1A Napoli: il mito delle origini

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Panorama di Napoli 1

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II mito delle origini di Napoli tra­manda che la sirena Partenope, non es­sendo riuscita a se­durre Ulisse con l’aiuto della sua voce e dileggiata, per questo insuccesso, dalle sorelle e com­pagne, Ligea e Leucosia, si sia buttata in mare e che la corrente ne abbia ri­portato il corpo a riva, sull’isoletta di Megaride, dove poi sorse il castello di Lucullo, oggi Castel dell’Ovo.

La più antica e mitica città (di nome Partenope) si sarebbe estesa probabil­mente dal Mon­te Echia (Pizzofalcone) verso il mare di S. Lucia, con davanti l’isoletta di Megaride (Castel dell’Ovo), raggiungendo la zona dell’attuale Palaz­zo Reale.

Storicamente accertata la città greca di Neapolis occupava un’area assai ristretta, per i quasi 30 mila abitanti che le si attribuiscono già nel 421 a.C., dopo l’invasione sannitica. Era limi­tata a nord dall’attuale via Foria, a sud dal Corso Umberto I, a ovest dalle strade di S. Sebastiano e di Costantinopoli, ad est dalla via Colletta e dal Castel Capuano. Vi erano aggregati dei pagus (villaggi) suburbani, sviluppatisi specie intorno al porto, in uno dei quali si trovava la tomba della sirena Partenope, assai venerata dagli abitanti. La città, co­struita secondo il sistema di Ippodamo da Mileto, era a pianta regolare, tagliata ad angoli retti da tre decumani – le strade longitudinali – intersecati dai cardini — le strade trasversal­i. Il decumano centrale corri­spondeva alla odierna via dei Tribu­nali, ad oriente della Porta Capuana; quello superiore corrispondeva alla via della Sapienza, dell’Anticaglia (dove si scorgono ancora gli archi dell’Odeon) e dei SS. Apostoli, e terminava ad oriente con la Porta Romana; quello inferiore corrispondeva a S. Biagio dei Librai e a Forcella, con due punti ter­minali: uno a Porta Cumana, l’altro a Porta Nolana.

Un cardine importantissimo era quel­lo degli Alessandrini — l’odierna via Mezzocannone — che vi formavano una colonia, la quale raggiunse il massimo della sua espansione sotto Nerone. La regione da essi abitata fu chiamata Nìlense e, a documento di ciò, esiste anco­ra, pur dopo molte restaurazioni, il monumento che gli alessandrini eres­sero al fiume Nilo, nel luogo dove cer­tamente si trovava anche il tempio della dea Iside. A metà corso l’agorà, il Foro della Napoli greco-romana, dove fer­veva e pulsava tutta la vita cittadina, politica, religiosa, economica.

