Ricordi semiseri solo in apparenza, ma vissuti realmente: 1
Il Liceo “Garibaldi”, e non so se è un fatto positivo, lo ricordo sempre così, oggi come nel ’62-’64, abbarbicato sulla sottostante Scuola Elementare: ieri, avvoltoio pronto a slanciarsi sulle prede, ma oggi tanto simile ad una chioccia nella cova dei pulcini.
Di quegli anni, i più belli, comunque, per i giovani di ieri (ma penso che il quinquennio delle Superiori, valido o negativo che possa essere, od essere stato, lasci sempre qualche traccia di sé nella memoria), di quegli anni, dicevo, ricordo…
…i tre al Latino ed al Greco orale segnati sulla prima pagella trimestrale del primo liceo per essere stato sorpreso “non composto”, nel tentativo di farmi restituire un taccuino da un compagno all’inizio della prima ora del primo giorno di scuola;
…e, quindi, l'”assurdo ed impietoso” esamino sostenuto a maggio su tutto il programma delle due materie, dal classico alla lettura metrica, dalla letteratura alla sintassi, nel tentativo di “recuperare” una promozione messa in forse solo dal suddetto atto “inconsulto”;
…e l’altro esame istituzionale, quello di fine biennio, che vedeva adolescenti imberbi simulare austeri momenti universitari, davanti ad una Commissione di cui faceva parte quel professore del triennio che tanto avrebbe inciso sulla futura vita scolare;
…il “Lei” con cui molti professori ci chiamavano, nel tentativo parossistico di mantenere distanze già… chilometriche;
…le quattordici interrogazioni, in venti giorni, avute in Filosofia, le tredici in Storia, solo perchè, per la supplente di dette materie, avevo il torto di avere un cognome iniziante con la lettera “A” (faceva ogni volta due o tre interrogazioni andando sempre in ordine alfabetico e, quindi, …);
…lo “sciabordìo” dei bussolotti sulle pareti metalliche di un contenitore di pasticche contro il mal di stomaco, segno per la professoressa di Matematica, che era giunto il momento dell’offerta sacrificale al suo dio;
…il fracasso assordante che facevano dieci, o venti, o trenta chiavi che l’insegnante di Lettere del biennio catapultava sulla cattedra di ferro ogni volta che sentiva un vago parlottare, lontanissimo parente di un attuale discorrere a bassa voce;
…l’1= (e fui tra i migliori) avuto al primo tema liceale quando, dopo un biennio passato tra Virgilio e Manzoni, ci trovammo la traccia “Commentate ‘La capra’ di Saba”: tentammo con reminiscenze zoologiche, ma non ci andò bene;
…le non-spiegazioni di letteratura, le non-traduzioni dei classici (nè c’erano allora “alternative” al Rocci!) da parte di un professore troppo filologo e troppo impegnato a far carriera all’Università;
…la camicia bianca e la cravatta scura: un pò la divisa dello studente del liceo classico di un tempo;
…l’eccezionale abilità e velocità nello scrivere raggiunta, grazie al professore di Filosofia, dopo un triennio di appunti presi dal… libro di testo;
…la spietata aridità della professoressa di Scienze, più fredda e… incomprensibile delle sue materie;
ma anche,
…le domenicali scorribande fatte d’inverno a Roccaraso su “economici” pullmans che a stento avevano la gomma di scorta; ci vedevamo alle cinque del mattino e vestiti alla Fantozzi, con più pigiami sotto la tuta (fittata con gli scarponi al Vomero) affrontavamo le “nevi eterne” ed i relativi disagi: al ritorno era un’ammucchiata di corpi inerti e… doloranti;
…le feste “obbligatorie” a casa delle compagne di classe: un momento importante e “sentito” di conoscenza reciproca, con giradischi sempre più lenti e pasticcini a volontà, ma con mamme e nonne sempre sul chi va là;
…la partecipazione non facoltativa alla squadra di rugby della Scuola (vivaio dell’esaltante e scudettata “Partenope”): io, non più alto di un metro e sessanta, mingherlino ed occhialuto!
…gli amori che, come funghi, spuntavano improvvisamente, ma che, più dei funghi, velocemente marcivano o eternamente duravano, senza, però, che… i diretti interessati sapessero della “cosa”;
…gli affollati bagni della Scuola, destinati ad ospitare tutti i ritardatari della prima ora, occasionali o diplomatico-abusive che fossero le motivazioni, o quelli “sentitisi male” durante un’interrogazione;
…quelle maledette scale fatte da noi, giorno dopo giorno, carichi come ciuchi, con l’unica soddisfazione di vedere anche i “prof” appesantirsi sempre di più, come normali esseri mortali;
…gli scioperi; no, “…lo” sciopero, l’unico in cinque anni, dovuto (se ben ricordo) a cinque esploratori italiani precipitati in Congo e divenuti pasto degli indigeni (ma a trant’anni di distanza mi sfugge ancora la “seria” motivazione allora addotta per un evento così raro!);
…i filoni; no, “…il” filone, ed anche sfortunato: tutti ed otto (tanti eravamo di numero i maschi della classe), uscendo da un vicoletto seminascosto di via Foria, incrociammo il Dettatore Maledetto e… furono guai!
…le feste dei Cento Giorni che, avvenimento da sempre destinato ad incrementare le disseccate finanze degli organizzatori, si ripetevano corso dopo corso, terza dopo terza, legalmente o clandestinamente, fin quasi a ventiquattr’ore dal famigerato Esame di Maturità;
…i pomeriggi, le serate, le nottate, dedicate ad uno studio indefesso, continuo, fatto anche di chili di pasticche di Acutil, da tutti quei pochi fortunati, sopravvissuti alla selezione naturale, destinati ad affrontare l’Esame per antonomasia, l’Esame con quattro prove scritte, l’Esame con i riferimenti obbligatori, l’Esame pur esso selettivo, l’Esame che ancora oggi non riesco a dimenticare.