5I L’Atene di Pericle 2

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Un brano “in chiaro”

 Euripide: L'”Ippolito”

IPPOLITO – vv. 1/57 – Prologo (Rivalità tra dee)

Ippolito1 – 1/202

AFRODITE3: Importante e non senza fama tra i mortali io anche nel cielo sono chiamata la dea Cipride; quanti abitano dentro il Ponto4 ed i limiti di Atlante e vedono (vedendo) la luce del sole, quelli che rispettano il mio potere io (li) proteggo, mentre quelli che sono superbi verso di noi io (li) rovino.

Anche nella stirpe degli dei vi è questa (caratteristica): essi hanno piacere se sono onorati dagli uomini.

Subito farò vedere la verità delle mie parole.

Il figlio di Teseo, il rampollo dell’Amazzone5, Ippolito6, allievo del casto Pitteo7, solo fra i cittadini di questa8 terra di Trezene dice che io sono la più spregevole delle dee: rifiuta l’amore e si astiene dalle nozze; egli onora Artemide, sorella di Febo9, figlia di Zeus, in quanto la considera la più grande delle divinità, stando sempre con la fanciulla per la verde foresta, con i (suoi) agili cani10 egli ster­mina gli animali selvatici di (questa) terra, avendo trovato una (compagnia) più alta di un’amicizia mortale.

Ora non ce l’ho con loro; infatti perchè dovrei esserlo?

Ippolito – 21/40

Ma per i torti che ha avuto verso di me punirò11 Ippolito oggi stesso; essendo andata avanti12 già da tempo nella maggior parte delle cose (che devono essere fatte), non ho bisogno di grande sforzo13.

Fedra14, la nobile15 sposa di suo padre, infatti, avendo visto lui ve­nuto un giorno dalla casa di Pitteo nella terra di Pandione16 per la contemplazione e la celebrazione dei sacri misteri17, fu presa nel cuore da amore tremendo per i miei disegni.

E prima di venire in questa terra di Trezene, proprio presso la stessa rocca di Pallade18, di fronte a questa terra, essa fondò un tempio di Cipride, amando un amore lontano, e d’ora in avanti si dirà che la dea (il tempio della dea) è stata costruita a causa di Ip­polito.

Ora poichè Teseo19 ha lasciato la terra di Cecrope20, fuggendo la contaminazione del sangue dei Pallantidi21 e con la (sua) sposa ha fatto vela verso questa terra, consentendo all’esilio di un anno22 fuori del (suo) paese, da allora gemendo, sconvolta dal pungolo dell’amore, l’infelice23 muore in silenzio e nessuno della (sua) gente è consapevole del (suo) male.

Ippolito – 41/57

Ma24 non così bisogna che vada a finire questo amore, rivelerò la faccenda a Teseo ed essa verrà fuori chiara.

E il padre ucciderà il giovane a noi ostile con le imprecazioni25 che il dio del mare, Posidone, concesse in dono26 a Teseo, cioè che nulla invano chiedesse al dio per tre volte; e l’altra, Fedra, con il suo onore salvo27 tuttavia morrà; infatti non considererò la sventura di costei28 a tal punto che i miei nemici non mi paghino una pena tale da soddisfarmi.

Ma vedo avanzarsi il figlio di Teseo, il quale ha lasciato le fatiche della caccia, Ippolito; mi allontanerò da questi luoghi.

Un numeroso corteo di servi, muovendo i passi insieme con lui, fa sentire canti, onorando con inni la dea Artemide; infatti non sa che le porte dell’Ade stanno aperte e che vede (per ultima questa luce) per l’ultima volta la luce di questo giorno.

IPPOLITO – vv. 73/120 – Prologo (Intolleranza di Ippolito verso Afrodite)

Ippolito29 – 73/94

IPPOLITO: Per te, o signora, porto questa corona, intrecciata dalle mie mani, da un vergine30 prato31, dove il pastore non osa pascere la (sua) greggia, dove il ferro (degli attrezzi) non è mai passato, ma (questo) prato senza macchia l’ape lo sorvola a primavera; ed il Pudore (lo) irriga con le acque di un fiume per tutti quelli32 ai quali niente è stato insegnato ma nella cui natura la virtù sempre ha il posto ad essa assegnato in tutte le cose, proprio per essi, affinchè ne colgano: ai malvagi non (è) permesso (coglierli)33.

Dunque, mia cara signora, accogli(la) come diadema della (tua) aurea chioma da una mano pia.

Perchè a me solo34 tra i mortali tocca questo privilegio: di stare (sto) insieme con te e di risponderti (ti rispondo) con (le mie) pa­role, sentendo la (tua) voce, anche se non vedo il tuo viso.

Possa io girare intorno all’ultima meta35 così come ho cominciato la (mia) vita.

SERVO: Signore, perchè bisogna chiamare padroni gli dei36, accet­teresti un mio consiglio, se io ti consigliassi bene?

I37: Certo; altrimenti non ci mostreremmo saggi.

S: Conosci la legge che vige tra i mortali?

I: Non so; ma a qual proposito mi fai esattamente questa domanda?

S: Odiare la superbia e ciò non è gradito a tutti.

I: E’ giusto: chi dei mortali, (essendo) superbo, non (è) odioso?

Ippolito – 95/120

SERVO: E nelle persone affabili c’è qualche favore?

IPPOLITO: Grandissimo, e guadagno con pochissima pena.

S: Fra gli dei credi che (ci sia) questo stesso (sentimento)38?

I: Se naturalmente noi mortali usiamo le leggi degli dei.

S: Come mai, allora, non rendi omaggio ad una dea veneranda?

I: Quale? Bada che la tua lingua non commetta qualche (errore).

S: Questa che sta presso la tua porta, Cipride.

I: La saluto da lontano, perchè sono puro.

S: Eppure (essa è) augusta39 ed insigne fra i mortali.

I: Degli dei come degli uomini chi sta a cuore ad uno, chi ad un altro.

S: Sii felice, avendo quanto senno è necessario (tu abbia)40.

I: A me non piace nessuno degli dei venerato di notte.

