4C Navi mercantili e da guerra

Share on FacebookShare on TwitterShare via email

Le navi mercantili

Sappiamo per un caso fortuito com’erano le navi onerarie, cioè i mercantili. Un giorno, nel sec. II d.C., una di queste navi s’imbattè in un tempo particolarmente cattivo, fu portata molto lontano dalla sua rotta e finì addirittura nel porto di Atene, il Pireo. Questo era assai diverso da come era stato un tempo: Atene era adesso una tranquilla città di studi e la sua attività, una volta assai estesa, era ora limitata al movimento marittimo locale. L’arrivo di una nave della famosa flotta adibita al tra­sporto del grano fece colpo: l’intera città si precipitò per vederla; fra la folla, fortuna­tamente per i posteri, si trovava Luciano, uno degli scrittori più prolifici e famosi dell’epoca. Egli ed un gruppo di amici percorse le 5 miglia da Atene al Pireo per dare un’occhiata a ciò che causava tutto quell’eccitamento. Egli ne fu stupefatto e scrisse:

«Com’era grande la nave! Il carpentiere [di questa nave] mi disse che era lunga 55 metri, larga più di un quarto di tale misura e 13 metri e mezzo dal ponte al punto più basso della stiva. E che dire dell’altezza dell’albero, e del pennone e dello strallo che dovevano usare per tenerlo su! E il modo come la poppa si ergeva in una lenta curva terminante in una testa zoomorfa dorata, contrapposta all’altra estremità, la prua, dalla linea più rigida con le rappresentazioni di Iside, la dea di cui la nave portava il nome su ogni lato! Tutto era incredibile: il resto delle decorazioni, le pittu­re, la vela rossa principale e ancor di più le ancore con gli argani e i verricelli e le cabine nella parte posteriore. L’equipaggio era come un esercito: mi dissero che la nave portava sufficiente grano da sfamare tutti, ad Atene, per un anno. Ed essa dipende per la sua sicurezza da un piccolo, vecchio uomo che manovra quei grandi remi di governo con una barra che non è più grande di un comune bastone! Essi me lo indicarono: un piccoletto, dai capelli crespi, mezzo pelato: Heron era il suo nome, almeno credo».

Anticamente non c’erano navi adibite esclusivamente per i passeggeri. Il passegge­ro, generalmente, saliva a bordo di una qualsiasi nave oneraria e compiva il suo viag­gio passando da un porto all’altro, fino a destinazione. Il viaggio da Roma ad Alessandria e ritorno era un’eccezione: le grandi navi addette al trasporto del grano forni­vano un eccellente servizio passeggeri. «Se devi andare da Roma alla Palestina», disse l’imperatore Caligola ad Agrippa, un giovane signorotto ebreo, «non preoccuparti di salire su una galea seguendo le rotte costiere, ma prendi una delle nostre navi onera­rie dirette dall’Italia ad Alessandria». Persino gli imperatori romani le usavano. Quan­do Vespasiano volle ritornare a Roma dall’Egitto, nella primavera del 70 d.C., aveva a sua disposizione tutte le galee della flotta, ma preferì fare il tragitto su una nave granaria. Le grandi navi, solcando il mare aperto, non perdevano tempo in fermate giornaliere lungo il percorso (fu questo il motivo che, molto probabilmente, spinse Vespasiano a fare la sua scelta); egli giustamente pensava che con la galea il viaggio sarebbe durato un paio di mesi, inoltre i grossi mercantili offrivano cabine che erano di lusso se paragonate ai locali ristretti che si trovavano a poppa di una nave da guerra. C’era molto spazio a bordo: quando Giuseppe, lo storico ebreo, fece una traversata nel 64 d.C., viaggiò con non meno di seicento persone.

