«Ho “liberato” mio figlio dalla scuola: decide lui quando e cosa vuole imparare, noi non gli insegniamo nulla»

«Se non volete che i figli si conformino, allora abbiate fiducia nel fatto che seguiranno i loro interessi e impareranno tutto ciò di cui hanno bisogno, non ciò che gli altri vogliono che imparino»
«Ho “liberato” mio figlio dalla scuola: decide lui quando e cosa vuole imparare, noi non gli insegniamo nulla»

Le responsabilità di un genitore nei confronti dei propri figli non si limitano alla necessità di assicurare il mantenimento di un buono stato di salute fisica. Le mamme e i papà devono essere in grado di crescere i bambini in modo che riescano a vivere una vita felice e soddisfacente, e per questo cercare di dare i giusti input anche quando si tratta di educazione, di sport, di dinamiche sociali e tanto altro. Il lavoro della scuola si inserisce in questo contesto e supporta i genitori nel percorso, ma non tutti sono d’accordo sulla validità dei suoi metodi, che in effetti cambiano già in base al luogo e al periodo storico.  Una mamma, Onami, ha scelto i social per parlare del metodo che utilizza con suo figlio. Il primo passo è la liberazione dalla scuola: non c’è un orario preciso, non c’è un curriculum preciso, non ci sono insegnanti, né compiti. È il bambino a prendere l’iniziativa.

scuola

 

L’educazione che parte dal bambino
«Non insegniamo nulla ai nostri bambini, tutto ciò che imparano è in risposta ai loro interessi e alle loro domande – spiega Onami nel video pubblicato sul suo account TikTok, che tanto ha fatto discutere -.Non c’è alcun curriculum, né un orario scolastico. Quando vogliono sapere qualcosa, rispondiamo e facciamo del nostro meglio per assicurarci che capiscano».
La mamma chiama questo metodo “free school”, o “unschool”, e afferma che la sua più grande paura era relativa alla possibilità che i bambini si dedicassero soltanto a ciò che li interessa, senza riempire il cervello di informazioni che per loro non sono necessarie: Credevo che non si sarebbero mai avvicinati a cose come la lettura, la scrittura e la matematica e invece… mio figlio ha 6 anni, mi ci è voluto tempo per non paragonarmi alle altre mamme, ma questo è il suo quaderno», dice Onami, e mostra le parole scritte sulla carta, tra cui lampada, uova, barattolo, leone e via dicendo. «Ha cominciato a farlo da solo, e ne ha chieste altre a noi – spiega -. Ha fatto la stessa cosa con le addizioni, mi fa “mamma quanto fa 7 più 5?”. Tutto arriva nel momento giusto, ma se non vi piace l’idea di mandare vostro figlio via per 40 ore a settimana e poi chiedervi come mai non hanno più energia per fare altro quando sono a casa… se non volete che i figli si conformino, allora abbiate fiducia nel fatto che seguiranno i loro interessi e impareranno tutto ciò di cui hanno bisogno, non ciò che gli altri vogliono che imparino».

Nei commenti qualcuno si chiede se questo approccio sia legale e molti utenti esprimono riserve rispetto a questo metodo, chiedendosi cosa succederà tra qualche anno. Un’insegnante ha scritto: « Lavoro in una scuola elementare e credo sia un’idea interessante il fatto che si tratti di un’educazione gestita dal bambino, e imparare giocando è positivo. Ma c’è una scienza che studia cos’è appropriato durante lo sviluppo e la crescita, e il curriculum è basato su quei dati. La scuola è molto più che teoria e nozioni. A ognuno il suo, ma assicurati di informarti».