S: Figlio mio, alle divinità sono dovuti gli onori.

I: Andate, compagni41, dopo di essere entrati nella casa, pensate al cibo; (tornando) dalla caccia è piacevole una tavola riccamente im­bandita; bisogna anche strigliare i cavalli, affinchè, saziato il cibo, dopo aver(li) attaccati ai carri, li addestri in (esercizi) convenienti.

Alla tua Cipride dico di mandare tanti saluti42.

S: Ma io, poichè non bisogna imitare i giovani43 che la pensano in questo modo, come conviene parlare agli schiavi, supplicherò la tua immagine, signora di Cipro: occorre avere indulgenza.

Se qualcuno, avendo il cuore focoso per la giovinezza, ti rivolge parole sconsiderate, fa’ finta di non sentirlo: gli dei infatti devono essere più saggi degli uomini44.

IPPOLITO – vv. 601/615 – 2° episodio (“Ha giurato la lingua, non la mente!”)

Ippolito45 – 601/615

IPPOLITO: O terra madre, e tu, splendore diffuso del sole, di quali parole l’indicibile suono senti.

NUTRICE: Taci, figlio mio, prima che qualcuno si accorga delle (tue) grida!

I: Non è possibile che io taccia, perchè ho udito parole terribili.

N: Fàllo, (ti supplico) per questa bella mano.

I: Non accostare (a me) la (tua) mano e non toccare le (mie) vesti.

N: Per le tue ginocchia, non rovinarmi!

I: Perchè, se è vero, come affermi, che non hai detto niente?

N: Questo (mio) discorso, figlio mio, non (era fatto) per tutti.

I: Ciò (che è) bene, (è) meglio dirlo in pubblico.

N: Figlio mio, non tradire i (tuoi) giuramenti46.

I: Ha giurato la lingua, ma la mente non (è) legata da giuramento.

N: Figlio mio, che vuoi fare? Vuoi rovinare i tuoi amici?

I: Li respingo (gli amici)47; nessuno (che sia) perverso mi è amico.

N: Perdona! (E’) naturale che gli uomini sbaglino, figlio mio.

IPPOLITO – vv. 651/668 – 2° episod.

(Invettiva contro la nutrice e maledizione contro le donne)

Ippolito48 – 651/668

IPPOLITO: Così anche tu, essere maledetto, sei venuta a proporci una tresca con il letto intoccabile di (mio) padre; e queste (tue pro­poste) io purificherò con acqua corrente versandola nelle orecchie.

Come dunque farei il male, io che, dopo aver sentito simili (parole), non credo di essere puro?

Sappilo bene, ti salva, donna, la mia pietà; se non fossi stato sor­preso indifeso dai giuramenti sacri, mai mi sarei trattenuto dal raccontare questo (tuo intrigo) a (mio) padre.

Ma ora andrò via dalla casa, finchè Teseo sarà lontano da (questa) terra, terremo la bocca in silenzio (tacerò): quando sarò tornato con il (piede del) padre, starò a vedere49 come volgerai a lui lo sguardo, tu e la tua padrona.

[Conoscerò allora tutta la tua sfrontatezza, per averne fatta ora esperienza.50]

Possiate morire! Mai mi sazierò di odiare le donne, neppure se si afferma che io ne parlo sempre; perchè proprio esse sono in certo modo sempre perverse.

Perciò, o si insegni loro ad essere virtuose o mi si lasci, a mia volta, assalirle in ogni occasione.

IPPOLITO – vv. 776/810 – 3° episodio (La morte di Fedra, l’arrivo di Teseo)

Ippolito51 – 776/789

NUTRICE52 [dall’interno]: Ohimè! ohimè! correte in aiuto (voi) tutti (che siete) vicino al palazzo! Si è impiccata (è nei lacci), la (nostra) signora, la sposa di Teseo.

CORIFEA: Oh, è finita: la regina non è più, perchè si è sospesa ad un laccio attaccato ad una trave.

N: Non vi affretterete? Non porterà qualcuno un’arma a doppio taglio, con cui spezzeremo il nodo (che le serra) la gola?

C: Amiche, che fare? Vi pare proprio di attraversare (la soglia del)le case e di liberare la sovrana dal cappio tirato saldamente?

UNA COREUTA: E che? Non ci sono lì giovani serve? Il darsi molto da fare (non è nella sicurezza della vita) è pericolo nella vita53.

N: Raddrizzate, stendendolo (questo) misero cadavere; triste cu­stode della casa per il mio padrone!

CORIFEA: E’ morta, l’infelice, a quel che sento: ecco che la sten­dono come morta.

Ippolito – 790/810

TESEO: Donne, sapete qual mai grido con forte chiasso giunse attraverso le porte? In nessun modo infatti54 la (mia) casa si degna di salutare lietamente me in quanto pellegrino, aprendo le porte.

Forse a Pitteo55 (che è) in età avanzata è stato fatto qualcosa di spiacevole? (Pitteo è) abbastanza avanti negli anni, ma ugualmente (ancora adesso doloroso per noi) sarebbe causa per me di dolore, se lasciasse queste case.

CORIFEA: Questa sventura non ti si riferisce a vecchi, Teseo; giovani, morti, sono causa di sofferenza per te.

T: Ahimè! A qualcuno dei miei figli è stata forse rapita (tolta) l’esistenza?

C: Vivono, mentre al contrario è morta la (loro) madre, nel modo più doloroso per te.

T: Che dici? (Mia) moglie è morta? E per quale accidente?

C: Si è legato un cappio strangolante sospeso ad una trave.

T: Ghiacciata dal dolore o per quale sventura?

C: Tanto sappiamo56: da poco, Teseo, sono arrivata anche io al pa­lazzo per piangere le tue sventure.

T: Ah! perchè dunque essermi coronato il capo di questo intreccio di foglie, infelice pellegrino che sono!

Aprite, servitori, il serrame delle porte, ritirate le sbarre! Affinchè io veda l’amaro spettacolo di (mia) moglie che morendo mi ha tolto la vita.

