Non cadere nel tranello…

 

Conosco poco i ragazzi di Gioventù nazionale per ragioni d’età e di lontananza da ogni militanza politica. Ma se li paragono ai ragazzi del Fronte della gioventù di ieri e soprattutto se li paragono ai ragazzi militanti della sinistra di oggi, mi sembrano decisamente più miti, più integrati, vorrei dire più inoffensivi. I giovani militanti della destra nazionale di ieri attraversarono gli anni di piombo e altre stagioni cruente, vissero climi di mobilitazione politica, furono sprangati e cacciati, messi a tacere con violenza, alcuni non potevano andare in giro da soli, ci furono anche decine di morti; anche per questo, oltre che per un sentimento politico di non celata continuità simbolica col passato, se non fascista almeno neofascista, erano comunque più esposti al rischio di rispondere alla violenza con la violenza, mostravano più fierezza e avevano un frasario militante più vigoroso, da partito emarginato e ghettizzato. I ragazzi di Gioventù nazionale vivono invece in un’epoca in cui la storia è sparita, la cultura politica si è rarefatta e la politica è l’ombra di se stessa, ridotta solo a leadership e teatrino sui media. E militano nel partito di maggioranza relativa che sta al governo. Quel che affiora a volte in una boutade è solo fiction della storia passata, scampoli ridotti a fumetti, personaggi-cartoons; più gli effetti allergici del politically correct e l’insofferenza verso il soffocante canone woke. Sono ragazzi che possono suscitare giudizi diversi, positivi o negativi, per il loro impegno nonostante l’apatia politica e l’anemia di passioni o per le loro scelte che possono piacere o no; ma certo non suscitano preoccupazione, tantomeno paura.  C’è più violenza molecolare, allo stato sfuso, nella società, sui social, tra i ragazzi presi nel circuito di droga, velocità, narcisismo e ossessione di procacciarsi soldi per accedere ai loro desideri, piuttosto che nella politica. Gli episodi di cronaca lo confermano tragicamente: nessuno uccide in nome di Mussolini o di Che Guevara mentre ogni giorno qualcuno uccide per questioni di droga, di soldi o perché teme di perdere la sua ragazza.

Rispetto poi ai giovani militanti di sinistra, o quantomeno alle frange più radicali, i ragazzi di Gioventù nazionale non occupano case, scuole e università, non impediscono agli altri di parlare o di entrare nelle università, non aggrediscono chi non la pensa come loro e non fanno spedizioni punitive anche all’estero per massacrare di botte i loro nemici. Nessuna persona di senno e in buona fede, dotata di un minimo senso della realtà, può davvero pensare che i ragazzi di Gioventù nazionale siano pericolosi per la libertà e per la democrazia, per l’incolumità altrui e per la tenuta delle istituzioni.   Per giudicare un movimento politico e i suoi militanti ci sono due criteri oggettivi: le posizioni politiche assunte pubblicamente e i comportamenti pratici. E non mi sembra che su ambo i lati ci sia qualche segnale preoccupante di pericolo; tanto più nel paragone con i loro dirimpettai di sinistra, eco-radicali, ecc. Ciò che si dicono in privato, le gag, le battute off record, non ha alcuna rilevanza politica, pratica e giuridica.

