I ragazzi non leggono e nessuno studia più il greco e il latino. Gli unici orizzonti sono quelli del no alcol o dei superalcolici…

 

Non mi sorprende la crisi italiana e mondiale del vino, in particolare del rosso. Mi sorprenderebbe molto il contrario, un boom di vendite. Perché sarebbe incoerente con le tendenze dell’epoca. Amici produttori mi chiedono: cosa succede? Succede quello che doveva succedere. Il vino è cultura. E a chi interessa più la cultura? Vedete forse moltiplicarsi le librerie? Vedete molti giovani leggere libri sui mezzi pubblici, sulle panchine dei parchi? Il vino è il mondo classico, è Grecia, è Antica Roma. E dove sono gli amanti del greco e del latino? Quanti citano Alceo? Quanti declamano Orazio? Il vino ovviamente è cristianesimo, fatto sacramento nel corso dell’Ultima Cena, il Giovedì Santo, oggi. Ma il cristianesimo, vedi Pioltello, non vale più la pena nemmeno per i preti. Invece i fenomeni moderni, il no alcol e il superalcol (distillati da cocktail), non richiedono conoscenza né impegno, non richiedono nemmeno un’anima. Entrambi riguardano solo il corpo, unico orizzonte del presente. Il no alcol soddisfa il salutismo, lo stolto culto del muscolo mortale, mentre i superalcolici, droga legale, concedono estasi fisica senza le complicazioni delle buone bottiglie. “Il vino sintonizza l’anima su frequenze millenarie” scrive Pietro Castellitto. Ma se l’anima non ce l’hai, e se giudichi i millenni vecchiume, del vino che te ne fai?

Camillo Langone__Il FOGLIO

no vino

Se la canzone riflette il male di vivere…

 

Spesso il male di vivere ho incontrato, poetava Eugenio Montale. Quel male di vivere s’insinua anche nella musica leggera, che pure esprime la voglia di leggerezza e di spensieratezza.