Un passeggero dall’Italia poteva, in primavera, salire su una nave a Pozzuoli op­pure nel porto di Roma (dopo che Claudio e Traiano Io ebbero finito), quando la flotta, che era rimasta lì durante l’inverno, faceva vela per Alessandria; le navi sareb­bero arrivate in poche settimane e perciò avrebbero avuto praticamente l’intera estate per il viaggio di andata e ritorno in Egitto. Il resto della flotta, che aveva svernato ad Alessandria, aveva un programma molto più complesso. Queste navi partivano cariche di grano e di passeggeri, appena iniziava la stagione propizia, e giungevano in porto verso la fine di maggio o in giugno. Si notavano facilmente quando si avvici­navano al porto e il loro arrivo era un grande evento.

Una volta arrivate a Pozzuoli o al nuovo porto di Roma, le navi dovevano augu­rarsi una veloce discarica, perché dovevano ancora fare un viaggio fino ad Alessandria e, quindi, ritornare a Roma, prima che terminasse la stagione propizia alla navigazione.

nave

Le navi da guerra

I marinai e i soldati che equipaggiavano le navi non erano Romani. Erano Greci, Fenici, Siriani, Egizi, Slavi, cioè appartenen­ti a quei popoli che per secoli avevano per­corso in lungo e in largo i mari e i fiumi. Entravano in marina generalmente tra i 18 e 23 anni firmavano per una ferma non infe­riore a 26 anni e, se completavano tutto il periodo, al congedo erano premiati con la cittadinanza romana. Quando Augusto stava disperatamente cercando di allestire una for­za navale per combattere Sesto egli si servì di schiavi, ma li rese liberi prima di impie­garli come rematori; non vi furono schiavi, allora e dopo, nella flotta romana. A bordo le cose erano organizzate come nelle flotte greche, perché la maggior degli ufficiali era­no greci, che naturalmente, tendevano a se­guire le tradizioni nelle quali erano stati educati, e Roma, da parte sua, aveva poco da aggiungere. Generalmente gli ufficiali provenivano dalla gavetta: un uomo poteva salire nei vari gradi fino a capitano di una nave da guerra (trierarchus) o persine capo di una squadra (navarchus). Quest’ultimo grado era generalmente il massimo raggiun­gibile in quanto il culmine della carriera, certamente le cariche di prefetti delle flotte, fu accessibile, per molto tempo, solo ai citta­dini romani.

Noi conosciamo i marinai della flotta ro­mana più intimamente dei loro predecessori. Prima di tutto, gli archeologi hanno scoper­to i loro cimiteri, le necropoli attorno a Miseno e a Ravenna e letto le iscrizioni sulle loro tombe; da queste abbiamo appreso i paesi di provenienza, la durata media del loro servizio, qualcosa sulla loro carriera e così via. Molti provenivano dall’Egitto. Co­me i militari sotto le armi, in tutti i tempi e luoghi, essi scrivevano frequentemente a casa; gli esperti hanno recuperato dalle sab­bie aride dell’Egitto alcune delle loro lettere. Si tratta di documenti unici, perché forni­scono ciò che è così raro trovare nella storia antica, il calore dell’esperienza personale.

L’esercito romano aveva una lunga e ono­revole tradizione. Siccome la flotta era rela­tivamente nuova e attirava principalmente stranieri tra il suo personale, costituiva, per la maggior parte dei giovani, una scelta for­zata.

Augusto e gli imperatori che lo seguirono erano orgogliosi della flotta che assicurava una tranquilla navigazione. Coniarono mo­nete raffiguranti le loro navi da guerra e fecero scolpire le loro unità sui monumenti che erigevano fornendo ai posteri un’idea abbastanza soddisfacente del loro aspetto. Ciò che colpisce maggiormente in queste raffigurazioni è il fatto che, dallo sperone sulla prua all’ornamento sulla poppa, non rivelano niente, ad eccezione di qualche det­taglio, che non si conoscesse già dai tempi passati. Le triremi, le quadriremi, le quinqueremi e talvolta le sei negli scali di Miseno e Ravenna erano poco differenti da quelle che combatterono nelle grandi flotte ellenistiche; non poteva essere altrimenti in una marina che era stata costruita attorno ad un nucleo di navi del Mediterraneo Orientale e che, per tutta la sua storia, era stata coman­data da ufficiali greci. Alcune delle galee raffigurate recano l’artimone, ma questo, sebbene appaia ora per la prima volta, fu probabilmente ideato in età ellenistica. La ruota di prora finisce in un complesso ar­cuato e sollevato; la poppa alta e ricurva terminava nel caratteristico aplustre dove era posto un riparo fatto di vimini per il capitano o per i passeggeri importanti; que­sto posticcio può essere stato aggiunto dai Romani. Probabilmente le unità pesanti era­no protette dagli speronamenti da una co­razzatura consistente in una cintura in legno ricoperta di ferro, come nelle unità impiega­te ad Anzio.