IPPOLITO – vv. 1153/1254 – 4° episodio

(Un messo riferisce l’incidente capitato ad Ippolito, ora in fin di vita)

Ippolito – 1153/1177

MESSAGGERO: Dove potrai andare e trovare, o donne, il re di questa terra, Teseo? Se lo sapete, indicatemelo; è forse all’interno del palazzo?

CORIFEA: Eccolo in persona; egli esce dalla (sua) casa57.

M: Teseo, porto una notizia degno motivo di angoscia per te, come per i cittadini che abitano la città di Atene ed il territorio di Trezene.

TESEO: Che c’è? Qualche spiacevole catastrofe ha colpito le due città vicine58?

M: Ippolito non è più, per così dire59; egli vede tuttavia la luce su un tenue filo.

T: Per mano di chi? Forse era venuto in inimicizia con lui qualcuno del quale egli disonorò con la violenza la moglie come (ha disonorato la moglie) di (suo) padre?

M: Il suo stesso carro lo uccise e (lo uccisero) le imprecazioni (uscite) dalla tua bocca, quelle che a tuo padre, il re del mare, tu avevi rivolto contro (tuo) figlio.

T: O dei, e tu Posidone! Come dunque eri realmente mio padre, tu che hai esaudito le mie imprecazioni! Precisamente come è morto? Parla! In qual modo la mazza della Giustizia ha colpito lui che mi disonorò?

M: Presso la riva aperta ai flutti, con le striglie (in mano, noi sta­vamo a pettinare la criniera dei cavalli, piangendo: un messaggero era venuto a dire che Ippolito non avrebbe portato più i (suoi) passi su questa terra, perchè aveva da te un triste esilio.

Ippolito – 1178/1193

Lui stesso, levando lo stesso (nostro) canto di lacrime, venne a noi sulla riva, e una folla innumerevole di amici e di coetanei camminava insieme (con lui) seguendolo.

Infine, dopo qualche tempo, dopo essersi liberato dei gemiti, disse: “Perchè mi lascio sconvolgere dalla sorte (da ciò)? Bisogna obbedire agli ordini di un padre. Attaccate al carro le cavalle da tiro60, servi; questa non è più la mia città”.

Da quel momento tutti allora si affrettarono e, più rapidamente di quanto non si potrebbe dire, ponemmo le cavalle, dopo che erano state bardate, presso il nostro signore.

Afferra con le mani le redini (staccandole) dal bordo anteriore61, adattando i suoi piedi giusto negli incavi.

Ed in primo luogo dice agli dei, tendendo le mani: “Zeus, che io non sia più, se sono un malvagio: possa (mio) padre sentire come ci oltraggia, o che siamo già morti o che vediamo ancora la luce”.

Ippolito – 1194/1212

Ed in questo, prendendo tra le mani il pungolo, lo spinse con un sol colpo nel (fianco dei) cavalli; e noi servi, sotto il carro, presso i morsi accompagnavamo il (nostro) signore lungo la strada62 (che va) diritto ad Argo ed al territorio di Epidauro.

Quando entrammo nel tratto deserto, al di là di questo (territorio) c’è una riva che si estende ormai verso il golfo Saronico.

E di lì un rombo sotterraneo, simile al tuono di Zeus, diffuse un profondo brontolio, spaventoso a sentirsi; i cavalli drizzarono ritto il capo e l’orecchio verso il cielo, e tra noi c’era un violento terrore, (domandandoci) da dove mai potesse venire (quel) rumore.

Volgendo lo sguardo verso la riva rumoreggiante, vedemmo un’onda prodigiosa che toccava il cielo sicchè il mio occhio fu privato di vedere le scogliere di Scirone, nascondeva l’Istmo e la roccia di Asclepio.

Poi, gonfiandosi e rigettando all’intorno con il ribollimento del mare molta spuma, essa avanza verso la riva là dove era la quadriga.

Ippolito – 1213/1233

E con la triplice onda che si infrangeva il flutto vomitò un toro, un essere mostruoso e selvaggio; la terra intera, piena del suo muggito, gli rispondeva in modo raccapricciante, ed a chi osservava lo spettacolo appariva più terribile della vista.

Subito sui cavalli si abbatte un panico spaventoso; il padrone, che aveva grande familiarità con l’indole dei cavalli, afferrò le redini a due mani; (le) tira, come un marinaio (tira) il remo; tenendo il corpo sospeso all’indietro per mezzo delle cinghie; ma quelle (le cavalle), mordendo con le mascelle il freno forgiato con il fuoco, (lo) trascinano a forza, senza badare alla mano del pilota, nè alle cinghie, nè al carro ben costruito.

E ogni volta che (se), reggendo il timone, dirigeva il (loro) corso verso le parti pianeggianti del terreno, appariva di fronte il toro sì da far volgere indietro la quadriga impazzita per il terrore; e se (esse) si lanciavano sulle rocce, furenti nell’animo, avvicinandosi in silenzio, seguiva il bordo del carro, finchè fece cadere e rovesciò (il veicolo), mandando la ruota a sbattere su una roccia.

Ippolito – 1234/1254

Tutto era confuso; i mozzi delle ruote e le chiavette degli assi volavano in alto; egli stesso, l’infelice, impigliato nelle redini, preso in (questo) laccio inestricabile, è trascinato, sbattendo violentemente la (sua) povera testa contro le rocce, lacerando le (sue) carni, gettando grida terribili a sentire: “Fermatevi, o (cavalle) nutrite alle mie greppie, non cancellatemi (dai vivi)! O funesta im­precazione d’un padre63! Chi vuole salvare soccorrendolo il più degno degli uomini?”.

Pur volendolo in molti rimanevamo indietro con piede troppo lento. Infine districatosi, non so in qual modo dai legami delle re­dini tagliate, egli cade, avendo ancora un debole soffio di vita; erano scomparsi i cavalli ed il funesto mostro del toro, ignoro in qual luogo della terra rocciosa.

Io (sono) uno schiavo della tua casa, signore, ma di tanto non sarò mai capace: credere che tuo figlio sia un malvagio, neppure se si impiccasse tutta la razza delle donne e dovessero coprirsi di scritti i pini dell’Ida!

