A proposito di imbecilli…

Fernando Savater
Sugli Imbecilli  .Etica per un figlio.

 

Il senso della vita
Lo sai qual è l’unico dovere che abbiamo nella vita? Quello di non essere imbecilli. Ma non ti credere, la parola “imbecille” è più sostanziosa di quello che sembra. Viene dal latino baculus, che significa ” bastone”, e l’imbecille è chi ha bisogno del bastone per camminare. Non vogliamo offendere gli zoppi o i vecchietti, perché il bastone a cui ci riferiamo non è quello che si usa, molto giustamente, per sostenersi e che aiuta a camminare un corpo danneggiato da un incidente o indebolito dall’età. L’imbecille può essere agilissimo e saltare come una gazzella alle olimpiadi. Non si tratta di questo, perché è uno che non zoppica nei piedi, ma nell’animo: è il suo spirito che è debole e zoppetto, anche se il suo corpo fa giravolte di prima classe.
Esistono vari tipi di imbecilli, a scelta:

Quello che crede di non volere nulla, dice che tutto gli è indifferente, e non fa altro che sbadigliare o dormicchiare anche se tiene gli occhi aperti e non russa.
Quello che crede di volere tutto, la prima cosa che gli capita davanti e il suo contrario: andare via e restare, ballare e rimanere seduto, mangiare l’aglio e dare baci sublimi, tutto in una volta.
Quello che non sa che cosa vuole e non si disturba a cercare di capirlo. Imita i desideri di chi gli sta vicino oppure sostiene il contrario “perché si” ,e tutto quello che fa è dettato dall’opinione della maggioranza tra quelli che lo circondano: è conformista senza averci riflettuto o ribelle senza motivo.
Quello che sa di volere, sa ciò che vuole e, più o meno, sa anche perché, ma senza energia, è pauroso o debole. Alla fine si ritrova sempre a fare quello che non vuole e rimanda a domani quello che vuole, sperando di essere un po’ più convinto.
Quello che vuole con forza, è aggressivo, non si ferma davanti a niente, ma sbaglia nel giudicare la realtà, si lascia depistare completamente e finisce per scambiare per benessere ciò che lo distrugge.

Ciascuno di questi tipi di imbecillità ha bisogno di un bastone, ossia di appoggiarsi a qualcosa d’altro, qualcosa di esterno che non ha nulla a che vedere con la libertà. Devo dirti pure che gli imbecilli in genere finiscono piuttosto male, checché ne dica la gente. Quando dico che “finiscono male” non voglio dire che li mettono in carcere o che sono inceneriti da un fulmine (questo capita solo nei film), voglio dire che in genere si mettono da soli i bastoni fra le ruote e non riescono mai a star bene nella vita, che è quello che interessa tanto a noi due. Però ti devo anche informare di una cosa: qualche sintomo di imbecillità ce l’abbiamo tutti; e dai, io perlomeno li scopro un giorno sì e l’altro pure, spero che le cose a te vadano meglio… In conclusione: allerta! in guardia! l’imbecillità è in agguato e non perdona!

Da “Vieni fuori, Grillo parlante”

imbecillità

Il ventaglio…

Un monaco domandò al maestro Tung-shan (807-869): “Come posso evitare il caldo e il freddo?”
Il maestro rispose: “Perché non ti trasferisci là dove non fa né caldo né freddo?”
“E dov’è questo posto?”
Disse Tung-shan: “La dove, quando fa caldo, il monaco si sventola e, quando fa freddo, il monaco si riscalda”.

Questo posto è esattamente là dove ci troviamo, là dove, quando fa caldo, si cerca il fresco e, quando fa freddo, si cerca il caldo. La nostra azione fa sì che si attenuino le oscillazioni estreme e ci si mantenga in una zona di centro, in una situazione di equilibrio naturale. Un altro maestro dichiarò che lo Zen consiste “nel riscaldarsi quando fa freddo e nello sventolarsi quando fa caldo.” Qui “caldo” e “freddo” rappresentano tutti i contrasti della natura, che vengono per così dire armonizzati nel “luogo” dello spirito. Non si tratta di diventare indifferenti, ma di recuperare quel baricentro che é ugualmente lontano da tutti gli estremi.

ventaglio

Lo sai che i papaveri…

Per mia fortuna ho potuto vivere lunghi periodi in campagna durante la mia infanzia e giovinezza. Durante la guerra la mamma ed io ci eravamo trasferite nella grande casa di papa in campagna e ho potuto così godere della bellezza dei campi estivi che venivano colorati dai papaveri. Parlo al passato perchè è raro vedere oggi tanti papaveri insieme. I diserbanti li distruggono per non inquinare di erbacce le graminacee, che creerebbero non pochi problemi alle grandi mietitrebbia, ma creandone ben altri all’ambiente. Sono fiori bellissimi e tra la mia erba rustica crescono ancora papaveri e qualche fiordaliso, la cui naturale bellezza non ha nulla da invidiare ai perfetti tappeti inglesi, tanto belli quanto avvelenati.