Quando viaggio nei treni locali, sento dialoghi tra ragazzi che si divertono nel cazzeggio e amano i paradossi per violare e beffeggiare divieti e tabù, che ieri riguardavano il sesso, la fede e le tradizioni e oggi riguardano migranti, gender e “nazifascismo”. Non sono militanti di nessun partito, forse neanche simpatizzanti, ma dicono battute che riprese in un consesso pubblico susciterebbero riprovazione, indignazione e condanna. Loro stessi, penso, in un contesto pubblico non le direbbero, e magari non lo pensano veramente; o al più semplificano ed esagerano (fanno appunto la caricatura) quel che realmente pensano.  Se qualcuno s’infiltrasse in un qualunque gruppo militante di sinistra, probabilmente battute come uccidere un fascista non è un reato, auspici per la premier di finire a testa in giù, maledizioni e insulti, voglia di eliminare l’avversario, sarebbero diffusi esattamente come le infelici battute dei ragazzi spiati. Ma anche di quelle battute non c’è da tener conto, finché non vengono espresse in sede pubblica e politica, magari accompagnate da un atteggiamento minaccioso e da comportamenti conseguenti. Sappiamo pure che quando si bandiscono i concorsi per l’assunzione di mostri qualcuno poi si presenta sempre all’appello, per vanità e fatuità, per “provocare” o per chissà quale meccanismo perverso di domanda e di offerta. Se li invochi di continuo, prima o poi qualcuno arriva.  Quel che è inaccettabile e da rifiutare senza possibilità di mediazione è invece la trappola in cui si vorrebbero far cadere i leader. È una continua, perentoria intimazione a scusarsi, a dichiarare quel che lorsignori suggeriscono, come nei tribunali dell’Inquisizione; e a cacciare, sconfessare, prendere le distanze dai propri iscritti, esponenti, alleati. È una vessazione permanente, da respingere in partenza, senza nemmeno discutere, perché in malafede, finalizzata solo a nuocere, a far perdere consensi, a dividere, a mettere in stato d’accusa e d’inferiorità l’avversario, a imporre il proprio gioco, le proprie regole e il proprio frasario. Il sottinteso di questo giochino al massacro è che la sinistra in questione non è solo avversaria nel campo di gioco, ma è anche arbitro e segnalinee, cronista e giudice sportivo. Ogni volta che chiedono abiure e dichiarazioni bisogna respingerle senza nemmeno entrare nel merito, rispondendo che non hanno nessun titolo per imporre all’avversario il gioco che a te fa comodo; in quanto giocatore non puoi arbitrare la partita, ammonire ed espellere chi vuoi, o fischiare il fuori gioco, falli e decretare punizioni, annullare i gol. Giocate la vostra partita, e contendete sul campo la vittoria agli avversari.  Per tornare invece alla realtà, ma davvero qualcuno pensa sul serio che quattro battute carpite in privato a quattro ragazzi siano un pericolo per la libertà e la democrazia e coinvolgano le responsabilità del governo? Via, raccontatela ai fessi.

 Marcello Veneziani            

Senso e insensatezza in una terra desolata…

 

