Nato a Rossano Calabro, Franco Sena, dopo aver frequentato il Liceo Classico San Nilo ed aver acquisito la laurea in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, vince il concorso per Dirigente Scolastico. Andato in pensione, si fa ammirare per la spontaneità dei suoi versi e per l’esattezza anche storica delle sue “noterelle linguistiche”.
E d’improvviso
una folata d’azzurro
nel cielo imbronciato
da giorni.
E non penso più
al baratro degli anni
e mi risento proiettato
nello spazio senza tempo.
Mi sembra più ampio
lo spazio tra te e me:
ce ne stiamo entrambi muti
mentre io fisso
nuvole inquiete
gravide di pianto.
Nel giorno dedicato alla poesia
Anche se pochi ti leggono
non morrai, poesia,
perchè tu sei l’infanzia
del mondo, non l’ultima stagione,
sei un battito d’ali, la libertà
che consola nel buio dei giorni,
un vestito di sogni
per l’albero spoglio
Tu vai al di là del visibile e ci sveli
il mondo, gli abissi dell’animo,
sei musica , sei silenzio
che si fa parola e torna nel silenzio
per suscitare emozioni
antiche come il mondo,
Tu sei l’uomo, poesia
A mio padre
Uno stillicidio per me
vederti spegnere in giorni
assolati, la tua anima
sospesa su sentieri d’infinito.
Inseguivo arcobaleni
che ti ridessero memoria
e nella notte distraevo
il mio dolore seguendo
il vagabondare delle stelle.
Niente più ti parlava
e io sfogliavo tristemente
i giorni sempre uguali
finché una sera si schiusero
per te le porte dell’azzurro.
Vorrei averti qui vicino, padre,
mano nella mano come un tempo,
ma dal tuo luogo non si torna indietro:
verrò io da te quando Dio vorrà.
Sulla strada bagnata di pioggia
Sulla strada bagnata di pioggia
si riflette con grigio bagliore
la luce di una lampada stanca:
e tutt’intorno è silenzio.
Peppino Impastato, ucciso dalla mafia
Si riaprono le finestre
per l’ospite attesa
anche se incontra qualche resistenza
da nuvole erranti.
Presto tornerà azzurro il cielo
come assicurano le previsioni:
un acconto di estate gentile.
Ricucio ricordi sparsi di scuola
quando la maestra
veniva con un fascio di fiori
raccolti nel suo giardino
e sorrideva l’aula grigia
invasa da profumi e colori.
Una grata striscia della mia esistenza
che pulsa nelle vene e nella mente
ma non con la gioia di quei tempi,
quando mia madre mi stirava
il grembiule e io prendevo la mia
cartella di cartone che non ritrovo più.
Rime sparse
Chi sei? Il tuo volto una vergine emozione
alla prima sorgente del tempo .
Sei parte del fluire misterioso della vita,
un balenio che grida nella notte:
una suprema rivelazione.
E con la Pasqua e i sacri riti
si allarga lo squarcio dei ricordi
per me che vivevo a fianco
dell’Addolorata e la Cattedrale,
centri di raccolta dei fedeli.
Non ritrovo la mia raganella
che facevo ruotare da ragazzo
all’alba del Venerdì Santo
traendone suoni brevi e secchi
come lamenti di cicale
che accompagnavano la prima processione.
Non mi serve starmene in disparte
tenendo a bada gl’ingranaggi del cuore.
La commozione prende il sopravvento
mentre mi aggiro per le strade
abbracciando muto gli amici
che non ci sono, inquieto come un cuore
innamorato. Nei pochi volti cari che incontro
ritrovo il mio passato, la mia storia.
In quelli di giovani che non conosco
leggo speranze mute da cui
mi viene un inquieto sconforto.
Ma è Pasqua e non ci abbandoni
la speranza della resurrezione
e di non leggere negli occhi di bambini
l’orrore della guerra.
La tua carne flagellata
appartiene al mondo.
Il tuo grido sulla croce
da parte a parte
lo ha trapassato.
Hai dormito il sonno
dei morti in attesa dell’alba
di resurrezione. E con te
è risorto l’uomo.
Clochards
L’alba sorprende i senza tetto
mentre sognano un letto
ormai ricordo lontano
finito nell’ombra di una vita
che consuma i suoi giorni sulla strada.
Precedono il sole nella sveglia
dopo aver tenuto compagnia al buio.
Li macera il dolore di essere nessuno
finiti nelle cose dimenticate.
Non basta il sorriso del buon
samaritano per colmare
un profondo vuoto.
Non si gonfiano da tempo
d’acqua le nubi nè la pioggia
canta e racconta, ma distrugge
turbinosa quando, dopo tempo, cade.
Non appare più un frutto sbucciato
la terra bagnata nè si sente
l’odore del fieno umido.
L’acqua, onnipotente, antica sposa
della terra, l’abbandona disseccandone
le vene per sperpero ed incuria.
Chiedono aiuto tutte le creature,
che temono siccità e carestia
e ripetono i versi di Francesco :
“Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.”
Facciamo presto se non vogliamo
che nemmeno un filo
d’erba abbia la sua goccia.