Quando Van Gogh copiava…

 

Vincent Van Gogh aveva davvero l’estate nel cuore e negli occhi. Quando nel 1888 decise di andare nel Sud della Francia, vi andò in particolare per cercare e sperimentare l’estate nella sua massima intensità (o gloria, come lui scrive nelle lettere). L’estate per lui è la natura spinta sin sulla soglia dell’assoluto; è la luce che si avvicina a quell’“alta nota gialla” cercata per tutta la sua vita. Di estate ci si può anche bruciare, come succede quando ci si inoltra nell’indicibile. L’estate è un respiro ardente. È un cielo sul quale non scende mai il buio della notte. Van Gogh cercava l’estate; o meglio era simbiotico all’estate in quanto aveva l’estate dentro.

Van-Gogh-Siesta-1024x715

Questo quadro, uno dei suoi più iconici, oggi conservato al Musée d’Orsay, è emblematico. Van Gogh lo dipinse copiando il venerato maestro François Millet:

francois millet

aveva preso l’immagine da un’incisione tratta dal prototipo, per questo rispetto all’originale il soggetto ci appare rovesciato. Per Millet  quel soggetto rappresentava una sorta di elogio della Francia rurale. Per Van Gogh invece rappresenta il sogno: il sogno di poter essere semplice come il suo maestro. O, ancor di più, semplice come i due contadini che fanno da soggetto. Dipinse questo quadro mentre era ricoverato nella casa di cura di Saint-Remy, per via della crisi nervosa che lo aveva colto a fine 1888 in occasione del litigio con Paul Gauguin. Lo dipinse (chi lo avrebbe detto…) in pieno inverno, a dimostrazione di quanto avesse davvero introiettato la dimensione dell’estate. È un quadro che a vederlo commuove, per quel senso di pace e di riposo che comunica. È il momento della siesta. Lui e lei si distendono all’ombra di un covone, ciascuno cercando la posizione che più si addice al sonno. Lui si è tolto gli zoccoli e se ne sta con le mani dietro la testa e il capello calato sopra gli occhi, come volesse non perdersi nulla dell’intensità del cielo e respirare quell’aria impregnata di sole. Lei invece si è accucciata a pancia in giù e sembra cercar rifugio appoggiando la testa sul fianco del compagno. I due falcetti in primo piano sono allineati, come a indicare un pieno accordo, uno star bene assieme. Chi non vorrebbe vivere un momento così? Un momento in cui la vita è investita da una pienezza e da una pace senza che noi si debba fare nulla: semplicemente dormire…Questo quadro è stato dipinto nel cuore dell’inverno da un artista che stava cercando di arginare una malattia nervosa che gli stava divorando la vita: date le premesse, è quindi un quadro che non avrebbe potuto esser dipinto. Invece è qui, davanti ai nostri occhi, come un grande regalo che non sappiamo spiegare e che proprio per questo non può non riempirci di gratitudine.

 

 

La pianta del futuro che può crescere (quasi) ovunque…

Si chiama Schrenkiella parvula ed è una pianta che vive in condizioni estreme: la stanno studiando per capire se è possibile riprodurne le caratteristiche in altre specie. La Schrenkiella parvula vive sulle sponde del Lago Salato, in Turchia, dove il terreno ha una salinità altissima.  Le piante estremofile prosperano in condizioni di stress che ucciderebbero la maggior parte delle specie botaniche che conosciamo, come un’elevata salinità, acidità o aridità del terreno. Un gruppo di scienziati di Stanford sta studiando la Schrenkiella parvula, una pianta estremofila della stessa famiglia della senape, per scoprire come faccia a prosperare in condizioni estreme come quelle del Lago Salato in Turchia, dove la concentrazione di sale è sei volte superiore a quella dell’oceano. «La maggior parte delle piante quando si trova in condizioni di stress produce un ormone che agisce dando un segnale di stop alla crescita», spiega José Dinneny, uno degli autori. «Nel caso della S. parvula, invece, l’ormone agisce al contrario, dando il via libera alla crescita».

LA PIANTA CHE SOPRAVVIVE ALLA SICCITÀ. L’intento dei ricercatori è comprendere il meccanismo che rende la S. parvula così resistente per poterlo riprodurre in altre piante e, in futuro, coltivare specie resistenti a terreni di bassa qualità danneggiati dai cambiamenti climatici. Nelle zone dove ci si aspetta che il clima faccia aumentare l’intensità e la durata della siccità, ad esempio, sarebbe utile poter coltivare delle piante che sopravvivano con pochissima acqua. Quando le piante si trovano in condizioni estreme producono un ormone chiamato acido abscissico (ABA), che attiva a sua volta dei geni specifici che indicano alla pianta come comportarsi. Nella maggior parte delle piante, la produzione di ABA fa sì che la crescita rallenti o si blocchi; nel caso della S. parvula, succede invece il contrario.