La canzone e il nulla. Tema vago e vagamente minaccioso. Ne abbiamo parlato l’altra sera al Festival di popsophia ad Ancona, tra una canzone e l’altra. Il tema era nientemeno “nichilismo e canzonette”. L’accostamento così stridente tra pensiero del nulla e canzonette a prima vista spiazza, induce a un effetto di straniamento. Troppo pesante il fardello del nichilismo sulle fragili spalle della musica leggera. Ma se è vero che il nichilismo è sceso dalle altezze dei filosofi solitari a fenomeno di massa e permea la vita di ogni giorno, i consumi, i linguaggi, la canzone non ne è immune. Il nichilismo intuito due secoli fa da Turgenev e Dostoevskij, Stirner e Nietzsche, poi germogliato tra gruppi, intellettuali e alta società nel secolo scorso, è diventato clima epocale di massa, e se ne fa interprete la musica leggera. Qualche anno fa il filosofo nichilista Manlio Sgalambro, amico e paroliere di Franco Battiato, scrisse una Teoria della Canzone; sostenne che la canzone non è la pappa del cuore, tutta romanticherie e fatuità, ma riflette il tema della nostra epoca, “la morte dello spirito”. La canzone dura quanto la vita di un insetto ma si replica tante volte, sostituisce l’attimo con l’eterno; e la discoteca, arriva a dire, è una palestra di nirvana in versione attuale-occidentale. Eppure è rassicurante la banalità delle canzonette, con le vecchie rime di cuore e amore, il recinto privato dei languori, la storia ridotta a vita intima. Ma per Sgalambro i corpi sputano l’anima sotto le note, si scoprono nel nulla.  Se ascoltate con attenzione alcune canzoni, per esempio Un giorno dopo l’altro di Luigi Tenco, Dio è morto, di Francesco Guccini, Voglio una vita spericolata di Vasco Rossi, o Avec le temps di Leo Ferrè, anche nella versione italiana di Patty Pravo (Col tempo sai) o Ne me quitte pas di Jacques Brel, cogliete il male di vivere, la disperazione affidata alla canzone. E Domenico Modugno de L’uomo in frac, Sergio Endrigo, Gino Paoli, Mia Martini e altri ancora, fino alla più recente “voglia di niente”della musica leggerissima di Colapesce e Dimartino “per non cadere dentro al buco nero che sta a un passo da noi”; cresce il lato d’ombra della musica leggera.  Sotto l’epidermico mondo delle canzonette, in pieno boom economico, poi in pieno impegno ideologico, ora in piena solitudine globale, scorre quel fiume carsico, il sottofondo disperato della società opulenta, oltre la frenesia di vivere e divertirsi. Tragico fu il destino di Luigi Tenco, col suo epilogo suicida; nelle sue canzoni la malinconia della vita oscilla tra la noia e il dolore, il perdersi nel tempo e il vuotarsi dei motivi per vivere che trascina nel nulla. L’epica nichilista è esaltata in Vasco Rossi, con la sua vita spericolata, piena di guai; il caos in cui annega l’esistenza tra fumi e alcol, il vivere per niente, l’istigazione a perdersi nel fiume della trasgressione. Il nichilismo assume tratti apparentemente nietzscheani e dionisiaci, che sembrano evocare il vivi pericolosamente e l’al di là del bene e del male. Quando scrissi di questo fondo nichilistico in Vasco, i suoi fan insorsero con veemenza e lui mi rispose risentito, da un verso negando il nichilismo, che aveva forse confuso con una sostanza stupefacente, e dall’altro spacciando un autoritratto di uomo dedito alla famiglia, con un quadro fiscale, sanitario e giudiziario irreprensibile (ma nessuno si era riferito a queste cose). Ma poco dopo uscì una sua canzone che era un vero manifesto del nichilismo musicale: in Dannate nuvole canta versi come “Niente dura niente”, “Quando cammino in questa valle di lacrime vedo che tutto si deve abbandonare”, “non esiste niente, solo del fumo, niente di vero”. Il vitalismo assoluto si rovescia in un nichilismo cupo, proiettato nel male di vivere senza senso. Siamo oltre Nietzsche, oltre Dioniso, oltre Sartre e gli esistenzialisti, oltre perfino la trasgressione. Altri brevi trattati di nichilismo e di male di vivere si affacciano in molte star e gruppi rock; il più famoso è Jim Morrison, ma è solo la punta di un iceberg. Facile ritrovare scampoli di nichilismo nella musica rock americana e nelle sue varianti hard o heavy e trovare riscontro in certe vite e certe morti precoci o suicide, tra droga, sesso, velocità e rock and roll. Il nichilismo rock, tra allucinazioni e perdita della realtà, insegue déi e demoni estemporanei, vite capovolte, cupio dissolvi, oscuri abissi. La canzone del male di vivere e la scoperta amara che niente ci aspetta, il nulla come destinazione, una volta reso niente il destino.  Sbiadisce il nichilismo nella musica leggera più recente, tra canzoni banali, narcisismo generazionale chiuso al mondo, fantasmi virtuali e autistici. Vivere a orecchio, sostituire il pensiero con l’emozione, la riflessione con la vibrazione, percorrendo il cammino inverso dell’illuminismo kantiano: non elevare l’uomo da mezzo a fine, ma il contrario e vivere di energie emotive, impulsi, ebbrezze aleatorie. L’uomo si fa chitarra, batteria, suono e percussione, veicolo musicale. Dietro l’amoreggiare della musica leggera, serpeggia quella perdita di senso e di scopo nel rifugio nelle pulsioni. Così le canzonette, magari senza volerlo, diventano la scuola elementare del nichilismo, di cui fornisce i primi assaggi o forse gli ultimi cascami. In realtà sono lo specchio di una società snaturata e deculturata, priva di principi, valori, eredità, legami. La musica rispecchia il suo tempo e propaga le sue ossessioni. I pensieri alti come cieli plumbei si specchiano in basso, nelle pozzanghere della quotidianità e si riflettono nella musica leggera. A dimostrazione che esiste un clima d’epoca che i filosofi chiamano Zeitgeist, che colpisce “in alto e in basso”, per dirla con Zarathustra. Nulla da obiettare a chi canta e a chi ascolta, ma i demoni dell’epoca serpeggiano pure nelle canzoni…

Marcello Veneziani       

Ode alla Pace di Pablo Neruda, versi per riflettere in questa settimana Santa.

