3A Il mio Liceo, il “Garibaldi”

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LA NASCITA… PER SCISSIONE

DEL LICEO CLASSICO STATALE “G. GARIBALDI” di Napoli

Nel 1902 l’esuberante popolazione scolastica del Liceo Ginnasio “Vittorio Emanuele” dovette essere divisa: alcune classi andarono, allora, ad occupare l’edificio della Maddalena (nell’area situata nei pressi di Piazza Garibaldi detta della “Duchesca”), che, adibito a ritiro monastico, faceva parte del secondo gruppo delle Opere Pie.

LE VICENDE DELLA “MADDALENA”

Qui, ai primi del ‘300, in un posto isolato e ricco di ville erano stati eretti la Chiesa e l’Ospedale dell’Annunziata e a questi contigua, per la pietà di Sancia, moglie di re Roberto, sorse una casa intitolata a S. Maria Maddalena Penitente: un Monastero destinato a diventare uno dei più importanti di Napoli.

Nel 1489 Alfonso, duca di Calabria, trasferiva nella Chiesa della Maddalena i corpi dei 240 Martiri idruntini (da allora il luogo sacro prese il nome di S. Maria dei Martiri) e, dando in cambio alle monache la Chiesa ed il Monastero di S. Caterina a Formello, faceva della Maddalena la sua abitazione.

Il successore di Alfonso Federico di Aragona fece trasferire a S. Caterina a Formello i corpi dei Martiri e restituì alle suore la Maddalena che tornava così ad essere Monastero.

L’edificio ebbe un momento di vita rigogliosa nella seconda metà del sec. XVIII, allorchè fu ampliato su disegno di Mario Gioffredi che su una lapide, ancora oggi leggibile, non esitò a riportarne le più importanti vicende:

OPUS VESTIBULI AEDIUM SACRARUM DIVAE MARIAE MAGDALENAE POENITENTIS

TUTELA QUAS ROBERTI REGIS ET SANCIAE UXORIS LIBERALITAS EXCITAVERAT

ANNO MCCCIV AUGUSTA POSTERORUM PRINCIPUM FIDE AC PATROCINIO CLEMENTIS

VI PONT. MAX. ETIAM INDULGENTIIS SANCTISQ. MUNERIB. HONESTISSIMARUM

ANTEHAC ANGUSTUM ATQ. OBSITUM VETUSTATE AD PLENAE ARTIS INGENIUM

AD OMNEMQ. ELEGANTIAM PRO LOCI AC VIRGINUM PATRICIARUM DIGNITATE

AB MARIA SERAPHINA SANFELICIA UTRIUSQUE POTESTATIS ARBITRIO

INCHOATUM LUCRETIA SALLUTIA TERTIUM ANTISTITA PERFICIUNDUM

EXORNANDUMQUE CURAVIT ANN. MDCCXV.

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LA DISPOSIZIONE IN UN TELEGRAMMA

La scissione veniva disposta dalle autorità superiori con questo telegramma inviato al prof. Leonardi Ricciardi, allora Rettore del Convitto Nazionale “Vittorio Emanuele”: <>

IL PRIMO PRESIDE (1902/1906)

Il prof. Giuseppe FINZI, nel 1902, venne nominato Preside del quinto liceo di Napoli.

IL NUMERO DELLE CLASSI NEL 1902 E NEL 1903

Le classi, quattordici nel 1902/1903, crebbero fino a raggiungere il numero di diciotto nel 1903/1904.

IL NOME

In quello stesso anno, per volontà del Preside, si deliberò di dare all’Istituto il nome di “Giuseppe Garibaldi”, l’Eroe dei Due Mondi, ed il 3 giugno 1903 ebbe luogo nella Scuola anche una modesta cerimonia in cui parlarono dell’eroe tanto il Preside che il Prof. Tito SPINELLI con tale DE FILIPPIS, un’alunna di terza liceale: il Ministero approvò la proposta.