papaveri 2

Il papavero è una pianta perenne che cresce spontaneamente sia nei campi coltivati che ai margini delle strade. Fiorisce da maggio a settembre ed in una sola stagione riesce a produrre anche 400 fiori e può raggiungere anche gli 80 centimetri di altezza .I fiori hanno un bellissimo coloro rosso con all’interno un “bottone” nero e le loro foglie ed il loro fusto si caratterizzano per una peluria sottile.

Gli antichi greci ritenevano il papavero simbolo dell’oblio e del sonno, per gli antichi romani era il simbolo della dea Cerere raffigurata con ghirlande, mentre nel Medioevo era associato al sacrificio di Cristo. La bellezza dei papaveri incantò non pochi artisti, come Van Gogh, Klimt e Monet, che li trasformarono in soggetto floreale dei loro quadri.
I papaveri sono, oggi, divenuti simbolo della libertà, infatti in Inghilterra, essi vengono utilizzati per ricordare le vittime della Prima e della Seconda Guerra Mondiale ed in Italia innumerevoli sono i riferimenti ai papaveri come simbolo di libertà: De Andrè  ne La guerra di Piero, parla di “mille papaveri rossi” a fare la guardia alla tomba di Piero ed al periodo della Resistenza risale l’usanza di apporre sulle tombe dei partigiani un fiore di papavero.
Poichè il papavero cresce ovunque, ma se colto appassisce subito. E’ bello associarlo quindi alla libertà, perché non può essere “imprigionato” ,e costretto, si lascia morire.

proserpina
Leggenda antica sui papaveri

Si narra che un giorno, nel mese di giugno Proserpina, la bellissima figlia di Giove e della dea della Terra, mentre coglieva fiori in un prato di Sicilia fu rapita da Plutone, dio degli inferi, che volle farla sua sposa.

Quando la madre Demetra venne a sapere che la figlia avrebbe trascorso il resto dell’esistenza nel mondo sotterraneo si disperò e corse a chiedere aiuto a Giove che però non fece nulla, cercando addirittura di incoraggiare l’unione della figlia che sarebbe diventata regina.
Demetra in preda al dolore decise di non occuparsi più per la Terra. A quel punto Giove, preoccupato della morte delle creature, convinse Plutone a lasciar tornare Proserpina per almeno sei mesi ogni anno.
Così fu e leggenda vuole che quando la regina ritorna sulla terra sbocciano i papaveri che con il loro colore rosso, ricordano alla dea la passione dello sposo che l’aspetta negli inferi.

Una nuvola innamorata…

Una nuvola nacque al centro di una grande tempesta sul Mar Mediterraneo,ma non ebbe neppure il tempo di crescere: un forte vento sospinse tutte le nubi verso l’Africa.
Appena arrivarono sul continente, il clima mutò: nel cielo brillava un sole vigoroso e , laggiu in basso si stendeva la sabbia dorata del Sahara, ma il vento continuò a soffiare, spingendo le nubi verso le foreste del Sud,poichè nel deserto non piove quasi mai.
Ma le giovani nuvole  a volte sono come i ragazzi, curiosi , in crescita, ribelli, e cosi  la nube decise di allontanarsi dai genitori e dalle amiche piu anziane per conoscere il mondo.
” Che cosa stai facendo?” la rimproverò il vento. “il deserto è tutto uguale! Rientra subito con noi, ci dirigiamo verso l’Africa, dove ci sono montagne ed alberi meravigliosi”
Ma, ribelle per natura, la giovana nube si abbassò planando come una brezza dolce e generosa fin sopra le sabbie dorate. Notò che una duna le stava sorridendo. “Buongiorno” disse “come si vive laggiu in basso?”
“Beh in compagnia delle altre dune,del sole e del vento, talvolta c’è un grande caldo,ma  sopportiamo.  Come si vive lassù?”
“Anche qui ci sono il sole e il vento, ma io posso passeggiare nel cielo e conoscere tante cose”
” Per me la vita è breve” disse la duna “quando il vento tornerà dalle foreste io scomparirò”
“E questo ti rattrista?”
“Beh, mi pare di non servire a niente”
“Anche io vivo qualcosa di simile. Appena arriverà un nuovo vento, verrò spinta verso sud e mi trasformerò in pioggia. Eppure, questo è il mio destino”
La duna esitò per qualche attimo poi disse: ” Sai che qui nel deserto,la pioggia viene chiamata ‘paradiso’?”
“Non sapevo che mi sarei trasformata in qualcosa di così importante” disse la nuvola , gonfiandosi per l’orgoglio.
“Le dune piu vecchie narrano che dopo la pioggia ci ricopriamo di erba e fiori. Ma io non so se sarò così fortunata da vivere questa emozione, poichè nel deserto piove assai di rado”
La nuvola  esitò un attimo,poi si apri’ in un sorriso e disse: “Se vuoi, posso inondarti di pioggia. Ti conosco da poco  ma mi sono  innamorata di te e vorrei restare qui per sempre”
“Anch’io mi sono innamorata di te appena ti ho vista  in cielo” replicò la duna “ma se tramuterai in pioggia la tua bella chioma bianca,finirai per morire”
“L’amore non muore mai” disse la nuvola. “si trasforma, e io voglio mostrarti il paradiso”
Poi incominciò ad accarezzare la duna con piccole gocce. Rimasero unite per lungo tempo, finchè apparve un arcobaleno. Il giorno dopo,la piccola duna era ricoperta di fiori. Le nuvole dirette verso il centro dell’Africa pensarono che quello fosse un piccolo lembo della foresta di cui erano in cerca e riversarono altra pioggia. Vent’anni dopo la duna si era trasformata in un’oasi che ristorava i viaggiatori con l’ombra dei suoi alberi.
E questo perchè, un giorno, una nuvola innamorata non aveva esitato a dare la propria vita per amore.

