2O Gennaro…il Santo!

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Un po’ di vita di San Gennaro tra fonti letterarie e tradizione

La figura del Santo è ancora oggi avvolta in un alone di mistero. Della sua vita, e ancor di più della sua morte, si è detto molto e molto spesso quelli che erano i netti contorni dei fatti reali sono sfumati fino a dar vita a leggende.

Le maggiori fonti di notizie sulla vita del martire cristiano sono gli Atti Bolognesi (VI-VII sec.) e gli Atti Vaticani (VII-IX sec.).

Nei primi, in cui la narrazione è piuttosto verosimile, si raccontano gli ultimi giorni del Santo e la sua morte.

Nel 305 Gennaro, vescovo di Benevento, si recò a Miseno e lì conobbe il diacono Sosio che si batteva contro la diffusione del culto della Sibilla Cumana. In uno dei giorni che trascorsero insieme, la visione di una fiammella sul capo di Sosio rese consapevole Gennaro dell’imminente martirio del diacono; di lì a poco, infatti, Sosio fu denunciato e poi imprigionato, anche se difeso dal Vescovo, che lo considerava una creatura di Dio e non meritevole di tale trattamento.

Per questa professione di fede Gennaro, Sosio e anche Festo e Desiderio, loro compagni, furono condannati alla decapitazione e, quindi, condotti nei pressi della Solfatara. Durante il tragitto si imbatterono in un mendico che chiese al vescovo Gennaro un lembo della sua veste, ma ottenne di poter prendere, dopo l’esecuzione, il fazzoletto con cui Gennaro sarebbe stato bendato.

Quando il carnefice vibrò il colpo mortale recise, assieme al capo, anche un dito che il vescovo aveva portato alla gola al momento della decapitazione; durante la notte Gennaro apparve in sogno a colui che avrebbe dovuto portar via il corpo e lo invitò a raccogliere anche il dito.

Negli Atti Vaticani si raccontano, invece, episodi più eclatanti, come quello relativo all’incontro a Nola del Santo con il giudice Timoteo, il quale lo catturò e lo sottopose alla tortura dell’eculeo, ma non sortendo tale supplizio l’effetto di veder staccati i nodi delle membra, lo fece gettare in una fornace ardente dalla quale, però, Gennaro uscì comunque illeso.

Altre leggende sono nate intorno alla zona della Solfatara dove San Gennaro fu decapitato e dove i devoti consacrarono una piccola Chiesa che fu meta d’ininterrotto pellegrinaggio. Al suo interno è custodito un busto marmoreo del Santo, eseguito agli inizi del ‘300 da un seguace romano di Arnolfo di Cambio, a cui sono legate curiose storie.

La prima deriva da una particolarità della statua, in cui il naso del Santo appare chiaramente giustapposto al volto. A tal proposito si racconta che, durante una scorreria, i Saraceni dopo aver saccheggiato tutto quello che potevano, recisero il naso di Gennaro come alto sacrilegio e lo portarono via come trofeo. Un mare infuriato, però, impedì loro di partire. Allora, pensando ad una maledizione, un pirata gettò il naso in acqua e subito la tempesta si calmò.

Più volte i pescatori del luogo trovarono nelle loro reti quel pezzetto di marmo e puntualmente, senza avvedersene, lo ributtavano in mare, fino a quando un giorno uno di loro pensò che fosse il naso di San Gennaro e lo rimise al suo posto. Con grande meraviglia, il naso aderì al viso senza alcun bisogno di collante.

La seconda storia è nata durante la pestilenza del 1656. In quel periodo i Puteolani portarono in processione il busto del Santo. Sotto l’orecchio di San Gennaro improvvisamente apparve un bubbone che cresceva lentamente. Il giorno successivo quel bubbone scomparve assieme alla peste che incombeva su Pozzuoli.

Iconografia del Santo: Dal V secolo al ‘500 non esiste una costante iconografica per S. Gennaro. Le prime immagini lo vedono giovane, come figura eroica di martire e imberbe, o, nel tempo, rappresentato come vescovo. Solo in età controriformata il santo, rappresentato come vescovo, assurge a difensore della città e compaiono nella sua iconografia le ampolle con il sangue, che diventeranno il suo segno distintivo. In realtà in nessuno degli Atti si parla del sangue di S. Gennaro, che invece si ritrova in un racconto di un canonico del duomo, Paolo Regio, il quale, in un’opera sulla vita dei sette santi protettori di Napoli del I579, riferisce che una donna aveva raccolto e conservato in due ampolle il sangue del Martire.

Il miracolo di S. Gennaro – La tradizione tramanda che le ampolle, ermeticamente sigillate, custodite nella Cappella del Tesoro, contengono il sangue del Santo. Questo sangue si presenta raggrumato, di consistenza gelatinosa ed ha la particolare caratteristica di liquefarsi, senza alcun apparente intervento esterno, a scadenze regolari. Il “prodigio”, mai assurto a rango di miracolo per la prudenza della Chiesa, è atteso, nel Duomo, tra candele accese e fervidissime preghiere che presentano toni di ansia, di impazienza e di esortazione se l’attesa si prolunga per molte ore o, addirittura, per qualche giorno. Simbolicamente, la liquefazione è, per i Napoletani, un sacrificio che si rinnova e che, placando la collera divina, allontana il castigo dalla collettività. Dai tempi e dai modi, sempre diversi, che contraddistinguono il verificarsi del fenomeno, si traggono auspici per le future vicende della città. Accanto a chi vive l’esperienza della liquefazione sul piano della fede, non del tutto immune, tuttavia, da elementi di folclore e di superstizione, c’è chi sente l’esigenza di un’interpretazione laica del fenomeno.

Da anni numerosi ricercatori, anche all’interno di commissioni nominate dal Vaticano, sono impegnati nel tentativo di chiarire la natura della sostanza e di spiegarne il comportamento secondo le leggi della fisica. Per alcuni studiosi il “sangue di S. Gennaro” sarebbe una sostanza tissotropica. Questo tipo di sostanze è costituito da geli che passano allo stato fluido per effetto di una sollecitazione meccanica, termica o acustica, per, poi, tornare a coagulare quando la perturbazione cessa. La particolarità di queste sostanze è che esse richiedono, ogni volta che fluidificano, l’applicazione di forze di differente intensità. Questo si spiega se si ammette che, ritornando allo stato di gel, le sostanze assumono livelli di energia diversi. Più elevato è il livello d’energia, tanto minori saranno la forza ed il tempo perché si verifichi, nuovamente, la fluidificazione. Questo spiegherebbe la variabilità caratteristica del “miracolo”. Nel 1991, due ricercatori, in un esperimento di simulazione del comportamento del contenuto delle ampolle, hanno preparato una miscela gelatinosa di carbonato di calcio (CaCO3), cloruro ferrico (FeCl3) e cloruro di sodio (NaCl). Con una leggera scossa la miscela si disorganizza e passa allo stato fluido. L’aspetto interessante di questo esperimento è che esso implica la presenza del cloruro ferrico, minerale di ferro (molisite) presente sui vulcani e, quindi, sul Vesuvio. Sarebbe, dunque, ancora più stretto il legame magma-sangue che ci avvince dall’inizio del nostro viaggio? Il fuoco visibile del vulcano potrebbe essere davvero così ricco da evocare il mistero dell’invisibile? Non abbiamo risposte, ma ci piacciono le parole di Jean Noel Schifano: “Vorrei che Napoli si sciogliesse e rimanesse come una goccia di sangue vivo nel mondo”.

2O Gennaro…il Santo!ultima modifica: 2023-09-19T15:51:42+02:00da masaniello455