NON SOLO CIBO. Svelare il meccanismo che determina l’alta resistenza della S. parvula non servirebbe solo per modificare piante destinate a produrre cibo, ma anche specie dai semi oleosi che possono essere utilizzate come risorse sostenibili di biocarburanti. Se riuscissimo a coltivarle in condizioni ambientali estreme, avremmo molti più terreni nei quali farle crescere: «Dove non possiamo coltivare cibo, potremmo coltivare piante bioenergetiche», sottolinea Dinneny, che spiega come in questo modo verrebbero recuperati e messi a frutto appezzamenti di terreno altrimenti abbandonati.

                                                                fonte:Focus

                                                                                                                                    lago-salato-turchia_1020x680

 

 

Tempo+spazio=vita.

L’idea del tempo esiste solo nella nostra mente. In Esso non esiste, poichè per Lui non esiste tempo. Il tempo è solo un idea che nasce in noi quando percepiamo di esistere e da quel momento creiamo un concetto di tempo a scadenza ignota in cui vivere attimi che sono per pochissimo presente per diventare subito passato e immetterci nel futuro, nel quale poniamo propositi, sogni , desideri da realizzare. Ed  è in questa specie di spazio  che ci muoviamo freneticamente, timorosi di non riuscire a realizzarci in tempo. E non ci accorgiamo che Noi siamo tempo e spazio , oltre il tempo e lo spazio che si sono incontrati per una Vita.

il tempo

NYT: urge un ritorno al realismo sulla guerra ucraina.

Il comitato editoriale del New York Times, organo di riferimento del partito democratico, chiede a Biden di chiudere la crisi ucraina.

“La guerra in Ucraina si sta complicando e l’America non è pronta” è il titolo dell’editoriale del giornale della Grande Mela che, pur elogiando il sostegno che l’America ha fornito a Kiev, chiarisce che ora la guerra è entrata in una fase nuova e gli obiettivi dell’amministrazione Biden stanno diventando sempre meno chiari. I suoi esponenti, infatti, in più occasioni si sono profusi in improvvide dichiarazioni che rendono nebulosi gli obiettivi di tale aiuto, che non possono essere identificati con la sconfitta della Russia, perché ciò è irrealistico e rischia di scatenare escalation, anche nucleare.

Tali obiettivi devono essere rivisti anche nel più ristretto ambito del conflitto ucraino. Così il Nyt: “Una vittoria militare decisiva per l’Ucraina sulla Russia, che vedrebbe l’Ucraina riconquistare tutto il territorio che la Russia ha conquistato dal 2014, non è un obiettivo realistico. Sebbene la pianificazione e le capacità militari della Russia siano stati sorprendentemente modesti, la Russia rimane troppo forte e Putin ha investito troppo prestigio personale nell’invasione per fare marcia indietro”.

“Gli Stati Uniti e la NATO sono già profondamente coinvolti, militarmente ed economicamente [nella guerra]. Ma aspettative irrealistiche potrebbero trascinarci sempre più in profondità in un conflitto lungo e costoso. La Russia, per quanto ferita e incapace, è ancora in grado di infliggere distruzioni indicibili all’Ucraina ed è ancora una superpotenza nucleare”.

“[…] Recenti dichiarazioni bellicose da Washington: l’affermazione del presidente Biden secondo cui Putin ‘non può rimanere al potere’, il commento del segretario alla Difesa Lloyd Austin secondo il quale la Russia deve essere ‘indebolita’ e la promessa del presidente della Camera, Nancy Pelosi, che gli Stati Uniti sosterranno l’Ucraina ‘fino alla vittoria’ possono riecheggiare come proclami travolgenti, ma non avvicinano ulteriormente i negoziati”, che oggi appaiono un miraggio lontano, essendo il dialogo tra le parti precipitato al punto più basso dall’inizio della guerra.