Perchè io ho la certezza che è un nobile cuore64.

IPPOLITO – vv. 1389/1461 – esodo

(Riconciliazione di Teseo con Ippolito e morte di quest’ultimo)

Ippolito – 1389/1409

ARTEMIDE: Infelice, a quale prova sei stato legato65! La (tua) nobiltà d’animo ti ha rovinato.

IPPOLITO: Oh! O divino profumo d’ambrosia66! Pur essendo nei mali, ti ho sentito e ne fui alleviato nel corpo. E’ in questi luoghi la dea Artemide.

A: O sventurato, è da te la più amata fra le dee.

I: Vedi, signora, me, l’infelice, in quale stato mi trovo?

A: Lo vedo; ma ai (miei) occhi non è consentito versar lacrime.

I: Non hai più il (tuo) cacciatore, nè il (tuo) servo.

A: No, purtroppo! ma muori certamente a me caro.

I: …nè il (tuo) cavaliere, nè il custode delle (tue) immagini.

A: Così decise Cipride, la scellerata.

I: Ahimè! Intendo il dio che mi uccise.

A: Se l’ebbe a male per l’onore ed era corrucciata con te (che eri) virtuoso.

I: Essa, da sola, ha rovinato noi che siamo in tre: me ne sono ac­corto.

A: Si: (tuo) padre, te, e per terza la (sua) sposa.

I: Piango anche le sfortune di (mio) padre.

A: E’ stato ingannato dalla volontà divina.

I: Sventurato tu, o padre, per la tua disgrazia.

TESEO: Sono finito, figlio (mio), nè io (ho) piacere della vita.

I: Piango te più che me per il (tuo) errore.

Ippolito – 1410/1430

TESEO: Oh, se potessi, figlio (mio), esser morto al posto tuo!

IPPOLITO: Dono amaro di Posidone, tuo padre!

T: Oh, non fosse mai venuto alle mie labbra!

I: Perchè? Mi avresti allora ucciso, tanto allora eri adirato.

T: Perchè eravamo stati ingannati nell’opinione dagli dei.

I: Oh, se la stirpe dei mortali fosse capace di maledire gli dei!

ARTEMIDE: Lascia andare; anche nelle tenebre sotterranee le ire della dea Cipride non cadranno per sua volontà invendicate sul tuo corpo a causa della tua pietà e della (tua) virtù; io, con la mia mano mi vendicherò su un altro di lei con queste frecce inevitabili67, (un altro) il quale sia il più caro fra i mortali.

Per te sfortunato, in cambio dei tuoi mali, gli onori più grandi nella città di Trezene, io te li concederò68: le giovani vergini, prima delle loro nozze, taglieranno per te le loro chiome, per te che attra­verso le età raccoglierai il profondo lutto delle (loro) lacrime; e sempre sarà per te la cura musicale delle fanciulle, e, caduto senza fama, non sarà taciuto l’amore di Fedra.

Ippolito – 1431/1445

Tu, figlio del vecchio Egeo69, prendi tuo figlio tra le braccia e stringilo (a te); l’hai ucciso innocentemente70 ed è naturale per gli uomini sbagliare, quando gli dei lo permettono.

A te raccomando di non aver rancore verso tuo padre, o Ippolito; hai una sorte per la quale sei stato rovinato.

Addio, dunque! Non mi (è) consentito vedere i trapassati, nè contaminare71 il (mio) occhio con l’anelito dei moribondi; ora ti vedo già vicino all’istante fatale.

IPPOLITO: Anche tu, vergine beata, va’ con il mio addio; la (nostra) lunga intimità tu lasci senza difficoltà.

Cancello l’inimicizia con (mio) padre, se tu lo desideri; infatti anche prima ero docile alla tua parola.

Ahimè, le tenebre già mi oscurano gli occhi: padre (mio), pren­dimi e deponi ritto il (mio) corpo.

Ippolito – 1446/1461

TESEO: Ahimè, figlio (mio), che fai di me, di un infelice?

IPPOLITO: Sono morto; vedo le porte degli inferi.

T: (Muori) lasciando impura la mia mano?

I: No, perchè ti assolvo da questa (mia) morte72.

T: Che dici? Mi mandi assolto del sangue (versato)?

I: Chiamo a testimone Artemide dall’arco irresistibile.

T: O caro, quanto sei generoso con (tuo) padre.

I: Augurati di trovare tali i tuoi figli legittimi.

T: Piango, ahimè, sulla tua pietà e la (tua) virtù.

I: A te anche addio, addio molte volte, padre mio!

T: Non abbandonarmi ora, figlio (mio), ma fatti coraggio!

I: I miei sforzi sono finiti; muoio, padre (mio). Coprimi al più presto il volto con il mio mantello.

T: Illustre territorio di Afea e di Pallade73, di qual uomo sarai privato! Me sventurato! Quante volte, o Cipride, dovrò ricordarmi dei tuoi mali74!

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1 Le innovazioni apportate da Euripide nel secondo “Ippolito”, dice il Martina, devono essere state numerose ed abbastanza rilevanti. Anzitutto la scena è posta a Trezene; in Seneca ed in Ovidio in Atene. Così doveva essere in Sofocle e nel primo “Ippolito”. La scena in Atene implica la centralità ateniese del mito di Teseo, a Trezene quella trezenia del mito di Ippolito. Operando lo spostamento il poeta sarà stato costretto ad apportare una serie di modificazioni nella vicenda. E’ probabile che il prologo del primo “Ippolito” fosse recitato dalla nutrice o dalla stessa Fedra; nel secondo da Afrodite; nell’”Ippolito” superstite Euripide si è preoccupato di caratterizzare, nella loro prima apparizione, i personaggi di Ippolito e di Fedra: non possiamo dire se anche nell’”Ippolito” perduto abbia fatto la stessa cosa. Ma l’innovazione fondamentale riguarda il trattamento della figura di Fedra. Vi sono fondati motivi per ritenere che questo personaggio fosse radicalmente diverso nelle due tragedie. Nel primo “Ippolito” è una donna sfrontata che non esita a manifestare il suo amore, nel secondo è travolta da una violenta passione che ella cerca subito di soffocare per salvare la buona fama per sè ed i figli: la profonda modificazione nel trattamento di questa figura implica una serie di problemi di cui almeno ad uno è necessario accennare. Sia la prima che la seconda delle due tragedie è intitolata “Ippolito”: questo, e non Fedra (a differenza di quanto accadeva in Sofocle), è con­siderato il personaggio principale. Nell’”Ippolito” a noi giunto Fedra verso la metà della tragedia si uccide e scompare dalla scena, Ippolito invece domina la scena dal principio alla fine. Tuttavia la tragedia del giovane comincia proprio quando quella di Fedra è al termine: è il secondo episodio il centro di tutto il dramma, e qui il poeta ha innovato radicalmente.