Cliccando il link potrete accedere all’articolo originale e vedere anche il video tanto discusso non solo sui social.

https://www.leggo.it/esteri/news/figli_scuola_imparare_mamma_oggi_5_7_2024-8223112.html?refresh_ce

Curiosità sullo zafferano, per chi lo ama nel risotto alla milanese o in altre gustose ricette , sia italiane, che esotiche-

Passeggiando nel corridoio delle spezie di un negozio di alimentari nel 2024, una selezione si distingue tra gli altri: lo zafferano. A Whole Foods, 0.5g di “Hand-Harvested Saffron Threads” vende per $ 8. In altre parole, è costoso. E ‘costoso anche su internet: un sito web offre solo dieci cucchiai (dieci grammi) di zafferano per $ 120.
L’ironia dello zafferano è che tutto lo zafferano deve essere raccolto a mano dalla pianta Crocus sativus, un fiore che fiorisce petali viola e blu in autunno. Lo zafferano è costoso non perché sia difficile da coltivare, ma a causa del lavoro e dei tempi noiosi necessari per estrarlo dal fiore. Le pregiate “stimmate” rossastre-arancioni si formano al centro della pianta poche settimane dopo la fioritura, e devono essere raccolte a metà mattina, quando il fiore è completamente aperto al sole. Un sito web di giardinaggio descrive il processo di raccolta dello zafferano come qualcosa che dovrebbe essere fatto con pinzette a un tavolo da cucina. Per secoli, lo zafferano è stato un prezioso colorante, spezie e profumo e il processo di raccolta non è cambiato molto. Secondo uno studio neozelandese in un campo con moderne routine di semina e fertilizzazione, ci vogliono tra 70.000 e 200.000 fiori per produrre un chilogrammo di fili di zafferano essiccati. I fiori devono essere raccolti a mano e gli stimmi rimossi per l’essiccazione, e il risultato è che ci vogliono “circa 370-470 ore di lavoro per produrre 1 kg di zafferano secco.”
Il Crocus sativus era derivato dal Crocus cartwrightianus, probabilmente originario dell’attuale Iran. Lo zafferano che conosciamo oggi dariva dal lavoro di esseri umani “selezionando gli esemplari con stigmi eccezionalmente lunghi.” Crocus sativus è sterile e non produce i propri semi fertili. Pertanto, gli esseri umani devono dissotterrare i cormi (radici e steli riproduttivi sotterranei) e piantarli altrove.

Il commercio internazionale portò lo zafferano dall’attuale Medio Oriente e Mediterraneo in Spagna, dove fu probabilmente introdotto per la coltivazione nel 921. Centinaia di anni dopo, lo zafferano poteva essere trovato ovunque dai campi dell’Inghilterra alla Russia.
Uno dei primi riferimenti allo zafferano risale al 2300 a.C., in La leggenda di Sargon di Akkad, un’opera mesopotamica che descrive il luogo di nascita del fondatore dell’impero accadico come “città dello zafferano.” La parola “zafferano” è molto simile in molte lingue in tutto il mondo. Gli etimologi fanno risalire la parola al latino medievale “safranum”, che deriva dalla parola araba az-za’Faran.
Nel 2022, abbinando arte antica e genetica, nuove ricerche pubblicate su Frontiers dimostrarono che il Crocus sativus diventò di uso comune per la prima volta in Grecia nel 1700 a.C. Molte antiche opere d’arte minoiche raffigurano lo zafferano, tra cui l’affresco di scimmie blu raccogliendo zafferano sotto.

.Il Crocus sativus è noto soprattutto per le sue proprietà culinarie. E ‘il sapore pietra angolare in molti piatti da tutto il mondo, che vanno dalla paella al biryani. Alcuni chef descrivono lo zafferano come degustazione “leggermente terroso e dolce,” mentre emana un “aroma affumicato.”Ma lo zafferano è anche apprezzato per il suo valore medicinale e aromatico. Allo zafferano in piccole dosi è stato precedentemente attribuita  proprietà sedative, espettoranti, stimolanti, stomachiche, antispasmodiche, antiisteriche e afrodisiache ed è stato prescritto anche in febbre, melanconia e ingrossamento della milza. In alcuni casi, è stato anche usato come abortivo.

Lo zafferano può essere utilizzato anche per tingere capi di abbigliamento o pelle. Per gli indù, lo zafferano è uno dei colori più sacri, ed è talvolta “applicato come un colorante rosso sulla fronte,” scrivere Madan et al. A Roma, spiegare Basker e Negbi, “è stato utilizzato per colorare la veste del matrimonio.” Anche i monaci buddisti indossano notoriamente abiti del colore dello zafferano, anche se le vesti non sono tinte con la pianta.

