Quando e perchè una persona cambia…

“Un essere umano cambia quando cambiano i suoi desideri la cui somma si chiama speranza, i quali, invece di tendere verso i bisogni, salgono e divengono aspirazioni, così che, invece di sentire il desiderio irresistibile dell’ennesimo paio di scarpe o di una borsa o di una camicia, o di una carica o di un riconoscimento o di un applauso, inizia a sentire il desiderio di meno scarpe, meno borse, meno camicie, meno cariche, meno riconoscimenti, meno applausi, meno tutto, solo cose vere, per favore, solo cose e persone vere, per favore: musiche vere, pagine vere, amici veri, relazioni vere. Vita autentica.”

Vito Mancuso, Il coraggio e la paura

relazioni vere

..e neanche il cielo le dava il respiro…

 

Il cielo sempre uguale sembra non leggere il tormento,il respiro di lei che si fa affanno, scuote il petto, fa tremare le mani che nel tempo passato erano rami che si tendevano verso l’azzurro silenzioso. Ma il cielo non ha porte e, se ascolta, le sue orecchie sono quelle dell’erba o di una pietra. Il cielo è vuoto, un palco in cui si avvicendano il tempo luminoso e quello oscuro, e lo scenario cambia come cambia il tempo, le stagioni, come si accalcano stelle pianeti costellazioni e la luna silenziosa.
E’ un palco senza attori, senza storie, senza qualcuno che le scriva o le racconti. Ha parole secche sulle labbra. Lei sta a guardarlo, a volte. E’ lontanissimo, assente, ormai vuoto di senso.
Il cielo era preghiera. Era la pioggia che scivolava sopra i vetri,
un pianto grande come il mondo, e poi era il silenzio in cui si apriva il velluto piccolo dei fiori.
Era parole di carta, era canzone sussurrata, era il sentiero erboso pieno di pietre e di sterpaglie che si arrampicava su scale misteriose.
Il cielo era lei, la sua voglia di cantare sottovoce, di stringere le mani della gente, era il suo sguardo stupefatto quando nubi caracollavano nell’aria e poi brucavano le stelle.
Forse il cielo finisce, come la speranza.

cielo ricco

 

Basta col covid…Cambiamo nome al ministro della Salute…Speranza non ha più senso.

Basta col Covid

Accorata supplica urbi et orbi, ai militanti tutti della vaccinocrazia e ai loro avversari, disertori e latitanti: finiamola con quest’infinita coda alla vaccinara. Lo dico a prescindere dalle singole convinzioni e dalle scelte in tema di vaccino. Abbiamo avuto la pandemia, abbiamo avuto la ricaduta, non se n’è ancora andata, temiamo che torni virulenta. Sono diciotto mesi, dico diciotto, che ne parliamo in maniera esagerata e ossessiva, che viviamo all’ombra del contagio e dei suoi rimedi. Perfino durante una guerra, eccetto i momenti più tragici, non si vive così sotto psicosi come facciamo noi con questo maledetto covid. In guerra si convive con le bombe, con le notizie dal fronte, con gli attacchi aerei e i combattimenti. Ma si fa anche altro, la vita continua. Il covid, invece, è diventato cronico ma resta il fatto del giorno, di ogni santo giorno. Sappiamo che il virus fa male, ha mietuto migliaia di vittime tra milioni di abitanti, ha generato pubbliche profilassi e drastici cambiamenti di vita e si rigenera con le varianti; ma diamine, non riusciamo proprio a considerarlo un male con cui convivere, come facciamo con l’infarto, il cancro, l’ictus, l’alzheimer e le altre malattie? Badate che non sto dicendo di prenderlo sottogamba, di “abbassare la guardia”, rassegnarsi o chiudere un occhio davanti ai dati e alle notizie; e non sto nemmeno assumendo una posizione ostile, minimalista o neutrale sui vaccini e sulle misure che si minacciano di continuo per ossequiare la Bestia e tenerla sì a distanza ma incombente con la sua ombra gigantesca su di noi. Non possiamo ridurre l’umanità a una fila permanente da e per gli ospedali, da e per le farmacie e gli hub, con tutta l’informazione e perfino l’intrattenimento che da un anno e mezzo ci perseguitano con questa piaga, amplificandola e drammatizzandola. Diciamo che se il danno reale equivale a dieci, il danno che ci siamo procurati ingigantendolo equivale a cento, anzi a mille.