 

 

 

L’Ucraina prima e la Palestina adesso ci fanno avvertire l’orrore della guerra , che colpisce soprattutto gli inermi, coloro che con questi obbrobri non hanno niente a che spartire, ma pagano per coloro che li governano malamente , senza scrupoli.
La follia umana ha preso il sopravvento su ogni valore umanamente condivisibile,il dominio del mondo è ormai l’unico obiettivo delle grandi potenze, attente a mantenere le loro supremazie su un pianeta allo sfascio ecologico, morale e intellettuale, obiettivo ridurre l’uomo ai minimi termini per garantire massimi profitti a chi sopravviverà
Ecco perché  condivido una poesia che è un viaggio. L’epica di un poeta che ha conosciuto l’esilio, e ogni specie di tragedie umane. Quello di Pablo Neruda è un canto di auspicio, una preghiera che fermi la barbarie e riesca a trionfare la Pace nel mondo intero.

        Ode alla pace

Sia pace per le aurore che verranno,
pace per il ponte, pace per il vino,
pace per le parole che mi frugano
più dentro e che dal mio sangue risalgono
legando terra e amori con l’antico
canto;
e sia pace per le città all’alba
quando si sveglia il pane,
pace al libro come sigillo d’aria,
e pace per le ceneri di questi
morti e di questi altri ancora;
e sia pace sopra l’oscuro ferro di Brooklyn, al portalettere
che entra di casa in casa come il giorno,
pace per il regista che grida al megafono rivolto ai convolvoli,
pace per la mia mano destra che brama soltanto scrivere il nome
Rosario, pace per il boliviano segreto come pietra
nel fondo di uno stagno, pace perché tu possa sposarti;
e sia pace per tutte le segherie del Bio-Bio,
per il cuore lacerato della Spagna,
sia pace per il piccolo Museo
di Wyoming, dove la più dolce cosa
è un cuscino con un cuore ricamato,
pace per il fornaio ed i suoi amori,
pace per la farina, pace per tutto il grano
che deve nascere, pace per ogni
amore che cerca schermi di foglie,
pace per tutti i vivi,
per tutte le terre e le acque.
Ed ora qui vi saluto,
torno alla mia casa, ai miei sogni,
ritorno alla Patagonia, dove
il vento fa vibrare le stalle
e spruzza ghiaccio
l’oceano. Non sono che un poeta
e vi amo tutti, e vago per il mondo
che amo: nella mia patria i minatori
conoscono le carceri e i soldati
danno ordini ai giudici.
Ma io amo anche le radici
del mio piccolo gelido paese.
Se dovessi morire mille volte,
io là vorrei morire:
se dovessi mille volte nascere,
là vorrei nascere,
vicino all’araucaria selvaggia,
al forte vento che soffia dal Sud.
Nessuno pensi a me.
Pensiamo a tutta la terra, battendo
dolcemente le nocche sulla tavola.
Io non voglio che il sangue
torni ad inzuppare il pane, i legumi, la musica:
ed io voglio che vengano con me
la ragazza, il minatore, l’avvocato, il marinaio, il fabbricante di bambole
e che escano a bere con me il vino più rosso.
Io qui non vengo a risolvere nulla.
Sono venuto solo per cantare
e per farti cantare con me.

Pablo Neruda

 

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I momenti che non sappiamo vivere e poi…nostalgia!!

