Un giubileo che mi è parso quasi un funerale…

 

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 Condivido questo articolo di  Marcello Veneziani sul Giubileo reale di Elisabetta II d’Inghilterra perchè faccio mia ogni sua parola, ogni suo pensiero , tranne  un punto ;sono molto più avanti negli anni dell’autore e io l’ho vista diventare regina, dopo essere stata una principessa  nell’esercito britannico, durante la seconda guerra mondiale. Era in viaggio col marito in Kenia, giovane sposa spensierata. Quella sera, in cui , inaspettatamente cambiò improvvisamente la sua vita,  Elisabetta era salita in quella suite reale costruita sul gigantesco albero per trascorrervi la notte col principe Filippo, suo marito da poco.  Salita principessa ne scese Regina, quando la mattina trovò ad attenderla Wiston Churchill ai piedi della scaletta, volato nella notte da Londra per portarle la triste notizia che suo padre, Re Giorgio VI, era morto improvvisamente. Da allora LEI è lì anche per me, uno dei pochi punti fermi della mia vita.

Eccola l’inossidabile, intramontabile Regina Elisabetta settant’anni dopo l’incoronazione. Più regina di sempre, all’altezza della sua regalità. Merita ammirazione, incarna la Tradizione, rappresenta l’affidabile sicurezza della Monarchia, il filo d’oro della continuità, nei secoli fedele alla Dinastia. Dal Commonwealth alla società globale, senza scomporsi la corona e nemmeno la permanente. Lei sa bene sin dal giorno dell’incoronazione che bisogna saperla portare la corona, bisogna sapersi sacrificare, rinunciare alle proprie individuali pretese, caricarsi di responsabilità, coltivare l’impersonalità, capire l’importanza del Rito, del Simbolo, della Tradizione.

La Regina Elisabetta è l’unico punto fermo della mia vita. Perse madri, mogli, fidanzate, è lei l’unica donna della mia vita che dura ancora da sempre ed è l’unica che era sul trono già prima che nascessi. E non sono un bambino. Quando nacqui lei era già saldamente Regina da qualche anno; quando cominciai a studiare inglese si componevano le prime frasi intorno a lei, alla sua corona e all’inno regale God save the Queen. Ora ho passato da un pezzo l’età grave, tutto il mondo è cambiato e crollato, mi sono visto passare sette papi, nove presidenti, una trentina di premier e una dozzina di presidenti americani, ho visto cadere l’Urss, la Dc e perfino Andreotti, sono passato dalla lettera 22 all’i-pad, insomma è cambiato tutto. Tutto, tranne l’inquilina di Buckingam Palace. La Regina Elisabetta sta sempre lì, imbalsamata, che sfida i millenni. Mai stata bella, mai stata brutta, sempre stata regina, neutrale e regale, al di là del brutto e del bello, del buono e del cattivo, più diritta del Big Ben. La vedi e la scambi per un francobollo, non per un essere vivente. Sarà monotona, ma è lei la Regina Assoluta del Posto Fisso e non intende mollare neanche ora che viaggia oltre i 96 anni. Raggiungerà quota 100 e non andrà in pensione. Non accenna a nessuna Brexit dal mondo dei vivi.

E dire che da bambino lei mi pareva il trapassato e i Beatles il futuro: ora i Beatles, deceduti o rintronati, sono archeologia e vintage, lei è ancora in carica, for ever. E così Churchill, la Thatcher defunta o il giovane Tony Blair, ormai vecchio reperto. Loro passato remoto, lei presente perenne. Trasparente come un vetro lucidato, regalmente scialba, solo regina. Con quelle perle al collo, installate fisse come la dentiera, gli orecchini di Sua Maestà per incorniciare il suo volto. Lo sguardo in posa da sterlina. Quei vestiti color pastello, immutabili; non segue alcuna moda, piuttosto indossa l’Eterno.

Non si è scomposta nemmeno quando ha perduto Filippo, marito di spalla, adorabile babbione, una vita da mediano, un passo dietro di lei per una lunga vita. E loro figlio Carlo, orecchiante della corona, rimasto principino anche oltre l’età della pensione. Con Lady D Elisabetta rischiò il tracollo della Corona. Faceva simpatia l’umanità di Lady D., la sua voglia di vivere, le sue trasgressioni, i suoi amori, il suo sguardo dolce e inquieto da cerbiatto, il suo populismo mediatico con le sue performance progressiste. Ma la dignità di una storia, di una dinastia, di una tradizione furono salvaguardate dalla severa coerenza di una regina che regna sovrana ancora oggi. Dio salvò la Regina, non la turbolenta principessa.

