Il bello di dubitare e quelle certezze che fanno paura…

 

Odio le certezze, non perché non ne abbia alcuna, ma perché, oggi, pare che solo chi è perentorio sia degno di attenzione e di stima. Odio i punti esclamativi, non perché non li utilizzi mai, al contrario, ci sono cose che vanno dette e ripetute, e l’unico modo per farsi ascoltare, talvolta, è alzare leggermente il tono della voce, ma oggi se ne abusa, chiunque si sente in dovere di dire la sua, e i post e i tweet sono un susseguirsi di maiuscole e punti esclamativi. Odio l’assenza di dubbio, non perché si debba sempre e solo dubitare, ma perché senza dubbi il pensiero non evolve; senza dubbi ci si incastra nel presente e si cancella qualunque alterità. Oggi, sembra che le sfumature siano un indice di superficialità, mentre la superficialità si esprime nelle prese di posizione nette, quando ci si illude che il bene sia tutto da una parte e si ignorano le zone grigie della verità, quella che non è fatta solo di “sì” e “no” – non credo che sia questo il messaggio del Vangelo – che spesso e volentieri si cita a casaccio intimando a chi ci è di fronte di schierarsi da una parte oppure dall’altra: «non è possibile restare in mezzo, devi schierarti! Devi decidere!! Devi scegliere!!!». Il “sì” e il “no” del Vangelo non spingono al fanatismo, suggeriscono solamente la necessità di agire in accordo con le parole, il bisogno di non contraddire quello che si dice con ciò che si fa. È una questione di onestà, ancor più che di coerenza, visto che nessun essere umano può essere coerente da cima a fondo, siamo tutte e tutti attraversati da un desiderio opaco. Un tempo lo si sapeva e lo si insegnava che il cuore pulsante del pensiero era nei punti interrogativi. Come il Professor Bellavista, l’alter ego di Luciano De Crescenzo, che dopo aver disegnato alla lavagna un punto esclamativo e un punto interrogativo si rivolge ai suoi alunni e alle sue alunne e spiega: «Quando voi incontrate una persona che ha dei dubbi state tranquilli, vuol dire che è una brava persona, vuol dire che è democratico, che è tollerante, quando invece incontrate quelli che hanno le certezze, la fede incrollabile, e allora statev’ accuort, vi dovete mettere paura, perché ricordatevi quello che vi dico: la fede è violenza, la fede in qualsiasi cosa è sempre violenza». E, ovviamente, non si tratta di scardinare la morale o di contestare la fede religiosa, ma di educare al rispetto e mettere in guardia dai fanatismi, che sono da sempre all’origine delle guerre e dei massacri, e che nonostante le tragedie del passato ci spingono talvolta a riprodurre gli stessi errori. Il pensiero nasce sempre dal dialogo e dal confronto: si cambia idea e si fanno progressi, e il fatto di modificare il proprio punto di vista è sempre un sinonimo di intelligenza e di sensibilità. Peccato che le incertezze e le sfumature, oggi, non vadano di moda, e che persino il non reagire immediatamente di fronte a un evento venga letto come indifferenza o codardia, mentre di coraggio ce ne vuole tanto per riflettere, e la vera indifferenza è quella che spinge a schierarsi senza alcun indugio, subito prima di passare ad altro: tanto la mia l’ho detta, che bisogno c’ho di rifletterci ancora?

Michela Marzano,La STAMPA

dubbio

L’alibi per l’uomo cattivo non può essere quasi sempre il mal di vivere…

La violenza è all’ordine del giorno un po’ ovunque. Almeno da quanto si sente dai notiziari.
La domanda che sorge è ovvia: perchè alcuni abusano dei loro simili?
Mi piace ricordare Martin Luther King quando disse:
“Abbiamo imparato a volare come gli uccelli,a nuotare come i pesci,
ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli.” Una constatazione che nasconde una sottile rassegnazione, alla quale  contrappongo un aneddoto che riporta l’ intuizione semplice ma efficace di una bimba:

Alessio, tre anni:
“Raccontami la storia del lupo cattivo”.
Lisa, dieci anni:
“Ma no, non esistono lupi cattivi, ci sono solo lupi infelici”.

