e destinata a sfasciarsi; non si riconoscono nei valori del passato e reputano l’Occidente responsabile delle guerre in corso. Lo conferma l’ultimo rapporto del Censis che mostra un popolo di scontenti antieuropei e antioccidentali che tocca il 70 per cento all’insegna, scrive, di un “viscerale antioccidentalismo”.
I dati registrano un fatto ma non raccontano le motivazioni, ossia come si arriva a questo esito. E qui subentra la necessità di un’analisi differenziata e ragionata. Per molti l’Europa è una camicia di forza, una sovrastruttura invasiva che nuoce ai popoli, alle nazioni e alle loro identità e non li protegge. Ma altri accusano l’Europa del contrario: è ancora prigioniera delle nazioni e dei nazionalismi, non è capace di fare un salto in avanti verso un sovranismo europeo.
La stessa divaricazione si ripete per quanto riguarda l’Occidente. Da una parte c’è chi rimprovera all’Occidente di vergognarsi di se stesso, delle sue radici e delle sue tradizioni, e di non curare i suoi interessi geopolitici. Ma oltre la motivazione “occidentalista” – alla Oriana Fallaci, per intenderci – ci sono coloro che reputano l’Europa succuba degli Stati Uniti e dell’occidentalismo guerrafondaio. E non manca la critica umanitaria, un tempo terzomondista, che rinfaccia all’Occidente di imporre i propri modelli al mondo, di essere ancora legato al colonialismo e alla supremazia mondiale e di non essere “inclusivo”, a cominciare dai flussi migratori; di disprezzare la pace, concorrere al degrado ambientale e climatico e di essere sottomesso alla logica del profitto capitalistico. Una prospettiva che unisce la linea di Bergoglio alle varie forme di pacifismo e accoglienza. Insomma, gli italiani sono largamente critici verso l’Europa e verso l’Occidente ma per motivi diversi, se non opposti. La somma è imponente, ma è frutto di minoranze divergenti.
Mattarella nelle sue prediche si ostina a ripetere il vecchio schema catto-progressista allineato alle potenze globali e ritiene che la fonte di tutti i mali sia il nazionalismo. La realtà odierna e la percezione comune invece dicono esattamente il contrario: siamo davanti alla perdita di identità e di sovranità politiche, nazionali e popolari, e al dominio di imperialismi antinazionali, mentre si allarga a sud l’islamizzazione che travolge anche le resistenze nazionali, come è accaduto in Siria. Dittature laiche, all’insegna di una modernizzazione nazionale e socialista vengono abbattute, col favore dell’occidente dal propagarsi della fratellanza islamica, della sharia e del jihad. Un tempo fioriva il partito Bath, all’insegna di un risorgimento socialista che investì molti paesi arabi, dalla Siria all’Egitto, dal Libano alla Giordania, dalla Libia e all’Iraq, ispirò i regimi di Saddam Hussein e di Assad, in cui convivevano confessioni diverse, sunniti e sciiti ma anche copti e cristiani. Il riferimento ideologico delle élite arabe, che si erano formate in Occidente, era un’inedita sintesi di Marx, Nietzsche e Mazzini. Un movimento non ateo ma nemmeno confessionale, senza mire di espansionismo religioso. Questi regimi autocratici e nazionalisti, da ultimo quello siriano, sono stati spazzati via dall’ostilità dell’Occidente e dell’islamismo radicale, in prevalenza sunnita, che ne ha preso il posto, con la complicità suicida dell’Occidente. Oggi ci troviamo sull’orlo di una guerra mondiale per la spinta convergente del fanatismo islamico e del suprematismo americano (sperando che Trump riesca a frenarlo). Questa spinta è supportata dalla politica aggressiva di Israele che bombarda tutti i paesi circostanti “a scopo difensivo”, oltre a massacrare i palestinesi.
Ma torniamo al tema, ponendoci alcuni interrogativi: sono componibili queste forme di dissenso verso l’Europa e l’Occidente, è possibile ed è auspicabile trovare un filo conduttore che le unisca; o viceversa, è possibile tornare a nutrire fiducia nell’Europa e nell’Occidente oppure dobbiamo rassegnarci allo sfascio della prima e al declino del secondo?
Sul piano dei valori quel che è venuta meno è l’idea di una comune appartenenza a una civiltà da salvaguardare. E il primo elemento di riferimento unitario venuto meno è la cristianità, a sua volta però diversamente intesa: come religione della fede, del sacro e della tradizione o come religione della carità per l’umanità, a partire dai migranti e dai più bisognosi, all’insegna della fratellanza universale. Anche qui, dunque, la perdita della cristianità ha almeno due letture diverse.
Il venir meno di quelle “grandi matrici valoriali unificanti del passato”, come scrive il Censis, coincide con la scristianizzazione dell’Europa e dell’Occidente. E qui sorge un’ulteriore domanda: sarà possibile ritrovare la centralità dell’Europa e dell’Occidente senza ritrovare la cristianità? Grandi quesiti a cui non si possono dare sbrigative risposte. Ma da dove ricominciare? Dall’inizio, vorrei rispondere, cioè risalendo ai temi fondativi. Non si può pensare che una società possa sopravvivere ignorando da dove proviene; e che possa rinunciare ai legami comunitari che la costituiscono sin dalle origini; non si può credere che senza riconoscere eredità comuni, tradizioni, culture, linguaggi, riti, simboli, sia possibile fondare alcunché. Non si può affidare a un individualismo globale la risposta a quelle domande, occorre aprirsi a un nuovo e antico spirito comunitario. Non si può risolvere tutto facendo affidamento alla potenza della tecnologia, della medicina, dell’economia e della finanza, o peggio agli apparati militari, farmaceutici, mediatici. Bisogna ritrovare un terreno comune che precede quei campi e che dà un senso e un destino alla vita, oltre che prolungarne e migliorarne le prestazioni.
La soluzione all’antieuropeismo e all’antioccidentalismo risiede in un salto di piano, dagli effetti alle cause e alle premesse, dai livelli di vita alle motivazioni. Il terreno su cui si possono affrontare quelle allergie e si possono tentare alcune sintesi, è di ordine spirituale. Rimette in gioco l’intelligenza e l’energia, la fiducia e la fede; la ripresa della vita nel circuito vitale del passato, del futuro, dell’ideale e del sacro, al di là del momentaneo, del presente, dell’utile e del singolo.
L’atto primo resta una rifondazione spirituale e comunitaria; e già a dirlo
sembra impossibile. Solo dopo si potrà decidere se rifondare l’Europa e/o l’Occidente o se oltrepassare l’uno e/o l’altro. Prima dotarsi di una visione non solo orizzontale ma verticale, che sappia cioè andare in profondità e in altezza; poi viene il resto. Quasi impossibile ma necessario.
Marcello Veneziani