La stupidità infinita dell’uomo con il denaro digitale…

 

La banca si ferma e le persone non possono pagare. Ma non basta il dover lasciare la spesa lì, continuano testardamente con card e telefoni. Cashfree brainfree

Dignità infinita, dice il Papa riguardo l’uomo. Stupidità infinita, dico io riguardo il medesimo. Per giorni sito, app, bancomat di Banca Sella sono rimasti bloccati, impedendo ai correntisti di compiere qualsivoglia operazione: per dirne una, pagare. C’è chi si è trovato alla cassa del supermercato e, senza banconote, ha dovuto lasciar lì la spesa. Un simile episodio avrebbe dovuto accendere una lampadina nella mente oscurata dei progressisti, solitamente urbani, che si vantano di non toccare contanti da anni. Quelli che al bar pagano il caffè con lo smartphone. Contactless moneyless. Avrebbe dovuto far scattare un grande movimento di lotta al denaro digitale, finalmente compreso come strumento per l’asservimento totale dell’individuo alla Tecnica e allo Stato. Un movimento benedetto dalla Chiesa, fra l’altro, perché non esiste dignità senza libertà. Ma niente. Continuano a pagare (se ci riescono) con card e con telefoni. Cashfree brainfree.

Camillo Langone___da IL FOGLIO

denaro digitale

L’Europa è abortita .