In occasione della cerimonia prima ricordata, si nota, venne inaugurato un busto in marmo di Garibaldi, fatto eseguire a spese di alunni ed insegnanti, che fu collocato su una colonna di marmo, dono del Prof. Achille CAPASSO.

L’AUTONOMIA

Il “Garibaldi” divenne istituto autonomo il primo luglio del 1905 per effetto di un Progetto di Legge presentato un anno prima al Parlamento dal Ministro del tempo.

LA COMUNICAZIONE IN UNA LETTERA DEL PROVVEDITORE

La comunicazione venne data al Preside prof. FINZI dal R. Provveditore agli Studi del tempo, il prof. Vincenzo BELSANI, con la lettera che segue:

<<Napoli, 10 luglio 1905 – Prefettura della Provincia di Napoli – N. 11297 – Con la più viva e sincera soddisfazione compio il dovere di notificare alla S.V.Ill.ma avermi oggi il Ministero annunziato con telegramma che con decreto in corso le classi di codesto Liceo sono erette in Istituto autonomo dal 1° corr. mese. La lieta novella che la S.V.Ill.ma vorrà partecipare ai Signori Professori giunga gradito conforto all’opera solerte della V.S. e compenso alle nobili fatiche di tutto il corpo insegnante che ha saputo dare un assetto al nuovo Istituto e, guidato dalla sapiente ed illuminata parola di Lei, ne ha già fatto un reputato ambiente di studi di educazione e di disciplina.>>

IL NUMERO DI CLASSI ED ALUNNI NEL 1905

Al momento dell’autonomia del Liceo le classi erano diciannove, gli alunni ben cinquecentosettantotto.

IL TRASFERIMENTO DEL PRESIDE FINZI

Finzi, nominato nel frattempo Commendatore, fu Preside del Liceo fino al 1906/1907, anno in cui, per motivi di famiglia, fu costretto a trasferirsi a Genova: gli subentrò il Prof. CANILLI.

IL SECONDO PRESIDE (1907/1911)

Il Prof. CANILLI, Preside del “Garibaldi” dal 1° ottobre 1907, tenne l’incarico fino al 30 settembre 1911, dopo di che preferì passare al Regio Liceo “Berchet” di Milano: fu sostituito dal Prof. Pietro PELLIZZARI.

IL TERZO PRESIDE (1912/1918)

PELLIZZARI fu Preside fino al 1919, anno in cui, per un male incurabile, cessò di vivere.

IL QUARTO PRESIDE (1918/1919)

Successe a Pellizzari, ma per solo un anno, il Prof. Cav. Uff. Mauro SERRANO.

IL QUINTO PRESIDE (1920/1923)

Alla Presidenza del “Garibaldi” fu, quindi, preposto, per trasferimento da Avellino, il Cav. Giulio Cesare BERNARDI che resse le sorti dell’Istituto fino al settembre del 1923.

[…]

fino ad oggi, 15 settembre 2021,

in cui il “Garibaldi”, ormai da un quinquennio, è stato accorpato

al Liceo Classico Statale “Vittorio Emanuele II”

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Il liceo Garibaldi,
l’integrazione tra il centro e la periferia

Sulla linea di confine. Al limite tra la città e la periferia. Sospeso tra i margini e la storia. Dalle finestre del primo piano del liceo classico “Giuseppe Garibaldi” si intravede l’Albergo dei poveri, un pezzo di memoria importante della città. Tre secoli di imponenza, 400 stanze e migliaia di vicende umane consumate tra quelle mura e narrate da grandi scrittori. A un passo, piazza Carlo III. Poco distante Capodichino, il ponte della tangenziale, l’Arenaccia, i Ponti Rossi. Il Garibaldi se ne sta in un angolo di quella piazza secolare, in una piccola strada, via Carlo Pecchia, meglio conosciuta come via Carlo Pacchia, così ribattezzata diversi anni orsono da un gruppo di studenti “creativi”. 