2 La scena della tragedia rappresenta l’esterno del palazzo reale di Trezène; nel mezzo c’è un’ampia entrata con due battenti; alla vista del pubblico sono due statue: una di Afrodite e l’altra di Artemide. Quella di Afrodite è vicino alla porta (v. 101) e la sua posizione è legata all’azione perchè i personaggi si rivolgono ad essa quando entrano nella casa (v. 113, 114-120, 522-524, 1461). Non si dice mai, invece nella tragedia, dove sia la statua di Artemide: due volte solo collegata all’azione, tuttavia, statua od altare che sia, la si colloca simmetricamente a quella di Afrodite e con questa dea Artemide nella tragedia è continuamente bilanciata.

3 E’ consuetudine di E. iniziare le sue tragedie con un lungo discorso in cui un attore può esporre al pubblico l’essenziale che esso deve sapere. Qui la scelta di Afrodite era inevitabile: Fedra è innamorata di Ippolito, ma nasconde il suo amore; il pubblico deve sapere questo per capire le scene precedenti a quella in cui è rivelato l’amore; Fedra, l’unica mortale che potrebbe dirglielo non è in condizioni di farlo: deve essere, quindi, un dio e Afrodite, che è la causa dell’amore, è la dea indicata. Da notare che di E. anche recitati da un dio sono i prologhi delle tragedie: Baccanti (Diòniso), Alcesti (Apollo), Ione (Ermes), Troiane (Posidone)

4 il Mar Nero, ad oriente, e specificamente la terra della Colchide (ved. Apollonio Rodio, II, 417 ss); ad occidente, le colonne d’Ercole

5 E. non precisa il nome dell’Amazzone non perchè esso era incerto nella tradizione (Antìope o Ippolita), ma perchè entrambi qui poco adatti dal punto di vista metrico. E’ probabile che originariamente il nome dell’Amazzone fosse Antìope e che sia divenuto Ippolita soltanto dopo che l’Amazzone fu considerata la madre di Ippolito. Forse si tratta di un’importazione attica nella stirpe di Ippolito, modellata sulla spedizione di Eracle, allo scopo di spiegare la storia, molto più antica, dell’invasione dell’Attica da parte delle Amazzoni.

6 dattilo in prima sede; questo stesso fenomeno ricorrerà al v. 22

7 è il bisnonno di Ippolito, padre di Etra, madre di Teseo

8 l’aggettivo pronominale deittico, cioè accompagnato dal gesto della mano dell’attore, indica che Trezene è la scena della tragedia (fenomeno, questo, raro in Eschilo e in Sofocle)

9 Afrodite echeggia il linguaggio con cui Ippolito rende onore ad Artemide: nell’invocare una divi­nità si richiama di solito la sua stirpe e a volte altre relazioni di cui essa è probabilmente orgogliosa (ved. Pindaro, Nemea 11, 1 ss)

10 il termine, nel significato di “cane da caccia”, è ordinariamente femminile

11 più normale il costrutto di questo verbo in greco con l’accusativo della persona ed il genitivo della colpa

12 Afrodite pensa a se stessa come soggetto e, perciò, usa il nominativo del participio aoristo, ma, poi, continua con una costruzione in cui grammaticalmente essa è accusativo, costrutto normale in E.: si tratta di un anacolùto, proprio di un modo di parlare naturale e spontaneo

13 nel passo è notevole l’allitterazione della “pi”, a sottolineare lo sdegno della dea

14 i vv. 24-33 non sono strettamente pertinenti la tragedia, ma la non-pertinenza ha la sua ragione: sotto l’acropoli di Atene c’era un monumento sepolcrale di Ippolito ed un tempio: è probabile che, quando gli Ateniesi rilevarono la leggenda di Ippolito da Trezène, dissero che questo tempio era stato eretto da Fedra. E., poichè un poeta che scriveva per un pubblico ateniese doveva rispettare le leggende collegandole con culti ateniesi, dovette quindi concepire la sua trama in modo che Fedra fondasse il tempio. Nella tragedia, svolgentesi a Trezène, il tempio sarebbe stato impossibile a meno che Fedra non si fosse innamorata prima di lasciare Atene per l’ultima volta: di qui l’importanza dei versi citati.

15 perchè figlia di Pasifae e di Minosse, re di Creta, il quale era figlio di Zeus e di Europa

16 re dell’Attica, succedendo ad Erictònio

17 sono i misteri che si celebravano ad Elèusi, nei pressi di Atene: Ippolito partecipò alla parte più sacra delle cerimonie, a cui erano ammessi soltanto gli iniziati

18 cioè l’acropoli; il tempio era all’incirca sulle sue pendici meridionali e da esso si poteva vedere, dall’altra parte del golfo Sarònico, la regione intorno a Trezène

19 un’assenza di breve durata, non come quella di Seneca (e della “Fedra” di Sofocle) in cui ap­prendiamo che egli mancava da quattro anni essendo andato all’Ade per aiutare Piritoo a rapire Persèfone.