 

Quando mi viene la nostalgia è perchè ho voglia di cancellare le malinconie, di tornare col pensiero a tutti quei momenti, in cui avrei fermato il tempo, perchè troppo belli da credere veri ,in cui i miei occhi brillavano di stelle. Scorrono nelle mente come un film leggermente sbiadito e poi, quasi sempre all’improvviso ,spunta lei, la mia nostalgia più grande.Di quando il mondo era un continuo spunto per la mia curiosità. Di quando non avevo paura di prendere la mano di chi mi porgeva la sua. Di quando ero felice di essere stata buona.

bimbetta

Il figlio…

 

Il figlio porta con sé il suo segreto inaccessibile al padre. Il figlio non è forse un mistero che resiste a ogni sforzo di interpretazione? E’ un fatto: ogni figlio porta con sé – già nel suo respiro – un segreto inaccessibile. I nostri figli sono nel mondo – esposti alla bellezza e all’atrocità del mondo – senza riparo. Sono – come tutti noi – ai quattro venti della vita nonostante o grazie all’amore che nutriamo per loro. La condizione del figlio coincide con quella dell’uomo: in una vita possiamo non diventare padri o madri, mariti o mogli, possiamo anche non avere sorelle o fratelli, ma nessun essere che abita il linguaggio, nessun essere umano, può non essere figlio. La vita viene alla vita sempre da un’altra vita, è da sempre, in questo senso stretto, in debito con l’Altro. Il processo di filiazione contiene questo paradosso: la vita umana è attraversata dalla vita dell’Altro, porta dentro di sé non solo un patrimonio genetico come marca biologica della sua provenienza, ma anche le parole, le leggende, i fantasmi, le colpe e le gioie delle generazioni che l’hanno preceduta. E’ fatta, costituita interamente, dalle tracce dell’Altro. Per un altro verso, la condizione del figlio è quella di realizzarsi come erede. Essere figli significa, infatti, avere il compito di ereditare, di fare nostro ciò che l’Altro – nel bene e nel male – ci ha dato. Ogni figlio porta sulla sua nuca rasata le tracce – illeggibili – dell’Altro. Siamo sempre scritti, parlati, marchiati dall’Altro. Portiamo sulle nostre nuche le sentenze, le maledizioni, gli auspici, le speranze, i desideri e le gioie delle nostre madri e dei nostri padri. Portiamo su di noi la scrittura dell’Altro senza mai poterla leggere chiaramente, né decifrare compiutamente. E’ questo il paradosso della filiazione: le colpe dei padri ricadono sempre sui figli. Ma i figli non sono mai solo il frutto di quelle colpe. Esiste una discontinuità, uno scarto, un resto inassimilabile tra la colpa dei padri e l’ombra della sua ripetizione nei figli.

Massimo Recalcati,  Il segreto del figlio.

Da Edipo al figlio ritrovato

 

imagepadre e figlio

Corso accelerato d’imbecillità suicida…

 

 

 