Se uno fosse un paziente che si risveglia in Occidente da un coma di 30 anni… non sarebbe in grado di orientarsi; non solo non riuscirebbe a riconoscere il mondo, ma nemmeno a vederne il senso.
Non è un compito facile né piacevole tentare di capire cosa sta accadendo nel Mondo Occidentale di oggi…
A dire… come mai il linguaggio usato dai politici occidentali, dalla stampa mainstream e dagli onnipresenti trend-setter, ha poco o nessun senso? Come mai la maggior parte di ciò che dicono sono sfacciate bugie? Come mai tanti leader occidentali oggi sono impacciati, puerili pasticcioni che sembrano usciti dalla stessa fabbrica? Perché mancano tutti di istruzione, di nozioni storiche e persino di competenze di base? Perché mancano tutti di carattere? Perché non ci sono più diplomatici in Occidente? Perché abbiamo “Clooney-Tunes” come arbitri di ciò che possiamo leggere e imparare sul nostro mondo? Come mai un degenerato senile e irascibile è a capo di uno Stato dotato di armi nucleari? Perché la maggior parte dei regimi europei abbraccia avidamente politiche suicide? E… che ne è dei loro cittadini?
Il paziente stordito potrebbe allora rendersi conto di un odore pervasivo… qualcosa che segnala la putrefazione – la stucchevole dolcezza dei “valori occidentali” condita con il tanfo del neoliberismo cadaverico.L’Occidente sta crollando… ma ci sono due Occidenti… e uno sta crollando più velocemente dell’altro. (1) Il Vecchio Occidente – l’Europa. (2) Il “Nuovo Occidente” – il resto dell’Occidente, ovvero i territori post-coloni (frutto dell’eredità coloniale britannica, i primi nati circa 250 anni fa): Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e “Israele”.È il Vecchio Occidente che si sta sgretolando più velocemente… E questo è in parte dovuto al senso di identità originaria che si sta svuotando dall’interno.
La Vecchia Europa si sta trasformando in un vuoto. Ha perso quasi del tutto le sue tradizioni, le sue ricche culture, il suo passato, la sua civiltà… E, in virtù degli obblighi di conformità del neoliberismo e del processo di omologazione incrementale incarnato dall’UE e dalla NATO, i singoli Stati stanno perdendo le ultime vestigia di un’identità originaria e autentica. Ed essere completamente privi di identità rende disperati – spesso a proprie spese.
Per riempire il vuoto sempre più dilatato… la missione neoliberale ha fornito alle masse occidentali un “minimarket orientato all’immagine pubblica” che offre una gamma di narrazioni insidiose e nuove identità confezionate che includono merci come: guide passo-passo alla celebrità, dritte per liberarsi dagli obblighi sociali, eroismo basato su impronte di carbonio minime, i fondamenti del femminismo radicale, il virtuosismo vegano, modelli per la modificazione del corpo, un’ampia selezione di generi, ecc. E privandoli di un pensiero indipendente, questi nuovi prodotti identitari hanno reso questi consumatori disorientati ancora più sottomessi alle autorità delle narrazioni.
Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui gli Stati europei si sono assoggettati a diventare vassalli dell’Impero e hanno da tempo rinunciato a pensare ai propri interessi di sicurezza nazionale.
L’assoggettamento tende a generare meccanismi di compensazione illusori… Dopo aver praticamente acconsentito alla distruzione dei gasdotti Nord Stream e allo smantellamento della sua industria (pur rimanendo nell’illusione della sua bravura militare), la Germania ha partecipato con i suoi padroni a una strategia per far saltare il Ponte di Crimea. Poi c’è la Francia: nel delirio della sua passata gloria (ingloriosa) come “la Grande Nation”, le petit Napoléon Macron ha acconsentito a permettere agli ucraini di colpire obiettivi all’interno della Federazione Russa usando armi francesi e sta ancora considerando di inviare soldati francesi a combattere in Ucraina. La Finlandia e i chihuahua baltici hanno dimostrato di essere pronti ad affrontare il loro grande vicino. L’Ucraina, la cui intera popolazione viene sacrificata all’Egemone, continua a effettuare bombardamenti sul territorio russo e medita persino di colpire i suoi sistemi radar di allerta nucleare.
Nel frattempo, e nonostante tutte le narrazioni escogitate fornite, la maggior parte dei cittadini europei si trova in uno stato psicologico di grave depressione… I segni e i sintomi sono abbondanti: paura, mancanza di speranza, letargia, ritiro sociale, minore produttività, perdita di creatività, un senso generale di “morte e distruzione”. Certo, esiste una minoranza di coraggiosi dissidenti che osano pensare e parlare in modo indipendente, ma vengono perseguitati e sempre più spesso sottoposti a caccia alle streghe. La Vecchia Europa è ormai, nel suo complesso, autolesionista e suicida. Non vede più una ragion d’essere per sé stessa. Non vede più una “Daseinsberechtigung”…
Gli Stati occidentali post-coloniali, tuttavia, sono ancora impregnati di un forte senso di identità. Ciò è particolarmente evidente negli Stati Uniti e in “Israele”. Sebbene le loro popolazioni abbiano pochi o nessun legame con le radici storiche, la civiltà e la cultura dei loro antenati europei, continuano a nutrire un fanatico senso di “diritto divino” sulle terre che i loro antenati colonialisti hanno brutalmente invaso. Gli Stati Uniti, in particolare, si sentono investiti della missione divina di redimere l’umanità facendo proseliti con i loro “valori” e il loro stile di vita in tutto il pianeta. Nonostante il programma neoliberale dell’Occidente di distruggere le società e la cultura ovunque, anche all’interno dei propri territori, il senso di preminenza divina dei post-coloni abbonda ancora e certamente prevarrà finché esisteranno. Sono “gli eletti”. E così questi Stati hanno conservato le loro identità originaria, per quanto squilibrate possano essere.
Non c’è da stupirsi quindi che l’Egemone e il suo avamposto “Israele” stiano conducendo escalation avventate… senza alcun piano B… senza un minimo di pensiero strategico. Perché sono convinti di essere incolpevoli, intoccabili, invincibili… E – finora – sono inarrestabili.
Si può quindi vedere il declino dell’Occidente come una patologia a due punte: una parte maniacale, una parte depressiva… con entrambe che negano la Realtà… sommerse in uno stato di totale irrazionalità.
Le potenze occidentali hanno raggiunto il loro capolinea. Questa è l’ultima tappa della loro lunga cavalcata di saccheggio e il culmine del loro sistema, l’ultima fase del loro capitalismo neoliberale.
Non hanno nient’altro per cui vivere.
Se il resto di noi sopravvive al loro schianto, cercheremo di costruire un nuovo mondo… e se vogliamo perdurare e vivere insieme in armonia: allora dovrà essere senza il loro sistema…

E magari potremo iniziare questo percorso con la domanda: “Che cos’è ciò per cui viviamo?”