20 l’Attica, e qui propriamente Atene, da Cècrope, mitico capostipite delle genti attiche rappresentato sotto sembianze umane e di serpente

21 l’uccisione dei cugini Pallàntidi da parte di Teseo era già una tradizione ateniese: Pandiòne divise l’Attica tra i suoi quattro figli, dando Atene ed i suoi dintorni ad Egeo, l’Attica meridionale a Pallante; i figli di Pallante contestarono il diritto di Teseo a succedere ad Egeo, lo aggredirono, ma furono uccisi da Teseo. Questo, secondo E., sarebbe stato costretto ad andare esule da Atene a Trezène (un’invenzione del poeta, comunque, per trasferire l’azione della tragedia a Trezène, a costo pure di alterare la cronologia degli avvenimenti)

22 questi bandi sembra fossero contemplati dal diritto attico in caso di omicidio involontario. Nel caso di Teseo, l’omicidio non era involontario, ma giustificabile, e la legge attica normalmente non avrebbe comminato nessuna pena, ma i Pallàntidi erano cugini di Teseo e, per questa ragione, è probabile che la “contaminazione” fosse considerata abbastanza grave per mandarlo in esilio

23 Fedra ed Ippolito, leggiamo nel Martina, proiezioni umane di un’antinomia che ha come simbolo divino Afrodite ed Artemide, appaiono in tutto inconciliabili. Non è forse del tutto fuori posto supporre che le modificazioni apportate nel secondo “Ippolito” a questi due personaggi hanno giovato non solo alla struttura esterna della tragedia, che appare rispondente ad evidenti esigenze di simmetria, ma anche ad una caratterizzazione dei personaggi più nettamente contrastante.

24 i versi che seguono sembrano contribuire a mettere fuori strada il pubblico. E., qui, innova parecchio: nella forma nota della leggenda, Fedra, respinta da Ippolito, l’accusa a Teseo di averla violentata, Ippolito è maledetto e muore, Fedra poi si suicida; nella nostra tragedia, invece, Fedra, tradita dalla nutrice che rivela ad Ippolito la sua passione, si suicida prima, in un tentativo di salvare il suo onore, e accusa Ippolito con un biglietto che Teseo trova dopo che essa è morta. Di questa innovazione non si parla affatto in questi versi; anzi Afrodite riporta gli avvenimenti nel loro ordine tradizionale, ma è probabile, da parte del poeta, un’intenzionale ambiguità: a lui, qui nel prologo, non interessa dare una sintesi esatta della trama, ma creare, anche con un “inganno” nell’azione tragica, la “suspense” nel pubblico

25 la maledizione che Teseo lancerà contro il figlio sembra costituire un punto fermo anche nel primo “Ippolito

26 secondo la leggenda, Posidòne aveva promesso a Teseo di adempiere tre sue preghiere: Teseo ne utilizzò una in occasione di un viaggio da Trezène ad Atene, quando, dovendo affrontare mostri e ladroni, li vinse, e un’altra all’uscita del labirinto di Creta

27 questo è un altro motivo per far attendere nel pubblico con ansia lo svolgimento della trama: nella tradizione Fedra moriva suicida e disonorata, mentre qui si parla “di onore salvo

28 Fedra, in effetti, è un oggetto nelle mani di Afrodite e la dea, pur di vendicarsi di Ippolito, non si fa scrupolo di sacrificarla

29 Dopo che il coro ha concluso un breve inno ad Artemide Ippolito muove verso la statua della dea per incoronarne il capo con una ghirlanda di fiori

30 Euripide, con questo collegare ossessionatamente la castità sua e dei saggi alla morale, secondo alcuni critici, non vuole far riferimento all’Orfismo od ai culti misterici (tendenti a creare un circolo di iniziati), nè alla considerazione aristocratica e di Pindaro (Olimpica 9, 100 sgg.) che la natura sola genera virtù, ma il poeta vuole in questo modo mettere solo in risalto la moralità di Ippolito tanto sentita dal giovane da farlo sembrare egocentrico, arrogante e sprezzante di tutti.

31 Sembra che il terreno consacrato ad un dio fosse comunemente vietato all’uso umano, ed addirittura un’epigrafe del 400 a.C. trovata in Eubea comminava a chi vi fosse stato trovato a pascolare o a tagliar legna una multa di 100 dracme

32 Già dai primi cenni la preghiera di Ippolito ad Afrodite esprime l’intolleranza del giovane, intolleranza che andrà man mano accentuandosi fino allo sprezzante rifiuto della dea ed all’arroganza con cui tratterà il consiglio amichevole e leale del servo

33 I Greci ritenevano che il destino ad un uomo venisse dato da un “démone” con una distribuzione imparziale, ma alcune volte il concetto veniva capovolto (Omero, Platone [Fedone], Euripide [Elena]) e l’individuo era ricevuto come sua porzione da una potenza responsabile del suo destino

34 Questa concessione era offerta ad Ippolito dalla sua condizione di castità

35 Lo stadio in cui si svolgevano le corse a piedi avevano una pista lunga m. 192 con pali che indicavano il punto dove girare e tornare indietro (uno per ciascun atleta) alle due estremità; nelle corse più lunghe gli atleti dovevano girare parecchie volte intorno a questi pali che fungevano anche come linee di traguardo

36ànax” è un saluto deferente da parte di uno schiavo o di un uomo libero ad un re o ad un principe, “déspota” è l’umile saluto di uno schiavo al suo padrone: con questo gioco di termini il vecchio prepara il terreno per suggerire ad Ippolito di essere umile anche nei riguardi dell’altra dea, di Afrodite

37 Inizia una lunga sticomitìa, tecnica abituale nei tragici e nei comici

38 Il servo naturalmente vuol dire che anche gli dei disapprovano la superbia ed approvano l’affabilità, ma è probabile che nelle sue parole Euripide intende adombrare anche il concetto che la superbia è spiacevole tanto in un dio quanto in un uomo

39 Questo termine, usato negativamente al v. 93 con il senso di “superbo”, assume qui un significato positivo, anche se va sottinteso un senso generale: in effetti “superbi” sono sia Ippolito sia Afrodite

