Mantenere la giovinezza, oltre gli anni, gli acciacchi e la stanchezza…

 

[…] I segni essenziali della giovinezza sono tre: la volontà di amare, la curiosità intellettuale e lo spirito aggressivo. Nonostante la mia età, a dispetto dei miei mali, io sento fortissimo il bisogno di amare e di essere amato, ho il desiderio insaziabile di imparare cose nuove in ogni dominio del sapere e dell’arte, e non rifuggo dalla polemica e dall’assalto quando si tratta della difesa dei supremi valori. Per quanto possa parere risibile delirio, ho la temerità di affermare che mi sento anche oggi sollevato, nell’immenso mare della vita, dall’alta marea della gioventù.

Giovanni Papini, estratto da La felicità dell’infelice, articolo apparso sul “Corriere della Sera” ,il 19 febbraio 1956

 

onda della gioventù, fuori tempo.
.

 

Imparare a disobbedire per sopravvivere con dignità..

 

La disobbedienza richiede un’intelligenza di ordine leggermente superiore. Qualsiasi idiota può essere obbediente, anzi solo gli idioti possono essere obbedienti. Non significa disobbedire solo per disobbedire… anche quello sarebbe pure idiota. La persona intelligente si chiederà prima o poi: PERCHÈ? Perchè devo fare questa cosa? Se i motivi sono irragionevoli e le conseguenze negative, non voglio essere coinvolto. Così si diventa responsabili di sé.
Non appena avrai scorto un’ingiustizia e l’avrai compresa – un’ingiustizia nella vita, una menzogna nella scienza, o una sofferenza imposta da altri – ribellati contro di essa! Lotta! Rendi la vita sempre più intensa!

Essere se stessi in un mondo che cerca continuamente di uniformarti è la più grande delle conquiste.

disobbedienza

 

Come un lupo nella steppa…ai giorni nostri

 

Oh, è difficile trovare la traccia divina in mezzo alla vita che facciamo, in questo tempo così soddisfatto, così borghese, così privo di spirito, alla vista di queste architetture, di questi negozi, di questa politica, di questi uomini! Come potrei non essere un lupo della steppa, un sordido anacoreta in un mondo del quale non condivido alcuna mèta, delle cui gioie non vi è alcuna che mi arrida? Non resisto a lungo né in un teatro né in un cinema, non riesco quasi a leggere il giornale, leggo raramente un libro moderno, non capisco quale piacere vadano a cercare gli uomini nelle ferrovie affollate e negli alberghi, nei caffè zeppi dove si suonano musiche asfissianti e invadenti, nei bar e nei teatri di varietà delle eleganti città di lusso, nelle esposizioni mondiali, alle conferenze pei desiderosi di cultura, nei grandi campi sportivi: non posso condividere, non posso comprendere queste gioie che potrei avere a portata di mano e che mille altri si sforzano di raggiungere. Ciò che invece mi accade nelle rare ore di gioia, ciò che per me è delizia, estasi ed elevazione, il mondo lo conosce e cerca e ama tutt’al più nella poesia: nella vita gli sembrano pazzie. Infatti se il mondo ha ragione, se hanno ragione le musiche nei caffè, i divertimenti in massa, la gente americana che si contenta di così poco, vuol dire che ho torto io, che sono io il pazzo, il vero lupo della steppa, come mi chiamai più volte, l’animale sperduto in un mondo a lui estraneo e incomprensibile, che non trova più la patria, l’aria, il nutrimento.

Hermann Hesse, “Il lupo della steppa”, 1946.

 

solitudo

L’ignoranza come arma..

 

“Ma perché il popolo è ignorante? Perché dev’esserlo. L’ignoranza è custode delle virtù. Dove non ci sono prospettive, non ci sono ambizioni; l’ignorante è in una notte benefica che, sopprimendo lo sguardo, sopprime le brame. Di qui l’innocenza. Chi legge pensa, chi pensa ragiona. Non ragionare è un dovere; è anche una fortuna. Queste sono verità incontestabili. Su cui si regge la società.”