L’unica Regina che la batte, non solo per via del Figlio, è la Madonna. Salve o Regina, e complimenti al Dio British, è stato di parola a salvare la Regina, insieme alla sterlina. A dir la verità questo giubileo, con lei così avanti negli anni, sembra quasi un funerale dal vivo, col morto ancora presente a ringraziare di persone per le esequie travestite da complimenti. E non sai però se alla fine il morto in pectore è la Regina, o la Monarchia britannica.

 

Perchè c’è tanta indifferenza alla festa della Repubblica in Italia? Praticamente solo una festa per le istituzioni.

Chissà  perchè gli Italiani sentono tanto poco la festa della Repubblica? Questa domanda si è sentita molto stamattina presto, quando la Radio iniziava a parlare di questo giorno, annunciando le celebrazioni a Roma, che dopo due anni sono tornate con la parata delle forze armate sui Fori Imperiali e le feste istituzionali al Quirinale a Roma. Mentre il 4 luglio gli Americani festeggiano ogni anno in modo folkloristico la festa dell’indipendenza, mentre i Francesi si scatenano sui boulevards ogni 14 luglio cantando aa squarciagola la marsigliese, gli italiani trascorrono un giorno di festa qualunque, felici perchè questo è un giorno di vacanza in più, l’unico che la riforma delle feste nazionali e religiose di craxiana memoria abbia risparmiato. Non c’è in noi motivo di particolare allegria . “Perchè? “si chiedevano diversi giornalisti, glissando tutti , tuttavia ,sul tentativo di dare una risposta, ritenendo questo un giorno non adatto. Ebbene, il 2 giugno del 1946, io c’ero e già allora, anche se ero una bambina di 8 anni tenevo il mio diario. Risfoglio quelle pagine oggi e trovo scritto.-Da oggi non avremo più il nostro amato Re, anche se circa un milione di voti sono pochi nel numero degli elettori ,hanno fatto vincere la Repubblica, e io sono molto triste. – Questo il pensiero di una bambina, chissà quanti di tutti quegli italiani che non volevano la Repubblica , avranno avuto lo stesso pensiero, ne avranno parlato quei giorni, ma ne avranno parlato sempre a figli e nipoti e il 2 giugno sarà passato nella loro mente sempre come un giorno funesto. Chi, come me ricorda quei giorni del dopo Liberazione non ha nel cuore molti ricordi felici, solo la sconfitta dei nemici( dell’ultima ora) , la nostra sconfitta nonostante il voltafaccia italiano, la rinuncia al senso dello stato e l’inizio di quella sottomissione agli USA che ci hanno inculcato col nome di libertà, ma che l’Italia non ha mai conosciuto veramente. Questo l’inizio della nostra avventura nel disinteresse per questo giorno. Gli Italiani sono fondamentalmente monarchici e lo dimostrano i partiti di destra, che non hanno mai smesso di esistere, come molte enclaves che continuarono ad essere fedelissime del Re. Chi prese in mano l’Italia allora, i politici del tempo,che al confronto dei nostri attuali, erano statisti di grande levatura, avevano ben chiaro in testa come sfruttare il momento dell’Italia, chiusa tra il blocco Russo ai confini Iugoslavi e l’occidente. Mentre serpeggiava in Italia il fermento comunista, che insieme ai partigiani si arrogavano la salvezza dell’Italia dal Fascismo e nazismo, insieme ai soldi a palate che a questi arrivavano dalla Russia, si muovevano gli Usa invadendo prima l’Italia con le AM-Lire, poi con quella valanga di denaro che si chiamava Piano Marshall alla luce del sole italiano, che prese ad infuocarsi come mai, alimentato dalla DC, dal Clero, che, pur di contrastare una possibilissima vittoria comunista,con annessione alla Russia, si impegnarono per chè  la conquista del potere per gli anni a venire, colle buone e con le meno “buone” manovre, fosse quella da loro desiderata. E questo fin dalle prime elezioni democratiche del 1948.Mai più come allora i muri dei palazzi e delle case italiane furono ricoperte fino ai piani alti con manifesti di Stalin, i suoi baffoni ben evidenziati, falce e martello su fondo rosso a contrastare lo scudo rossocrociato della DC su sfondo azzurro.Iniziava la nostra repubblica e già erano gli Americani a proteggerci dalla Russia. Ecco perchè gli  Italiani non sentono la Festa della Repubblica, non siamo mai stati liberi veramente e questo fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989, per precipitare subito dopo sotto il giogo dell’Europa e dell’Euro, mentre gli Usa incominciarono a riscuotere quanto elargito durante la ricostruzione Europea in ogni occasi one che si presentasse a loro favore.
.Il resto è storia recente col declino completo dell’Italia caduta sempre più in mano di politici incompetenti, di una propaganda sfrenata sul passato da parte dei media, il declino della cultura, la scuola che crea somari, la politica di prepotenti che stanno al governo solo per interessi personali, senza mandato del popolo che vota ormai solo per facciata, in nome di non so quale libertà conquistata, e oggi i cittadini non vanno nelle piazze cantando Va pensiero- Noi non sentiamo questa festa della Repubblica perchè non siamo mai stati veramente liberi in una vera Repubblica democratica.