Nora Hoppe – Al Mayadeen

 

senso e nonsenso

 

La biografia che manca di Gianni Agnelli…

 

Gli eredi dell’Avvocato contrastano le biografie dettagliate ma una memoria troppo difesa è, paradossalmente, una memoria perduta. Prendere esempio da “Truman Capote” di George Plimpton.

“Truman Capote” di George Plimpton più che per il soggetto, uno scrittore importante ma purtroppo anche una pettegola malefica, mi è piaciuto per il metodo, un montaggio di testimonianze di persone che lo hanno conosciuto. Ne risulta una biografia polifonica, con voci sia favorevoli sia contrarie, piacevolissima per ricchezza e varietà e freschezza (sebbene risalga al 1997). Libri di costruzione tanto impegnativa forse si possono fare solo in America, dove ci sono, a differenza che in Italia, soldi e lettori. E allora posso soltanto sognarle biografie fatte così di alcuni miei eroi del passato recente, Giulio Andreotti, Alberto Arbasino, Franco Battiato, Silvio Berlusconi, Giorgio Bocca, Piero Buscaroli, Guido Ceronetti, Emilio Colombo, Lucio Dalla, Luciano De Crescenzo, Gillo Dorfles, Oriana Fallaci, Raffaele La Capria, Paolo Poli, Franco Maria Ricci ma soprattutto Gianni Agnelli che fra l’altro in “Truman Capote” è citato in quanto marito di un’amica (poi ex amica) dello scrittore. So che gli eredi dell’Avvocato contrastano le biografie dettagliate ma una memoria troppo difesa è, paradossalmente, una memoria perduta. Fra qualche anno non ci saranno più testimoni da intervistare e una grande eredità di stile andrà dispersa. Mentre molti già pensano che campioni dello stile italiano siano i cantanti tatuati.

Camillo Langone  

Agnelli                                                                                                       bio

La prova dell’Ascolto …

C’è un test dell’ascolto che non sbaglia mai ed è alla portata di chiunque: non c’è bisogno di essere psicologi iscritti all’albo.

State parlando con un conoscente, o un amico. Magari lui vi sta pure guardando in faccia (gli occhi sono un linguaggio spesso trascurato) e vi manifesta in qualche modo disponibilità e interesse.
Voi avete iniziato da poco a raccontare qualcosa.
Poi, ad un certo punto, venite interrotti. E dovete subire un’interferenza.

Capita.

Ad esempio al ristorante. Il cameriere sta per avvicinarsi al tavolo. Poi si accorge che siete affaccendati in una conversazione e si ritira, attendendo con discrezione, in disparte, per non disturbarvi. Voi vi accorgete della sua presenza e gli fate cenno che siete pronti per le ordinazioni. Il cameriere, con cortesia e professionalità, fa capire che non c’è fretta: ritorna. Ma voi e il vostro commensale gli dite che avete già sfogliato il menu e avete deciso. Primo, secondo, acqua. Invece per vino o birra vi fate esporre l’offerta da lui: che vi consigli, soprattutto per il vino. Quindi scegliete.

Il tutto è durato pochissimi minuti. Il cameriere ringrazia, fa un cenno di inchino (non è un giapponese: è solo, come già detto, un professionista che conosce il mestiere), sorride e se ne va.

A questo punto voi ripensate al racconto e a quello che ancora avreste da dire per completarlo. Ma restate in silenzio. Arrivate pure a guardare in faccia il vostro interlocutore. Il quale è più zitto di voi. E’ distratto. Pensa ai fatti suoi. Oppure, butta lì un suo inizio di discorso che non c’entra nulla con il vostro che avete dovuto interrompere. E il vostro racconto rimasto in sospeso? Nulla. Evaporato.

Ecco fatto. Avete il test perfetto: quello che dicevate evidentemente non interessava. La disponibilità manifestata, con con tanto di occhioni e sorrisi accoglienti (immaginiamo la situazione migliore: perché c’è pure chi fa capire da subito che la sua attenzione all’ascolto è del tutto formale, posticcia, acquisita solo durante l’ennesimo corso di formazione), era finta, distratta, artificiosa. Al vostro conoscente, o amico, di quello che stavate dicendo, non gliene poteva interessare di meno. Altrimenti, è ovvio, non solo per educazione, vi avrebbe chiesto: “Scusa, dicevi?”. Per ricordarvi o stimolarvi a riprendere.