L’ultimo atto a Bruxelles rivela cos’è davvero l’Unione europea: un aborto. L’Unione Europea non è mai nata, ha rifiutato di darsi un’identità, in compenso ora inserisce l’aborto tra i fondamenti etici e giuridici dell’unione. Lo fa non per un’esigenza pratica ma è una pura petizione di principio, una professione di fede e ideologia. Questa specie d’Europa vota a larga maggioranza, compresi molti cristiani e popolari, l’aborto come un suo cardine. La destra di governo tace. Proprio all’indomani del documento della Chiesa in cui si definiva l’aborto un omicidio.Sono passati trentadue anni dal trattato di Maastricht, per non parlare dei decenni precedenti della CEE, ma l’Europa non è ancora nata come soggetto politico autonomo e sovrano, con una sua unitaria politica estera e una sua forza militare, un suo governo elettivo e una sua Costituzione, che giusto vent’anni fa, nel 2004, abortì senza più rinascere. Ha ragione Ernesto Galli della Loggia in un editoriale del Corriere della Sera quando sostiene che l’Europa non è un soggetto politico perché non ha un’identità, non ha il senso della propria storia. Da troppo tempo crediamo che la politica sia solo la gestione del presente, il regno dell’attualità e delle emergenze quotidiane; ma la politica priva di radici s’insecchisce, non fiorisce e tantomeno dà frutti. L’Europa ha rinunciato ad avere un ruolo autonomo e iniziative indipendenti, ma si è di nuovo raccolta sotto l’ombrello atlantico della Nato e degli Stati Uniti, evitando di assumersi la responsabilità di un ruolo strategico di equilibrio, con capacità autonoma di negoziare sul piano internazionale.
Lo vediamo in Ucraina, in Israele, a Gaza, e ovunque.
L’Europa non ha voluto capire due cose elementari che sono le premesse necessarie alla sua identità e alla sua sovranità: la prima è che il mondo è uscito da tempo sia dal bipolarismo americano-sovietico sia dal nuovo ordine mondiale a guida statunitense, con gli Usa arbitro e garante del pianeta. Il mondo oggi è diviso in aree differenti, dalla Cina all’India e alla Russia, nonché varie medie potenze che esercitano un’importante egemonia di area o mantengono una loro irriducibile autonomia, dalla Turchia all’Iran, fino al Brasile e alla Corea. Per non parlare di aree in ebollizione come il Medio Oriente, l’Africa, il sud est asiatico. Dunque, all’Europa tocca diventare maggiorenne, riprendersi le chiavi di casa e agire nel mondo confrontandosi con le altre potenze sovrane, senza delegare a nessuno.  Ma per avere un’identità devi porti sul piano internazionale non come l’emanazione periferica del Blocco Occidentale, la propaggine allineata alla politica degli Usa ma devi essere ben consapevole che la geopolitica, prima ancora che gli interessi primari dei popoli europei, ti portano a differenziare la tua posizione da quella di un Paese che ha storia, interessi e mire differenti, ed è separato da un oceano dal blocco euroasiatico e dall’Africa, mentre noi siamo attigui.
Ma dietro il tema politico e strategico carente, c’è il tema identitario, anzi la voragine, il vuoto identitario. La sua rappresentazione migliore è proprio quella simbolica, l’icona della sua bandiera: tante stelle intorno a un vuoto, un buco nero al centro. Il tema dell’identità non è solo storico, come invece ritiene lo storico Galli della Loggia, giacché investe le radici culturali, spirituali, religiose, che non sono riducibili alla sola dimensione storica, pur così importante.  Qui s’innesta il tema di fondo che attraversa la memoria storica e investe il più complesso tema della civiltà: l’Europa da tempo ha rimosso le sue matrici; e infatti negando le sue radici greco-romane e cristiane, a cui l’aveva vanamente esortata Giovanni Paolo II, la Costituzione abortì, cioè la Carta d’identità europea non fu emessa.
Ma dopo aver rimosso le sue matrici, glissato sulla sua storia recente, dalla storia delle nazioni europee al trauma dei due conflitti mondiali che l’hanno smembrata e depotenziata, l’Europa vive ora nell’orbita americana. E si sta massacrando con le sue stesse mani con l’ideologia woke, il politically correct, l’anticolonialismo e l’antirazzismo, la cancel culture e chiede scusa al mondo di esistere.  Come pensate che possa emergere un’identità europea se l’Europa rinnega la sua civiltà o arriva a considerarla come una barbarie? Se nessuno difende la memoria storica europea e la civiltà cristiana –  cattolica, protestante ed ortodossa – se dobbiamo leggere le epoche del passato solo come tempi di cui vergognarsi perché dominati da imperi, guerre, soprusi e conquiste. Se arriviamo a smantellare perfino le comunità naturali come la famiglia e nel nome dei diritti civili stabiliamo a livello di norme e di corti europee, un continuo primato dell’individualismo, dei diritti scissi dai doveri e coniugati ai desideri, il diritto alla morte, in forma di aborto ed eutanasia a spese del diritto alla vita e alla nascita; degli uteri in affitto anziché la difesa e la promozione della fertilità naturale e della natalità, cosa pensate che resti della civiltà europea e delle sue tradizioni?
La guerra che l’Europa ha ingaggiato contro se stessa non riguarda solo l’identità storica, come sostiene Galli della Loggia, ma sconfina contro la natura, la famiglia naturale, la procreazione naturale, il diritto naturale, la natura umana.  Salvo poi sventolare l’ecologismo in difesa dell’ambiente, dopo aver tradito la natura nei suoi luoghi e riferimenti più significativi.
Facile dire che il limite dell’Europa è la sua nascita intorno a un’intesa economica, l’Europa delle banche e dei mercati, l’Europa della moneta e non dei popoli. Ma siamo ridotti a quella reductio economica perché non si è fatto nulla per svegliare, rafforzare e proiettare un’identità comune europea, rifiutando il sostantivo “identità”. Così l’Europa è colata dall’alto come una vernice ed è calata come una gabbia di norme, restrizioni e direttive. Ma una vernice e una gabbia non fanno un’identità.

Marcello Veneziani

Come riusciamo ad allontanarci da amici e parenti, banalmente…

 

Pensavo che è strano il modo che hanno di volersi bene le persone. Il modo in cui si allontanano per sciocchezze, l’abilità con cui riescono a tessere fili di incomprensioni attorno a piccoli screzi. È una caratteristica che appartiene a molti rapporti, temo. Amori, famiglie, amicizie: periodi uniti e coesi, poi improvvisamente sparpagliati e lontani, incapaci di stare troppo vicini fisicamente e nei sentimenti. Pensavo a com’è più facile allontanarsi anziché chiedere scusa, riconoscere che ,quando discutiamo con le persone che amiamo, a un certo punto dovremmo fregarcene se avevamo torto o ragione. Ammettere che ne sentiamo la mancanza. Invece lasciamo che i giorni passino, e mentre ci affatichiamo a sopravvivere in una routine che ci travolge di impegni, capita che a un certo punto ci si fermi a pensare al motivo per cui ci siamo allontanati. E cosi, scopriamo, che era talmente banale quel motivo, che nemmeno ce lo ricordiamo più. Il problema è che nel frattempo, però, ci siamo abituati alla distanza, e chiedere scusa per qualcosa per cui siamo stati stupidi diventa troppo difficile.  Allora passano altri mesi. Altre cose. Passa altro silenzio. Finisce che siamo talmente ottusi nel rimanere impigliati nella nostra posizione che la distanza prevale. Prevale il distacco. La nostalgia.