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La Pasquetta, che non c’è più…

Il bello della Pasqua era che a differenza delle altre domeniche non annunciava la mestizia leopardiana del lunedì (“diman tristezza e noia recheran l’ore”). Perché alla domenica di Pasqua seguiva il Lunedì dell’Angelo. La Santa Pasqua si faceva puttanella con la Pasquetta. La vezzosa e ovipara Pasquetta, in campagna o al mare, tra i cibi avanzati della Pasqua, più i tegami e le tielle da asporto, e il mitico cucuo (focaccia); la Pasquetta civettuola, tra camicette gonfie, corpi scoperti e prime voluttà che annunciavano l’estate. Il sole che torna sulla pelle, il contatto con la terra, per i più arditi il primo bagno a mare, tra grida disumane ed eccitazione goliardico-vascolare. Alla Pasquetta c’era una regressione infantile: si giocava al pallone, alla bandiera, a mago o libero, a tezzuare le uova e sopra tutto al ciuccio: c’erano due squadre contrapposte, una formava un serpentone di corpi intrecciati e piegati, in posa da rugby, come un lungo animale e l’altra squadra doveva montarvi sopra con la massima irruenza per far scoffolare (crollare) il ciuccio. Di solito i bestioni più obesi saltavano per ultimi, per dare al ciuccio il colpo di grazia. Se il ciuccio reggeva, vinceva la partita. Viceversa, se gli avversari toccavano terra o smontavano dal ciuccio prima che si sgriduasse (decomponesse), perdevano loro. A volte durava un tempo infinito prima che il ciuccio schinicchiasse (scricchiolasse). Una guerra di resistenza punteggiata da minacciose frasi: “Pes u’ chiumme?” (Pesa il piombo?). Risate e imprecazioni quando nel salto si squartavano i pantaloni o quando si cadeva uno sull’altro. Si andava in visibilio in caso di rumorose flatulenze digestive che tramortivano il ciuccio. La sera i più fortunati s’imboscavano con la minenna (la ragazza), gli altri si sfogavano intorno a una chitarra. E si tornava a casa svociati e contenti, ubriacati d’aria. Sazi di vita, di luce, di focacce e taralli.

Da Ritorno a sud (M V)

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Addio a una vista…mai più senza di te!

 

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 Non ce l’ho con la primavera
perché è tornata.
Non la incolpo
perché adempie come ogni anno
ai suoi doveri.
Capisco che la mia tristezza
non fermerà il verde.
Il filo d’erba, se oscilla,
è solo al vento.
Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sulle acque
abbiano di nuovo con che stormire.
Prendo atto
che la riva di un certo lago
è rimasta – come se tu vivessi ancora
bella come era.
Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.
Riesco perfino ad immaginare
che degli altri, non noi
siedano in questo momento
sul tronco rovesciato d’una betulla.
Rispetto il loro diritto
a sussurrare, ridere
e tacere felici.
Suppongo perfino
che li unisca l’amore
e che lui stringa lei
con il suo braccio vivo.
Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.
Non esigo alcun cambiamento
dalle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.
Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro
ora nere.
Una cosa non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza ci
rinuncio.
Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano.
Wislawa Zsymborska

 

Quando penso a noi… praticamente sempre.