Naturalmente, visto che stiamo immaginando un caso reale, aggiungiamoci un dettaglio, spesso presente e grosso come un macigno. Il conoscente, o amico, è uno dei principali assertori/propugnatori della teoria dell’ascolto. Magari è un laudatore dei costumi antichi, quando “sì che c’erano tempo e disponibilità ad ascoltare”. “Sì, perché, caro dottore: oggi ognuno per sé e un Io solo per tutti. Troppa fretta, troppa indifferenza, tanti contatti e pochi rapporti. Caro mio, viviamo tempi brutti: altro che ascoltarci. Degli altri, in fondo, chissenefrega?”

Oppure no: lui li odia i tempi antichi ed è convinto che solo oggi si fanno le ottime cose che ieri non si facevano. O non si facevano a sufficienza. Come ascoltare, per esempio.

Massimo Ferrario, La prova dell’ascolto,

 

ascolto-empatico

Potere alle donne…

Le ultime elezioni europee hanno confermato una tendenza: il passaggio del comando politico dagli uomini alle donne. Giorgia Meloni ed Elly Schlein guidano i due maggiori partiti nostrani, su cui si fonda il nostro bipolarismo imperfetto. E a livello europeo, Marine Le Pen è la vera vincitrice di questa tornata elettorale. Ma non solo: Ursula van Der Leyen eRoberta Metsola, presidenti della commissione e del parlamento europeo, sono uscite bene dalle elezioni, nonostante la sconfitta delle forze eurocratiche, la disfatta di Macron in Francia e di Scholz in Germania. E altre donne guidano altri paesi, da est a ovest.

Ma non è un fenomeno contingente; c’è qualcosa di più profondo e strutturale: il potere sta passando alle donne. Non c’è bisogno di essere femministe per plaudire a questa svolta ginecocratica. Personalmente mi sono convinto che il futrazione del latino Domina, è colei che domina anche nella vita pubblica. uro della politica sia femmina. Non lo dico con rassegnazione o per compiacere le donne, è una pura constatazione di fatto: si, la politica oggi si addice di più alle donne. E non dirò nemmeno che è un segno di decadenza della politica. Le donne oggi hanno più determinazione, carattere, tenacia, si applicano di più, sono meno superficiali e multitasking, più adatte a governare e guidare la politica. L’uomo molla, è molle, ha meno volontà. Non siamo al regno della Amazzoni ma si deve prendere atto che la Donna, contLe donne sono più portate alla concretezza, sono più pragmatiche e sono meno inclini alla corruzione e alla disonestà politica.
Un tempo le Golda Meir e le Indira Gandhi, ma  anche le regine del passato, facevano storia a sé. Poi venne il tempo della Thatcher e poi della Merkel; oggi sta diventando la norma.
Le donne hanno una vocazione naturale alla crematistica, che dai tempi di Aristotele è l’arte di gestire l’economia, e riguarda non più solo le spese di casa, ma quelle del condominio-Paese o del condominio Unione. Una donna guida pure la Banca centrale europea, Christine Lagarde, la Draghi in versione euro-femminile. Che non suscita, almeno in me, simpatia e ammirazione, ma è una conferma ulteriore di questa svolta.
Non è lo stato d’animo sconfortato e depresso di un uomo, di un maschio che vede ormai il passaggio di consegne e si lascia prendere da una specie di sindrome di Stoccolma. È un’abdicazione serena, che libera l’uomo dall’ansia di prestazione politica e dal dovere di dimostrare la sua maggiore capacità di visione e di gestione, l’attitudine al comando e alla decisione. In fondo, ci sono già state epoche nell’antico mediterraneo all’insegna del matriarcato. Che ancora si riflette in alcune società del sud, dove l’uomo regna ma la donna governa. Anche quando restavano in casa a esercitare il loro potere a latere, erano le mandanti dei loro consorti, laddove gli uomini amavano figurare, duellare, guerreggiare, ma poi delegavano alle loro mogli, sorelle e madri, la gestione della casa, della famiglia e delle strategie di prossimità. Quell’eredità ancestrale è venuta ora a maturazione e si è fatta sistema; e la disfatta della politica, la maggioranza assoluta del popolo sovrano che abdica alla sovranità e non va a votare, sono ulteriori segnali che qualcosa è cambiato, dobbiamo prenderne atto e trarre le dovute conseguenze. All’uomo resta, se sarà in grado di mantenerlo, il regno degli scopi ultimi, il mondo dei significati, l’arte, il gioco, il pensiero, la metafisica. Anche se veniamo da un secolo, il novecento, in cui il pensiero forte è stato più rappresentato dalle donne. Dopo millenni di dominio maschile, le pensatrici più vigorose del Novecento sono loro: Simone Weil e Hannah Arendt, Maria Zambrano e Rachel Bespaloff e altre pensatrici e scrittrici. Mentre gli uomini in larga parte dichiaravano la morte della filosofia e la sconfitta del pensiero, o fallivano nei loro sogni, figli del superuomo nicciano, il pensiero delle donne, al di là delle rivendicazioni femministe, assumeva vigore politico, filosofico e religioso. Peraltro entri in libreria, vai a cinema o a teatro o a una conferenza e vedi più donne che uomini. È un segnale.
Il repertorio classico delle motivazioni aveva fino a ieri un senso, pur nel suo corredo di ovvietà: quando l’uomo andava in guerra e a caccia, quando sfidava l’incognito, il pericolo e le intemperie, si sporgeva fuori casa e portava da mangiare alla famiglia, comunque si occupava lui delle fonti di sostentamento, aveva una naturale propensione non solo a guidare la società ma anche a interpretarla, a capirla, tramite la cultura, lo spettacolo, la ricreazione. Oggi è tutto un sorpasso. In più prevale per i maschi giovani lo stereotipo del bamboccione, motteggiato dalle donne con la frase-password: “non ha le palle”. Anche da qui prende corpo l’evirazione della politica.
Un tempo si diceva che gli uomini hanno una visione generale delle cose, mentre le donne hanno una visione particolare, ravvicinata. Oggi non è più così, l’individualismo egocentrico, la vanità e il puerile narcisismo hanno reso gli uomini più preoccupati della loro sfera personale, quanto se non più delle donne. Anche in politica prevale il particulare, la carriera personale, i fatti propri, se non gli interessi privati. Non so se chiamarla emancipazione femminile o piuttosto decadenza maschile; non se se sia da ascrivere più a un’accresciuta sensibilità e capacità delle donne o a un crescente inebetimento e inettitudine dei maschi. Direi salomonicamente a entrambi. Oggi quando si deve eleggere un presidente o un premier mi trovo a dire: speriamo che sia femmina.