Le trattative invece urgono, per i motivi suddetti e perché le conseguenze globali della crisi diventeranno sempre più disastrose, sia a livello economico che sociale, dal momento che il conflitto (e le sanzioni anti-russe, ma questo il Nyt non lo può scrivere) sta impoverendo il mondo. E il popolo americano, che presto proverà i morsi di tali conseguenze, non continuerà a sostenere indefinitamente il supporto a Kiev, mentre gli ucraini continueranno a morire e il conflitto porrà rischi crescenti alla “pace e alla sicurezza a lungo termine nel continente europeo”.

Certo, la decisione di trovare un compromesso con Mosca deve essere presa dalla leadership ucraina, continua il Nyt. Sarà loro compito, infatti, “prendere le dolorose decisioni riguardo i territori che il compromesso richiederà“. Ma anche tale leadership deve fare i conti con la realtà.

Il Nyt non lo scrive, ma si può tranquillamente aggiungere che Zelensky appare come drogato dal supporto politico, economico e militare che sta ricevendo

Queste, infine, le conclusioni del Nyt: “mentre la guerra continua, Biden dovrebbe chiarire al presidente Volodymyr Zelensky e al suo popolo che c’è un limite al grado di intensità con il quale gli Stati Uniti e la NATO si impegneranno nello scontro con la Russia e limiti alle armi, al denaro e al sostegno politico che possono ricevere. È imperativo che le decisioni del governo ucraino siano basate su una valutazione realistica dei suoi mezzi e di quanta distruzione può sostenere l’Ucraina“.

“Confrontarsi con questa realtà può essere doloroso, ma non si tratta di un appeasement [col nemico]. Questo è ciò che i governi sono tenuti a fare, non inseguire una illusoria ‘vittoria’. La Russia subirà le ferite dell’isolamento e delle sanzioni economiche per gli anni a venire e Putin passerà alla storia come un macellaio. La sfida ora è scrollarsi di dosso l’euforia, fermare gli scherzi e concentrarsi sulla definizione e sul completamento della missione. Il sostegno dell’America all’Ucraina è una prova del suo posto nel mondo nel 21° secolo e il signor Biden ha l’opportunità e l’obbligo di aiutare a definire ciò che sarà tale futuro”.

Si nota che quello del Nyt è un grido di vittoria, non certo un cedimento a Putin. Si tratta di trovare un accordo che possa consentire anche a Putin di rivendicare la sua vittoria, seppur non ampia come da aspettative.

Quanto all’Ucraina, se la guerra finisce qua, ha già ottenuto la sua vittoria, al di là della conservazione o meno dei territori oggi controllati dai russi, avendo conquistato un posto di primo piano nel mondo e potendo contare su un sostegno internazionale che gli consentirebbe non solo per ricostruire il Paese, ma anche di rilanciarsi ulteriormente. Vincerebbero tutti e il dolore per i morti sarebbe compensato con la consapevolezza di averne risparmiati ulteriori.

 

 

 

Tenero erotismo…alcuni pensieri da opere di Anais Nin.

 

Quando in una donna l’erotico e il tenero si mescolano, danno origine a un legame potente, quasi una fissazione.

L’amore non muore mai di morte naturale. Muore perché noi non sappiamo come rifornire la sua sorgente. Muore di cecità e di errori e tradimenti. Muore di malattia e di ferite, muore di stanchezza, per logorio o per opacità.

Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, di vino.

Sono una persona emotiva che comprende la vita solo poeticamente, musicalmente, nella quale i sentimenti sono molto più forti di qualsiasi ragione. Sono così assetata di meraviglia che solo lo straordinario ha potere di su me. Tutto ciò che non riesco a trasformare in qualcosa di straordinario, lo lascio andare.

recensione-buonanotte-amore-mio-di-daniela-vo-L-pPFwGs

In Siberia la volpe è domestica- Prossimamente farà compagnia a chi lo vorrà-

Scegliendo gli esemplari più docili per poi farli accoppiare, settant’anni fa un genetista russo ottenne, in poche generazioni, una specie simile al cane. La sua incredibile storia ora in un libro.

Il nome del genetista russo Dmitrij Beljaev è rimasto a lungo escluso dalle cronache scientifiche. Eppure la sua vicenda è incredibile: inizia in Unione Sovietica quando Stalin dichiara la genetica “sovversiva” e chiunque osi occuparsene rischia la vita. Beljaev, però, era particolarmente ostinato. E, soprattutto, ossessionato da uno dei misteri dell’evoluzione: come ha fatto un predatore feroce come il lupo a trasformarsi in un animale da compagnia come il cane? Per scoprirlo, congegnò un esperimento al limite tra scienza e fantascienza: prendere un parente genetico del lupo, la volpe, e provare a riprodurre empiricamente il processo di domesticazione. In sostanza, questo scienziato visionario pensava di poter replicare in pochi decenni un fenomeno a cui erano occorsi centinaia di migliaia di anni.