Ecco, pensavo proprio questo.

Che basterebbe poco, in fondo. Basterebbe essere solo un po’ più coraggiosi, deporre l’orgoglio e fare come facevamo da bambini: chiedere alle persone di restare, anziché lasciarle andare via.

Roberto Pellico

andar via

Riflessioni “anta”..

Alla domanda chi e che cosa siamo noi
un vecchio saggio rispose così:
– Siamo la somma
di tutto quello che è successo prima di noi,
di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi,
di tutto quello che ci è stato fatto.
Siamo ogni persona, ogni cosa,
la cui esistenza ci abbia influenzato,
o che la nostra esistenza abbia influenzato,
siamo tutto ciò che accade
dopo che non esistiamo più
e ciò che non sarebbe accaduto
se non fossimo mai esistiti.-

 

riflessione1

Mafie ideologiche e governi impotenti…

Ma come è finita la partita tra intellettuali e potere? Trent’anni fa, quando nacque il primo governo di centro-destra, esprimevo così il disagio bilaterale di chi viene definito intellettuale di destra: tra gli intellettuali non ti perdonano di essere di destra, nella destra non ti perdonano di essere intellettuale. E aggiungevo che a sinistra sono faziosi, leggono solo autori di sinistra mentre a destra no, perché non leggono né autori di destra né di sinistra. Trent’anni dopo si legge meno, si pensa meno, ci si confronta meno tra chi pensa in modo diverso, c’è più acidità e più rancore, c’è più intolleranza e chiusura verso chi non entra nel suo recinto. Ha meno senso usare quelle categorie di trent’anni fa; ma quel disagio bilaterale resta in vigore, oggi più di ieri. Certo, il potere non è il governo, che del potere è solo un’espressione secondaria e una diramazione periferica. Viviamo il tempo delle sovranità bonsai. A un anno e mezzo dall’avvento del governo Meloni, non è mutata l’egemonia culturale nei suoi tratti peggiori. Anche le fabbrichette del consenso di cui dispone chi va al governo si limitano a ossequiare il governo ma poi restano genuflesse come prima al potere culturale vigente, ai suoi precetti, ai suoi paletti e al suo catechismo. Non è cambiato nulla nella mentalità, nei temi e nel racconto dominante. Forse ha ragione il filosofo argentino Miguel Benasayag a sostenere, nel suo ultimo libro, L’epoca dell’intranquillità (tradotto da Vita e Pensiero), che i cambiamenti non partono mai dal potere politico ma raggiungono il potere e la rappresentazione politica solo dopo. La politica ha esaurito la sua spinta propulsiva, non suscita più passioni civili, tantomeno ideali, a sinistra come a destra, e la corruzione ne è uno degli effetti; agita fantocci e surrogati, non entra nella vita reale e nemmeno nella cultura, al più la mima meccanicamente. Nella girandola di governi – di centrodestra o centrosinistra, antipolitici, populisti o tecnocratici – le aspettative di cittadino, di italiano, di uomo di destra sono rimaste parimenti disattese; mutano i governi ma nulla è mutato. Alla fine chi pensa liberamente si riconosce in Diogene il cinico al cospetto di Alessandro Magno. L’uomo più potente della terra chiese al filosofo pezzente cosa potesse fare per lui. Diogene rispose: Scòstati dal sole. Ossia non farmi ombra, lasciami godere in libertà dei suoi raggi, non ti frapporre tra me e il mondo, la vita, la luce. Traduco nel gergo più confacente alla classe politica: levati dai coglioni. Cent’anni fa Giuseppe Prezzolini, quando andò al governo chi si era formato e abbeverato alle sue riviste e alle sue idee, si dichiarò apota e preferì il solitario, volontario esilio piuttosto che assumere un ruolo di regime. La prova che Diogene (o Prezzolini) avesse ragione la fornì a contrario Niccolò Machiavelli: dedicò il suo capolavoro, Il Principe, al potente del