Si tratta solo, dunque, di mal di vivere? Sarebbe questa l’alibi del cattivo. Ammesso che lo sia, anche il mal di vivere avrà un motivo, una causa che lo provoca. Questo dovrebbe essere il primo e importante impegno che ogni uomo dovrebbe prendere per fare in modo di scoprire dove stanno le radici di questo mal di vivere, dove e come la nostra società ne sia responsabile e cercare un rimedio al più presto. Basta violenze, suprusi, basta morti senza senso perchè oggi , anche la più piccola delusione, diventa mal di vivere. Incominciamo a capire, allontanando da noi ogni orgoglio, ogni egoismo, impariamo a conoscerci meglio e a riconoscere il bello e il buono, che c’è in ognuno e forse dimenticheremo quella violenza, che oggi impera, e non risolve nulla.

mal di vivere

Non era così brutta l’Italia del dopoguerra. No era bellissima…

Ma era così brutta, odiosa e maschilista l’Italia dell’immediato dopoguerra, quando c’erano ancora i soldati americani per le strade?
Ho visto il film di Paola Cortellesi, C’è ancora un domani, che primeggia nelle sale e gode di giudizi largamente positivi. Confesso che da amante del cinema sto diradando la mia assidua frequentazione delle sale perché non riesco a sopportare più gli ingredienti obbligati che dominano i film e li rendono scontati, stucchevoli. Non c’è storia di vita e d’amore che non ruoti intorno al gender, al femminismo e all’omosessualità, o che ne abbia almeno una dose d’obbligo; non c’è storia di popoli che non ruoti intorno al razzismo, al vittimismo o che non abbia almeno una figura positiva di nero, di arabo, di immigrato; non c’è film di guerra che non ruoti intorno al male nazista o contro il fascismo; tutto il resto della storia è cancellato. E potrei continuare. Non c’è evento storico, personaggio famoso, artista o scienziato, che al cinema non sia ripassato in padella attraverso quei canoni obbligati, a volte assommandoli tutti.
Il film della Cortellesi già in partenza mostrava alcuni di questi requisiti ma era piaciuto ad amici e familiari e ciò mi ha spinto a vederlo. Confermo che è un bel film, ben fatto e ben interpretato. Salvo qualche luogo comune sui maschi, sulle donne, sui neri (il soldato americano buono è naturalmente nero). Quel che critico è la riduzione del passato a uno schema manicheo secondo un pregiudizio del presente. Si può davvero rappresentare quel tempo, quel mondo, quell’umanità attraverso la storia di un marito violento che mortifica sua moglie, in una società patriarcale e maschilista in cui le donne devono tacere e sono considerate inferiori? Quel mondo, quella generazione è quella dei nostri padri, delle nostre madri, dei nostri nonni. E non erano dei mostri, anzi. Che in quella società avesse una forte preminenza maschile il pater familias, è vero e le ragioni sono antiche e comprensibili: quando era il padre a portare i soldi e il pane a casa, quando i maschi andavano in guerra e avevano la responsabilità delle famiglie, la società reggeva su quella divisione di ruoli e di gerarchie. La famiglia era una piccola monarchia. Anche se non mancavano famiglie matriarcali, in cui era la donna a guidare la famiglia e il marito. Quel modello maschile rispondeva allo spirito del tempo, alla situazione reale, ed era vissuto in larga parte in modo consensuale, e non solo per rassegnazione. Per un marito che malmenava e umiliava la sua donna, c’erano dieci padri e mariti premurosi che si sacrificavano per la famiglia, come le madri; in cui era saldo l’amore, la dedizione, il riconoscimento reciproco; gran parte delle famiglie non reggevano sulla paura del padre. Le donne, andando meno a scuola, al lavoro, in pubblico, erano su un piano inferiore rispetto ai maschi. Poi le condizioni sono cambiate; di quel mondo abbiamo perso alcune odiose disparità e certi deplorevoli vizi ma abbiamo perduto anche generosità, doti e virtù. Quella era una più viva umanità, con legami più forti e più duraturi, non solo per necessità; un senso della famiglia e della comunità; c’era un’energia vitale, una forza di vivere, una gioia per le minime cose, un’aspettativa di domani che oggi non abbiamo più. Quando ci confrontiamo col passato non dimentichiamo che dobbiamo calarci in un periodo storico che aveva altri termini di paragone. E dobbiamo saper riconoscere quel che abbiamo guadagnato ma anche quel che abbiamo perduto rispetto a quel tempo. Nell’immediato dopoguerra c’era una voglia di vivere, la passione di costruire, far nascere, che oggi non abbiamo più. L’umanità non era fatta solo di mariti violenti, di parassiti, di “cravattari”(usurai), di cafoni arricchiti in modo disonesto, di puttanieri, come ce li rappresenta il film, salvo alcune figure virtuose (tutte donne, naturalmente, oltre il soldato di colore). E poi, per la verità storica, le peggiori violenze che subirono le donne in quegli anni non furono in casa ma per strada. Pensate alle migliaia di donne “marocchinate”, cioè stuprate dai soldati di colore delle truppe alleate; o pensate all’orrenda prostituzione per fame di mogli, madri e figlie anche minori, narrata da Curcio Malaparte ne La Pelle o descritta nel diario Quasi una vita di Corrado Alvaro, ora ristampato.
Il film dà al voto alle donne per la prima volta il significato di una liberazione e una svolta epocale. Vorrei ricordare che il voto alle donne fu determinante per sconfiggere il fronte progressista e socialcomunista, perché le donne votarono in larga maggioranza nel nome di Dio e del parroco, alla Democrazia cristiana. E in alcune zone d’Italia, soprattutto al centro-nord, la prima trasgressione delle mogli rispetto ai loro mariti fu il loro voto cattolico, familista e conservatore rispetto ai mariti che votavano per Baffone (Stalin era il loro mito) e per la sinistra socialcomunista.
Vorrei poi far notare che quella società così maschilista registrava meno femminicidi di quella odierna: dopo tutta l’ondata di femminismo, parità delle donne, lotta contro le violenze alle donne, il risultato è davvero scoraggiante.
Insomma, un film è un film e non un saggio storico o un trattato sociologico e antropologico, è inevitabile che racconti una storia particolare da un punto di vista particolare. Ma è sconfortante che il punto di vista sia sempre lo stesso e i casi raccontati siano sempre in quella direzione.