La prova che non fosse pazzo si trova a Lesnoj, in Siberia, dove ancora oggi vive l’unica popolazione al mondo di volpi domestiche. Beljaev è morto nel 1985 con il rimpianto di non aver condiviso con il mondo la sua impresa: adesso ci hanno pensato Ljudmila Trut, la sua assistente, e Lee Alan Dugatkin, biologo e storico della scienza, in Come addomesticare una volpe (Adelphi), il primo libro che racconta questa storia per intero. Partendo da una premessa scientifica: tutte le specie domestiche hanno delle caratteristiche comuni, tra cui, oltre a una spiccata socialità, un cervello più piccolo e periodi riproduttivi più lunghi rispetto ai cugini selvatici, macchie sul corpo e sul muso e, in molte specie, orecchie flosce e coda arricciata. Ma in che modo la domesticazione ha indotto tutti questi cambiament

Il pretesto della pelliccia
Beljaev era convinto che fosse sufficiente selezionare un solo tratto – la docilità – per provocare una reazione a catena nella biologia delle specie. L’esperimento segreto ebbe inizio in un allevamento di volpi da pelliccia in Estonia, lontano delle autorità centrali sovietiche. Ai collaboratori, Beljaev diede poche istruzioni: a ogni ciclo riproduttivo avrebbero dovuto scegliere le volpi meno aggressive e farle accoppiare tra loro. In caso di domande, dovevano dire che l’esperimento serviva a migliorare la qualità delle pellicce. Dopo otto stagioni riproduttive, una dozzina di volpi scelte fra le più mansuete furono inviate a Lesnoj, in Siberia, per avviare un nuovo allevamento: le volpi erano appena più tranquille delle progenitrici della prima generazione. Per sovrintendere all’esperimento, Beljaev scelse una giovane etologa appena laureata all’Università di Mosca, Ljudmila Trut. “Ljudmila non aveva alcuna esperienza di volpi” racconta Lee Alan Dugatkin, “e quando si trovò davanti a quei “draghi sputafuoco”, come li chiamava lei, che ringhiavano e le si lanciavano contro, dubitò fortemente che si potessero addomesticare”.
Era il 1959. Eppure, una mattina del 1963, Trut si stava avvicinando a una delle cucciolate quando vide che uno dei volpacchiotti stava agitando energicamente la coda. Le volpi avevano iniziato a scodinzolare: un comportamento mai osservato in un animale diverso dal cane. Alla settima generazione, molte leccavano le mani degli sperimentatori e li salutavano con lo struggimento tipico dei cani, fatto di sguardi e guaiti. Alla decima, in alcuni individui comparvero le orecchie flosce e la stella bianca sulla fronte, tipica di cani, cavalli e mucche. Nel 1974, Ljudmila decise di trasferirsi in una casetta ai margini dell’allevamento per scoprire se uno degli esemplari più affettuosi, Pušinka, era pronta al grande salto: vivere in casa con degli esseri umani. “A eccezione di cani e gatti” dice Dugatkin, “le specie addomesticate non stabiliscono legami stretti con l’uomo. Quello tra uomo e cane è di gran lunga il legame più intenso. Ma perché è così diverso dagli altri? Forse perché si è creato in tempi molto lunghi? O, al contrario, non potrebbe essere emerso rapidamente, come tanti cambiamenti che Ljudmila e Beljaev avevano già osservato nelle volpi?”. Nel giro di qualche mese, il comportamento di Pušinka divenne quello di un cane. Un esempio? Una sera di luglio, mentre Ljudmila sedeva su una panchina davanti casa, si udirono dei passi; un attimo dopo sentì qualcosa che la lasciò senza fiato: Pušinka stava abbaiando. In più, rispetto alle volpi selvatiche, quelle di Lesnoj hanno bassissimi livelli di cortisolo, un ormone che regola l’aggressività e interviene sullo sviluppo di vari tratti fisici, come le orecchie pendule.

Atteggiamenti infantili
“L’ipotesi di Beljaev è che la domesticazione sia stata una “selezione per docilità”, con risultati simili agli effetti della selezione artificiale operata con le volpi: individui con livelli di cortisolo più bassi, e atteggiamenti più spensierati e meno aggressivi”. In una parola, infantili. Persino la capacità tipica dei cani di leggere le intenzioni umane, riscontrata anche in queste volpi, potrebbe dipendere da un tratto infantile: la grande attenzione che i cuccioli prestano alla madre.