Marcello Veneziani     

Il fior di loto, che c’è in te…

loto
                      Se ti senti smarrito, contrariato, esitante oppure debole,
ritorna a te stesso, alla persona che sei, qui ed ora e
guardando a  come stavi prima, riscoprirai te stesso…
come un fiore di loto in piena fioritura,anche in uno stagno
fangoso, bellissimo e forte-
Masaru Emoto

Nature style…

C’è qualcuno, un creativo, uno stylist che abbia idee migliori della natura per vestire le sue creature ? Penso proprio di no, anzi, sono convinta che ogni forzatura dell’uomo sulla natura stessa non sia altro che un disastro. Se ci guardiamo intorno, e pensiamo a quanto la terra abbia fatto da sola,  migliorando certe condizioni ,solo coll’intuito e il buon senso  dell’uomo, rimamendo lì, a disposizione dell’umanità per milioni di anni, intatta, e guardiamo attentamente a quanto danno  sia stato prodotto da quello che chiamiamo progresso, negli ultimi due secoli, mi viene da chiedermi a cosa siano servite tante scoperte , nate dall’intelligenza di tante menti illuminate.  Purtroppo l’uomo, nella sua infinita presunzione, porterà  soltanto a quella catastrofe, o Apocalisse, come ci viene descritta nelle Sacre  Scritture.

Cosa fu la Dc..

 

Rieccola, la Dc, un pezzo della vita nostra, di noi seniores. Torna per i suoi ottant’anni, ma a dir la verità, già quarant’anni fa ne dimostrava ottanta. O quantomeno così la percepivamo noi italiani, tanto ci pareva eterna, inossidabile, antica. Andreotti ci sembrava un reperto della preistoria già quando aveva solo sessant’anni; si sprecavano ironie sulla sua, sulla loro longevità politica. Essendo poi per indole e ragione sociale moderati, sobri e morigerati, i democristiani sembravano vecchi anche da giovani. Ma quella percepita antichità della Democrazia Cristiana indicava anche un’altra cosa: aderiva così profondamente alle fibre del nostro paese da essere considerata un elemento naturale della nostra vita pubblica e privata. Avevamo per così dire somatizzato la Dc o la Dc aveva somatizzato l’Italia, pur senza alcuna enfasi di italianità e di identità nazionale. Apparve quasi l’autobiografia degli italiani, come si disse pure del fascismo: il fascismo-Stato pretese di essere la versione paterna mentre la Dc-Stato fu la versione materna.