La collocazione della scuola, nata ai primi del Novecento come succursale del Vittorio Emanuele, non è casuale. Quell’insistere in un luogo così particolare, mentre alle spalle incombe la periferia, ha concesso al Garibaldi un’eredità: diventare ben presto spartiacque, finestra sulla modernità e baluardo della tradizione. Il liceo è un edificio di tre piani. Nel 1902 l’esuberante popolazione scolastica del Vittorio Emanuele venne divisa, una parte nella struttura della Maddalena, nell’area della Duchesca, un’altra collocata qui, a piazza Carlo III. Ben presto il Garibaldi divenne la via d’accesso all’istruzione per i figli degli operai di Acerra e insieme palestra di vita e cultura per chi proveniva dalle famiglie agiate del centro di Napoli. Ragazzi perbene, ogni giorno in classe con camicia bianca e cravatta scura, la divisa del liceale modello. Seduti assieme ai giovani della provincia che a quelle aule approdavano con i primi viaggi in autobus verso la grande città.

L’accoglienza consentì la dialettica tra mondi diversi. E fece nascere quello che negli anni Ottanta fu un avamposto di incontri sulla legalità, aperto agli interventi dei giuristi e dei nomi istituzionali del tempo. In queste aule entrò d’improvviso negli anni Ottanta il movimento antimafia, si sollevarono le coscienze, i giovani cominciarono a partecipare. Fuori, la mattanza di camorra faceva omicidi eccellenti. Gli studenti si organizzarono, creando una rete con le scuole di piazza Garibaldi: “l’onda” arrivò nelle aule della zona industriale, si allargò a Gianturco, San Giovanni, arrivò a lambire il sindacato. “Ricordo l’omicidio di Giancarlo Siani e la mobilitazione a Torre Annunziata con 5000 persone. Fu difficile coinvolgere i ragazzi delle scuole locali, ma alla fine ci riuscimmo”, dice Giovanni Rossi, ex studente.

Da qui mosse i primi passi l’associazione degli studenti napoletani contro la camorra. Una forte tensione ideale condivisa con ospiti illustri delle affollatissime assemblee d’istituto come don Riboldi, Giorgio Napolitano, Luciano Violante. Una rappresentanza degli “studenti contro la camorra” fu ricevuta da Sandro Pertini al Quirinale. Sono anni in cui gli alunni studiano per capire anche quello che succede intorno. Un sentire che nemmeno oggi si è perduto, rimasto più attuale che mai. E che ora si attua nella cogestione degli studenti. “La prima esperienza di successo – racconta la preside Laura Colantonio – l’attuammo otto anni fa. Ancora oggi resiste e fa partecipare con entusiasmo i ragazzi”. Una settimana all’anno gli studenti organizzano eventi sulla fotografia, la comicità, la pubblicità, con la supervisione dei docenti. “Ora è in programma l’apertura della scuola al territorio”. Ancora una volta, come trent’anni fa. “Stiamo pensando a incontri sulla coscienza civile e la partecipazione all’attualità” dice ancora la preside. 

Forte anche il legame con chi da questa scuola è andato via da tempo. Gli ex alunni si incontrano spesso. E organizzano il “certamen garibaldinum”, cimentandosi in gare di traduzione dal latino. Resta il ricordo di professori come “Franz” Francesco Amato, docente di filosofia alla metà degli anni Settanta, amatissimo dagli studenti per l’umanità e la competenza. Qui hanno studiato politici come Antonio Bassolino, fotografato agli incontri dell’associazione degli ex alunni, e Diego Belliazzi, il magistrato Bruno D’Urso, l’attrice Lina Sastri.

