Un pomeriggio d’agosto all’ombra delle nostre querce..

 

Sarà anche stupido,ma bello e piacevole pensare cose di un uomo che non potrà mai sapere. Eppure sento che il cuore batte in modo diverso, anche se è un non sense-
Essere certa che non lo saprà mai e nulla si realizzerà ma chi l’ha detto che sognare fa male , che le illusioni sono negative ? Voglio cullarmi in questa illusione come fosse un mare , il piu incredibilmente colorato, un mare che sarà solo mio, il mio mare. Aspetterò ogni onda, mi lascerò travolgere e portare lontano da ogni riva, vivrò in sordina il trambusto del mio cuore,che mi accompagnerà e farà parte di me come il caldo, come la luce degli occhi, come l’emozione di un innamoramento mai sopito, che mi scuote ancora anima e corpo, mentre ritrovo il tuo sguardo e il tuo sorriso là, in quella nuvola all’orizzonte, pronta a tuffarsi nel mio mare.

tramonto mare

Elogio del gabbiano solitario e antico…

 

L’altro giorno ero sulla riva del Tevere, ai bordi dell’isola tiberina, in quel punto in cui c’è un dislivello del fiume e si crea una cascata che trasmette energia impetuosa di vita. C’era vicino a me un gabbiano candido e snello, non come quei bestioni volanti e urlanti che vivono in città e s’ingrassano nutrendosi d’immondizia e di sontuosi rifiuti alimentari. Era sul bordo del fiume e ogni tanto pescava col suo agile becco pesci e larve che gli capitavano a tiro. Non strillava, come i suoi isterici congiunti, non faceva lo “sborone” come i tanti sguaiati e obesi colleghi coi loro gridi e sbattimenti d’ali minacciosi e spavaldi. Beccava con sobrietà e poi trangugiava allungando il collo e il becco. E dopo un breve volo digestivo tornava al punto di prima, contemplava in silenzio il fiume e ho immaginato che coltivasse una silenziosa nostalgia del mare, il suo habitat naturale, prima che lo stormo di famiglia traslocasse nella capitale.

Ho fantasticato che quel gabbiano in disparte fosse un cuore solitario e un’anima sensibile, legata al bel tempo andato, quando i gabbiani volavano sui mari, con giocosa innocenza, lontani dallo stress urbano, dal traffico e dalla presenza minacciosa, soprattutto di sera, di umani, automobili, cinghiali e topi, che si contendono il bendidio dei cassonetti e soprattutto di quelle  infelici buste di plastica coi rifiuti che ondeggiano al vento e sono facile preda della loro fame rapace. Dovete sapere che dopo Virginia Raggi, regina dello zoo romano, gli animali non hanno lasciato la città col nuovo sindaco piddino; ma l’abitano come prima più di prima, anche perché la lordura della città non è affatto cessata col cambio al Campidoglio e i rifiuti ammiccano a ogni angolo di strada invitandoli a uno street food sontuoso e permanente. Si temono i lupi nelle periferie romane e si aspetta solo l’invasione degli orsi a Roma, come nella fiaba di Dino Buzzati, e poi il bestiario è completo. Anzi sarebbe da programmare un loro trasferimento nella Capitale, soprattutto nelle ore notturne, per ristabilire la catena alimentale e per spaventare i molesti nottambuli della movida; dico gli umani che tra le bestie sanno essere i peggiori, a notte inoltrata.

A Roma, un clan di gabbiani rumorosi abita sul tetto di casa mia. E’ un continuo gridare e calpestare le tegole con zampe che sembrano scarponi anfibi. E uno sbattere continuo di prede carpite quando scendono a mensa per strada. Sono intrattabili, strillano in continuazione, si beccano, si fanno scenate. Soprattutto il pischello è venuto su nevrastenico. Vivere in città li ha stressati. I gabbiani che vivono sul mare sono sereni e leggiadri, si godono la vita, a sud si fanno pure la controra dopo pranzo. Roma corrompe anche loro. Erano il simbolo della libertà, invece stanno sempre qui, ai domiciliari, a litigare. In città sono contro natura. Sarebbe giusto sfrattarli, ma se lo dici ti accusano di essere zoofobo, di volere la sostituzione etnica con i più innocui piccioni. Gli animalisti vorrebbero riconoscere loro, lo ius soli, o ius tetti. Ma io preferisco quel gabbiano magro, composto, che mangia secondo natura e non si è fatto corrompere dal consumismo e dai cibi sofisticati in buste di plastica; quel gabbiano contemplativo e poetico, che ha nostalgia del mare, ti riconcilia con l’animale che amavi. Simbolo di libertà e di candore, di cieli limpidi e soleggiati, di voli felici e lontani, che poi la sera si perdevano in un misterioso altrove, per ritornare al mattino sui mari o inseguendo i pescherecci. Rivedi in lui il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach, che incoraggia a spiccare il volo e a librarsi nel cielo, verso nuovi orizzonti. O la gabbianella di Luis Sepulveda a cui un gatto le insegnò a volare. Ripensi agli anni sessanta dove c’erano gruppi musicali a loro dedicati, come Nico e i Gabbiani. Alla fine degli anni ottanta, dirigendo una rivista che si chiamava Pagine Libere, lanciai una campagna promozionale della rivista figurando quelle pagine libere come gabbiani dispiegati nel cielo, in segno di libertà, non conformismo, agilità e amore della luce e del mare. I gabbiani ricordano il mare dell’infanzia e della giovinezza, le traversate, i primi giri in barca con gli amici, in loro festosa compagnia.