Linea colorata incisione dello zafferano di C.H. Hemrich, dopo T. Sheldrake

I fiori di Crocus sativus fioriscono in autunno per pochi giorni e devono essere raccolti nelle prime ore del mattino, a mano. La natura laboriosa della raccolta ha creato un mercato in cui lo zafferano è molto più costoso di molte altre spezie popolari. Come spiega l’archeologo Jo Day, “la casa reale della Navarra del XV secolo, ad esempio, pagava otto volte tanto lo zafferano quanto il pepe, anch’esso una spezia molto costosa…”

Oggi, la maggior parte dello zafferano è coltivato in paesi in cui i lavoratori sono pagati meno rispetto ai loro omologhi dell’Europa occidentale. I produttori principali sono l’Iran, l’India e la Grecia. Il prezzo di lusso dello zafferano ha anche stimolato tentativi di farlo crescere negli Stati Uniti.

Una fattoria di zafferano, Torbat heydariyeh, provincia di Razavi Khorasan, Iran via Wikimedia Commons

Lo zafferano non è una pianta molto resistente al clima. Anche se resistente all’acqua e quindi fiorente nelle regioni semi-aride, diventa difficile coltivarla quando ci sono temperature altissime per lungo tempo, poiché lo zafferano potrebbe impiegare più tempo per fiorire, ritardando così il guadagno per molti piccoli agricoltori ,che si affidano a queste piccole piante per vivere La necessità di una diversificazione economica può essere alla base dei recenti sforzi  dei coltivatori di zafferano , atti ad offrire opportunità al turismo.

Marchesi tra il futile e il dilettevole…

Marcello Marchesi è l’anello di congiunzione tra la letteratura e lo spettacolo, tra satira e comicità tramite l’umorismo. Marchesi è il ponte tra Flaiano e Totò, tra Achille Campanile e Walter Chiari, tra Leo Longanesi e Paolo Villaggio. Dopo decenni di silenzio dalla sua morte, nel 1978, ora riaffiora perché sono stati ripubblicati due suoi libri da La Nave di Teseo: la raccolta di boutade Il dottor Divago e il romanzo Il Malloppo. 