suo tempo, il duca d’Urbino Lorenzo de’ Medici (da non confondere con Lorenzo il Magnifico) e gli donò la sua opera insieme a due cani da caccia. Il Duca Lorenzo apprezzò molto i due segugi più che l’opera; magari non la lesse nemmeno o non la capì. Questo conferma quanto sia sterile e vano il rapporto della cultura col potere, salvo rari momenti. La consolazione del dotto fu che a distanza di secoli quel principe coi suoi due cani non li ricorda più nessuno mentre ancora si legge nel mondo Il Principe di Machiavelli. Meglio dedicare la propria opera e la propria fatica a imprecisati déi piuttosto che a piccoli potenti di passaggio.  Certo, ci furono eccezioni nei secoli: con Marc’Aurelio o Federico II di Svevia, ad esempio, il rapporto tra potere e cultura fu fertile; Bacone oltre che filosofo fu gran ministro e Gentile da ministro riuscì a realizzare istituti e riforme, smentendo l’idea che il filosofo al potere sia sempre perdente, inefficace o dannoso. Ma gli esempi virtuosi sono rari e considerando il livello e il tenore odierni, anche con le migliori intenzioni l’impresa sarebbe oggi velleitaria. Non si tratta di dare/avere posti, come pensano i più; ma intraprendere sul serio strategie culturali e disegnare fattivi programmi futuri.  Qual è dunque alla fine il rapporto tra cultura e politica? Quasi inesistente o solo cerimoniale; i punti di contatto avvengono quando la cultura smette di essere tale o quando il potere smette di esercitare il comando. Una pausa, un momento di sospensione collega la cultura al potere. Viceversa restano intoccate le piccole cupole del potere culturale nei regni della letteratura, del cinema, delle accademie, dei premi, delle organizzazioni che gestiscono la cultura. Possiamo non chiamarla egemonia, anche perché è eccessivo scomodare Gramsci e il suo disegno culturale; meglio parlare di mafie, o nei casi più blandi di “amichettismo”, ovvero di conventicole, logge di accoliti, amici-mici. Piccole mafie gender-ideologiche che si autopromuovono ma soprattutto si compattano quando si tratta di escludere, porre il veto, ostracizzare gli estranei, i non allineati. Le stesse logiche si ripetono pure in periferia. La settimana scorsa, per esempio, mi è accaduto di essere chiamato in quanto “biografo” di Vico a celebrare il cinquantesimo anniversario di un liceo dedicato a lui, in provincia di Taranto. Ma l’ho fatto in contumacia, presso un altro istituto, perché la dirigente d’istituto del Vico non ci voleva nel suo liceo. Meschine faziosità locali riflettono esempi altolocati di miserabile faziosità, a livello d’istituzioni, grandi media, giurie letterarie. Sono abituato da una vita a veti e divieti. Luca Ricolfi ricordava su La Stampa che più di vent’anni fa mi fu impedito di parlare all’Università di Torino (lo stesso accadde a Pisa, a Firenze, a Genova; e nessun potere culturale, nessun docente deprecò o si dissociò). Cambiano i climi e i governi, ma la situazione non muta. L’intolleranza militante di base, l’epurazione del potere culturale, e la politica che fa spallucce, le volta, ma resta lì, non si scosta nemmeno dal sole… Si passa la vita tra veti, ostracismi ed esclusioni; e non ti puoi lamentare sennò le anime belle ti accusano pure di vittimismo. Vi lascio immaginare la stanchezza e l’amarezza che si prova a tarda età anche se poi prevale la noncuranza. Ma è andata così e andrà così finché morte non ci separi, quando tutto sarà cancellato. O verrà salvato da imprecisati dei.

Marcello Veneziani

Una statua tatuata in Santa Maria dei Miracoli, a Roma…

Una statua tatuata in Santa Maria dei Miracoli, a Roma. Ma le profonazioni corporee sono espressamente proibite: credere in Dio e nei santi, non ai preti..