Victor Hugo – L’uomo che ride

 

ignoranza

Ambizioni più o meno buone…

 

Di solito gli uomini non sanno vivere, non hanno nessuna vera familiarità con la vita, non si sentono mai del tutto a proprio agio, perciò perseguono progetti diversi, più o meno ambiziosi, più o meno grandiosi, dipende, e ovviamente di solito falliscono e arrivano alla conclusione che avrebbero fatto meglio, molto semplicemente, a vivere, ma di solito, anche lì, è troppo tardi.

Michel Houellebecq, da “Serotonina”

 

serotonina

Il mondo come un’illusione o un fantasma…

 

Se il mondo può essere considerato un’illusione e un fantasma, tutto quello che ci succede possiamo considerarlo un sogno,qualcosa che ha finto di essere mentre stavamo dormendo. E allora nasce in noi un’indifferenza sottile e profonda verso tutte le disgrazie e le sciagure della vita. Chi è morto ha girato l’angolo, per questo non lo vediamo più; chi soffre passa davanti a noi, come un incubo, se siamo sensibili, oppure come un brutto sogno, se siamo razionali.E anche la nostra indifferenza non sarà niente più. In questo modo dormiamo coricati sul fianco sinistro e sentiamo nei sogni l’esistenza oppressa del cuore.
Nient’altro…Un po’ di sole, un po’ di brezza, degli alberi a incorniciare l’orizzonte, il desiderio di felicità, l’angoscia dei giorni che passano, la scienza sempre incerta e la verità sempre da scoprire… Nient’altro, nient’altro… Sì, nient’altro…

Fernando Pessoa, da “Il libro dell’inquietudine”

 

mistero, sogno

 

Perché l’Intelligenza Artificiale non genera mostri. ( Il mio scetticismo)

 

 Da LA STAMPA di Licia Troisi

Il nostro cervello non inventa: rielabora però dispone sempre di un punto di vista. Algoritmi e robot non hanno opinioni ed è per questo che restano strumenti  .Ce l’ha insegnato la fantascienza: i robot sono il male. O vengono tenuti sotto controllo con qualche sistema autolimitante, il più famoso dei quali – giustamente – sono le tre leggi della robotica di Asimov, o si rivolteranno contro di noi, come ci hanno mostrato Terminator e Battlestar Galactica. Del resto, di recente ci si sono messi anche gli scienzati: Stephen Hawking, negli ultimi anni della sua vita, disse che l’Ia, l’Intelligenza Artificiale, se fosse diventata cosciente, avrebbe potuto distruggerci.

Forse è per questo che ha fatto così tanto scalpore l’apparizione di software che sembrano in grado di riprodurre le più alte forme della creatività umana: immagini e storie.

