Il vento.

 

Sono stati giorni di vento questi ultimi. E si è fatto sentire, violento, cattivo,come ormai ci ha abituati, noi che lo conoscevamo anche benevolo, amico giocoso di brezze tenere, giocherellone a volte, venticello chiacchierino, anche se non ha mai parlato, ed ora più che mai è diventato    colui che fa . Perchè su questa terra solo agli uomini è stato dato il dono della parola? Lui ha un’altra qualità: Profuma sempre, anche se  il vento è inodore,ma si impregna, basta respirarlo con tanta intensità per essere facilmente travolti da tutto quello che trasporta nel suo quotidiano andare . Ha il profumo dei gelsomini, delle zagare, la lieve fragranza delle rose e delle viole,sa di fieno e di tiglio, sa di borotalco quando ha appena sfiorato la carrozzina di un bimbo. Il profumo del mare, del salmastro si mischia alla resina dei pini sbattuti con violenza in una notte di burrasca, quando sfoga la sua rabbia di vagabondo , senza meta, senza casa.E quando trova riposo è un ristagno di miasmi di rifiuti, di fumi di ciminiere,tra la vita sudicia degli uomini, che non sanno più ascoltare la sua dolce voce quando canta tra le foglie, che lo salutano col dolce stormire, nella forza di un temporale, nel turbinio dei fiocchi di neve,quando rompe il silenzio ovattato di un paesaggio innevato. Il vento conosce il mondo, perchè ogni cosa animata e no risponde al suo passaggio, e chissà quante cose potrebbe raccontarci se solo avesse il dono della parola, unico testimone attendibile nello sfacelo del mondo, perchè ne è anche protagonista  Questa  forse è la dimostrazione che la parola ce l’ha, ma è un discorso che non possiamo o non vogliamo comprendere. A me piace molto di più abbandonarmi nel suo abbraccio, lasciare che liberi la mia mente, immaginarlo anche foriero di tenerezze giunte da chissà dove, che mi fanno felice.. a me piace quando riempie i miei silenzi e le mie solitudini, quando muove una porta e mi fa sobbalzare il cuore…

il vento

“Noa Noa”, il profumo di Tahiti, nelle pagine del diario polinesiano di Paul Gauguin.

 

“Possa venire il giorno (e forse verrà presto) in cui fuggirò nei boschi di qualche isola dell’Oceania, a vivere d’estasi, di calma e d’arte, circondato da una nuova famiglia, lontano dalla lotta europea per il denaro. Lì a Tahiti potrò ascoltare, nel silenzio delle belle notti tropicali, la dolce musica sussurrante degli slanci del mio cuore in amorosa armonia con gli esseri misteriosi che mi saranno attorno. Finalmente libero, senza preoccupazioni di denaro, potrò amare, cantare e morire”, così scrive Gauguin alla moglie Mette qualche mese prima di partire per i Mari del Sud, il luogo che gli fece comprendere il significato della parola felicità.

L’artista ,che non riesce più ad accettare le regole,la struttura mentale della società occidentale, che trova limitante per la sua ispirazione vede in questo Eden un approdo, una meta dove ritrovare sé stesso e riprendere la sua pittura ;e infatti gli anni di Tahiti rappresentano il periodo più fecondo della sua intera esistenza. Gauguin ama quella civiltà, vuole scoprirla e non solo, ma viverla fino in fondo- Per cercare un senso di appartenenza alle varie comunità che lo ospitano, egli va alla scoperta del profumo di questa terra (noa-noa significa appunto ‘che profuma’). Ed è Teura, la tredicenne sposa tahitiana, a guidarlo e che diventa per Guaguin  quasi una sacerdotessa di quel magico, inestricabile paradiso. Egli dirà di lei: “É entrata nella mia vita al momento giusto: più presto forse non l’avrei capita e, più tardi, sarebbe stato troppo tardi. Ora sento quanto l’amo e, grazie a lei, penetro finalmente misteri che fino a qui mi restavano ribelli”.

paul_gauguin_ teura

Per Gauguin, e soprattutto per la sua pittura, è un’esperienza decisiva, è come tornare alle radici dell’esistenza, a un mondo fatto di istinto, di genuinità, di ritmi naturali e di silenzi. Ed è questa realtà che Gauguin ritrae nelle sue tele e racconta nelle pagine di un quaderno che intitola semplicemente “Noa Noa”, profumo. Un taccuino d’impressioni, che l’artista trascrive una volta rientrato a Parigi:“Preparo un libro” scrive alla moglie nell’autunno del 1893 “su Tahiti che sarà molto utile per far capire la mia pittura”. Una sorta di memoriale, a supporto della sua arte, la spiegazione di quella bellezza che è la primitività, che i moderni europei, persi nei meandri del progresso, non riescono a capire.

Gauguin torna in Francia definitivamente nel 1901, richiamato in patria da importanti affari di famiglia. Il rammarico di questo addio si avverte nelle sue parole: “Addio, terra ospitale, terra meravigliosa, patria di libertà e di bellezza! Parto con due anni di più, ringiovanito di venti, più barbaro anche di quando sono arrivato eppure più sapiente. Sì, i selvaggi hanno insegnato molte cose al vecchio civilizzato, molte cose, quegli ignoranti, della scienza del vivere e dell’arte di essere felici” .Mentre è immerso in questi pensieri, il piroscafo lascia per sempre il porto di Tahiti. Le giovani donne tahitiane piangono i loro amanti di un giorno e, le loro bocche intonano una vecchia litania maori di rammarico e rimpianto.