Forse la nostra storia era destinata a durare una vita e oltre ,perché non era solo una storia d’amore. Era una storia di pioggia e di sole, di mare e di montagne, d’attesa e passione, d’amicizia e condivisione, di tempo e costruzione, di sintonia e incomprensione, di silenzi e rumore. Non era una storia d’amore. Era una storia. Con dentro l’amore. O, forse, era amore. Con dentro una storia…

 

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…e poi, all’improvviso, le farfalle!

C’è un ‘età, nella vita, i cui , se l’amore ci strizza un occhio, riconosciamo quel segnale. Infatti è solo al suo primo approccio  che rimaniamo stupefatti, con occhi incantati, come di fronte ad un quadro che non riusciamo ancora a capire perchè ci emozioni. Ora le sue leggi ci sono note, e spesso falsiamo le nostre esperienze  cercando di allontanare  ricordi spiacevoli, o riconoscendo un sintomo, facciamo nascere gli altri con la suggestione. Poichè abbiamo già danzato su quella musica, la canzone incisa nel nostro cuore, non necessita che ci venga suggerito l’inizio, perchè l’attrazione ci riporti in pista. E se uno comincia a metà, ossia là ,dove i cuori  riavvicinati parlano soltanto di sentimenti reciproci, l’abitudine che si ha  con questa musica  è quanto basta a riportarci su quella  nota dove l’altro ci aspetta.

 

 

Per non dimenticare quell’11 settembre di 20 anni fa… anche se dimenticare è impossibile.

Saltarono dai piani in fiamme, giù
…uno, due, altri ancora
più in alto, più in basso.
Una fotografia li ha colti mentre erano vivi
e ora li preserva
sopra il suolo, diretti verso il suolo.
Ognuno di loro ancora intero
con il proprio volto
e il sangue ben nascosto.
C’è ancora tempo,
perché i loro capelli siano scompigliati,
e perché chiavi e spiccioli
cadano dalle loro tasche.
Essi si trovano ancora nel reame dell’aria,
entro i luoghi
che hanno appena aperto.
Ci sono soltanto due cose che posso fare per loro
…descrivere questo volo
e non aggiungere una parola finale.

Wisława Szymborska

O New York notturna del nostro amore
così decapitata, ogni tua luce
è stata il vagito della nostra poesia.
Tu non puoi morire quando sogni
poiché noi italiani ti abbiamo
cullato tra le nostre braccia.
Penso che l’amore sia una grande torre
una torre addormentata nel cuore della notte.
Ma questi giganti che ormai non parlano più
hanno sepolto sotto le loro macerie
anche i nostri sospiri d’amore,
”quando la sera si stendeva sopra un tavolo
come un paziente in preda alla narcosi.

Alda Merini

 

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Quell’11 settembre colla distruzione delle Torri Gemelle fini un’era, quella delle certezza e della sicurezza e si apri un mondo nuovo, il mondo che viviamo pieno di incertezze , di paura e insicurezza, un mondo di tecnologia, di globalizzazione dove il potere è tutto incentrato nel Denaro e chi ne vive a contatto può fare il bello e i cattivo tempo del mondo intero e disporre dell’umanità suo piacimento..

Con parole come queste, mi chiedesti di aspettarti quel tempo che potessi amarti anch’io. Ero poco più di una ragazzina; tu l’uomo di una vita intera…

Ti ho attesa da sempre
eri nel volto di ogni donna
all’angolo di ogni via
eri la sabbia che brucia la pelle
il vento d’aprile
la pioggia dell’ultimo dell’anno
eri nei libri che ho comprato
nei findus dei tempi neri
nelle case che ho attraversato
nelle cose che ho scritto e che ho strappate
eri con me all’osteria e al supermarket
nei giorni che la vita se ne andava
e in quelli che, come il mare, tornava
eri la luna
una sonata per piano di schumann
un occhio di lince
la posidonia che tenera s’avvinghia
le albe che venivano dopo l’insonnia
eri sempre là dove t’aspettavo
eri la pelle di cui non si può fare a meno
eri nelle cose e dentro di me
ti ho attesa da sempre

Luther Blissett

ti ho attesa da sempre

Lo sai che i papaveri…

Per mia fortuna ho potuto vivere lunghi periodi in campagna durante la mia infanzia e giovinezza. Durante la guerra la mamma ed io ci eravamo trasferite nella grande casa di papa in campagna e ho potuto così godere della bellezza dei campi estivi che venivano colorati dai papaveri. Parlo al passato perchè è raro vedere oggi tanti papaveri insieme. I diserbanti li distruggono per non inquinare di erbacce le graminacee, che creerebbero non pochi problemi alle grandi mietitrebbia, ma creandone ben altri all’ambiente. Sono fiori bellissimi e tra la mia erba rustica crescono ancora papaveri e qualche fiordaliso, la cui naturale bellezza non ha nulla da invidiare ai perfetti tappeti inglesi, tanto belli quanto avvelenati.

