Sono una donna felice, come lo dovrebbe essere qualunque donna al riverbero di questa età luminosa. Ho debolezze eleganti, e cicatrici charmantes. Non ho più illusioni sulla nobiltà delle persone, e per questo so apprezzare la loro inestimabile arte di convivere con le proprie imperfezioni. Sono clemente, alla fine, con me stessa e con gli altri. Così sono pronta ad invecchiare, ripromettendomi di farlo
negli eccessi e nelle sciocchezze. Se l’età adulta ti ha dato quello che volevi, l a vecchiaia dev’essere una sorta di seconda infanzia in cui torni a giocare, e non c’è più nessuno che ti può dire di smettere.
Alessandro Baricco
Ogni qual volta si legge qualcosa si è propensi a cercare nell’autore quel pensiero, che spesso ci rappresenta, che siamo pronti a fare nostro, a me succede, so che capita a molti. Rileggendo questo testo di Baricco, autore cha amo molto tra i contemporanei, mi ritrovo nella donna che descrive, che sono stata, che cogli anni ha mantenuto i suoi pregi, ha peggiorato i suoi difetti, nonostante si dica che il tempo ci renda più saggi e forse anche profetici. E qui mi fermo perchè la vecchiaia non è affatto un ritorno all’infanzia, come pensava Baricco quando scrisse. La vecchiaia, purtroppo, è il peggiore dei mali che possa capitare all’uomo. E se si ritorna all’infanzia lo è soltanto quando si perde l’autosufficienza per tornare a dipendere da altri, che non sono mamma e papà, a volte nemmeno i figli, che si prendono cura di te per denaro. Si sa come si nasce, ma non come si morirà. Quando si è anziani non si torna a giocare spensieratamente, e la gioia di quel periodo felice, che tutti vorremmo volasse, tanto si desidera la vita da grandi, a volte è scomparsa anche dai ricordi. Carpe diem, ossia vivi il giorno, l’attimo, non rinunciare a nulla, e soprattutto non organizzarti il futuro, perchè quando arriva la vecchiaia, tutto quello che avevi immaginato non c’è. Il destino, che nessuno di noi conosce scompiglia tutti i sogni, i progetti, i desideri, che avevi coltivato nell’età matura. Non sei tornato bambino, ma sei una barchetta di carta, che va sulle onde burrascose del tempo, sbattuta dal vento finchè l’aria tiepida che ti asciuga non cambierà direzione.
Ad avere la testa libera dai pensieri, l’animo leggero e non oppresso dalle soprese che la vita ci riserva mentre proseguiamo nel nostro cammino, sarei propenso e configurarmi in questo passo di Baricco. Forse da sciocchi uomini senza un minimo di intelletto, eravamo in tempi non sospetti, inconsciamente immersi nella nostra età che cresceva ma non ci procurava alcun fastidio: appagati professionalmente e liberi ormai di fare tutto ciò che ci piaceva e divertiva, abbiamo snobbato l’incedere del nostro tempo ed eravamo convinti di essere immuni e scevri da ogni problema. Ieri mattina, per la prima volta, io e Vitozzo (uno dei miei tre amici storici), ci siamo seduti su una panchina posta sul largo marciapiede davanti al suo posto di lavoro. Avevo un po’ di tempo libero, mia moglie mi aveva lasciato da lui per una commissione: “Ti lascio da Vitozzo, state un po’ insieme…sono due anni ormai che non capita più; dai faccio in fretta e ripasso a prenderti per tornare a casa”. E così feci, l’amico non si fece attendere, un bel sole caldo scaldava la giornata e dopo aver preso un caffè insieme, ci siamo accomodati sulla comoda panchina e abbiamo cominciato a fumare: io il mio solito mezzo sigaro e lui la sigaretta elettronica che ormai fuma da quando sono uscite sul mercato. Dopo un silenzio di appena dieci secondi, ci siamo guardati in faccia e abbiamo sorriso: “Avresti mai pensato che saremmo arrivati a questo…”, dissi guardandolo negli occhi. E lui: “Beh…che c’è di strano? Come due vecchi pensionati che vanno a sedere al giardinetto magari per incontrarsi con altri coetanei e passare un po’ di tempo insieme”. Feci l’atto di alzarmi, mi ributtò indietro a sedere: “Che c’è ti vergogni? Non ti va?”. E io: “Noi seduti a una panchina, come due gorgioni e con i nostri pseudo progetti di ragazzi anziani finiti nel cesso….era questo che sognavamo?”. “No, certamente no…” riprese Vitozzo: “…ma questa è la vita che non abbiamo mai voluto pensare ci aspettasse. Anzi diciamo grazie perché siamo qui io te, mentre Gianci è a Milano, ancora oppresso dalla sua cattiva salute che gli sta procurando problemi a non finire. Sugo è a Dolo (PD) dalla figlia e passerà là la Pasqua, meno male che stanno tutti bene…mentre io e te siamo qua, ci mancano i due amici, ma siamo in compagnia dei nostri acciacchi. Tu stai peggio di me, io sto un po’ meglio, ma del domani abbiamo certezze? “. Ci penso un po’ su e: “Da cretino, da rimbambito vero, credevo di essere speciale, con voi e insieme a voi. Pare che sia finito tutto ormai, Sugo con i nipotini non ha più tempo per le nostre cazzate, Gianci sta male e gira per ospedali, tu mi reggi quando camminiamo ma non ho ancora capito se mi reggi o ti reggo io…..a queste condizioni non ci sto più….”. Mi lacrimarono gli occhi e Vitozzo mi mise una mano sulla spalla e mi attirò a sé: “Dai Carle’…..ti sei girato un film e non te ne sei accorto, prendi atto che il tempo passa e noi siamo umani come tutti gli altri. “Villa Arzilla” era una bella invenzione per ridere ma non poteva essere la nostra definitiva soluzione. La vita riserva sempre sorprese e noi non siamo speciali”. Ci interruppe il clacson della macchina: mia moglie era tornata e Vitozzo aiutandomi a rialzarmi, mi accompagnò alla macchina. “Ciao Carle’…ci aggiorniamo al telefono appena sentiamo Gianci e poi Sugo”. Lo guardai cupo in volto e lo salutai: “Ciao Vito….addio”.
Ti chiedo scusa Giovanna, ma è un brutto momento e mi sono lasciato andare.
Una buona serata e sii paziente…non durerà a lungo.