Il campo si è immediatamente diviso in due: c’è chi vede in Midjourney e ChatGpt (due esempi di questo tipo di tecnologia) le macchine che lasceranno a casa scrittori e artisti visuali, e chi è convinto che ci troviamo di fronte a un salto quantico nei rapporti uomo-macchina – e magari anche nella creazione di una vera e propria auto-coscienza artificiale. Ora, lasciamo da parte l’elefante nella stanza, ossia la questione dei diritti sulle opere con cui questi software vengono addestrati (vedremo subito che significa) e di quelle che essi producono, e proviamo a proiettarci nel futuro: chi ha ragione, gli apocalittici o gli integrati, per dirla alla Umberto Eco?Non avendo la palla di vetro, possiamo solo affidarci a una serie di considerazioni. Innanzitutto, come funzionano questi software: sono in genere reti neurali, che, nonostante il nome, non sono esattamente cervelli artificiali, ma, attraverso un sistema di nodi, cercano di imitare alcune caratteristiche dei neuroni. Una di queste è l’apprendimento: la rete viene addestrata su un set di dati, a partire dal quale produce poi, nel caso che stiamo considerando, immagini o testi scritti. Va da sé che il software non può realizzare nulla che esuli dalle informazioni fornite nel set iniziale, ma, quando il set è sufficientemente ampio, le combinazioni sono infinite. In questo, l’Ia funziona un po’ come il nostro cervello: anche noi non “inventiamo” tecnicamente niente. I libri, i dipinti, le statue, sono rielaborazioni di ciò che vediamo intorno a noi. Il nostro cervello riceve degli input, che poi combina in qualcosa di differente, anche quando inventiamo mondi fantastici: si tratta comunque di lacerti del nostro, scomposti e rimescolati. Prova ne sia che, se vi chiedo di immaginare visivamente uno spazio a quattro dimensioni, di cui i nostri sensi non hanno diretta esperienza, voi non ne siete in grado. Fin qui, quindi, sembrerebbe che l’Ia sia in grado di duplicare in tutto e per tutto i processi creativi umani; più complessa è la questione della coscienza, che abbiamo difficoltà a definire univocamente e i cui meccanismi di produzione da parte del cervello ci sono per lo più ignoti. Niente macchine senzienti, dunque, ma la cosa non ci rassicura: un computer che sa creare arte, in forma scritta o di dipinto, è ugualmente inquietante. Ma davvero è così? Davvero quelli come me, gli scrittori, hanno i giorni contati? Le versioni dei software attualmente rilasciate non sono in grado di scrivere qualcosa di simile all’Orlando Furioso o a un romanzo. Sono state prodotte delle favole per bambini e dei libri illustrati, ma nulla di più. Questo però non significa niente: un anno fa, Dall-E, che genera immagini, produceva cose inguardabili, oggi si fa francamente fatica a distinguere l’opera di un software da quella di un essere umano. I progressi in questo campo sono continui, e fatichiamo a stare al passo. C’è però qualcosa che mi induce a credere che non sarà mai possibile sostituire del tutto un essere umano nelle faccende creative. I testi prodotti dalle Ia, così come le illustrazioni, risultano quasi sempre appiattiti su un’estetica comune e “media”: non potrebbe essere altrimenti, visto che mediano all’interno di dataset sconfinati e, nel caso di quelle testuali, hanno una serie di limitazioni che cercano di farle apparire meno offensive possibile. Le immagini di Midjourney sono quasi tutte laccate e presentano personaggi per lo più di bell’aspetto, i testi di ChatGpt sono piatti riassunti di informazioni pescate in giro, per lo più vere, a volte goffamente inventate. Cosa manca? Non tanto l’estro creativo, la “scintilla umana”, quanto ciò che rende un libro più interessante di un altro, un dipinto immortale rispetto a tutta la produzione coeva: il punto di vista. Una storia può essere raccontata in molti modi: partendo dalla fine, coi flashback, o in semplice ordine cronologico. Anche un articolo come questo può essere redatto in molti modi differenti: scegliendo da dove partire nella discussione, ad esempio, con una citazione o meno, portando avanti il discorso seguendo un certo filo piuttosto che un altro. Scelte del genere, al momento, sono del tutto al di fuori della portata della Ia, perché quella che si chiama “voce” in letteratura non è frutto solo del “set di dati” con cui il nostro cervello è stato “addestrato”, ma anche della sua struttura neurologica, del nostro vissuto, della nostra psicologia. In mancanza di ciò, il risultato sono, appunto, opere medie, che non aggiungono nulla a quanto detto, e la situazione rimarrà questa finché il funzionamento della Ia sarà quello descritto – e al momento non si vede perché dovrebbe cambiare. E quindi, a che servono? Sono ausili, per chi saprà usarli con intelligenza. Un software che ti fa una ricerca su un determinato argomento, e ti redige un testo di massima sul quale poi interviene lo stile dell’autore è indubbiamente utilissimo: la ricerca è sempre la parte più noiosa della redazione di un testo. Un ChatGpt che genera una trama che poi l’autore modifica in base al proprio gusto è sicuramente un ottimo aiuto. E lo stesso dicasi per le immagini: possono essere una base, da correggere o da modificare secondo la sensibilità dell’artista. Ce lo diciamo spesso, ma forse non ci crediamo fino in fondo: la tecnologia è uno strumento. Il segreto è farne buon uso, senza facili entusiasmi né previsioni apocalittiche. Per il resto, il tempo stabilirà verso dove evolverà il rapporto tra uomo e macchina.

IArtif

 

Da lettrice vorrei aggiungere che l’uomo, è l’ha ampiamento dimostrato, non si è mai fermato all’uso benefico delle scoperte. Sicuramente madame Curìe, quando scopri come usare la radioattività degli isotopi di diversi minerali per uso diagnostico non immaginava gli sviluppi potenzialmente catastrofici del malo uso della sua scoperta. Allo stesso modo come essere certi che l’Ia  non possa apprendere ad identificarsi con ideologie distruttive della coscienza umana ed essere programmata proprio per avere un mondo di individui ubbidienti a coloro che avessero interesse a questo. Basta tornare indietro di poco tempo per rendersi conto , ora che in molti si è tornati a ragionare con mente lucida, come il Covid possa essere stato un esperimento per testare la percentuale di ubbidienza, che si può ottenere colla paura e il panico.