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Il papavero è una pianta perenne che cresce spontaneamente sia nei campi coltivati che ai margini delle strade. Fiorisce da maggio a settembre ed in una sola stagione riesce a produrre anche 400 fiori e può raggiungere anche gli 80 centimetri di altezza .I fiori hanno un bellissimo coloro rosso con all’interno un “bottone” nero e le loro foglie ed il loro fusto si caratterizzano per una peluria sottile.

Gli antichi greci ritenevano il papavero simbolo dell’oblio e del sonno, per gli antichi romani era il simbolo della dea Cerere raffigurata con ghirlande, mentre nel Medioevo era associato al sacrificio di Cristo. La bellezza dei papaveri incantò non pochi artisti, come Van Gogh, Klimt e Monet, che li trasformarono in soggetto floreale dei loro quadri.
I papaveri sono, oggi, divenuti simbolo della libertà, infatti in Inghilterra, essi vengono utilizzati per ricordare le vittime della Prima e della Seconda Guerra Mondiale ed in Italia innumerevoli sono i riferimenti ai papaveri come simbolo di libertà: De Andrè  ne La guerra di Piero, parla di “mille papaveri rossi” a fare la guardia alla tomba di Piero ed al periodo della Resistenza risale l’usanza di apporre sulle tombe dei partigiani un fiore di papavero.
Poichè il papavero cresce ovunque, ma se colto appassisce subito. E’ bello associarlo quindi alla libertà, perché non può essere “imprigionato” ,e costretto, si lascia morire.

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Leggenda antica sui papaveri

Si narra che un giorno, nel mese di giugno Proserpina, la bellissima figlia di Giove e della dea della Terra, mentre coglieva fiori in un prato di Sicilia fu rapita da Plutone, dio degli inferi, che volle farla sua sposa.

Quando la madre Demetra venne a sapere che la figlia avrebbe trascorso il resto dell’esistenza nel mondo sotterraneo si disperò e corse a chiedere aiuto a Giove che però non fece nulla, cercando addirittura di incoraggiare l’unione della figlia che sarebbe diventata regina.
Demetra in preda al dolore decise di non occuparsi più per la Terra. A quel punto Giove, preoccupato della morte delle creature, convinse Plutone a lasciar tornare Proserpina per almeno sei mesi ogni anno.
Così fu e leggenda vuole che quando la regina ritorna sulla terra sbocciano i papaveri che con il loro colore rosso, ricordano alla dea la passione dello sposo che l’aspetta negli inferi.

L’alchimia dell’amore, un sogno che diventa vita, solitudini d’oro vibranti di luce..

Il solo alchimista capace di cambiare tutto in oro è l’amore ,sortilegio contro la morte, la vecchiaia, la vita abitudinaria. E l’oro è quello dei sogni, che adoro, specialmente quelli ad occhi aperti. Per questo non ho bisogno di oppio. Ho un dono per questo, mi basta prenderlo quando è in fuga. Lui era il mio sogno, sempre davanti a me .Raggiungerlo, trascorrervi un momento all’unisono, quello era il miracolo. I sogni passano nella realtà delle azioni. Dalle azioni deriva di nuovo il sogno; e questa interdipendenza produce la forma più alta di vita nel mondo del sognatore dove c’è solitudine: tutte le esaltazioni e le gioie arrivano nel momento della preparazione alla vita. Volevo mordere la vita, ed esserne fatta a pezzi. Non ho mai capito perchè due persone cucite insieme da sentimenti che si rispondevano come un’eco emettessero una fosforescenza , come se ciascuno di loro gettasse sull’altro la luce riflessa del proprio sogno interiore. Frecce elettriche… attraversano il corpo. Un arcobaleno di colori colpisce le palpebre.
Una schiuma di musica cade sopra le orecchie.
È il gong dell’orgasmo.

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