Ora che vedevo a due passi da me quel gabbiano antico e solitario, che ama la vita di un tempo, mi sentivo come lui, antico e solitario, nostalgico fratello di quel tempo, di quelle acque, di quel mare vissuto in libertà, meglio se fuori stagione. Mi identificavo nel suo disagio rispetto al “branco” dei gabbiani inurbati e imborghesiti, ingrassati dal consumismo e avidi di porcherie in plastica. Un po’ come gli umani. E immedesimandomi in lui, nella sua solitudine e nel suo distacco dal rumore del mondo, mi pareva di vivere una versione meno tragica del passero solitario in cui si identificava Giacomo Leopardi. Come lui avvertivo “Primavera d’intorno brilla nell’aria”, “sí ch’a mirarla intenerisce il core”. E poi Leopardi proseguiva e mi pare di vedere il gabbiano: “tu pensoso in disparte il tutto miri; non compagni, non voli, non ti cal d’allegria, schivi gli spassi”. E poi il paragone: “Oimè, quanto somiglia al tuo costume il mio! german di giovinezza”. Viva gli uomini e i gabbiani fuori dal coro

Da Panorama__MV 

Nord e Sud, un mare di differenze…

 

L’altro giorno, in un mare a nord di Roma, ho perduto le mie ciabatte. Il mare era agitato, con onde anomale, e una mareggiata ha sommerso lo scoglio dove le avevo parcheggiate e le ha trascinate in acqua, portandole velocemente al largo e a picco, fino a perderle di vista. Sono tornato dal mare scalzo ma nessuno dei presenti al mare o delle persone che ho incontrato lungo la strada mi ha chiesto perché camminassi a piedi nudi. Allora ho pensato: se fosse successo da noi, al sud, o perlomeno nel sud che io ricordo, le persone presenti o incontrate avrebbero reagito diversamente. Sarebbe nata una rappresentazione teatrale, una pantomima collettiva.

Il primo mi avrebbe chiesto perché vado scalzo, si sarebbe fatto raccontar tutto e poi mi avrebbe detto che la stessa cosa era successa a suo zio quando lui era piccolo, e sarebbe nata una discussione collettiva sulle scarpe perdute. Il secondo si sarebbe tuffato subito in acqua per ripescarle e riportarmele; il terzo si sarebbe tuffato subito dopo in acqua per ripescarle e portarsele lui. Il quarto si sarebbe messo a coglionarmi insieme ad altri, trovando argomento di conversazione e derisione; il quinto avrebbe approfittato della confusione, cercando di farmi sparire, con la scusa dei flutti, pure l’orologio e il portafogli; il sesto avrebbe piantato una lamentela sul mare che non è più quello di una volta, e come il governo ladro, si arruba tutto. Il settimo avrebbe cercato di vendermi le sue vecchie ciabatte a caro prezzo, approfittando dello stato di necessità; l’ottavo, invece, mi avrebbe offerto le sue scarpe, dicendo che ne porta sempre un paio di riserva nel borsone. Il nono per solidarietà avrebbe buttato in mare pure le sue ciabatte, tanto per creare un movimento di carmelitani scalzi, lanciando una moda, una setta, un partito a piede libero. Il decimo, mosso a pietà, avrebbe convocato il suo parentado per portarmi sulle spalle, a cavacece o in processione, fino a casa sua, dove mi avrebbe offerto un ristoro per consolarmi della perdita e farmi raccontare la disavventura anche ai nonni e alle zie. L’undicesimo, invece, sarebbe stato zitto, ma io che sono meridionale gli avrei chiesto il perché del suo silenzio: perché era settentrionale, in vacanza da noi.

Questa parabola estiva, poco evangelica e molto pedestre, racconta la differenza tra nord e sud, ma non stabilisce supremazie. Sono meglio i settentrionali che si fanno i fatti loro o noi che ci facciamo i fatti degli altri? Farsi i fatti loro può essere segno di civiltà e discrezione, non voler disturbare o intromettersi; ma può essere anche un fregarsene degli altri, diffidare del prossimo, badare solo ai propri interessi. Così, farsi i fatti degli altri, come succede da noi, può voler dire essere pettegoli, invadenti, furbi e molesti ma anche generosi, socievoli, consorti e più dotati di umanità. Da noi non esistono i diritti ma i favori, si tira sul prezzo e si vorrebbe vivere gratis. Niente ti spetta per legge o per averlo meritato, tutto è al buon cuore o alla buona creanza; tutto accade per fortuna, malocchio o provvidenza. E’ un pregio, è un male? Tutt’e due. Dipende dai punti di vista, in assoluto non si può dire e tantomeno stabilire differenze di razza e di civiltà. Diciamo solo che i nostri comportamenti sono più vari e più fantasiosi rispetto a quelli settentrionali. Da noi è più complicato vivere, ma forse è più divertente.  Però forse vi sto parlando di un sud che non c’è più, sparito nel mare come le mie ciabatte.

P.S. A chi fosse interessato sapere come è finita, perché è un curioso meridionale, tre giorni dopo il mare ha restituito le ciabatte. Integre. Si erano fatte un giro in mare per conto loro e sono tornate ai miei piedi, prostrate.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 24 agosto)

Il Krill,piccola e immensa magia degli oceani..

Il krill,la spina dorsale dell’ecosistema marino su un polpastrello.

Il krill può essere minuscolo di statura,ma gioca un gigantesco ruolo nell’oceano. Al Cordell Bank National Marine Sanctuary, l’enorme sciame di questi piccoli crostacei si rivela una fondamentale fonte di cibo per molti animali marini. Le enormi popolazioni di Krill sono la spina dorsale di molti ecosistemi oceanici, poichè sono fonte di nutrimenti fondamentali per  una molto vasta gamma di specie come  le foche, le balene molti pesci e anche uccelli marini.

Credit: Sophie Webb

krill