Tra loro, anche Paoletta Cannavacciuolo, protagonista del racconto di un’ex alunna, Francesca Santucci, ispirato al liceo Garibaldi e vincitore di un concorso letterario. La storia di un insufficiente rendimento scolastico e relativo abbandono della volenterosa ma poco dotata Paoletta, figlia di “proletari benestanti”, padre carnacottaro con bancone al corso Garibaldi e madre venditrice di olio, olive e capperi. L’emancipazione, per lei, non arriverà. Poco dotata per lo studio dei classici, Paoletta abbandona con sommo dispiacere il liceo per dedicarsi alla bottega di “mammà”.

Pubblicato da TIZIANA COZZI su Repubblica

26 maggio 2010

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“L’Albergo dei poveri… più in là il liceo Garibaldi”

Entro, come molti altri napoletani, nell’Albergo dei Poveri per la prima volta lo scorso giugno. Sono fra gli spettatori di un adattamento della Tempesta di Shakespeare: fa caldo, è una notte stellata. Gli enormi spazi, un’edicola gotica, inaspettata in un edificio settecentesco, restituiscono l’impressione di attraversare navate medievali. Come se l’utopia illuminista di Maria Amalia e Carlo III nascondesse un cuore da secoli bui: non è forse un’impressione sbagliata, l’Albergo nato per raccogliere tutti i poveri di Napoli alla fine diventò un ghetto dove capibastone comandavano alle donne di prostituirsi e nuove logiche di potere tenevano in scacco la micro società costituitasi nel grande palazzo, una sorta di ospedale non diverso da quello immaginato in «Cecità» da José Saramago dove i ciechi sono sopraffattori di altri ciechi.

Dalla prima campata usciamo, seguendo gli attori poiché lo spettacolo è itinerante, in una corte piena di sterpaglie, dove si affacciano finestre restaurate e non, dove crescono alberi e c’è d’improvviso odore di campagna. Un odore di umido e fiori e erba selvatica, un sentore di lucertole e insetti, così strano da annusare in piena città e che doveva essere invece naturale trecento anni fa, quando Napoli, pur enorme, non era una megalopoli e la campagna, la «parula», entrava fra i palazzi dei signori e i vichi della gente.

E tutti, noi spettatori, ci guardiamo intorno, anche se seguiamo lo spettacolo, ma è chiaro che c’è curiosità, che siamo come alieni capitati in visita in un mondo nuovo, tanto più inquietante perché è un mondo che abbiamo sempre visto dall’esterno: dai ponti della tangenziale, da Piazza Carlo III, e in cui mai abbiamo potuto entrare. L’Albergo dei Poveri, ridipinto solo nella facciata e parzialmente ristrutturato, ma fastosamente illuminato per il pubblico e le autorità, è come la luna. E noi siamo Neil Armstrong. L’incanto dura poco, un amico mi dice: «Il cortile è stato disegnato secondo un criterio esoterico, se si gira il palco male si perderà il vantaggio di questo schema».

La Tempesta ci distrae, i mille occhi ciechi dell’Albergo ci fissano. Piazza Carlo III è, in fondo, l’Albergo stesso. Anche se è il riferimento più vicino per gli autobus che vengono dalla provincia, il perno che precede piazza Garibaldi. È una piazza fantasma, nonostante i giardini, poco frequentati anche al mattino, benché ci siano scuole vicine: in questi giorni, ad esempio, vado per lavoro al liceo Garibaldi. Chiedo ai ragazzi se hanno mai fatto una ricerca sull’Albergo e in effetti mi dicono che no, non è capitato.

Anche l’edificio del liceo è una grande struttura con una corte al centro. Nelle strade intorno coesistono mondi paralleli: dietro l’Albergo, ad esempio, c’è via Carlo De Marco, un lato liberty di Napoli del tutto ignoto, anche perché la strada va a terminare in parchi chiusi. Le palazzine costruite fra fine Ottocento e primo Novecento sono poco restaurate, schiacciate dal profilo del ponte della tangenziale che, altissimo, le sovrasta. Statue aggraziate, fiorami, portichetti un tempo affacciati su giardini e anche qui presumibile campagna. La strada sale fino a Capodimonte, costeggia il bosco.