Non ci rendiamo conto di quante altre cose ci sono in cielo e in terra, nelle nostre vite e nei nostri corpi, nelle nostre anime e nelle nostre menti, che vengono sacrificate, accantonate per far posto al Moloch sanitario e alle sue paure. Ogni volta che l’umanità ha un solo tema al centro della vita, una sola ossessione e un solo culto a cui è vietato sottrarsi, s’incarognisce, s’invigliacchisce, si avvilisce. Ripiega su se stessa, si attorciglia intorno ai propri incubi come alle proprie visceri, vive in una bolla di narcisismo sanitario, ultimo grido del narcisismo; grido di dolore e d’angoscia per l’ego in pericolo.

E dai, su, non possiamo vivere così per così lungo tempo. E non possiamo, grazie allo show h24 dei virologi-star e delle truppe televisive di complemento, accettare senza colpo ferire questa colonizzazione dell’immaginario e del lessico quotidiano. Alla lunga, la colonizzazione delle menti si fa coglionizzazione delle genti, istupidite da un solo tema e ridotte al bio-meccanismo paura/salute, minaccia/sicurezza. Sembra uno di quei test che si fanno in laboratorio alle cavie, ai topi o altri animali, per misurare i riflessi condizionati, le reazioni agli stimoli, agli aghi e alle sirene. Per l’esperimento sull’umanità si usano pure i colori: il giallo, arancione e rosso nelle zone proibite, il verde del pass, il bianco della salvezza o del camice.

Ammesso pure che tutta la campagna sanitaria sia necessaria e inevitabile, e che tutte le procedure conseguenti lo siano altrettanto, mi chiedo: ma perché dopo diciotto mesi, dico diciotto, non possiamo smantellare o almeno ridimensionare l’indotto, i sistemi aggregati e derivati, l’ammaestramento permanente, la mobilitazione etico-liturgica, ideologico-sanitaria, l’enfasi mediatico-culturale, la narrazione globale incessante?

La monotonia uccide più di ogni altra cosa, la riduzione dell’uomo a una sola dimensione, lo diceva Herbert Marcuse, è la peggiore alienazione e schiavitù. Di una persona non si dicono più le qualità e i difetti, la professione e le passioni, le amicizie e gli amori; ma si giudica solo se è vaccinato o no, se sostiene o boicotta le inoculazioni, se ha il green pass o lo ha comprato al mercato nero, se è credente, ateo o agnostico del vaccino. O in subordine, se ammette o no la dose ai ragazzi e ai bambini, ritenendo per opposte ragioni che sia un Erode se vuole vaccinare anche i minori o se vuole sottrarli al battesimo sierologico. Pure la filosofia ormai si pronuncia e si divide solo in merito alla questione sanitaria e sposta su quel terreno la libertà e la democrazia, la ragione e l’etica, la fede o la scepsi. Da tempo tento invano di scrivere d’altro e se talvolta torno sul Tema, come oggi, mi assumo la quota di colpa.

Parliamo d’altro, per favore, facciamo altro, magari mentre osserviamo le regole sanitarie, vaccino incluso. Ma risparmiamoci di dividerci e intrattenerci sempre e solo sul “bucato” personale e universale. Tu dai il braccio per il vaccino e si prendono tutto il corpo, testa inclusa. Siamo in overdose da letteratura, psicologia e sociologia da contagio. Vorremmo tanto che negli organi d’informazione la pagina sanitaria tornasse ad essere una dentro il giornale e non il giornale intero dentro la sanità, allestito come un ospedale da campo. Ci sono giornali-ambulanza, le loro pagine sono corsie, si vendono non in copie ma in flaconi…