A vederlo vestito in bianco e nero, coi baffi e gli occhiali neri, come Flaiano, più l’ombrello e il cappello, sembrava uno di quei borghesi di Magritte, con bombetta, cravatta e abito scuro, piovuti dal cielo. Marchesi era un logo vivente della tv in bianco e nero, incompatibile con la tv a colori; difatti se ne andò all’altro mondo con l’avvento del colore. Me lo ricordo da bambino questo signore di mezza età che mi sembrava fuori posto in tv, troppo serio per essere comico, troppo scanzonato per essere serio. Autore di cinema, famoso soprattutto per i film di Totò, autore in tv di memorabili programmi, autore di tanti indimenticabili motti di Carosello, scopritore di talenti. E autore di testi, di libri che raccolgono i suoi calembour, i suoi giochi di parole, i suoi versi surreali. Si definì futile e spiegò la parola in senso figurato: “Mi fa venire in mente un fucile che spara a borotalco. A pensarci bene, un fucile così non ammazza nessuno e fa sorridere. Sì, sì, sono futile”. Ma dilettevole.  Veniva dal Bertoldo, risposta milanese al romano Marc’Aurelio, con Giovanni Mosca e Cesare Zavattini, Giovannino Guareschi e Vittorio Metz, suo amico e coautore di una vita; vi scrivevano pure Campanile, Longanesi, Maccari, Carletto Manzoni e il giovane Federico Fellini. Collaborò a lungo con la Rai sin da quando si chiamava Eiar. Fu il primo “copyrighter italiano” e le sue trovate, i suoi detti, ebbero successo anche da morto, a molti anni di distanza: pensate al titolo del best-seller di Gino e Michele, Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano: era suo. Coniò slogan virali per la pubblicità ma sotto sotto era un moralista contro il consumismo: si pentì di aver venduto il cervello alla pubblicità e di essere diventato “stratega del desiderio, colonizzatore di anime, uomo al neon”. Per lui il consumismo era una religione a rovescio fondata sullo spreco e sul superfluo, l’avidità e i desideri insaziabili: “diventeremo tutti Buttisti/seguaci del dio Butta/divinità dello spreco/Motto di chi l’adora/Butta via e compra ancora”. Per dirla in breve, rovesciava un noto proverbio: “La pubblicità è il commercio dell’anima”. Come Penelope, Marchesi disfaceva di notte la tela della pubblicità che tesseva di giorno. Ridendo “castigat mores”, quei costumi che lui stesso aveva invogliato a imitare coi suoi caroselli. Amava il non-sense sin dalla nascita: “quando nacqui in casa c’era solo mio padre. Mia madre era uscita”. Andò in tv perché “era l’unico modo per non vederla”. Dedicò il suo Diario futile a tutte le lettere dell’alfabeto, rendendo divertente la consueta formula di rito “Senza di loro non avrei mai potuto scrivere questo diario”.  Si definì attraverso sei aggettivi preceduti dal più: l’uomo più allegro, più malinconico, più funereo, più bugiardo, più aperto, più provvisorio. E malinconico fu sul serio, come Flaiano e Longanesi. Abissale è la mestizia di alcuni suoi versi, come questi: “quando penso che non m’innamorerò, ormai più/che non soffrirò, ormai, più per amore/ mi sento un morto a cui batte il cuore”.  Scrisse, a suo modo, il necrologio più onesto del fascismo: “Il fascismo: l’Italia del periodo Paleopolitico. Il periodo in cui eravamo tutti fidenti, fidentissimi e c’era uno più fidente di tutti. Il fascismo sembrava il sogno di un popolo povero che faceva tenerezza anche agli americani. Ohè! La traversata atlantica! Vuoi vedere che l’ingenuità è la strada giusta? Vogliono l’imperetto, birichini. Alè, diamogli lo scappellotto delle sanzioni. Poi arrivò il compagno cattivo e tutto si guastò irrimediabilmente”.Sono celebri e folgoranti le sue definizioni che giocano sui luoghi comuni e il suo dizionario delle celebrità; ma sono più significative le sue osservazioni da u-moralista, ossia moralista umorista e umorale. Per apprezzare Marchesi bisogna tuttavia avere un retroterra colto o almeno liceale, conoscere un po’ di storia, di latino e di cultura generale.Irriverente verso tutti: quel devoto ipocrita che assisteva tutte le domeniche alle “Sacre Finzioni”; quel poeta, la cui figura “naneggia in tutta la sua pochezza nel panorama della poesia contemporanea”. O quella volta che disse di aver sfregiato una tela d’arte informale alla galleria d’arte moderna:“con quel taglio il suo valore è salito di un milione”. Criticò il progresso: “Bella la vita di adesso. Si vive più a lungo, si muore più spesso”. Poi la sua tenera poesia a “l’unico amico” (Vittorio Metz) “Vieni a trovarmi finché son vivo… scambiamoci un sacco d’idee sbagliate/invecchiamo un’ora insieme”. Quando era demoralizzato si sentiva “un brufolo devitalizzato”. Tendeva a dimenticare i torti subiti ma non per generosità, confessò, ma perché non gli andava di soffrire. Anche la sua vita finì in modo assurdo, tragicamente buffo, a 66 anni: fu nel mare in Sardegna per un’audace capriola nell’acqua. E dire che pochi anni prima in Essere o benessere aveva scritto della strana sorte di un supertimido: “Affogò perché si vergognava a gridare aiuto”. Disse di sé: “Sono un mediocre pieno di genialità, sono un genio che non ce la fa”. Ad avercene di mediocri come lui.

Marcello Veneziani,

 

La “Venere degli stracci” è la più brutta scultura di artista italiano vivente.

 

Ha ottenuto il primato da “Maestà sofferente” di Gaetano Pesce. E ora vogliono anche piazzarla in una chiesa, inconsapevoli della differenza tra Maria (orazione) e Venere (erezione).

