Quella Cappa che ci opprime.

 

Cosa resterà di questa libertà dimezzata e sorvegliata che stiamo subendo ormai da tempo in regime di pandemia? Resterà la Cappa, che ci avvolge e che ci opprime, in cui si condensano le nubi sparse dei nostri giorni fino a formare una coltre compatta: le restrizioni sanitarie, la vita sanificata e ospedalizzata, il controllo digitale totale, la tracciabilità dei nostri spostamenti, fisici e finanziari, la vita dimezzata nelle sue possibilità, viaggi, relazioni; e poi la guerra civile dei sessi, la guerra mondiale contro la natura, la cancel culture applicata alla storia, il politically correct applicato ai rapporti umani e alla società, le censure al linguaggio, il pensiero unico e prigioniero del modello uniforme…

Facendosi cronici e intrecciandosi tra loro, i diversi fattori convergono e commutano le limitazioni sanitarie in forme di sorveglianza permanente, fino a formare una cappa globale che sembra destinata a non dissiparsi. Con la Cappa stiamo passando dalla società aperta alla società coperta, dove si maschera la parola come il volto e tutto è sotto una rete protettiva.

In che mondo viviamo? Sotto la Cappa tutto perde contorno, confine, libertà, consistenza reale, memoria e visione. I sessi sconfinano e mutano, le differenze scolorano e si uniformano, la natura è abolita, la realtà è revocata, i territori perdono le frontiere; la nuova inquisizione censura e corregge, il regime di sorveglianza globale controlla la vita tramite l’emergenza e la priorità assoluta della salute. Ma anche il passato sparisce, col gran reset della storia e i processi intentati al passato col metro del presente; tramonta ogni civiltà, a partire dalla civiltà cristiana per fare posto a un sistema globalitario; spariscono i luoghi, compresi i luoghi di lavoro, in una società delocalizzata, senza territorio. La schiavitù prosegue a domicilio, con l’home working. Perdendo il mondo, ciascuno ripiega su te stesso, in un selfie permanente; la Cappa favorisce infatti il narcisismo solitario e patologico di massa. Vivi attraverso il tuo cordone ombelicale chiamato smartphone e simili, ti fai icona di te stesso. E intanto deperiscono le proiezioni oltre la propria vita: la storia, la comunità, l’arte, il pensiero e la fede, ogni fede. La Cappa occulta la bellezza, la grandezza, il simbolo, il mito, il sacro, la realtà. Negandoci altre visuali ci nega altri mondi, altri tempi, altre luci. L’uomo,abita cinque mondi: il presente, il passato, il futuro, il favoloso, l’eterno. Se ne perde qualcuno vive male; se vive in uno solo impazzisce. E noi viviamo totalmente succubi del presente, nel nostro orizzonte infinito presente globale.

Immersi nel presente, abbiamo perduto la facoltà di distaccarcene per vederlo nell’insieme e per capirne la direzione e il destino. Così abbiamo perso il senso del presente e non riusciamo più ad avere una visione generale della realtà. Da qui la sensazione di vivere sotto una cappa; visibilità ridotta, voci spente, suoni ovattati. Ne avverti il peso anche se non ha fattezze e non ha confini, non si può misurare, è ineffabile e avvolgente, come la cappa che avvolge gli Ipocriti nell’inferno dantesco; cappa dorata all’esterno ma plumbea e pesante sui dannati. Nel XXIII canto dell’inferno così li descrive: “Elli avean cappe con cappucci bassi dinanzi a li occhi […] Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto”.

Ho provato a compiere un excursus ragionato benché venato dalla percezione di una profonda Mutazione, tra le follie odierne e i tabù vigenti, tentando una serrata critica per vivere il presente e non subirlo. Viviamo nel peggiore dei mondi possibili, abbiamo raggiunto il punto più basso nella storia dell’umanità? No, non il più basso, semmai il punto di non ritorno. I fattori demografici, ambientali, tecnologici rischiano di essere irreversibili, come le trasmutazioni antropologiche che stiamo inavvertitamente subendo in un corso accelerato verso il postumano e l’intelligenza artificiale.