La Speranza e la sua storia…

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Un giorno giunse al mondo la Speranza, e il Padre della Vita la guardò con grande tristezza, dicendole:

Sei figlia degli uomini e come tale non ti rinnegherò, ma il tuo canto molto male farà.

Rispose la Speranza:

Padre, sono adorna di candide vesti, e il mio canto è dolce più del miele. Non sarò certamente io a far del male ai tuoi figli, se essi useranno con moderazione i miei sogni.

Speranza, nel tuo dire riconosco le tue malefiche intenzioni, tu sai bene quanto è doloroso il cammino dell’uomo, e conosci anche la sua spasmodica ricerca di sollievo. Come può un uomo immerso nella sofferenza possedere lucidità e moderazione. Tu sei giunta per arrecare dolore, ma sappi che non esiste in vita elemento che sfugga al controllo superiore della vita stessa.
Seppur le tue intenzioni sono buie come la più nera delle notti, grazie a te molti uomini apriranno gli occhi alla vita. Il tuo meschino gioco sortirà l’effetto contrario, l’uomo ti riconoscerà per quel che sei, e quel giorno tu non avrai più ragione di esistere e pertanto ti dissolverai.

Padre, so che sei il creatore di tutto e che le tue parole sono legge, ma ti prego non mi lasciar morire anche io ti son figlia, lasciami una Speranza?

Speranza proprio tu che uccidi senza lasciar scampo, mi chiedi di darti una speranza?
Ed io ti dico che morirai come danno, e risorgerai al vivere come figlia della luce. Quando l’uomo avrà superato il tuo inganno ti vedrà per quello che invero sei.
Già posso scorgere la tua sconfitta, ma prima che ciò accada molti valorosi perderanno la loro vita, accecati dalle tue false promesse. Io raccoglierò goccia a goccia il sangue che tu avrai fatto versare ai miei figli, e il loro sacrificio non resterà vano, il loro dolore sarà l’unguento che sanerà i primi figli che ti vedranno per quello che sei. E per loro mano tu sarai sconfitta.
Speranza sei bella come un raggio di sole, ma sei una figlia disonesta, come tale non godrai della mia benevolenza finché mentirai e ucciderai.

Padre mio ti prego.

Disse nella più completa disperazione la speranza.

Non scagliare contro di me la tua ira, che colpa ne ho, se sono così.

Proprio in virtù di ciò, ti dico che conserverò in parte la tua essenza, ed un giorno quando l’uomo avrà riconosciuto il tuo inganno io ti concederò di unirti al vivere.
Inizia a contare le tue ultime ore come nefasta creatura, un altro uomo ha scoperto il tuo inganno e molti ancora ti vedranno per quello che sei, spoglia del tuo abito candido, mostri un corpo devastato e corroso dal tempo.
Speranza tu inietti negli animi il più lento e mortale dei veleni, accechi le tue prede conducendole sino alla fine del loro cammino.
A quel punto non saprei chi di loro potrà dirsi fortunato, colui che morirà accecato, o chi comprenderà l’inganno un attimo prima.
Figlia dell’uomo da lui generata, ricorda nulla di ciò che nasce ha un fine diverso da quello che Io ho stabilito.

Non sono responsabile della mia malefica natura, son venuta al vivere innocente come un agnello, non farmi pertanto pagare le pene della tua ira, anche io ti sono figlia, dammi una speranza.