Un nuovo tipo di nave da guerra appare nella marina romana, la liburna. Era una sorta di caccia, una unità leggera, veloce, molto manovriera, ideale per l’inseguimento dei pirati o per rapide comunicazioni. Era stata inventata da un gruppo di pirati della costa orientale dell’Adriatico e i Romani trovandola utile la adottarono come unità standard, soprattutto per le flotte delle pro­vince che infatti usarono quasi esclusiva­mente tali imbarcazioni. All’inizio molto probabilmente era ad un solo ordine di re­mi, ma i Romani ne crearono una versione più pesante azionata da due file di rematori. Ed assolse presso i Romani quegli stessi compiti assolti dalla triemiolia presso i Ro­dioti. Sebbene anche questa presentasse lati validi per essere adottata, gli ammiragli ro­mani preferirono la liburna. Le sue due file di remi erano più facili da maneggiare che le tre dell’altra e forse anche la sua stessa attrezzatura: la vela e l’albero, per esempio, potevano essere abbassati per il combatti­mento, mentre erano in navigazione, senza disturbare i rematori. La liburna divenne così popolare nella marina di Roma che il termine, alla fine, giunse ad indicare la nave da guerra in generale.

Ad ogni unità era dato un nome e mentre per quelle greche esso era sempre femminile, le romane lo portavano spesso anche maschile; questo però non era scritto sullo scafo come è d’uso oggi. In sua vece c’era sulla poppa una scultura indicativa, per esempio una scultura raffigurante la divinità di cui la nave portava il nome. Come spesso accade, molte portavano, con una preferenza com­prensibile, i nomi di divinità marine come Nettuno, Nereide. Tritone o nomi amati dai marinai come Iside, Castore e Polluce. Ad un certo numero di navi erano stati dati nomi geografici e c’era tendenza, abbastanza natu­rale, per quelli dei fiumi; prima o poi, tutti i grandi fiumi del mondo antico, il Tigri, l’Eufrate, il Nilo, il Danubio, furono rappresenta­ti nelle due flotte. Molte unità avevano nomi astratti, e il fatto che fosse una marina nata in tempo di pace sembra rifletterne la scelta: nomi come Triumphus o Viatoria sono rari, i Romani preferivano battezzarle Concordia, lustitia, Libertas, Pax, Pietas e simili.

La flotta romana, come già detto, non era stata costituita per combattere flotte nemiche; uno dei suoi principali compiti era quello di sorvegliare le rotte commerciali. Nei duecent’anni che seguirono la nascita di Cristo, queste rotte furono percorse dalla più grande marina mercantile che il Mediterra­neo abbia mai visto o doveva vedere per oltre una dozzina di secoli. I vari tipi di navi che la componevano sono i più conosciuti del mondo antico, esistono infatti più rap­presentazioni di queste navi che non delle contemporanee navi da guerra. I marinai amavano aver ritratte sulle loro tombe le navi su cui avevano navigato, gli spedizio­nieri avevano il debole di far dipingere sulle loro la nave mentre entrava sana e salva in porto e gli imperatori romani coniavano monete raffiguranti una nave o una scena in un porto per ricordare le imprese di quelle che avevano contribuito a rendere florido il commercio.

L. Casson

4C Navi mercantili e da guerraultima modifica: 2022-02-15T12:16:16+01:00da masaniello455