3H Il maestrino dalla penna rossa

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 Ricordi semiseri solo in apparenza, ma vissuti realmente: 4

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Quale “imberbe supplentino” mi “feci le ossa” nell’I.T.I.S. “A. Volta” di Napoli (famigerato molti anni fa per le sadiche accoglienze ai debuttanti) dove, accolto a “coppetielli” la prima volta insieme alla Preside, rimasi in stato comatoso fino a fine anno.

E debbo a quell’Hitler in gonnella prima menzionato se per l’anno successivo mi fu con­sigliato un breve periodo di “esilio” volontario nell’aprìca Irpinia.

A novembre ricevetti la nomina: Lacedonia, un paesino per puro errore del destino posto in provincia di Avellino, ma vicinissimo a Melfi (con la “elle”, non con la “enne”!) e lontano ben 149 km., 300 m. e 45 cm. da Napoli.

Cercai di conoscere quella sera stessa l’oggetto del mio desiderio,… ma nella nebbia ab­battutasi impietosa su di me mi persi tra il paese di De Sanctis e quello di De Mita!

Lacedonia la raggiunsi su una 500 comprata di quarta mano con il piede destro rattrappi­to per essere stato due ore steso “a tavoletta”.

Lacedonia, un paese “invisibile”, popolato come New York al mattino, desolante come Chernoobil la sera; giovanissimo fino alle 14, ammuffito nel grigiore delle ombre notturne; un paese a cui mancava solo l’Università, ma che, una volta tornati nei propri paesi i gio­vani alunni, vedeva dalle porte far capolino nere vecchie che scomparivano nelle spire dei loro vecchi e neri scialli.

La mia Scuola era (logicamente!) l’ex-carcere, un ambiente provvisorio in attesa di rice­vere in consegna il nuovo Istituto, in costruzione da vari decenni e, tutto vetri ed acciaio, di certo più adatto a Capocabana che ad un paesino sperso tra i monti e con temperature vi­cine a quelle “polari”.

Lì vissi il primo anno alimentandomi di insaccati e precotti, in mancanza di un posto di ri­storo, in una stanza più piccola di una cella di Poggioreale (ricevuta dal “caro” bidello a cui davo quasi tutto il mio stipendio tra fitto e scorta di legname per una stufa che sembrava stare dalla parte del padrone).

I chili che perdevo durante la settimana cercavo di recuperarli a Napoli il sabato e la do­menica e, così, tra lunghi digiuni ed abbuffate “alla Tognazzi”, trascorsi quei nove mesi.

A Lacedonia rimasi altri tre anni, ma, poichè mi sembrava… giusto distribuire anche ad altri la “fatica” del mio lavoro, pensai di trasferirmi ad Avellino: così feci, e da allora all’astu­to bidello subentrò lo Stato con tangenti giornaliere (autostrada, benzina) ed il privato con quelle mensili (gomme, cambio olio, freni, ecc., ecc.).

Furono quelli gli anni della grande (ed inattesa) nevicata, che bloccò tutta l’Irpinia per una settimana: la ricordo perchè la mia fu l’ultima macchina a partire da Lacedonia e per­chè raggiunsi Avellino (km. 100) dopo tre ore con catene di ferro spezzatesi più volte e “rattoppate” con “catenelle” di lana fatte da una collega che (gratuitamente!!!) portavo con me tutti i giorni.

Rimasi, a 50 km. dalla città del sole, isolato, due giorni, con carenze di alimenti di prima necessità, senza acqua e luce, con una muraglia bianca che impediva di uscire e con un freddo da lupi: fu fatta un’inchiesta, ma non se ne è saputo più niente; …forse è ancora in corso!

Dopo una 500 e due 126 suicidatesi per “eccessiva fatica”, alla notizia che molti miei col­leghi di Napoli insegnavano nel palazzo di fronte a dove abitavano, chiesi finalmente “il trasferimento”.

Ebbi, dopo un anno ad Ariano Irpino ed un altro ad Avellino Centro (ma nel frattempo mi ero trasferito a Napoli), Frattamaggiore, una scuola ristrutturata in una parte nuova ed in una vecchia: quando entrai la prima volta in classe, dovetti aprire l’ombrello; “capii” subito che ero stato messo un’altra volta alla prova dal… destino!

Per sette anni alternai la vecchia “fattoria” adattata a Liceo con l'”Umberto”, la Scuola dei “vip”, la Scuola della Napoli-bene, quella delle più “feroci” ed ossessionanti raccomanda­zioni, quella della droga, …anche se io la ricorderò per un altro motivo: mi fu risposto al sa­luto da parte dei Colleghi solo ad aprile e capii che ero stato accolto finalmente “all’unani­mità” nel… santuario della classicità!

Per farmi perdonare tentai il concorso: mi andò bene lo scritto, ma, in attesa di superare le prove orali, …pensai bene di passare di ruolo! Da allora sono passati “solo” quarantotto giorni, pardon, anni!!!

 

3H Il maestrino dalla penna rossaultima modifica: 2021-12-17T11:01:26+01:00da masaniello455