Ma in che mondo ci stanno portando? Dunque ricapitoliamo la situazione per chi si fosse distratto, avesse perso il filo complessivo della situazione o si fosse messo in contatto con il mondo solo adesso, dopo aver vissuto da automa. Stando a quel che abbiamo appreso in questi giorni, noi dovremmo scendere in guerra con Putin, chiudere un occhio sugli eccidi di Gaza perché non sono un genocidio, interrompere ogni tentativo di arginare i flussi migratori, non celebrare le nostre feste religiose ma solo il ramadam, inserire nella Costituzione non più il diritto alla vita ma il diritto ad abortire, seguire le prescrizioni woke nelle scuole, nelle università, sui social, in famiglia e nelle relazioni pubbliche e private, ovunque. A suggerirci questo catechismo non sono isolati maestrini che si sono bevuti il cervello, ma nell’ordine i vertici dell’Unione europea e di alcuni suoi governi nazionali, come la Francia; gli Stati Uniti, intesi sia come superpotenza e apparato militare che come mecca dell’ideologia woke, della cancel culture e del politically correct; e poi le fabbriche mediatiche di opinione pubblica, locale e occidentale, scuole e Università sparse in Italia e in tutto l’Occidente, e infine il personale di bordo della sinistra. La ricaduta reale di questo degrado è sotto gli occhi di tutti: andate a vedere come è ridotta la capitale d’Europa, Bruxelles, per capire che alle parole seguono i misfatti, il degrado urbano, la decadenza civile si fa vita quotidiana. Viviamo in un corso intensivo e accelerato di imbecillità globale col rilascio finale di una patente che ti fornisce tutti gli alibi e tutti gli elementi per il suicidio finale della nostra civiltà e di noi stessi; preceduto dal suicidio della propria identità, storia e tradizione. Le regole elementari del vivere, l’istinto di autoconservazione e di sopravvivenza, il riconoscimento della realtà e dei nostri limiti, la difesa della propria identità, dignità e libertà di pensiero critico, e tutto ciò che salva la vita e l’intelligenza, vengono violate, calpestate, bandite ogni giorno, in alto e in basso. In più, non riusciamo a vedere le cose nel loro insieme e nell’effetto combinato disposto che producono quando vanno a sommarsi; non riusciamo che a vederle un pezzo alla volta, a sé stante, in modo isolato e frammentario; e ogni cosa così slegata dal resto e dal contesto, perde la sua carica negativa che si moltiplica combinandosi alle altre. Cosa volete che sia una dichiarazione pubblica guerrafondaia, cosa volete che sia la voce aborto entrata nella Costituzione in Francia, cosa volete che sia un giorno a scuola saltato in una scuola frequentata da molti ragazzi di famiglia islamica; cosa volete che sia la censura a quel genitore, a quel docente, a quel calciatore, a quel tale? Episodi locali, circoscritti.   Basterebbe usare il buon senso nelle piccole cose e il senso della realtà nelle grandi. A proposito del primo, per esempio, non sarebbe stato più facile proseguire le lezioni a scuole ed esonerare dalla lezione coloro che per motivi religiosi intendono osservare in quel giorno il riposo, piuttosto che adeguare la scuola intera all’islam? Non si trattava nemmeno di negare loro il diritto alla loro festa ma di non subordinare la nostra scuola al loro credo.   Non sarebbe stato più semplice dissentire dalla citazione di David Hume del professor Spartaco Pupo, spiegandone le ragioni, anziché usare il potere di censura e proporre assurde punizioni giacobine con effetto immediato sulla sua carriera e reputazione? E ancora, non sarebbe più intelligente separare la rivendicazione della verità sul processo Regeni dai rapporti complessivi tra stati, e dall’opportunità di arginare il fenomeno immigrazione irregolare? Non sarebbe senso della realtà e onesto giudizio critico riconoscere che la Russia di Putin è una falsa democrazia ma con vero consenso di popolo, riconoscere che nonostante la nostra propaganda, Putin sta vincendo in Ucraina e ammettere che trattiamo da sempre con regimi autocratici, dispotici, totalitari e dobbiamo fare i conti con colossi come la Cina, che non è certo una democrazia liberale? Perché scandalizzarsi e gridare al tradimento dell’occidente per chi, come Salvini, ha osato dire queste cose? Ci chiediamo dove porterà questa escalation di dichiarazioni bellicose, questa assenza di volontà negoziale, auspicata vanamente pure dal Papa? Ci rendiamo conto che stiamo raggiungendo il punto di non ritorno in questa folle spirale di guerra? Siamo consapevoli che l’Occidente oggi non può più dare le carte al mondo, stabilire il giusto e il torto, ma è un soggetto tra gli altri, e ci sono vaste aree geografiche, forti potenze mondiali, che non sono allineate ai nostri codici ?  E dove porterà all’interno della nostra società, questo continuo, permanente bigottismo censore e punitivo di tutto ciò che concerne le relazioni tra uomo e donna, i ruoli di genitori e figli, i linguaggi della vita e delle comunicazioni, la memoria storica e la difesa delle nostre eredità? Ma che materia hanno nel loro cervello (un sospetto ce l’avrei) quei docenti inquisitori che in virtù del loro codice ideologico di condotta dell’ateneo, intimano a un collega di rimuovere un post in cui è riportata la citazione di un filosofo empirista del ‘700, ridotto oggi a fautore del “patriarcato” e nemico del femminismo; da cui il docente, suo traduttore, avrebbe dovuto prendere le distanze? Ripeto, ogni singolo episodio in sé non vale nulla, è un trascurabile dettaglio, non può suscitare allarme, semmai ironia, una battuta e via. Ma l’addensarsi e il moltiplicarsi di questi episodi producono un clima e concorrono a mutare un modo di pensare e infine un mondo, soprattutto se poi questi micro-comportamenti si incontrano con i macro-comportamenti degli stati e dei loro capi, fino alla mobilitazione delle leggi e delle forze al servizio di questi deliri. Urge una calmata, un freno critico, un filtro dell’intelligenza; ma soprattutto urgono forze sovrane in grado di contrastare la marcia dell’imbecillità verso l’autodistruzione di massa.