La biopazzia al potere…

 

In concomitanza con il convegno internazionale sulla maternità surrogata , a Roma in questi giorni, mentre cercavo documentazione al riguardo , mi è capitato sotto gli occhi un articolo del 1917 di Marcello Veneziani, che mi è parso molto attuale. Anche se da allora pure le menti più ottuse e bigotte si sono assuefatte a queste abitudini quasi correnti, anche se nessuna delle nuove regole viene ancora imposta per legge, e per fortuna, anche se ognuno ha diritto di vivere la proprio vita come meglio preferisce,da quando l’uomo vive secondo certe regole, che regole non sono, ma sono eventi naturali, seguendo principi che nel corso dei secoli si sono mantenute, mi pare normale,che rimangano apertissime molte questioni etiche e morali e di queste si possa discutere, nonostante il mainstream.

Ma che razza di società sta sorgendo? È un tam tam quotidiano che colpisce la vita, la morte, la nascita, la famiglia. C’è una Grande Fabbrica dell’Opinione che   marcia a senso unico, in un corso accelerato di demolizione dell’umanità come l’abbiamo finora conosciuta. E impone a tappe forzate la corsa verso un mondo capovolto.La mamma diventa un ente superfluo, da sopprimere o da ridurre a utero in affitto per la gioia delle coppie omosessuali che vogliono comprarsi un figlio. E i magistrati, smentendo la legge, confermano la piena legittimità dei loro desideri e aggiungono che non c’è bisogno di geni per chiamarsi genitori. Ma la parola genitori, guarda un po’, deriva proprio dalla parola geni. Si può accettare la dizione “genitori adottivi” perché un padre e una madre suppliscono ai genitori biologici; ma due uomini dello stesso sesso che per un loro desiderio decidono di farsi il loro figlio non sono genitori in alcun senso. Al più sono tutori. La madre non è un accessorio sostituibile. L’abolizione della mamma segue a ruota la soppressione del papà, ente inutile in una società senza padre. La società parricida e matricida è una società senza figli, salvo quelli nati in provetta. Si deplora la politica che non segue subito l’onda emotiva e non legifera in materia come ordina l’Onda, coi suoi artefici e i suoi magistrati. E invece passa inosservato il silenzio assordante e imbarazzante, di Papa Bergoglio che di fronte allo stravolgimento della vita e della famiglia, dagli uteri in affitto ai suicidi assistiti, parla d’altro, fa finta di niente… Una generazione sta demolendo in poco tempo l’esperienza di tante generazioni che l’hanno preceduta, con una presunzione assoluta. E il Santo Padre tace. Cosa c’è alle origini di questa follia? C’è la perdita dei confini, del senso della misura, della natura e del limite. Sono io, solo io, a decidere quando morire e come; sono io a decidere, senza il concorso di una donna, di avere un figlio, affittando un utero o facendo shopping oltreoceano. Sono io a decidere se interrompere o meno una gravidanza non desiderata, anche se va di mezzo la vita di una persona.  La libertà e la modernità si riducono a non porre limiti ai miei desideri. Non conta nulla il resto, gli altri, i legami affettivi, la paternità, la maternità, la responsabilità di essere al mondo e di mettere al mondo.Non conta altro che la mia volontà. Questa è la follia del nostro tempo, il potere smisurato dei propri desideri che viene presentato come Diritto, Libertà e Autonomia. E chi si oppone viene accusato di vivere nel medioevo. Dimenticando che anche noi, nati in famiglie da padri e madri, siamo nati e cresciuti in quel medioevo. Se difendere la maternità, la paternità, la famiglia e la vita sono segni di medioevo, allora cos’è la modernità, il trionfo del disumano, la perdita del limite, la dittatura dell’Ego, l’abolizione della natura? No, signori, questo non è il futuro, questa è la fine della civiltà e la fuoruscita dall’umanità nel nome di un transumano geneticamente modificato, dove l’identità è sostituita dal desiderio, l’umano dal mutante e il noi siamo dall’Io voglio.