Alle spalle c’è l’Arenaccia, ci sono i Ponti Rossi, ultimo reperto romano fra condomini spaziali e degradati. Dal lato che volge verso la Stazione e il Centro direzionale le strade sono larghe – corso Garibaldi, ad esempio – e piene di negozi con abiti giaguarati e scarpe da ginnastica incrostate di strass. Camminano poche persone nei vicoli che connettono le vie maggiori, così è facile si verifichino fatti orrendi, come l’ultimo che ha occupato i giornali, lo stupro di un bambino a piazzetta Poderico, in pieno giorno.

Possiamo immaginare che la faccia del «mostro» che l’ha stuprato non sia diversa dalle facce di tanti diseredati che l’Albergo per qualche anno ospitò, fino a che il Regno non si rese conto che il mastodonte era un capitolo di spesa insostenibile e che a Napoli di poveri, bisognosi e di «mostri» ce n’erano proprio troppi. Dei troppi fantasmi, delle brutte apparizioni che abitano piazza Carlo III, ha reso conto a suo modo qualche anno fa Tahar Ben Jelloun nel romanzo che porta il nome dell’Albergo: una vecchia che abita i sotterranei del palazzo tiene in scacco l’alter ego dello scrittore, venuto a Napoli per un concorso promosso dal sindaco della città fra tutti gli scrittori del mondo.

La vecchia chiede allo scrittore: «Che vieni a fare qui? Di che t’impicci?». E lo scrittore una risposta non ce l’ha, anche se il suo sguardo collega la vicina Africa con Napoli in un dialogo che passa per la Stazione centrale, per i banchi dei venditori di borse, di platano, di scarpe, che parlano in wolof, in arabo, in francese. Insomma, a piazza Carlo III il tempo scorre eppure è immobile, come direbbe Aldo Masullo: i nomi dei re che vollero tentare di mettere riparo al disastro urbano della città, impegnando anche le gioie personali (l’Albergo, senza mai essere finito, costò oltre cinquantamila ducati, oggi lo stanziamento previsto per il recupero è di 83 milioni di euro), gli stupratori dell’oggi, i ladri d’auto («Mai parcheggiare qui vicino», dice una professoressa del Garibaldi, «l’attività è continua»), ma anche i ragazzi del Liceo che hanno le facce più pulite e simpatiche che io veda da anni. Ragazzi per cui andare al liceo classico è ancora un’avventura positiva, la speranza di un riscatto, il luogo della cultura e del futuro. Hanno avuto in visita da poco la famiglia di Dario Scherillo, il ragazzo morto per errore durante una sparatoria a Casavatore.

Sono rimasti tutti molto colpiti e hanno scritto dei racconti sul blog della scuola. Più d’uno è bello, ma cito fra tutti quello di Sara Castaldi, che fa dire a Dario un attimo prima di morire: «Pasquale avrebbe avuto un figlio con il mio nome e avrebbe vinto la scommessa, si sarebbe sposato dopo due anni; prima di me. Marco e mio padre avrebbero portato avanti l’autoscuola con i miei mobili in faggio, mia madre avrebbe giocato col suo primo nipotino e Maria si sarebbe fidanzata con un bravo ragazzo, adatto a lei.

Per quanto riguarda me, avrei potuto fare un’infinità di cose, ma mi limito a vivere attraverso il ricordo della gente, dei giovani, di Sara». Si rinnova nel sorriso di questi ragazzi, nelle aule tranquille e accoglienti del Garibaldi la speranza di piazza Carlo III: Maria Amalia voleva che l’Albergo ospitasse scuole. Non capì che per salvare Napoli tutta la città doveva, e ancora dovrebbe, diventare un’enorme e bella scuola.

Antonella Cilento

da IL MATTINO (pag. 51) di domenica 8 marzo 2009

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