 Marcello Veneziani                                                                                                         

Una dedica per tutti (o quasi)…

 

“A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari,
a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore,
a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche
agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali,
ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…
a tutti i teatranti.”

Miguel de Ivan Cervantes, “Don Chisciotte”

 

don Chisciotte

Perchè i bambini giocano alla guerra…

 

I bambini giocano alla guerra.
E’ raro che giochino alla pace
perché gli adulti
da sempre fanno la guerra,
tu fai “pum” e ridi;
il soldato spara
e un altro uomo
non ride più.
E’ la guerra.
C’è un altro gioco
da inventare:
far sorridere il mondo,
non farlo piangere.
Pace vuol dire
che non a tutti piace
lo stesso gioco,
che i tuoi giocattoli
piacciono anche
agli altri bimbi
che spesso non ne hanno,
perché ne hai troppi tu;
che i disegni degli altri bambini
non sono dei pasticci;
che la tua mamma
non è solo tutta tua;
che tutti i bambini
sono tuoi amici.
E pace è ancora
non avere fame
non avere freddo
non avere paura.

Bertold Brecht

La poesia di Brecht, come si può comprendere anche in “i bambini giocano alla guerra”, vuole farci riflettere sulla realtà sociale e politica. La grande rivoluzione di Brecht fu quella di produrre una poesia marxista rivoluzionaria ,la critica della società borghese, capitalista. Il pubblico attraverso la poesia doveva poter prendere coscienza delle grandi contraddizioni della società. I conflitti sociali, la povertà, le contrapposizioni di ceto, la guerra, e così via, liberandosi dalle catene imposte dalla società. Giusto o sbagliato si interpreti il pensiero di Brecht, egli contribuì ad un’idea diversa del teatro e della poesia. Pertanto merita attenzione e soprattutto di essere letto con attenzione. Infatti scrive “è raro che giochino alla pace, perché gli adulti da sempre fanno la guerra”. Brecht cerca di farci riflettere su quello che, a volte, scambiamo come normale, anche il semplice “pum” durante un gioco. Quello sparo che, da un’altra parte del mondo, sta uccidendo qualcuno.
Educare un bambino alla pace non è una cosa semplice , significa insegare la condivisione, il rispetto, l’apertura mentale. Significa saper condividere l’amore, saper insegnare il concetto di amicizia e di famiglia. E, purtroppo, in molti posti nel mondo dove sono prioritari , discriminazioni, violenze, fame e sofferenza questi valori diventano poco o niente importanti.

bambini giocano guerra1

Alla ricerca di me….