Occorrerà ridare l’assalto al cielo, come dicevano i rivoluzionari ma stavolta non con la pretesa di scalarlo, come in una nuova torre di Babele, bensì per sgombrarlo dalla Cappa globale. L’assalto sarebbe dunque di segno opposto, per liberare il cielo e non per occuparlo. Liberare il cielo, l’atmosfera, l’aria può avere anche un’implicazione ecologica, ma non è solo una questione ambientale.

Le rivolte, le rivoluzioni sono velleitarie e impotenti e aprirebbero conflitti perdenti con i poteri. L’unico mezzo a nostra disposizione è la spada del pensiero critico, dell’intelligenza libera e ribelle, che non si accontenta del presente e della sua dominazione assoluta. Non disponiamo di altra arma, di altro potere, che la nostra facoltà di capire: l’intelligenza è la spada affilata che salva o almeno perfora la Cappa asfissiante. La maiuscola Cappa, la minuscola spada…

MV, Panorama (n.5)

cappa3

 

I nuovi Algopoteri…

Siamo entrati nel terzo anno di pandemia e quelle che erano le mie convinzioni all’inizio di questa storia non hanno fatto altro che aumentare e trovare se non risposte certe .Intanto ho incominciato a scoprire come la malattia sia arrivata al momento giusto in cui, sul modello cinese, col quale il nostro governo ha avuto ed ha frequentazioni un po’troppo frequenti, sia diventata impellente la transizione digitale di tutto quanto sia possibile. Praticamente tutto quello che riguarda la vita dell’uomo su questo pianeta. Da anni si parla di intelligenza artificiale, di algoritmi, di robot intelligenti, di questo qualcosa che , colla scusa di aiutare l’uomo, sta prendendo il pieno controllo della nostra vita, iniziando dal pensiero. E questo indottrinamento ad essere bravi cittadini non può essere smentito da nessuno, se non da chi ha interesse a tenere nascosto il più lungo possibile il nostro cammino verso la schiavitù digitale, che , iniziando dalla ID prenderà pieno possesso di noi. E chi c’è dietro a tutto questo? I nuovi poteri, quelli che fanno parte di una nuova elìte, talmente ricca da avere la proprietà di questi algoritmi ed avere la capacità di spendere le cifre altissime del loro costo. Le operazioni superveloci dei computer quantistici hanno un costo esorbitante in energia ed in emissioni. Per permettere questo siamo  noi a dover limitare la nostra vita, i nostri consumi per permettere lo sperpero esagerato di energia e carburanti di questi super ricchi, che sappiamo tutti chi siano. Il loro potere ormai è tale che sono in grado di condizionare i governi. Sono anni che pensavo di farneticare e poi ho ascoltato questo Podcast di” La Repubblica “e ho visto che non ero sola a fare questi ragionamenti, ma  lo stavano facendo  emeriti  studiosi e giornalisti d’inchiesta. Vi propongo il link per rintracciare questo interessantissimo podcast.
https://www.repubblica.it/podcast/storie/algopotere/stagione1/?ref=RHTP-BD-I277680880-P13-S4-T1

 

algopotere1920x1080

Un pensiero sulla serenità…

 

serenità

Serenity Creek

Un pensiero per Tin Nacht Han…

Tutte le comunità buddiste del mondo pregano nel ricordo di Tin Nacth Han, che ha lasciato questa terra all’età di 95 anni. E’ stato la personalità religiosa più importante, dopo il Dalhai Lama.
Amo da anni la filosofia buddista, che mi accompagna nella mia vita di cristiana come un bastone, che alleggerisce il cammino della fede. Per questo lo voglio ricordare con uno dei suoi scritti,un viatico per l’altrove ignoto, che attende ognuno di noi.