Marcello Veneziani

Gian Ruggero Manzoni traduce la nuova edizione del libro. Il risentimento divino che non risparmia nessuno …

 

“Massa di idioti!” “Carne avariata!”. “Razza bastarda, figli infetti!”. Ci voleva la nuova traduzione di “Isaia” (traduttore Gian Ruggero Manzoni, editore De Piante) per sentire il boato degli insulti di Dio. Verso Israele? Verso tutti i popoli: “La vostra mente è malata, l’intero vostro cuore è marcio!”. Verso tutti i potenti: “Capi delle nefandezze”. Verso l’Italia, la Francia, la Spagna: “Come mai ciò che fu terra fedele è divenuta tempio dell’idolatria?”. Verso esterofili e immigrazionisti: “Misera gente che applaude tutto ciò che è straniero”. Verso l’Unione Europea: “Un continuo impartire regole su regole, principi dopo principi, comandamenti dopo comandamenti, precetti dopo precetti, un po’ qui e un poco là, ma senza un filo di ragione!”. Verso gesuiti e bergogliani vari: “E’ alta la pira di legno sulla quale verrà bruciato quel che resta dei sacerdoti miscredenti”. Verso intellettuali e opinionisti vari: “Guai a tutti coloro che si credono sapienti e si dicono intelligenti”. Massa di idioti anche loro, innanzitutto loro, chiaro.

Camillo Langone___IL FOGLIO
tetto chiesa

Invecchiare è un regalo…

 

E poi ho riflettuto, ho pensato che invecchiare è un regalo.
A volte mi sorprende la persona che vedo nel mio specchio. Ma non mi preoccupo di lei da molto tempo. Io non cambierei nulla di quello che ho per qualche ruga in meno ed un ventre piatto.
Non mi rimprovero più perché non mi piace riassettare il letto, o perché non mangio alcune cose. Mi sento finalmente nel mio diritto di essere disordinata, stravagante e trascorrere le mie ore contemplando i fiori.
Ho visto alcuni cari amici andarsene da questo mondo, prima di aver goduto della libertà che viene con l’invecchiare.
A chi interessa se scelgo di leggere o giocare sul computer fino alle 4 del mattino e poi dormire fino a chi sa che ora? A chi interessa se ballo da sola ascoltando la musica anni 50? E se dopo voglio piangere per un amore perduto? E se cammino sulla spiaggia in costume da bagno, portando a spasso il mio corpo paffuto e mi tuffo fra le onde lasciandomi da esse cullare, nonostante gli sguardi di quelle che indossano ancora il bikini, saranno vecchie anche loro se avranno fortuna.
È vero che attraverso gli anni il mio cuore ha sofferto per la perdita di una persona cara, ma è la sofferenza che ci dà forza e ci fa crescere.
Un cuore che non si è rotto, è sterile e non saprà mai della felicità di essere imperfetto.
Sono orgogliosa di aver vissuto abbastanza per far ingrigire i miei capelli e per conservare il sorriso della mia giovinezza, di quando ancora non c’erano solchi profondi sul mio viso.
So che non vivrò per sempre, ma mentre sono qui, voglio vivere secondo le mie leggi, quelle del mio cuore. Non voglio lamentarmi per ciò che non è stato, né preoccuparmi di quello che sarà.
Nel tempo che rimane, semplicemente amerò la vita come ho fatto fino ad oggi, il resto lo lascio a Dio.