L’occasione per celebrare gli ottant’anni della sua nascita è un convegno  a Roma, introdotto da Ortensio Zecchino, moderato da Paolo Mieli, con alcuni storici, che dà il via a una serie di incontri e seminari triennali sulla storia della Dc nella storia d’Italia: Anima e corpo della Dc.

Cosa è stata la Dc per l’Italia in relazione al suo tempo? Fu in primo luogo il più grande ammortizzatore di conflitti e guerre civili, di tensioni sociali, di passioni ideali. Venivamo da un’Italia divisa in due e la Dc fu la tregua sine die, il disarmo e l’oblio dell’Italia venuta dal passato, dal Risorgimento, dalle Guerre, dal fascismo e dall’antifascismo. Riportò l’Italia dalla storia a casa, anzi non pensò all’Italia ma si prese cura degli italiani e li riportò in famiglia, alla vita di ogni giorno. Quando si spaccia il voto alle donne come una vittoria progressista si dimentica che furono le donne a far vincere la Dc contro il fronte progressista. Votarono il partito della Madonna e della famiglia, mica l’emancipazione femminista.

La Dc non pretese di raddrizzare le gambe storte degli italiani, come i rivoluzionari e i riformatori; non ebbe pretese correttive, etiche, non sognava l’uomo nuovo; assecondò il suo popolo e la sua indole, nel nome della libertà, ma di fatto della comodità, del quieto vivere, mettendo ciascuno a proprio agio. Fu indulgente la Dc, mai punitiva, mai vendicativa e di fronte a ogni massimalismo rispondeva col minimalismo rassicurante; gli estremisti li avversava in campagna elettorale, poi tentava di ammansirli e assorbirli. Se la destra coltivava la fiamma del passato e la sinistra si crogiolava nel sol dell’avvenire, lo scudo crociato si curava del presente. Era la realtà concreta, senza cedere al neo-realismo. Se la destra si appellava alla nazione e la sinistra si richiamava al socialismo sovietico, la Dc si piazzò a Occidente, tra la Chiesa e gli Stati Uniti, sotto la protezione delle vecchie zie. Non promosse crociate ma dighe per arginare il comunismo o il nazionalismo; era il partito delle piccole, solide certezze, rispetto alle avventure temerarie e ai focosi ideali. Il suo modello sociale era la versione soft dello statalismo fascista e socialista: un compromesso tra pubblico e privato, tra libertà e assistenza, mercato e stato. Alle forti convinzioni oppose le pratiche convenienze; trasferì l’invocazione dei santi nel campo delle raccomandazioni. Allevò clientele e spostò le aspettative sul piano personale e famigliare. Se l’Italia fu quella lungo il mezzo secolo democristiano, i meriti e le colpe della Dc furono sempre indiretti, mediati; fu sempre concausa, sia di sviluppo che di decadenza. Ovvero, non si può attribuire direttamente alla Dc il boom dell’Italia dal dopoguerra al miracolo economico; la Dc non ostacolò questo processo che avvenne più per dinamismo sociale, voglia e capacità di migliorare degli italiani nella loro vita; per certi versi lo assecondò, quantomeno garantendo un clima e sopendo le forti contrapposizioni. Allo stesso modo non si può attribuire direttamente alla Dc la decadenza della società, il caos, la perdita di valori, la scristianizzazione galoppante, la crisi di identità, appartenenza e cultura. La Dc non arginò queste derive, non si oppose, non pretese nemmeno di orientare culturalmente o ideologicamente gli italiani. Ma sarebbe ingeneroso attribuire il declino di una civiltà alla Dc, esattamente come sarebbe ingiusto attribuire alla Dc il merito dello sviluppo. Dopo De Gasperi non ebbe statisti, i suoi “cavalli di razza” furono politici navigati, a volte cinici, come Andreotti, a volte fumosi anche se di maggior respiro, come Moro. Forse Fanfani ebbe l’ambizione di essere uno statista e fare politica oltre la gestione dell’esistente. La duttilità della Dc, la pluralità di sensibilità e tendenze fu la sua forza e la ragione della sua durata.  Cominciò a declinare quando De Mita pretese di modificare l’indole della Dc, prima abbracciando l’Arco costituzionale con cui perse l’egemonia, poi cercando un’intesa col Pci e le forze laiche opponendosi al fronte avverso che univa a sua volta una parte della Dc di sempre con l’emergente leadership di Craxi (il mitico CAF). E sullo sfondo le ombre del dopo-terremoto (Irpiniagate).