Passato il trigesimo finalmente si può dire: fino al 4 aprile la più brutta scultura di artista italiano vivente era “Maestà sofferente” di Gaetano Pesce. Dal 5 aprile è ovviamente la “Venere degli stracci” inflitta a Napoli da Michelangelo Pistoletto. Due sculture non grandi ma grosse, ovvero grossolane. Pesce capovolgeva Scruton: secondo il filosofo inglese la vera opera d’arte “riesce a rendere bello il brutto”, mentre il designer ligure, pace all’anima sua, è riuscito a rendere brutto il bello (la donna). Pistoletto capovolge Kant, secondo cui la bellezza ci conduce alla presenza del sacro: l’artista biellese ci conduce alla presenza della spazzatura. Adesso il suo statuone-installazione vogliono perfino piazzarlo in una chiesa, complici i preti che evidentemente non sanno più distinguere Maria (orazione) da Venere (erezione), sacro da profano, cristianesimo da paganesimo. Nemmeno il bello dal brutto sanno più distinguere, risultando questa Venere delle mappine, a chiunque non sia cieco, o apostata, leggiadra come una discarica.

Camillo Langone___da IL FOGLIO

venere stracci

Pregi e difetti…questione di dosaggio.

 

La parte di te che gli altri definiscono “spontanea” è la stessa che chiamano “irresponsabile” quando la suoni a volume troppo alto.
La parte di te che gli altri definiscono “coraggiosa” è la stessa che chiamano “sconsiderata” quando la suoni a volume troppo alto.
La parte di te che gli altri definiscono “sicura di sé” è la stessa che chiamano “egocentrica” quando la suoni a volume troppo alto.
Tutti i tuoi cosiddetti “peggiori difetti” non sono altro che le tue migliori qualità, semplicemente regolate ad un volume troppo alto perché la musica sia piacevole.
Le cose per cui gli altri si innamorano di te sono le stesse per cui ti criticheranno se hanno la sensazione di riceverne una quantità esagerata.
Ti ameranno per la tua capacità di “prendere decisioni rapidamente” ma se lo fai troppo spesso o con troppa forza ti chiameranno “prepotente”.
Ti ameranno per il tuo “acuto senso dell’humor” ma se lo manifesti troppo spesso o con troppa forza ti accuseranno di essere “cinica” o di “non prendere nulla sul serio”.
Le parti di te che gli altri amano o criticano sono le stesse. Dipende soltanto da come è regolato il volume”.
Ognuno ha il suo volume.

pregi e difetti

Stonehenge, il lunistizio maggiore è un’occasione unica per svelarne il mistero

Ogni 18,6 anni la Luna sorge nel punto più meridionale sull’orizzonte orientale. La prossima volta capiterà a gennaio 2025 e potremo scoprire se il circolo di pietre è allineato con i movimenti del satellite.

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La luna su StonehengeHeritage Images/Getty Images

Stonehenge rimane uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi del nostro pianeta. Gli archeologi ritengono che la struttura rappresentasse al contempo un tempio, un luogo sacro, e anche una sorta di osservatorio astronomico, dove celebrare, osservare e predire eventi celesti come solstizi, equinozi, e via dicendo. Nel giorno del solstizio d’estate, ad esempio, il sole sorge esattamente alle spalle della pietra del tallone, un monolite posizionato all’ingresso del circolo di pietre centrale, per poi illuminare la pietra dell’altare posta nel cuore di Stonehenge. La complessità della costruzione fa pensare che sia stata progettata per molte altre funzioni, ma per ora di certezze ce ne sono ancora poche. Un nuovo progetto guidato da English Heritage, organismo responsabile della gestione del sito, vuole cercare di fare chiarezza una volta per tutte, sfruttando un raro fenomeno noto come lunistizio maggiore, che si ripeterà a gennaio del 2025 dopo più di 18 anni di attesa, per capire se il circolo di pietre è allineato non solo con i movimenti del Sole nel cielo, ma anche con quelli della Luna.

L’allineamento con il Sole

Per quanto misteriosi rimangano Stonehenge e la cultura che lo ha eretto circa 4.500 anni fa, alcune delle sue funzioni sono ormai piuttosto chiare. Tutta la struttura infatti è allineata con i movimenti annuali del Sole, che sorge appena a sinistra della cosiddetta pietra tallone nel solstizio d’estate (si ritiene che una pietra gemella sorgesse accanto a quella rimanente, e che quindi l’effetto fosse quello di incorniciare l’alba), e tramonta sullo stesso asse, all’estremità opposta del circolo di pietre, durante il solstizio d’inverno, in un punto in cui nel lontano passato sarebbe stato incorniciato, ancora una volta, all’interno di un trilite (ormai crollato), mandando i suoi ultimi raggi a illuminare l’altare centrale.