40 Da alcuni critici l’intero verso è stato considerato una nomale formula di congedo e, quindi, variamente collocato nella parte, ma altri, invece, tra cui il Barrett, hanno ribadito l’importanza del passo ritenendolo degno passaggio psicologico ai due versi seguenti in cui si esorta Ippolito a venerare tutti gli dei, anche Afrodite

41 Non è una parola attica, ma dorica

42 I servi entrano nel palazzo, Ippolito li segue, oltrepassa la statua di Afrodite che è accanto alla porta e, nel fare questo, rivolge al servo con sprezzante ironia la battuta, a far intendere in modo sottinteso che egli non vuole più avere a che fare con la dea

43 Il vecchio, prostrandosi alla statua di Afrodite, si rivolge alla dea assumendo intenzionalmente un linguaggio moderato ed indulgente

44 Il contrasto, evidente fin dal v. 113, è duplice: in primo luogo, il vecchio ha riverenza verso Afrodite, mentre Ippolito è stato irriverente; in secondo luogo, egli è tollerante verso Ippolito, mentre il giovane è stato intollerante nei suoi confronti

45 I precedenti: I Episodio III Scena – Il coro sente la confessione di Fedra e ad esso, ora che si è liberata del peso del suo segreto, Fedra si rivolge con una lunga narrazione della sua passione. Risponde la nutrice esponendo le sue idee anticonformiste, dettate dall’esperienza della vita, e propone rimedi e soluzioni: dire ad Ippolito la verità (consiglio che Fedra respinge) o ricorrere a filtri amorosi con cui Fedra guarirà il suo amore (la regina acconsente). La vecchia si allontana dalla scena e, enigmatica, medita di agire; I Stàsimo – Il coro intona un inno all’Amore; II Episodio I Scena – Mentre il coro canta, Fedra si avvicina alla porta e rimane lì ad ascoltare con viva apprensione. Dal dialogo concitato che si svolge tra Fedra e la corifea, si apprende che la nutrice sta rivelando ad Ippolito che Fedra l’ama e che la reazione del giovane è violenta; II Episodio II Scena – Dal palazzo esce, in preda a viva concitazione, Ippolito seguito dalla nutrice e Fedra si ritira in un angolo appartato.

46 I vv. 611 e 612 sono fondamentali per la continuazione della tragedia: con il primo verso Ippolito conferma di aver fatto alla nutrice il giuramento di non parlare, con il secondo, e con Fedra che ascolta non vista, lo stesso Ippolito non garantisce alla nutrice il suo silenzio e così spinge l’amante verso il suicidio.

47 Ippolito, nella sua collera, giunge alla conclusione che l’approccio è stato iniziativa di Fedra, non della nutrice: un errore non innaturale.

48 I precedenti: II Episodio II Scena – I vv. 616-650 contengono una critica di Ippolito alle donne, a quelle malvage in particolare, ed alle serve, loro strumento.

49 v. 661: Ippolito continua ad ignorare Fedra, ma in questo verso l’accomuna sprezzantemente alla nutrice.

50 Questo verso, espunto dal Barrett e dal Diggle in quanto sarebbe scenicamente e psicologicamente privo di importanza, è mantenuto dal Sodano che vede in esso un giustificato contrasto tra le due azioni verbali segnate.

51 I precedenti: II Episodio III Scena – Fedra decide di morire, ma anche di trascinare nella sventura Ippolito; II Stàsimo – Il coro favoleggia posti lontani, ma, poi, ricade sul doloroso presente e sul caso di Fedra.

52 I vv. 776-777, 780-781 e 786-787 sono attribuiti a una voce che viene dall’interno: si è pensato a quella della nutrice, e non ad altri, supponendo che questa sia rimasta in casa, nonostante tutto, ansiosa delle sorti della sua padrona.

53 La coreuta è restia ad intervenire perchè, se salvano la vita a Fedra, questa non sarà certamente a loro grata e perciò esse hanno una buona ragione per non agire.

54 Le domande fatte da un personaggio che è appena entrato in scena sono seguite di solito da una frase con “congiunzioni fisse”, le quali spiegano perchè egli si pone la domanda.

55 Padre di Tèseo e nonno di Ippolito, Pitteo viveva evidentemente nel palazzo reale, ancor dopo che il figlio era stato incoronato re di Trezène.

56 La corifea è ora costretta a dire un’evidente bugia per salvare la trama della tragedia.

57 E’ un verso scenico; la coincidenza dell’uscita di Tèseo è un espediente tecnico, cui i tragici erano costretti a ricorrere, perchè l’azione si svolgeva soltanto all’esterno, non anche all’interno della casa.

58 In realtà, fra Atene e Trezène, corrono trenta miglia del golfo Sarònico e perciò l’epìteto va spiegato soprattutto per il legame politico che le univa.

59 Il messaggero dà subito la notizia della morte di Ippolito, che poi non corrisponde alla verità e che egli attenua, aggiungendo “per così dire”.

60 In questo passo il carro di Ippolito sembrerebbe tirato da due cavalle soltanto, mentre al v. 1212 e al v. 1229 si parla di “tiro a quattro”.

61 La fronte ed i lati del carro erano formati da una sbarra collegata con elementi verticali all’ossatura del fondo: a questa sbarra erano attaccate le redini, quando il carro era fermo.