Il primo crollo elettorale fu proprio con lui nel 1983, a cui seguì l’anno dopo il sorpasso dei comunisti alle elezioni europee, freschi orfani di Berlinguer. Poi la caduta del Muro, Mani Pulite, l’incapacità di rifondarsi e di accettare le conseguenze del bipolarismo; vano fu il tentativo in extremis di tornare partito popolare, senza l’ispirazione sturziana, in un mondo ormai mutato. Infine la disseminazione dei democristiani nei due schieramenti e il formarsi di alcuni partiti coriandolo. La Dc non morì del tutto, ma non si ricompose più per intero. Restò un flebile rimpianto, fino a che la tirannia del presente cancellò la sua impronta. Quel presente che era stata l’àncora di salvezza democristiana dalla storia, dai nostalgismi e dai progressismi, si ritorse contro di lei e la tumulò nel passato. L’Italia ci mise una croce sopra, non in segno di voto o di memoria dello scudo crociato; ma per seppellirla insieme all’Italia di ieri con le sue vecchie mappe e le sue vecchie mamme.

 Marcello Veneziani 

Essere giovani…

La gioventù non è un periodo della vita, è uno stato d’animo; non è una questione di guance rosee, labbra rosse e ginocchia agili; è un fatto di volontà, forza di fantasia. Vigore di emozioni: è la freschezza delle sorgenti profonde della vita. Gioventù significa istintivo dominio del coraggio sulla paura, del desiderio di avventura sull’amore…

E spesso se ne trova di più in un uomo di 60 anni che in un giovane di venti. Nessuno invecchia semplicemente perché gli anni passano.

Si invecchia quando si tradiscono i propri ideali.

Gli anni possono far venire le rughe alla pelle,

ma la rinuncia agli entusiasmi riempie di rughe l’anima.

Le preoccupazioni, la paura, la sfiducia in se stessi

fanno mancare il cuore e piombare lo spirito nella polvere.

A 60 anni o a 16, c’è sempre nel cuore di ogni essere umano il desiderio di essere meravigliati, l’immancabile infantile curiosità di sapere cosa succederà ancora, la gioia di partecipare al grande gioco della vita. Al centro del vostro cuore e del mio cuore c’è una stazione del telegrafo senza fili: finché riceverà messaggi di bellezza, speranza, gioia, coraggio e forza dagli uomini e dall’infinito, resterete giovani. Quando le antenne riceventi sono abbassate, e il vostro spirito è coperto dalla neve del cinismo e dal ghiaccio del pessimismo, allora siete vecchi, anche a vent’anni; ma finchè le vostre antenne saranno alzate, per captare le onde dell’ottimismo,c’è speranza

Samuel Ullman__Essere giovani

 

essere giovani

Nè ieri, nè domani …oggi forse..

Cominciano ad andare via tutti:le persone, i sogni,i fumi di tutte le battaglie.
Persino le ragioni e i torti ,che mi hanno infiammata,adesso si confondono
e si congedano. Nella mia nuova età  averla vinta è triste, ti fa sentire più sola. Ho sulle spalle più addii che anni.  E gli anni che ho vissuto insieme ad altri sono rimasti in mano a me soltanto. Mi capita di tirare fili,che mi ricadono addosso, non c’è più nessuno, dall’altra parte, a tener saldo quel che mi legava: a un’amica, a un ricordo, a un uomo conosciuto e perso.
Ho chiuso tante porte su un amore o l’altro. E ho chiuso gli occhi  di chi andava via, mentre temevo di avere le mani troppo fredde e mi chiedevo
che sono stata:  abbracciare la bambina,  la ragazza e me.  E dire a tutte:
cerca di star bene.  Ma è ancora presto  per vivere all’indietro.  Devo tirare dritto  e vedere cosa c’è poi-

 

stai bene