L’importanza dei cicli solari per i costruttori di Stonehenge è quindi evidente, e piuttosto ovvia se si pensa che trattandosi di cultura di coltivatori e pastori, il susseguirsi delle stagioni influenzava tutti gli aspetti della loro vita. In questo senso, il solstizio d’estate può facilmente essere immaginato come un momento in cui celebrare i raccolti e la bella stagione, e quello d’inverno l’occasione per propiziare la fine della stagione fredda, visto che il Sole dal giorno seguente torna a muoversi verso le posizioni in cui sorge e tramonta in estate. Meno ovvio, invece, è se la costruzione di Stonehenge rifletta anche l’interesse per marcare i movimenti periodici della Luna nel cielo notturno.

Come il Sole, anche la posizione della Luna segue un ciclo, anche se molto più rapido e quindi difficile da decifrare per gli archeologi che indagano le rovine di Stonehenge. Per questo, gli scienziati che hanno aderito al nuovo programma di ricerca di English Heritage sperano di utilizzare il prossimo lunistizio maggiore, un fenomeno che segue un ciclo ben più lungo di 18 anni e 223 giorni circa, per verificare se la posizione della Luna in questa occasione venga tracciata in qualche modo dalle pietre di Stonehenge.

Cos’è il lunistizio

Per capire cosa sperano di scoprire, è importante avere chiaro cosa sia un lunistizio. Come il Sole, anche la Luna sorge ad est e tramonta ad ovest, seguendo la rotazione quotidiana del nostro pianeta. E come per il Sole, il punto in cui spunta non è sempre lo stesso: il fatto che il nostro asse di rotazione è inclinato, e che anche l’orbita della Luna lo è rispetto all’eclittica, fa sì che questa si muova sull’orizzonte orientale, sorgendo sempre più a nord, per poi tornare indietro e raggiungere un estremo a sud. Il punto più a nord e quello più a sud in cui sorge la Luna nell’arco di un mese sono chiamati lunistizi, mentre gli estremi assoluti di questo ciclo (il punto più a nord e più a sud in cui può sorgere la Luna) sono definiti lunistizi maggiori, e vengono raggiunti una volta ogni 18,6 anni, circa. Essendo dei punti di riferimento fissi, è pensabile che i creatori di Stonehenge possano averli incorporati nella loro struttura megalitica, utilizzandoli magari all’interno di un gigantesco calendario lunare, o come date rivestite di un valore spirituale, simile a quello dei solstizi.

L’indagine

Attualmente, un indizio importante del possibile allineamento di Stonehenge con la Luna arriva dalla posizione delle cosiddette pietre della stazione: quattro grossi massi eretti a formare un rettangolo all’interno del sito, sono posti più o meno in corrispondenza con i punti più estremi raggiunti dall’alba lunare. “Quello su cui i ricercatori dibattono da sempre” spiega Clive Ruggles, Archeoastronomo della Univesity of Leichester in un comunicato “è se si tratti di una scelta deliberata, e in caso di risposta affermativa, come siano riusciti a farlo, e quale fosse il loro scopo”.

Osservando in prima persona i movimenti della Luna nelle settimane che precederanno il lunistizio maggiore, i ricercatori sperano di riuscire ad ottenere indizi preziosi per chiarire questi dubbi, e svelare, una volta per tutti, il rapporto tra Stonehenge e la Luna. “A differenza di quanto accade col Sole, tracciare gli estremi della Luna non è un impresa semplice, e richiede tempistiche e condizioni meteo specifiche”, sottolinea Amanda Chadburn, dell’università di Oxford. “Vogliamo comprendere come fosse sperimentare queste albe e questi tramonti lunari estremi e quali effetti visivi avessero sulle pietre (ad esempio, quali zone rimangono in ombra e quali sono illuminate)”.