Cerco nei libri la lettera, anche solo la frase che è stata scritta per me e che perciò sottolineo, ricopio, estraggo e porto via. Non mi basta che il libro sia avvincente, celebrato, né che sia un classico: se non sono anch’io un pezzo dell’idiota di Dostoevskij, la mia lettura è vana. Perché il libro, anche il sacro, appartiene a chi lo legge e non per il diritto ottenuto con l’acquisto. Perché ogni lettore pretende che in un rotolo di libro ci sia qualcosa scritto su di lui.

Erri De Luca – Alzaia

 

donna che legge

Conosci te stesso, ovvero la tua libertà.

 

La massima che Socrate pose a fondamento del suo filosofare, “Conosci te stesso”, con quel suo ammonire a conoscere la propria identità, ci insegna che noi in prima battuta non conosciamo chi siamo. Se ci fermiamo all’identità non scelta ma consegnataci dalla sorte corriamo il rischio di essere degli idioti; se però disprezziamo questa identità corriamo il rischio di non avere più né radici né sapore, oltre a tradire le nostre origini.

Si tratta quindi di elaborare criticamente il processo di identificazione, mettendo a confronto ciò che non abbiamo scelto per noi ma ci è stato consegnato dalla vita, con ciò che noi scegliamo e vogliamo per noi e rendiamo autenticamente nostro. Questo è il lavoro di un essere umano su se stesso, il lavoro interiore, il lavoro più prezioso. Esso conferisce un’identità il cui nome è libertà.

Vito Mancuso

identità

Dopo il tramonto è sera ad Occidente…

Il tramonto dell’Occidente è alle nostre spalle. Viviamo ormai da tempo la sera dell’Occidente, e cresce il timore della notte che verrà. L’invasione russa in Ucraina, il conflitto in Israele e Palestina, e la percezione netta che il pensiero dominante in Occidente – che pure si configura come Pensiero Unico e globale sia in realtà minoritario nel mondo – accrescono la sensazione di un Occidente assediato, circondato e isolato.
L’Occidente vede all’orizzonte, oltre la minaccia islamista, inquietanti ombre cinesi e persiane, turche e russe, flussi migratori arabi e africani; avverte che pure l’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Onu, non sincronizza i suoi pensieri con l’orologio occidentale e non ne condivide le linee e i canoni. Persino nella Nato il pronunciamento di Erdogan su Israele, ha infranto la compattezza dell’Alleanza militare e mostra una larga crepa sul fronte medio-orientale.
Quel che dalle nostre parti si giudica come un attacco all’Occidente è percepito in modo opposto nel resto del mondo; la mobilitazione antirussa per l’Ucraina riguarda l’Europa e gli Stati Uniti ma non il mondo e le superpotenze asiatiche. E così per Israele, il resto del mondo non condivide la posizione filoisraeliana dei governi occidentali.
Il mondo ha una visuale diversa rispetto a quella occidentale, ha priorità e giudizi differenti, ma soprattutto ha interessi geopolitici, economici e strategici opposti. L’annuncio del Nuovo Ordine Mondiale con cui si aprì la nostra era, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la crisi del Golfo, è ormai un ricordo sepolto nel passato, oggi improponibile. L’idea che gli Stati Uniti siano i gendarmi del mondo, la Superpotenza che stabilisce il diritto e la sua negazione, che sancisce la linea di confine tra stati canaglia e stati democratici, è ormai largamente rifiutata e superata. Ogni pronunciamento euro-americano s’infrange rispetto ai quattro quinti del pianeta, a partire dal Brics, la famosa intesa tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica che in realtà è già estesa di fatto a una trentina di paesi.
Dire Occidente è una categoria approssimativa se non sbagliata, perché significa non considerare già in casa propria il cammino divergente della sua parte più popolosa, l’America Latina; dal Brasile alle tentazioni populiste e peroniste, sono forti i conati AntiUsa nel sud America. L’Occidentalizzazione del mondo di cui scriveva Serge Latouche pochi anni fa è ormai nel suo girone di ritorno; dire globalizzazione oggi vuol dire più asiatizzazione dei mercati e africanizzazione dei popoli che estensione del modello americano-occidentale al pianeta. Resistono “isole” ancora legate al mondo occidentale, come il Giappone e l’Australia; ma alla fine quel che ci ostiniamo ancora a considerare come lo Spirito del Mondo e lo Spirito del Tempo (Zeitgeist e Weltgeist) in realtà riguarda solo l’America del nord, il Canada e l’Europa. Una fetta minoritaria del pianeta, un abitante su dieci.
C’è da chiedersi se l’aver interpretato l’invasione in Ucraina e il conflitto in Israele come attacchi all’Occidente, siano stati un segno di lucida prevenzione o un grave errore strategico, militare e politico. Perché l’attacco all’Ucraina, in realtà, è stato un tentativo della Russia di riprendere il controllo della sua antica area imperiale d’influenza, senza insidiare l’Europa o minacciare l’Occidente; semmai temeva che le basi Nato puntate dall’Ucraina sui suoi confini fossero al contrario una minaccia per Mosca. E l’attacco sferrato da Hamas contro Israele non è nato come l’attacco dell’Islam all’Occidente; rischia di diventarlo adesso, dopo il pronunciamento netto degli Usa e dell’Europa a fianco d’Israele, anziché porsi come garanti del diritto dei due popoli ai due stati e la ferma condanna degli orrori e degli stermini ai danni delle popolazioni civili di ambo le parti.
La dichiarazione ripetuta che l’invasione dell’Ucraina come il massacro d’Israele fossero due attacchi all’Occidente acuisce anziché frenare la tensione antioccidentale del mondo; ci dichiara già schierati, cobelligeranti, in attesa di esserlo a tutti gli effetti.
Dall’altra parte, cresce all’interno dell’Occidente una spina nel fianco sempre più lacerante. Prendendo lo spunto dalla sacrosanta istanza di difendere il diritto alla vita di tutti i popoli, la pace e l’umanità, il movimento che scende in piazza contro Israele rischia di diventare un nemico interno dell’Occidente, rafforzato da migranti arabi e neri radicalizzati che inneggiano ad Hamas e all’anticolonialismo. Anche perché questo movimento che si dichiara pacifista e umanitario trae spunto dall’ideologia del disprezzo e della vergogna per la nostra civiltà occidentale, alimentata dai tanti cavalli di Troia: Woke, Black lives matter, cancel culture e tanto odio per la nostra identità, storia, tradizione e religione.
Così l’Occidente dichiara guerra preventiva alle ombre sparse nel mondo, mobilita la fabbrica dell’informazione e della propaganda per dotarsi di un racconto unilaterale; ma patisce al suo interno questa spinta masochista e antioccidentale, sotto le bandiere del pacifismo umanitario.
Così viviamo il paradosso occidentale che mentre va perdendo la sua civiltà e identità, si fa inclusivo e rigetta i suoi stessi confini, pretende poi di difendere il suo ruolo e la sua potenza arbitrale nel mondo. Una specie di Occidente artificiale, come l’intelligenza, privato ormai di una consistenza di civiltà, che vede nemici dappertutto meno quelli che crescono dentro, in casa propria. Ecco l’Occidente a cui “si fa notte innanzi sera”.

