Che triste, schifosa vecchiaia sta vivendo Alain Delon. Da almeno vent’anni soffre di depressione, tentazioni distruttive se non suicide, imprecazioni contro il mondo. Ricordo le sue parole recenti di 87enne: “Invecchiare fa schifo. Non puoi farci niente, l’età si fa sentire. Non riconosci la faccia, perdi la vista…Per questo ho chiesto a mio figlio Anthony, di organizzare la mia eutanasia per quando sarò pronto… Ma soprattutto, odio questa epoca, la rigetto. Tutto è falso, tutto è distorto, non c’è rispetto, niente più parole d’onore. Conta solo il denaro. Lascerò questo mondo senza rimpianti…”. Poi di recente la vicenda delle molestie morali, “violenza e sequestro di persona vulnerabile” che Alain avrebbe subito dalla sua compagna e badante, la giapponese Hiromi Rollin, secondo la denuncia dei figli, da lui stesso condivisa. Lui tombeur de femmes, maltrattato da una donna, nella sua residenza di Duchy.
Saranno contenti i brutti del mondo nel vedere come è ridotto Alain Delon. Lui che era il Bello per eccellenza, amato anche dalle loro donne, principe della vita più azzurra, da svariati anni pregusta la fine, ossessionato dall’idea di morire; preferirebbe andare lui incontro alla Cupa Signora, a cavallo della nera depressione, magari vestito di nero e mascherato come Zorro, che lui interpretò negli anni ruggenti. Lui, l’amatore fatale, l’incubo dei gelosi di tutto il mondo, prima abbandonato dalla sua donna, poi ridotto alla mercé di una badante. Quando aveva settant’anni, invocava una donna matura che potesse stargli vicino a spiegargli la vita. Perché la bellezza è uno stato puerile prolungato; poi di colpo ti scoppiano gli anni e non sai come regolarti. Che piacere per i mediocri, impietosirsi per il Mito in disgrazia. L’invidia cosmica muta in sadica pietà.
Molti di noi avrebbero voluto essere come lui, il Tancredi del Gattopardo o lo Zorro, ardito e seduttore, bel tenebroso di tanti film. In lui videro la vita che non ebbero, la giovinezza che non vissero, gli amori che non colsero, a loro inaccessibili. Ma poi si consolano pensando a come finiscono i corpi, come è precaria la bellezza e il mondo dorato che ti offre; e come viceversa aguzza la mente il tormento fruttuoso dei pensieri di chi deve vivere altre vite, battere altre strade, realizzare altri progetti. La feconda bruttezza di Socrate, Giotto, Leopardi…
Non c’è cosa più triste di una bellezza sfiorita né cosa più amara di una giovinezza appassita. La vecchiaia che per tutti è un declino, agli occhi dei belli è una catastrofe; quelli che più hanno avuto dalla vita, dalla giovinezza e dall’amore, sprofondano ancora di più nell’abisso degli anni. Agli altri semmai accade il contrario, il tentativo a volte patetico, a volte riuscito, di recuperare in extremis quel che la gioventù, il corpo e la vita gli hanno negato al tempo giusto. Ma un mito o muore ragazzo, come James Dean, perché la bellezza è breve come un fiore e chi muore giovane è caro agli dei; oppure vive una rancorosa, depressa vecchiaia, abbandonata dagli dei. Belli e fusti divennero con gli anni grandi depressi, come Marlon Brando e Vittorio Gassman. Troppe dive vissero male il loro sfiorire, tra assurdi restauri e vite sepolte agli sguardi impietosi, per salvare il mito dalla realtà. Si dice per consolarli che i belli restano belli pure da vecchi. Ma è una pietosa bugia per risarcire corpi ormai spenti, privati dall’aura del loro fascino, decaduti dal rango di dei a quello di comuni mortali. Scatta una sorta di rivalsa negli altri, un comunismo estetico che trascina verso il basso; il piacere dei brutti nel vedere la vecchiaia giustiziera, che passa come A’ livella. Ricordo con quanta ironia era trattata una bella donna invecchiata e malata finita in una corsia d’ospedale; come una principessa caduta dal trono e finita in parodia, ridotta al rango di comune cittadina e mortale.
Era bello Delon, ombroso ma non fragile, ha perfino combattuto, è stato parà, è uomo “di destra”. Ebbe un’infanzia difficile, due genitori separati, una madre poco materna; ed è facile gioco degli psicologi dedurre che fu donnaiolo per risarcirsi di quella perdita originaria; cercava la Madre. Ma fu aiutato dalla grande bellezza.
E’ una bestia feroce, la vita. Puoi affrontarla come un leone, ruggire al sole e sentirti il re della foresta; poi basta una caduta, un momento di debolezza, o semplicemente la curva dell’età e appena sei più fragile e stanco, ti arriva alle spalle e ti colpisce furiosa. La bellezza di un tempo non ti risparmia la pena di vivere e la solitudine; semmai te l’accresce, perché da più in alto precipiti più in basso nello squallore della vecchiaia.
A questo si aggiunge la crudele dolcezza dei nostri anni, pervasi dal culto della gioventù e della bellezza, dal vitalismo e dall’ansia di prestazione; e quando non sei più del giro, finisci nel girone degli invalidi, nella discarica. Una società avida di vita, golosa di corpi pesa ancora di più sui vecchi, i malati, i solitari. Così Alain annunciò in mondovisione il suo suicidio, pur di non lasciare a Dio di scegliere il giorno della sua morte. Ma lo fa da più di sedici anni. E’ dura quando non hai un Dio che ti aspetta a Casa. Usare la morte per protestare contro la vecchiaia. Pregustare la morte per prevenirne l’orrore. Alain corteggia la morte, subisce la fascinazione della cenere, per dirla con Cioran. Il ragazzo non si rassegna a vedersi invecchiare e morire. Si sente solo e braccato e allora anziché chiudersi in casa e nascondersi per non mostrare il suo declino ai curiosi e ai necrofili, apre la porta e va incontro alla fine, annunciando uno spavaldo commiato. La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij; ma chi salverà la bellezza dall’oltraggio degli anni e poi della morte? Forse la speranza o l’illusione di un’altra bellezza, impermeabile al tempo, che non si vede a occhio nudo. Che peccato, per Delon, non credere alla resurrezione dei corpi, almeno del suo…
MV