E poi, visto che da così tanto tempo ne parliamo senza venirne a capo e intravedere uno sbocco, non sarebbe il caso del silenzio stampa, o perlomeno la sordina, come si fa durante le trattative coi rapitori per i sequestri di persona? Così magari gli addetti ai lavori hanno meno distrazioni e lavorano meglio, indisturbati; la gente si cura senza tante chiacchiere, moine e manie; il virus stesso non si monta la testa, stando sempre in vetrina da protagonista. E il mondo riprende a vivere, a pensare, a pregare, a sognare, a gioire, a patire e a morire d’altro. Fatti non fummo per viver come buchi…

MV, (29 luglio 2021)

speranza

La Speranza e la sua storia…

Speranza-d

Un giorno giunse al mondo la Speranza, e il Padre della Vita la guardò con grande tristezza, dicendole:

Sei figlia degli uomini e come tale non ti rinnegherò, ma il tuo canto molto male farà.

Rispose la Speranza:

Padre, sono adorna di candide vesti, e il mio canto è dolce più del miele. Non sarò certamente io a far del male ai tuoi figli, se essi useranno con moderazione i miei sogni.

Speranza, nel tuo dire riconosco le tue malefiche intenzioni, tu sai bene quanto è doloroso il cammino dell’uomo, e conosci anche la sua spasmodica ricerca di sollievo. Come può un uomo immerso nella sofferenza possedere lucidità e moderazione. Tu sei giunta per arrecare dolore, ma sappi che non esiste in vita elemento che sfugga al controllo superiore della vita stessa.
Seppur le tue intenzioni sono buie come la più nera delle notti, grazie a te molti uomini apriranno gli occhi alla vita. Il tuo meschino gioco sortirà l’effetto contrario, l’uomo ti riconoscerà per quel che sei, e quel giorno tu non avrai più ragione di esistere e pertanto ti dissolverai.

Padre, so che sei il creatore di tutto e che le tue parole sono legge, ma ti prego non mi lasciar morire anche io ti son figlia, lasciami una Speranza?

Speranza proprio tu che uccidi senza lasciar scampo, mi chiedi di darti una speranza?
Ed io ti dico che morirai come danno, e risorgerai al vivere come figlia della luce. Quando l’uomo avrà superato il tuo inganno ti vedrà per quello che invero sei.
Già posso scorgere la tua sconfitta, ma prima che ciò accada molti valorosi perderanno la loro vita, accecati dalle tue false promesse. Io raccoglierò goccia a goccia il sangue che tu avrai fatto versare ai miei figli, e il loro sacrificio non resterà vano, il loro dolore sarà l’unguento che sanerà i primi figli che ti vedranno per quello che sei. E per loro mano tu sarai sconfitta.
Speranza sei bella come un raggio di sole, ma sei una figlia disonesta, come tale non godrai della mia benevolenza finché mentirai e ucciderai.

Padre mio ti prego.

Disse nella più completa disperazione la speranza.

Non scagliare contro di me la tua ira, che colpa ne ho, se sono così.

Proprio in virtù di ciò, ti dico che conserverò in parte la tua essenza, ed un giorno quando l’uomo avrà riconosciuto il tuo inganno io ti concederò di unirti al vivere.
Inizia a contare le tue ultime ore come nefasta creatura, un altro uomo ha scoperto il tuo inganno e molti ancora ti vedranno per quello che sei, spoglia del tuo abito candido, mostri un corpo devastato e corroso dal tempo.
Speranza tu inietti negli animi il più lento e mortale dei veleni, accechi le tue prede conducendole sino alla fine del loro cammino.
A quel punto non saprei chi di loro potrà dirsi fortunato, colui che morirà accecato, o chi comprenderà l’inganno un attimo prima.
Figlia dell’uomo da lui generata, ricorda nulla di ciò che nasce ha un fine diverso da quello che Io ho stabilito.

Non sono responsabile della mia malefica natura, son venuta al vivere innocente come un agnello, non farmi pertanto pagare le pene della tua ira, anche io ti sono figlia, dammi una speranza.