           Non confondete la fine con un inizio

Marcello Veneziani

Non c’è nulla di più surreale dell’ambientalismo…

Nel “Manualetto per la prossima vita”, Ermanno Cavazzoni scrive contro questa assurda idea della possibilità di cambiare il clima con i comportamenti

Il surreale non mi è mai piaciuto molto eppure “Manualetto per la prossima vita” di Ermanno Cavazzoni (Quodlibet) mi è piaciuto eccome. Perché non c’è nulla di più surreale dell’ambientalismo, dell’idea di cambiare il clima coi comportamenti, di salvare la Terra dicendo cento volte al giorno “sostenibile”, e lo scrittore emiliano, nel capitolo intitolato “E’ da sempre in atto una crisi che non finirà mai”, surrealmente scrive contro questa surrealtà: “Finiremo come il pianeta Venere che è arrivato a una temperatura di 470 gradi al suolo. Può darsi che la colpa sia dei vesuviani, che hanno continuato allegramente a andare in macchina con motori inquinanti, euro 1, euro 2, a usare combustibili fossili, la plastica non riciclabile, a non fare la raccolta differenziata”. Forse davvero il simile si cura col simile, forse, non potendo farli ragionare, gli ambientalisti vanno neutralizzati con la loro stessa follia, raddoppiandola e facendola scoppiare. Forse agli ambientalisti bisogna dare ragione come si fa con i pazzi, dichiarandosi contrari all’attuale “sistema procreativo fondato” – ricorda Cavazzoni – “sullo strofinamento dei sessi, che come è noto produce calore, contribuendo allo scioglimento dei poli”.

Camillo Langone___da IL FOGLIO

ambiente

Sei poeta e ami il tuo paesino? Sei violento.

 