 

L’animale più pericoloso al mondo…

 

Nel 1963, lo zoo del Bronx, a New York, aveva una mostra intitolata “L’animale più pericoloso del mondo”. Essa, però, era costituita solamente da uno specchio e da un testo che descriveva i pericoli che l’uomo rappresenta per la vita sulla Terra. Nel 1968, poi, la mostra fu replicata anche allo zoo di Brookfield, a Chicago.

Quella di New York fu inaugurata il 26 aprile 1963 presso la Great Apes House ma il suo annuncio fece il giro degli Stati Uniti. L’esposizione era composta dalla scritta “L’animale più pericoloso del mondo” in rosso posizionata sopra una gabbia. All’interno della gabbia c’era uno specchio. L’esposizione consentiva essenzialmente ai visitatori di sbirciare nella gabbia e vedere il loro riflesso. Il testo originale sotto la mostra recitava: “State guardando l’animale più pericoloso del mondo. Solo lui, tra tutti gli animali mai esistiti, può sterminare (e ha sterminato) intere specie di animali. Ora ha il potere di spazzare via tutta la vita sulla Terra”. In seguito, il testo è stato modificato in: “Questo animale, che aumenta al ritmo di 190.000 esemplari ogni 24 ore, è l’unica creatura che abbia mai sterminato intere specie di altri animali. Ora ha il potere di spazzare via ogni forma di vita sulla Terra”.

l'animale

                                         E oggi, come sarebbe quella mostra?

Quando l’amore non è solo tu ed io…

 

A volte l’amore c’entra poco
con i corpi e pure con le anime,
è una cosa tra te e la luce,
una confidenza con l’aria,
un’intimità con i tuoi passi,
con i segreti del tuo respiro.
Non ti allontani e non ti avvicini
a nessuno, ti scorre un sorriso
silenzioso tra le braccia,
è tua, è solo tua questa grazia.

 

ortensie

 

Se la scuola insegna la bellezza di vivere.

 