This body is not Me.
Questo corpo non è me.
Io non sono limitato da questo corpo.
Io sono vita senza confini.
Io non sono mai nato
e non sono mai morto.
Volgi lo sguardo all’oceano
e al cielo trapuntato di stelle,
manifestazioni della mia vera mente meravigliosa.
Fin da prima del tempo, io sono stato libero.
Nascita e morte sono solo porte
attraverso le quali noi passiamo,
le soglie consacrate per il nostro viaggio.
Nascita e morte sono un gioco a nascondino.
E allora ridi insieme a me,
tieni la mia mano.
salutiamoci,
dimmi arrivederci,
presto ci rivedremo ancora.
Noi ci incontriamo oggi,
e ci incontreremo ancora domani,
ci incontreremo all’inizio di ogni attimo.
Noi ci incontreremo in ogni forma
in cui la vita si manifesta.

 

thin nacht han

In un niente la loro felicità… non togliamogliela!

 Questi tre meravigliosi bambini mi hanno incantata, belli, felici  di giocare con niente.  La felicità di questi bimbi è in quel giocare nell’acqua,  specchiare  nella sua limpidezza i loro altrettanto  limpidi occhi, arrampicarsi e fare le acrobazie su i rami bassi, alla loro portata di bimbi. La felicità di questi bambini è la libertà di cui godono, lontano dagli occhi dei grandi, non soltanto vigili, ma spesso limitativi dei genitori, nella natura incontaminata del luogo.La felicità di questi bambini è l’incoscienza del domani, che , per loro, non è altro che tempo, la felicità è nel godere la famiglia la sera, nella quiete del villaggio, dove la vita di oggi è quella di ieri e di ieri l’altro e di quelli che si perdono nel tempo. Il loro piccolo  mondo combacia col mondo dei grandi in un angolo di  Africa dove non è ancora arrivato il diavolo. E non sanno che questo mostro, al quale il loro credo animista porta rispetto ,ha spesso il volto di uomini come tanti. E se  e quando arriveranno i diavoli ribelli , pagati dall’avidità delle multinazionali a massacrare e spingere via gli abitanti dalla loro terra, il loro  piccolo mondo di felicità sarà spazzato via. E allora i tre piccoli , meravigliosi bimbi, spegneranno il loro sorriso e si incammineranno in fila indiana alla ricerca di un altro habitat, come vedevano fare ai grandi branchi di animali, anche loro alla ricerca dell’acqua.   E su questa immensa distesa di acqua troveranno un gommone, sul quale, abbracciati andranno verso un domani, che è solo un foglio bianco sul quale scrivere i giorni di un tempo ignoto.

Quando penso a noi… praticamente sempre.

Forse la nostra storia era destinata a durare una vita e oltre ,perché non era solo una storia d’amore. Era una storia di pioggia e di sole, di mare e di montagne, d’attesa e passione, d’amicizia e condivisione, di tempo e costruzione, di sintonia e incomprensione, di silenzi e rumore. Non era una storia d’amore. Era una storia. Con dentro l’amore. O, forse, era amore. Con dentro una storia…

 

coppia1

Capita di sentirsi a pezzi, come un mucchio di cocci…

 

 

 

 

Può capitare a tutti di sentirsi come un mucchio di cocci, ma non me lo deve dire  nessuno oltre me stessa. Io credo sia normale, siamo persone, non dobbiamo per forza essere sempre efficienti al cento per cento ,anche se danneggia qualcuno,  avrò diritto , se succede ,avere un attimo che sia tutto mio, per auto commiserarmi, avrò diritto a farlo in privato. Di sicuro non pecco di superbia se lascio da parte per attimo la schiettezza di sempre, non dico per nascondermi ma per poter essere sola, solo io e le emozioni di quel momento…forse me lo devo!

vaso rotto1

Va bene essere a pezzi

Va bene portare le cicatrici dell’esperienza.

Va bene essere messi male.

Va bene essere una tazza sbeccata. È la tazza che ha una storia.

Va bene essere sentimentali e stravaganti e commuoversi fino alle lacrime per canzoni e film che non dovrebbero neanche piacerti.

Va bene che ti piaccia quello che ti piace.