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I ricercatori, ovviamente, avranno un punto di vista privilegiato per osservare i lunistizi. Ma anche i visitatori potranno partecipare all’evento, con visite notturne, ma anche mostre e convegni. Per chi non avrà modo di recarsi nel Regno Unito, inoltre, English Heritage ha previsto un livestream da Stonehenge nella notte del lunistizio maggiore, quando la Luna raggiungerà il punto più a Sud sull’orizzonte. Per gli interessati, è possibile trovare tutte le informazioni a riguardo sul sito dell’organizzazione.

da WIRED      Credit English Heritage

Quello stupro di massa dimenticato…

Se cercate la madre di tutte le violenze alle donne, gli stupri e i cosiddetti femminicidi, dovete risalire a 80 anni fa nel centro-sud d’Italia. È il capitolo amaro e atroce delle cosiddette marocchinate. I singoli episodi di violenza e di abusi che si leggono quotidianamente e che suscitano ribrezzo e preoccupazione, impallidiscono di fronte a una vera e propria mattanza di corpi femminili, ragazze, minorenni o sposate, che avvenne nella primavera di ottant’anni fa, in Italia, in un’area che va dalla Toscana alla Campania e alla Sicilia, con particolare accanimento nel basso Lazio. Non fu opera di sciagurati maniaci sessuali, ma fu quasi pianificato e autorizzato come bottino di guerra, ed ebbe come protagonisti soldati in divisa di eserciti di liberatori, come i francesi.
Esorto le femministe di lotta e di denuncia, le compagne di piazza e di corteo, le parlamentari progressiste e radicali, le combattenti antifasciste, antisessiste e le attrici impegnate, ad aprire e approfondire quella pagina di storia che risale alla primavera del 1944.  E vi suggerisco un insolito punto di partenza. Andate a scoprire chi era Maria Maddalena Rossi. Per aiutarvi nella ricerca vi dirò che aderì al Partito comunista quand’era ancora clandestino, fu arrestata dalla polizia fascista, mandata al confino, espatriata. Poi fu eletta nell’assemblea Costituente nel gruppo comunista, fece battaglie per la parità dei diritti delle donne; fu parlamentare del PCI, sindaco, presidente dell’Unione Donne Italiane. Morì novantenne nel ’95. Insomma ha i titoli a posto per essere celebrata dalle femministe progressiste.
Perché proprio lei? Perché nel ’52 aprì in un’interrogazione parlamentare quel capitolo scabroso e rimosso della seconda guerra mondiale nelle vulgate storiografiche sulla liberazione: le marocchinate, ovvero le migliaia di donne italiane stuprate, violentate dalle truppe marocchine venute a “liberare” l’Italia con gli alleati. In Ciociaria, in particolare, fu uno scempio, di cui restò traccia molti anni dopo nel film La ciociara di Vittorio De Sica con Sophia Loren, tratto da un romanzo di Alberto Moravia. Donne stuprate e messe incinta, bambini violentati, più di mille uomini uccisi per aver cercato di difendere le loro donne, madri, mogli, sorelle, fidanzate, figlie.
Nel dibattito parlamentare che seguì all’interrogazione della Rossi, venne fuori che il numero più attendibile era di 25mila vittime, ma se si considera che il campo d’azione dei magrebini si estendeva a mezzo centro-sud, il numero di 50-60mila marocchinate indicato da alcune ricerche è plausibile. Il pudore nel raccontare queste storie ne ha ridotto la portata e coperto con un velo protettivo di omertà le reali dimensioni della tragedia. Si voleva tutelare col silenzio l’onorabilità delle loro donne, e non sottoporle anche a una gogna. La responsabilità, oltre che dei soldati marocchini, fu dei vertici dell’esercito francese che dettero loro sostanziale impunità e carta bianca, come un tribale diritto di preda. Non furono i soli, intendiamoci, nella barbarie di quel tempo. Ma un fenomeno così vasto e quasi pianificato, su donne inermi che non avevano colpe è raccapricciante per la ferocia animalesca. Una pagina rimasta impunita e rimossa.
Migliaia di storie strazianti e interi paesi violentati, quando il sud era “liberato”. Per chi voglia approfondire, rimando ai libri sulle marocchinate di Emiliano Ciotti, Stefania Catallo e di una francese d’origine italiana, Eliane Patriarca. Un corposo e documentato dossier uscì sulla rivista ‘Storia in rete’ di Fabio Andriola.
Ma è da sottolineare che una donna comunista, leader delle donne in lotta, antifascista col fascismo imperante – non come i grotteschi militanti postumi dell’Anpi d’oggi – ebbe il coraggio e l’amor di verità di denunciare questo obbrobrio, che per ragioni di antirazzismo e antifascismo ora si preferisce mettere a tacere. Le stesse ragioni che portano a non scendere in piazza se una ragazza oggi è stuprata e uccisa da migranti. O a dimenticare quelle donne violentate, rasate a zero e uccise solo perché ausiliarie della Repubblica sociale; o stuprate in Istria. La stessa omertà che accompagna il vergognoso racket di uteri in affitto, dove la dignità della donna è venduta al capriccio danaroso di benestanti, spesso coppie omosex. Il Pci sessista di quegli anni aveva donne più rappresentative nei suoi ranghi, che provenivano dalla lotta politica, dalla piazza, dalla militanza di base e anche dalla guerra civile.
Probabilmente la Rossi dovette vedersela anche allora con le reticenze dei suoi compagni, lo strisciante maschilismo del vecchio Pci e l’omertà sulle pagine nere dei “liberatori”. Anche perché quelle pagine infami ne avrebbero richiamato delle altre, per esempio gli eccidi nel Triangolo rosso. Suggeriamo alle femministe perennemente mobilitate in campagne contro i maschi e i loro soprusi, di ricordarsi di una femminista, comunista e antifascista che non si tirò indietro a raccontare le scomode verità e le pagine nere della Liberazione. Sarebbe il caso che il presidente della repubblica, che non si lascia sfuggire mezzo anniversario di quel che accadde nella storia della seconda guerra mondiale e della resistenza, si ricordasse anche di questo evento corale, che mortificò la dignità femminile e stuprò i loro corpi, la loro verginità, la loro maternità. Gli orrori della guerra vanno raccontati e ricordati per intero, senza amnesie (come ad esempio il silenzio sugli ottant’anni dello scempio dell’abbazia di Montecassino, bombardata dagli Alleati). Per aiutarlo a ricordare e a ripararsi dietro un’immagine inattaccabile, si ricordi almeno della compagna partigiana comunista Maria Rosaria Rossi, del film di Vittorio de Sica e del libro dello scrittore filocomunista Alberto Moravia. Tre alibi per poter raccontare in modo inattaccabile, compiacendo l’antifascismo dominante, una storia dolorosa di cui furono vittime così tante donne italiane.