Marcello Veneziani                                                                                                                

Gli uomini che mi piacciono…

 

Mi piacciono gli uomini, quelli che non urlano le proprie ragioni.
Le fanno valere, in silenzio, dignitosamente.
Mi piacciono gli uomini, che usano le mani,per accarezzare.
Mi piacciono gli uomini che usano
le braccia per proteggere
e la forza ce la mettono tutta,
solo per risollevarti il cuore.
Mi piacciono gli uomini che si imbarazzano,ma scelgono sempre una rosa per farsi perdonare.
Mi piacciono gli uomini che sorprendono,con un bacio in un mare di affanni.Che ti tengono stretta da dietro, senza farti mai male.
Che si arrabbiano ma solo per paura
che tu possa decidere di non restare. Mi piacciono gli uomini che hanno coraggio d’amare una donna.
Semplicemente.

Daniela Sasso

 

uomini che piacciono

Generazione Z ragazzi orfani della famiglia…

 

Come non condividere un articolo come  questo, quando si è attenti ai nostri giovani ragazzi, che vediamo crescere senza quell’entusiasmo della gioventù, che per moltissimo tempo , ha caratterizzato , prima i nostri occhi, ormai vecchi e stanchi, quelli dei nostri figli che volevamo tutti avessero una vita migliore di chi aveva passato la guerra, noi.  Tuttavia con sforzo e determinazione siamo riusciti a vivere il periodo migliore dell’Italia ed ora siamo preoccupati per i nostri nipoti e pronipoti.

Gen Z

Generazione Z ragazzi orfani della famiglia

Da la STAMPA