C’era una volta a scuola il precetto pasquale. L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Pasqua le scuole coi loro docenti portavano i ragazzi in Chiesa per farsi la confessione e la comunione. Non era la preistoria, questa pratica era in uso nella scuola media unificata nel fatidico ’68. Poi la scuola si è evoluta, si è emancipata, non ha più precettato i ragazzi ad andare in Chiesa per la Santa Pasqua. Adesso, come sapete, indurre i bambini a pregare in classe è compiere atti osceni in luogo pubblico, corruzione, plagio e abuso di minori, istigazione alla prostituzione religiosa. Perché non si può spiegare diversamente la punizione di venti giorni d’allontanamento dalla scuola, con relativa decurtazione dello stipendio, per quell’insegnante sarda, Marisa Francescangeli che aveva recitato in classe un Ave Maria e un Pater noster con i suoi allievi, nei giorni che precedono la Pasqua. Con l’aggravante di aver fabbricato armi pericolose in classe, come il rosario. La maestra delinquente e corruttrice pensava di non aver fatto nulla di male, e tuttavia si era scusata con due mamme che avevano protestato per l’orrendo plagio dei loro bambini. Ma ciononostante, il preside, seguendo la protesta delle due inflessibili mamme, addette alla vigilanza democratica, l’ha punita come meritava… La nuova bestemmia in aula è nominare Dio e la Madonna, la nuova pornografia da punire è la preghiera in classe, perché offenderebbe i laici, i non credenti, i credenti in altre religioni e perché violenterebbe i minori, istigandoli alla fede e al rispetto delle tradizioni religiose. Che perversione, una porcheria… Se per sventura e superstizione sei credente, tieniti la fede per te, non esibirla, non contagiarla. Quel che un tempo si applicava alla sfera sessuale oggi si applica alla religione: puoi esibire le tue preferenze sessuali e anche praticarle in pubblico; devi invece nascondere la tua fede, praticarla in bagno, come un deplorevole onanismo, e comunque mai sotto gli occhi altrui, soprattutto se minori. Vai nelle catacombe, se proprio ti scappa di pregare.
Siccome siamo appena  poco dopo Pasqua, anziché indignarmi, vorrei vedere il lato positivo della vicenda, il bicchiere mezzo pieno: l’iniziativa di quell’insegnante e la solidarietà che poi ha avuto da molti genitori degli altri bambini, che non hanno ravvisato nulla di losco e di negativo nella preghiera in classe. E la convinzione che se si facesse un sondaggio tra la gente, nonostante il pressing ideologico intimidatorio, la maggioranza sarebbe con l’insegnante e non col picchetto cristofobico.
Ma a rendere migliore la Pasqua c’è anche l’esempio di un’altra insegnante. Un esempio laico, stavolta. Una maestra di Firenze, Morgana d’Ascenzo, nella scuola elementare Vittorio Veneto, nell’ultimo giorno di scuola prima delle festività pasquali, ha dato come compito per le vacanze ai bambini una lista lunghissima scritta a mano con bella grafia. Ha prescritto i seguenti compiti: “divertirsi e giocare, stare con le famiglie, approfondire le conoscenze delle tradizioni pasquali, fare qualcosa di bello e gentile, leggere libri e fumetti, cercare uova e mangiarne tante, osservare la bellezza del cielo e della natura, alzando di tanto in tanto gli occhi con profondo stupore; cantare e ascoltare musica, ricordarsi di dire spesso grazie e tante parole gentili: non abbiate mai paura di essere banali”. Ma questa non è la scuola, è la vita, direte voi. E se siete un po’ avanti negli anni riterrete che è un po’ la scoperta dell’acqua calda, sono ovvietà che non hanno bisogno di insegnanti e soprattutto di essere considerate come compiti a casa. Ma non avete fatto i conti, come invece li ha fatti la Maestra Morgana, con il presente. Alcune cose che ci sembrano scontate e naturali, non lo sono più affatto. Provate a far alzare gli occhi dagli smartphone e dai giochini ai bambini, provate a farli leggere, a contemplare la bellezza della natura, a guardare il cielo, a provare stupore, a conoscere addirittura le tradizioni religiose, a cantare, a essere grati e gentili, e ad apprezzare le cose che vi sembrano automatiche, di default, direbbero i ragazzini più grandi. Insomma, provate a farli rientrare nella realtà, a dare valore alle cose semplici e belle di ogni giorno, a cercare e mangiarsi un uovo di gallina. E’ un invito a riprendere l’ordinario gusto della vita, consono all’età di un bambino e alle sua curiosità. A capire il senso della bellezza, fare comunità, essere felici in famiglia, riconoscere il mondo della natura e non solo quello della tecnologia. A smanettare sui telefonini sono bravi tutti, i bambini; provate a riportarli alla natura, alle galline, al cielo e alla terra, ai legami veri, alla storia del passato, alla storia sacra e alle sue tradizioni. Una lezione di ritorno alla realtà, alla natura e alla vita vera. Quella vista a occhio nudo, a mente viva, a cuore aperto, con l’olfatto, il gusto e i sensi naturali di cui disponiamo e che rischiamo di atrofizzare nel giro di una o due generazioni.
Anche qui c’è qualcosa di offensivo verso la modernità e le minoranze? C’è razzismo, omofobia, discriminazione religiosa, oscurantismo? Si può amare la propria famiglia, anche se è composta da mamma e babbo, fratello e sorella, nonno e nonna, e perfino zie e zii? Il profumo della realtà, l’odore delle cose semplici e vere, da che mondo è mondo…Non ha fatto nulla di epico, di eroico, di sorprendente la Maestra Morgana, stavo per dire la Fata Morgana. Ha semplicemente detto ai suoi alunni di riprendere il loro mestiere di bambini. Che è il più bello, e il più difficile. Perché tocca loro capire la vita, conoscere chi sei, da dove vieni, cos’è il mondo che ti circonda, e vivere di conseguenza, dicendo grazie e sorridendo gentilmente a chi ti vuole bene, o anche a chi hai appena conosciuto. La vita è una sorpresa, bambini, e non sta dentro un uovo di cioccolata.

MV