Vi si adunavano le assemblee del popolo per eleggere i magistrati e per discutere sulle questioni preminenti de­gli interessi cittadini. Vi sorgevano la Basilica, – l’attuale S. Lorenzo – la Curia, l’Aerarium, le scuole, il carcere. Dove oggi è S. Gregorio Armeno, sor­geva il tempio di Cerere, divinità ado­rata dai Napoletani quale propiziatrice della fecondità dei campi; il tempio di Apollo sorgeva dove oggi è S. Restituta; il tempio dei Dioscuri sorgeva dove è ora la chiesa di S. Paolo Mag­giore, in cui se ne conservano tre colon­ne corinzie e i torsi delle statue. L’im­ponente gruppo dei templi era comple­tato da quello in onore di Gio­ve, dov’è oggi la Cappella del Pontano, e dal Caesareum o Augusteum, per il culto della famiglia Giulia, eretto in omag­gio all’imperatore. L’impianto viario e il complesso monu­mentale della Neapolis greco-romana è ancora ricostrui­bile ripercorrendo le strade dell’antico Corpo di Napoli, ove si svolgeva la vera vita cittadina, della quale il popolo na­poletano conserva usanze tradiziona-lissime che ancora oggi si riproducono quasi allo stesso modo. A prova, riporto qui dalla « Napoli greco-romana » dello storico Bartolomeo Capasso (Napoli, 1905) la vivacissima descrizione che egli fa della vita che si svolgeva nel Foro napoletano, al tempo dei romani. « Essendo destinato specialmente al mercato, il Foro era frequentato da tutti quelli che venivano la mattina ad approvvigionare la città, e le botteghe più ricche ed eleganti facevano bella mostra di sé intorno ad esso. Vi si an­dava in tutte le ore del giorno per com­perare, per disbrigare le faccende e in­contrare le persone che si aveva biso­gno di vedere. Vi convenivano cittadini e forestieri, uomini e donne di ogni età e condizione; vi si vedevano gli Ales­sandrini e le persone venute dal lontano Oriente, che si riconoscevano dai pen­denti che portavano alle orecchie; i Greci, col pallio, i sandali e dalla voce sottile; i Romani con la toga e le scar­pe. Nelle tabernae argentariae o botte­ghe di affari si prendeva il danaro ad usura, si compravano vasi ed oggetti preziosi. In un angolo del Foro si fermava il venditore di carni cotte. Era un giovine che aveva davanti un caldaio, nel quale i pezzi di carne erano tenuti in caldo dal braciere sottoposto; e dal caldaio sporgeva il manico di un rama­iuolo, che serviva a prendere il brodo per unirlo alla carne. Mentre il vendi­tore rivolgeva la parola a qualcuno, un giovane gli prendeva le molle, per sce­gliere da se stesso il pezzo di carne, e aggruppati aspettavano attorno gli altri av­ventori della cucina ambulante. Più in là una fanciulla esponeva in vendita mazzolini di fiori esposti sopra un tavolo, fichi ed altra frutta raccolta dentro i panieri. Sedute sul margine del portico e col capo coperto da un panno stava­no le donne che vendevano erbaggi. Uo­mini e donne, che vendevano panni, ovvero abiti usati, li portavano sulle braccia o sulle spalle e li dispiegavano a quelli che si accostavano per com­prare. I mestieranti disoccupa­ti, come i cuochi, i suonatori di tibie, ed altri passeggiavano o stavano fermi aspet­tando un padrone. Si affacciava sul Fo­ro anche la scuola pubblica. I fanciulli, seduti sui banchi, con i libri aperti sul­le ginocchia, imparavano la lezione; in­tanto una frotta di essi, in altra parte del Foro, faceva il chiasso: qualcuno gettava in aria un fico, una pera o altro frutto, per rac­coglierlo con la bocca, qualche altro sopra una lunga canna fingeva di andare a cavallo, altri gioca­vano a pari e caffo. Altrove una corona di popolo circondava e guardava a boc­ca aperta o un ciarlatano, che ingoiava un’acutissima spada e la faceva riuscire per sotto; o un ciurmatore della regione dei Marsi, che scherzava impavido con grossi serpenti. Si ve­deva sotto i portici un pastillarius a maneggiare lungamente sopra un banco di marmo un pezzo di miele, per condensarlo e farlo divenire bianco; dopo averlo ridotto in forma cilin­drica, lo sbatteva a più riprese al palo attaccato al banco e così allungato e assottigliato lo divideva in piccoli pezzi.

All’aperto, i venditori di castagne al forno, modo di cuocere le castagne in­ventato dai napo­letani, o i venditori di noci e di ceci abbrustoliti, si aggiravano vantando tra la folla la loro mercé. Que­sto era l’aspetto ordinario, questa la vita quotidiana del Foro della nostra città »

I napoletani – altra caratteristica distintiva della loro indole — prediles­sero sempre i giochi e i pubblici diver­timenti e si gloriarono dei luoghi splen­didi ad essi destinati. Dietro il tempio ai Dioscuri – come si apprende da Stazio – c’erano il teatro coperto – Odeon – e quello sco­perto, dei quali rimangono copiosi avanzi in laterizi al­le Anticaglie. Gli attori napoletani — come ancora oggi — erano giustamente famosi per la loro bravura e ricercati anche a Roma. Bruto — ci informa Plutarco – venne di proposito a Napoli per scritturare l’attore Ca­nuzio per una serie di recite a Roma. Nerone — come racconta Svetonio – amò cantare sui palcoscenici napoletani; e Claudio vi fe­ce rappresentare una sua commedia in onore di Germanico.

Oltre a magnifici teatri, Napoli pos­sedeva un vasto ippodromo e uno stadio, situati fuori le mura. Vi erano, poi, le palestre, in cui si esercitavano i corpi per ringiovanirsi ed illeggia­drirsi. E come si curavano i corpi, così si dava alimento allo spirito dei gio­vani, nelle sale annesse allo Stadio, ove retori e filosofi disputavano di scienza, i poeti declamavano versi, i precettori insegnavano. Benché fondata dai greci e rimasta a lungo sotto l’in­fluenza cultu­rale greca, Neapolis non si ellenizzò completamente, fino a diveni­re nel Mediterraneo occi­dentale quel focolare di ellenismo che Alessandria d’Egitto divenne in quello orientale. In questo fu favorita dalla politica dei Romani che mal tolleravano, per loro norma di dominio, che la cultura e il costume greco inquinassero la ro­manità integrale del popolo napoletano. Analizzando, infatti, le istituzioni poli­tiche della Napoli romana, ci accorgere­mo come siano nel torto quegli scrit­tori i quali han creduto di riscontrare in esse la copia perfetta della co­stituzione di Atene.

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1A Napoli: il mito delle originiultima modifica: 2021-02-24T17:31:46+01:00da masaniello455