Il mondo ha scoperto l’allevamento di Beljaev nel 1999, quando Ljudmila, senza più fondi per mandarlo avanti, pubblicò un appello su American Scientist, una delle riviste scientifiche più importanti degli Stati Uniti. A quel punto cominciarono ad arrivare donazioni da ogni parte del mondo. Ma anche scienziati. E le volpi di Beljaev sono state riconosciute dalla comunità scientifica internazionale come la prima e unica specie di volpe domestica.

Sul Venerdì del 13 maggio 2022_Giulia  Villoresi

volpe domestica11

 

Stagioni…

Chi ha dimenticato l’inverno
Non merita la primavera,
Chi ha dimenticato la campagna
Non deve camminare in città.
La ragazza usciva sola
E amava camminare in silenzio:
Siccome non portava il cappello
Riusciva sgradita alla gente.
Le sue spalle curve e magre
Dicevano: io non voglio nessuno;

Io voglio soltanto
Camminare in città.
Chi non riconosce il volto
Della passione, non deve
Non deve esistere al mondo.
La ragazza che fumava, sdraiata
Sul divano, che taceva sola,
Non bisogna dimenticarla
Se pure è finito il suo tempo,
Se il suo corpo ha dato dei figli
Come una donna può fare.
Chi ha veduto il cielo al tramonto
Non deve dimenticare il mattino,
Poiché la vita che ci è data
È questa: morire e nascere,
Nascere e morire, ogni giorno.
La ragazza che usciva in silenzio
Non c’è più, ma forse i suoi figli,
Nati dal suo corpo, un giorno
Vorranno uscire da soli,
In silenzio, a sfidare la gente.

Il tempo, la vita, ciò che resta di noi

Quando ci guardiamo indietro, ci autodeterminiamo riconoscendo il nostro passato. Le nostre scelte, i nostri desideri e i nostri errori, persino i rimpianti e i rimorsi che ci portiamo dietro, ci rendono ciò che siamo oggi. Il nostro legame con il passato non deve intristirci perché stiamo invecchiando, né deve essere rinnegato per gli errori che abbiamo commesso, perché noi siamo qui grazie a ciò che è stato, e non solo noi. E’ un invito  a non dimenticare il passato e a non avere rimorsi, usando diverse metafore. Il tempo non scorre immotivato, la vita non ci abbandona mai del tutto. Anche quando sembra che tutto sia finito, che la nostra esistenza sia giunta al termine, noi, le nostre parole, le nostre azioni e i nostri pensieri sono destinati a sopravvivere, a germogliare nella vita degli altri, di chi verrà dopo di noi.

 Natalia Ginzburg  da Libreriamo

 clessidra

Aochoo!!

Protagonista di Aochoo è una tenera nonnina che, foulard in testa, starnutisce di colpo. La dentiera prende il volo insieme alla borsa ed al bastone. Il poderoso starnuto provoca uno spostamento d’aria, al punto da investire anche un uomo con l’ombrello posto più in là e che, secondo alcuni, potrebbe essere un autoritratto dell’artista. L’immagine, realizzata alla fine della strada più ripida del paese, se vista ad una certa distanza dà l’illusione che lo starnuto della signora possa aver addirittura spostato le case.Lo street artist Banksy torna così a farsi cronista dei nostri giorni, quelli del Covid ,raccontando con un pizzico di spirito e di ironia la pandemia che stiamo vivendo. Per la sua ultima opera ha scelto un muro di una casa di Bristol, sua città natale.

Chi è Banksy?
Banksy è oggi considerato uno dei più grandi interpreti della street art contemporanea. Le sue opere compaiono misteriosamente sui muri delle città e, ogni volta, riescono sempre a suscitare un grande interesse. Sulla sua identità non sappiamo praticamente nulla. L’unico dato certo è che è nato a Bristol e che il suo primo graffito è datato 1997. Tra le sue fonti di ispirazione vi è il francese Blek Le Rat, dal quale ha appreso l’uso dello stencil e il ricorso al soggetto del topo, diventato quasi una sua firma. Il supporto che predilige è il muro che, come ha avuto modo di affermare, resta per lui “una grande arma è […] una delle cose peggiori con cui colpire qualcuno” e che, come confermano i suoi lavori si rivela lo spazio adatto per comunicare messaggi così attuali a tutta la collettività.

bansky