(Il Borghese, aprile 2024) Marcello Veneziani

Un eroe della cultura al cospetto della natura…

 

Manuel Escribano, il matador andaluso che a Siviglia, dopo essere stato incornato, ha preteso di essere operato in anestesia locale per tornare subito nella plaza de toros.

Leggo nomi di candidati alle elezioni europee, non leggo nomi di persone che ammiro. Forse è soltanto matematica: ammirando poche persone è improbabile che un ammirato finisca in lista. Ma io, poi, chi ammiro? Avendo poca ammirazione a disposizione non vorrei sprecarla con un politico. Meglio un torero. Meglio Manuel Escribano, il matador andaluso che a Siviglia, durante la Feria de Abril, dopo essere stato incornato ha preteso di essere operato in anestesia locale per tornare dopo sole due ore nella plaza de toros. Con la divisa de oro distrutta e i pantaloni rimediati. Nuovamente inginocchiato davanti alla buia porta dei tori, soltanto il mantello rosso fra il corpo martoriato e le corna affilate. Un eroe della cultura al cospetto della natura. La tauromachia come opposto della democrazia: non numero, valore. Manuel Escribano come grande uomo e dunque uomo che non andrà a Bruxelles. Resterà in Andalusia a insegnare lo stile e il coraggio e l’importanza di farsi il segno della croce nei momenti cruciali.

Camillo Langone __da IL FOGLIO

 

torero