Voi non potete immaginare a che punto sta arrivando il regime di sorveglianza che si sta imponendo giorno dopo giorno nella nostra vita quotidiana, a cominciare dalle pieghe più marginali dei social. Devo raccontarvi un’esperienza, personale e non solo, che ci dice dove porta la demenza dell’Idiozia Artificiale (chiamata stupidamente Intelligenza Artificiale) ibridata all’ideologia woke. Dunque, è stato ripreso sulla mia pagina Facebook e sugli altri social (Instagram, Telegram, Tweet) un mio articolo uscito mercoledì scorso su Panorama, La poesia dei paesini perduti, in cui raccontavo l’impegno del poeta Franco Arminio in difesa dei piccoli paesini in via d’estinzione. Un piccolo atto d’amore verso le minuscole comunità locali, scritto con tenerezza e nostalgia verso quel piccolo mondo antico che rischia di scomparire. Ma il blog è stato censurato su Facebook e dintorni perché, leggo testualmente: “La nostra tecnologia ha mostrato che questo post è simile ad altri che violano i nostri Standard della community in materia di contenuti forti e violenti. Non consentiamo alle persone di condividere contenuti che mostrano violenza esplicita”.
Se c’è un mio scritto dolce e disarmato, dedicato a un poeta e all’amore per il proprio paesino, senza nemici, che non polemizza con nessuno, è questo.
Dopo essermi scervellato a capire cosa il demente sotto falso nome che si fa chiamare algoritmo può aver ravvisato come violento, sono arrivato a questa conclusione. Ad un certo punto, condividendo l’appello accorato del poeta Arminio a non abbandonare i paesini d’origine ma anzi a ripopolarli, ho scritto: “Tornate al vostro paese…cominciate la migrazione al contrario”. Questa frase, estrapolata dal contesto dei piccoli paesi del sud abbandonati dai suoi abitanti, è stata letta presumibilmente come un appello, anzi un avvertimento, ai migranti a tornare a casa loro. Tesi e opinione che reputo peraltro legittima, ma che non c’entra affatto con quello che scrivevo e sostenevo.
Vedete a che punto arriva l’automatismo della tecnica, combinato con l’input ideologico e intollerante di chi ne dovrebbe controllare i contenuti?
Da che parte sta la violenza se non nella censura e nel definire violento ciò che è esattamente il contrario, un atto d’amore verso le origini di ciascuno di noi?
Peccato, peccato pasquale. Devo dirvi che avevo in mente di scrivere per stamattina un articolo pasquale di fiducia e di speranza nella resurrezione civile e spirituale, nonostante tutto. Pensavo di scrivere una riflessione sulla necessità di predisporsi in modo positivo e propositivo, di non abbandonarsi all’accidia e allo scontento generale, non sentirsi alla fine del mondo o dell’umanità; ma di preparare il terreno alla fiducia che altre pasque verranno, non sarà l’apocalisse. Una riflessione che avrebbe cercato di vedere i lati buoni nel nostro tempo, confidando nella forza della realtà, della natura, delle cose che sono, rispetto alla tentazione di consegnarsi a tutto ciò che li nega.
Ma questa inquietante intrusione, cieca e ottusa, ha avvelenato il proposito pasquale, e mi ha fatto desistere. La spirito di negazione, ancora una volta, ha prevalso, con la forza dell’anatema, sull’amore per la realtà, per la vita vera, per i sentimenti più genuini.
Non è la prima volta che succede, e mi succede. Basta una parolina, un contenuto appena non allineato al mainstream, e subito bloccano, frenano, nascondono i tuoi liberi pensieri anche se sono ponderati, rispettosi, mai offensivi verso nessuno. Da tempo ha più difficoltà la circolazione dei blog.
Aggiungo tre cose che rendono questo pur piccolo episodio ancora più amaro. La prima è che non puoi nemmeno protestare con qualcuno, non sai a chi e come rivolgerti: nel regno dei social e dei gestori tutto si svolge in modo anonimo, impersonale, automatico, non puoi ricorrere a nessuno che ti ascolti, che riconosca l’errore e il danno e che ponga rimedio e faccia pubblica ammissione di aver sbagliato. La seconda è che probabilmente, anche questa mia reazione di protesta, stavolta energica, alla stupida, vergognosa censura sarà a sua volta censurata dai tecno-aguzzini automatici che veicolano i social.
La terza, più generale, è che da tempo denunciamo sulle colonne de la Verità e non solo, la deriva della dittatura woke e le quotidiane violazioni e limitazioni alla libertà di opinione, molti condividono la nostra denuncia (anche in questo caso molti mi hanno scritto riferendomi della censura); ma non succede niente, non cambia niente, la marcia della faziosa stupidità prosegue imperterrita, dagli Usa a casa nostra. E ogni giorno si aggiunge un piccolo tassello alla grande muraglia del Divieto Ideologico Globale.
Pensate infine che con la minore diffusione dei giornali, la crisi spaventosa delle edicole, rischiamo di non avere più un’informazione controbilanciata, ovvero la possibilità di denunciare questi abusi e avvertire il pubblico di questo progressivo scivolamento nel conformismo coatto. Tendono a eclissarsi le fonti alternative d’informazione, critica e cultura; esattamente come la chiusura o la sorveglianza punitiva dei social rischia di tappare la bocca a tanta gente che si rifugia nei social per ripararsi dagli altri media, espressioni di poteri e fonti di opinioni prefabbricate. Stiamo tra l’incudine e il martello, insomma. E con questo ho chiuso. Buona colomba a tutti, se l’augurio non configura un contenuto violento nei confronti dei volatili e del gender, con eventuali allusioni erotiche di tipo sessista.

 Marcello Veneziani                                                                                                         

Aspettiamo sempre,perchè?

Aspettare è una imposizione. Eppure è l’unica cosa che ci fa percepire fisicamente il logorio del tempo e ce ne fa conoscere le promesse. Esistono infinite forme di attesa: in amore, dal medico, alla stazione o nel traffico. Aspettiamo: l’altro, la primavera, i numeri del lotto, un’offerta, il pranzo, la persona giusta, e aspettiamo Godot. I compleanni, i giorni di festa, la felicità, i risultati sportivi, un referto. Una telefonata, il rumore della chiave nella toppa, il prossimo atto e la risata dopo il finale di una barzelletta. Aspettiamo che un dolore smetta e che ci colga il sonno o che il vento si plachi. Inerzia, distrazioni o noia: nel registro delle ore programmate, l’attesa è la pagina vuota da riempire. Che nel migliore dei casi ci ricompensa con la libertà.

Andrea Köhler L’arte dell’attesa

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