62 Sodano: Euripide parla della strada che conduce direttamente ad Argo e ad Epidauro: poichè le montagne rea Capo Nìsiza ed Epidauro cadono a picco sul mare, qualsiasi strada da Trezene ad Epidauro deve passare per il retroterra di esse attraverso la valle superiore del fiume Bedhèni, e perciò nei suoi primi tratti coinciderà con la via che da Trezène porta ad Argo. Da Trezene stessa, che si trova a tre miglia nell’interno, si raggiunge la valle del Bedhèni prendendo verso occidente attraverso il valico a sud del monte Ortholìti; ma Ippolito, partendo dalla costa a nord di Trezene, avrà naturalmente cavalcato verso occidente per qualche tratto lungo la costa e poi avrà piegato verso l’interno per incontrare la strada proveniente dalla città. A quale punto Ippolito intende piegare verso l’interno? Le possibilità sono due: l’una (la più ovvia) dopo circa tre miglia, a Lesià, dove egli poteva cavalcare verso sud-ovest su per la valle e incontrare la strada proveniente dalla città prima che essa attraversa il valico; l’altra, circa quattro miglia più lunga, a capo Nìsiza, dove è un valico nelle montagne costiere (presso il villaggio di Ano Fanàri) che dà accesso alla valle di uno degli affluenti del Bedhèni. Di queste due possibilità, la descrizione di Euripide si accorda con la seconda. Nei vv. 1207-1209 il poeta parla delle “scogliere di Sirone”, dell’Istmo e della “roccia di Asclepio”. Le rupi Scironie, ad occidente di Megara, dovrebbero essere chiaramente visibili per venticinque miglia di mare da Capo Nìsiza, da qualsiasi punto più lontano ad est. La roccia di Asclepio è sconosciuta. L’unica difficoltà è l’Istmo, cioè l’Istmo di Corinto. Questo infatti è completamente invisibile da Capo Nìsiza, perchè è nascosto dai monti a nord di Epidauro. Perciò, o Euripide ha qui commesso il suo unico evidente errore oppure usa la parola Istmo nel significato più libero che essa ha talvolta, cioè tutta la striscia di terra fra Megara e Corinto, di cui tutta la metà orientale è visibile da Capo Nìsiza.

63 Veramente Ippolito non sa della maledizione di Tèseo, o almeno non l’ha sentita sulla scena, sicchè si è supposto che gli possa essere stata riferita dopo la sua uscita dalla scena a v. 1101; ma il pubblico non l’avrebbe mai notato nè è compito del poeta spiegare ogni particolare, anche il più insignificante.

64 Leggiamo nel Rivier: Tra il padre e il figlio il disaccordo è totale, e certamente preesisteva alla crisi. Teseo non è mai penetrato nel mondo in cui respira Ippolito. Anzi, egli deve considerarlo con risentimento e diffidenza. Alla denuncia di Fedra, egli fa un’accoglienza calorosa che la sua tristezza non spiega in maniera sufficiente. Vi si discerne come una gioia malvagia nello scoprire finalmente colpevole questo figlio troppo perfetto. Era dunque così: quella perfezione nascondeva una tara segreta! Ed ecco Ippolito abbassato al livello della comune umanità; la fierezza in lui non è che presunzione, l’alterezza: orgoglio, e l’innocenza: doppiezza. Tutto ciò che Ippolito dice è volto a suo svantaggio dal padre tratto in inganno. Veramente l’offensiva condotta contro la sua felicità era ben congegnata; suo padre vi ha messo l’ultima mano. Al punto in cui siamo, Ippolito ha perduto tutto. Non vi è che il messaggero a rendergli giustizia (v. 1254).

65 La metafora del giogo, dal cui peso il bue o il cavallo non può liberarsi, è propria a significare una sventura inevitabile.

66 Artemide è invisibile ad Ippolito, ora come nel passato. Qui, sulla scena la dea è fuori del suo campo visivo, ma ciò sta a simboleggiare con sufficiente evidenza anche la vera invisibilità che essa conserva davanti a lui. Ippolito tuttavia ne avverte la presenza, riconoscendone la divina fragranza: motivo tuttavia frequente nella poesia (cfr. Callimaco, fr. 22 e Virgilio, Eneide I, 403)

67 Ippolito, consapevole ora che la sua morte è la punizione per il suo rifiuto di Afrodite, rimane fermo in quel rifiuto: la punizione non ha provocato nessun pentimento, ma una maledzione. Ed ora la sua dea lo rinsalda nel rifiuto: essa non può difenderlo, ma può e vuole vendicarlo. Il conflitto umano è risolto con la morte; il conflitto fra gli dei nell’Olimpo continua irrisolubile.

68 Artemide promette ad Ippolito la sua ricompensa: un culto a Trezene. In effetti Euripide dà una profezia di un culto del 5° secolo (che si legge anche in Pausania): spesso infatti si trattava di spiegare un culto in modo che il pubblico ateniese avvertisse la continuità del passato mitico con il presente.

69 Egeo era in verità morto da tempo: probabilmente si allude al fatto che Egeo era già vecchio quando divenne nota la sua paternità di Tèseo.

70 La legge attica sembra abbia fatto differenza fra tre specie di omicidi: assassinio volontario, omicidio giustificabile (cioè in una legittima difesa, contro un adùltero colto in flagrante), assassinio involontario. Quest’ultima categoria comprendeva non solo l’omicidio involontario (il tipo più comune) ma anche l’omicidio commesso perchè costretti (cfr. Lisia); è abbastanza probabile che essa comprendesse anche l’omicidio volontario commesso nell’erronea opinione che esso fosse giustificabile.

71 La morte contamina e perciò il morto ed il moribondo devono star lontano dai luoghi sacri; anche l’uomo che ha avuto contatto con la morte è evitato finchè non sia purificato. A maggior ragione agli dei non è consentito assistere al trapasso di un uomo. L’allontanamento di Artemide ha tuttavia anche una sua ragione nell’economia della tragedia e soddisfa alle esigenze poetiche, rendendo ancora più chiara una caratteristica apparsa evidente in tutta la scena. La dea ama il giovane ed ha pietà di lui, ma non può piangere, non può rimanere accanto a lui mentre muore, mostrando così una riservatezza ed un distacco propri dell’austerità e della sua divina essenza.

72 Secondo il diritto attico, prima di morire, la vittima poteva assolvere l’uccisore dalle conseguenze dell’omicidio.

73 Trezene ed Atene, le due città su cui regna Tèseo e partecipi della tragica vicenda, ambedue alluse con il cognome delle divinità lì particolarmente onorate: Artemide ed Atena.

74 Tèseo rientra nel palazzo reale, seguito dai servi che portano il cadavere di Ippolito.

 Resa in italiano e note di R. Andria 

5I L’Atene di Pericle 2ultima modifica: 2021-04-28T15:54:47+02:00da masaniello455