Elisa, “Vietato calpestare i sogni”

invecchiare

Primum vivere? No abortire.

Prima nel mondo, con orgoglio giacobino, la Francia ha inserito il diritto d’aborto nella Costituzione. A larga maggioranza, compresa una cospicua fetta della destra lepenista. Tanti esultano, molti tacciono, rari osano dissentire. Resta in solitudine la Chiesa cattolica a considerare un valore non negoziabile il diritto alla vita, fino a reputare l’aborto un omicidio, per dirla con Papa Francesco. L’aborto è diventato un diritto più sacro e inviolabile della nascita e della vita. Parafrasando un noto detto, primum abortire, deinde vivere. Chi osa confutarlo o chi è obiettore di coscienza è ora un nemico della Costituzione e delle donne; ma anche chi non lo rimette in discussione e prospetta solo la libera possibilità di un’alternativa ad abortire viene considerato come un delinquente retrogrado. Perché dovrebbe essere un crimine aiutare le donne a scegliere per la vita, restando pur sempre libere di accogliere o no l’aiuto? Perché difendere il diritto alla vita di una creatura sarebbe un sopruso e una violenza? Come in Orwell le parole si usano a rovescio, diventa barbaro e violento voler salvare una vita e minaccioso il solo pensarlo. I punti di forza degli abortisti sono il diritto delle donne a decidere della loro maternità e la tesi che il feto non sia ancora una persona con i suoi diritti. I punti di forza dei “nascisti” sono invece il diritto prioritario alla vita e la convinzione che una vita si formi al suo concepimento: il feto è già una persona e una promessa reale di vita. Gli abortisti dicono: se tu non vuoi abortire sei libera di non farlo ma lascia alle altre il diritto di farlo. Ma se consideri l’aborto la soppressione di una vita, non puoi dire: uccidi? fatti tuoi, io sono libero di non farlo… Tra i due fronti si può tentare di stabilire una zona di frontiera. Del tipo: rispettando le due opposte convinzioni e decisioni, si può concordare sul fatto che abortire è comunque una tragedia e perciò è lecito e doveroso, da parte della società, aiutare a non farlo, senza negare la facoltà di abortire. Ovvero non boicottare chi abortisce, ma in positivo, aiutare chi recede dal suo proposito . L’aborto, dicono i suoi sostenitori, esisteva anche prima ma era clandestino; ma mettendolo nella Costituzione ora lo Stato, la Legge, la Sanità, si sono messi dalla parte dell’aborto: il diritto a sopprimere una vita precede il diritto alla vita. Sbaglia chi pensa che il conflitto tra abortisti e anti sia il conflitto tra antichi e moderni. Nelle società arcaiche l’aborto c’era ma impressionava meno; c’era più famigliarità con la mortalità infantile, c’era più dimestichezza con la natalità e con la morte, spaventava meno di oggi. Anni di battaglie sui diritti umani, di difesa dei più deboli, i diritti dell’infanzia e dei disabili, ci hanno reso più sensibili. Perciò oggi più di ieri fa più impressione sopprimere una vita. E fa più impressione in Francia che in Africa.  So bene l’obiezione: in Italia ci fu un voto di maggioranza più di 40 anni fa. Va rispettato, anche se il tempo ci cambia; negli Usa la maggioranza è ora antiabortista. Ma se avessimo fatto un referendum popolare sulla pena di morte, sugli immigrati clandestini, sul linciaggio in piazza dei pedofili, sullo scioglimento dei partiti, cosa sarebbe venuto fuori? La democrazia referendaria non è un valore eterno e assoluto, e non vale solo quando coincide col proprio punto di vista.  Capisco l’aborto terapeutico quando è in pericolo la vita della madre. Capisco, con più fatica ma capisco, l’aborto per chi è stata violentata. Terribile anche se comprensibile è l’aborto eugenetico quando il feto ha gravi malformazioni: è umano il dramma dei genitori e la preoccupazione per un figlio non autosufficiente, anche se spaventa dove può portare questa selezione darwiniana. Ma l’aborto più praticato è quello compiuto per ragioni di libertà personale, per motivi psicologici e sentimentali, per situazioni famigliari e socio-economiche. Temi importanti ma possono giustificare la soppressione di una vita? La vita è un diritto elementare che precede tutti gli altri. Perché il diritto alla vita deve essere rivendicato per i condannati a morte che hanno ucciso altri uomini e non vale invece per una creatura inerme e innocente? Obiezione elementare, anzi infantile. Davvero qualcuno pensa ancora che la vita prenatale non si possa considerare vita, pur avendo mille riscontri opposti? Trovo ipocrita chi dice di farlo per il bene della vittima, per risparmiarle una vita infelice: lasciate che sia lui a decidere da grande, non avete diritto di vita o di morte su di lui nel nome della sua felicità. Lasciate stare le giustificazioni umanitarie. Semmai giustificatelo dicendo che non si può estirpare questa piaga, non si può sradicare, siamo fragili, incapaci di sopportare il peso di una vita sgradita. Ma evitate di fingere superiorità etica o accampare ragioni di filantropia. Comprendiamo il travaglio di chi abortisce, non conosciamo gli inferni altrui e soprattutto non abbiamo alcun titolo per mandarli noi all’inferno. Ma siamo uomini e dobbiamo assumerci la quota di corresponsabilità che ci spetta, non possiamo restare neutrali e indifferenti davanti a una vita che viene spenta nell’indaffarata indifferenza generale. Che vale prendersi cura del mondo (I care) e poi fregarsene del nascituro della casa accanto? Sconcerta questo rifiuto della nascita, salvo che per gli uteri in affitto. E spaventa questa macabra prevalenza dei morti sui vivi che segna l’Europa. Se essere un paese civile vuol dire che le bare battono le culle, preferisco vivere in un paese incivile. Ma so che è il contrario: civile è tutelare la vita, non la sua soppressione.

Marcello Veneziani

Una donna d’antan…

 

Sono all’antica, fatta di cose piccole, che oggi non si percepiscono più. Amo ancora la galanteria del baciamano, il corteggiamento, che mi si apra la portiera della macchina e mi si aiuti a scendere. Mi perdo nelle poesie, mi stupisco per un mazzo di fiori, mi emoziono per un” scendi, sono sotto casa tua”. La mia anima si perde nel romanticismo, il mio cuore batte forte per un abbraccio, i miei occhi si scaldano sotto una coperta. Non mi piace scappare dalle cose, risolvere con un messaggio, o una telefonata frettolosa, preferisco parlare a quattr’occhi e adoro le telefonate notturne per parlare d’amore. Scelgo sempre di arrivare in fretta , qualunque sia la situazione, che andarci troppo piano. Mi piace il rumore del sole alle sei di mattino, quando nell’alba tutto tace, amo metterci il cuore quando faccio l’amore, amo ancora il rispetto e il pudore di me e dei sentimenti. Amo la fedeltà, odio la gelosia ,mentre il mio agire è indubbia fiducia reciproca. Amo l’amicizia che gioca a carte mentre si parla di vita, due occhi che mi guardano come fossi l’unica cosa al mondo. La mia anima è fatta di cose antiche, di vecchie biciclette in giro per antichi borghi, di passeggiate mano nella mano, di notti illuminate da candele. Amo le sorprese, imparare le cose che non conosco, mi piacciono i baci inaspettati , i morsi sulle labbra, amo le cose folli, piccole pazzie, perchè  la normalità mi spegne dentro…

fiore viola