Va bene che una cosa ti piaccia per il semplice fatto che ti piace, e non perché è fantastica o ingegnosa e perché piace a tutti.

Va bene lasciare che siano gli altri a trovarti. Non sei costretto a farti in quattro finché i pezzi diventano così piccoli che non si vedono nemmeno. Né devi essere sempre tu a fare il primo passo. Qualche volta puoi aspettare che siano gli altri a venire da te. Come disse la grande scrittrice Anne Lamott: “I fari non corrono da una parte all’altra dell’isola, alla ricerca di barche da salvare; restano fermi e fanno luce”.

Va bene non sfruttare al meglio ogni istante del tuo tempo.

Va bene essere come sei.

Va bene.

Matt Haig, da Parole di conforto,

Apparente contraddizione…

 In una scuola  buddista un giorno uno studente si rivolse  al suo insegnante in questo modo.” Maestro, voi , ogni giorno, mi insegnate a combattere poi, contemporaneamente mi parlate sempre di pace; come spiegate questa contraddizione?”. Senza riflettere il maestro rispose al discepolo :” E’ sempre meglio essere un guerriero in un giardino, che un giardiniere in guerra !”

giardino scuola buddista

Secondo Fromm ,l’amore come viatico di vita…

 

 Erich Fromm nel suo libro “L’arte di amare” parla di 5 tipi di amore… questi:

Amore fraterno,

Amore tra genitori e figli,

Amore erotico,

Amore per sé stessi

Amore per Dio.

Egli sottolineò che tutte queste forme di amore hanno elementi comuni e devono essere basati sul senso di responsabilità, rispetto e conoscenza. Per ogni individuo l’amore è il modo normale di superare il senso di isolamento e, come desiderio di unione con gli altri, assume una forma specificamente biologica tra l’uomo e la donna. Fromm afferma che è errato interpretare l’amore come una reciproca soddisfazione sessuale poiché una completa felicità sessuale si raggiunge soltanto quando c’è l’amore.
La concentrazione sulla tecnica sessuale come se questa rappresentasse la via alla felicità è, egli afferma, una delle molti ragioni per cui l’amore vero è diventato così raro nella moderna società capitalistica.
Fromm crede che l’amore sia l’unica e soddisfacente risposta al problema dell’esistenza umana.
Egli accentua però il fatto che l’amore non può essere insegnato ma dev’essere acquisito tramite uno sforzo continuo, disciplina, concentrazione e pazienza, tutte cose che sono difficili per la pressione continua della vita moderna.
Il più importante contributo di Fromm alla psicologia sta nella sua accentuazione della dignità e del valore dell’individuo.
A differenza degli psicologi del comportamento egli non riduce l’uomo ad un comune denominatore di istinti.
Nel suo trattamento del sesso egli lo considera molto meno importante dell’amore nel senso più lato del termine.
Le sue idee sulla teoria della pratica dell’amore sono della massima importanza poiché dimostrano che uomini e donne possono superare le pressioni della vita quotidiana e le difficoltà che essi incontrano quando vogliono formare mature relazioni d’amore.

amarsi2

 

 

Col Covid il tempo non corre più in linea retta, ma si sta arrotolando su se stesso in una spirale che chiude sempre più-

Circa un anno fa ammettevamo che non se ne poteva più, ed era bello e utile dirlo perché almeno così segnavamo un punto nello spazio-tempo. Tracciavamo la nostra posizione sulla mappa e nella storia: ormai troppo distanti dal punto di partenza, dall’inizio della traversata, ma ancora non abbastanza vicini a quello di arrivo, alla fine dell’allucinazione. Da quando ho letto per la prima volta della variante che sarebbe poi stata ribattezzata Omicron, ho avuto la sensazione di aver sviluppato un nuovo punto di vista sulla questione. Passato un anno dal momento in cui ammettevo di non poterne più, capisco adesso che lo scherzo crudele della pandemia non sta nello spostare sempre un po’ più in là la fine della strada. Lo scherzo crudele della pandemia sta nel piegare la strada su se stessa fino a chiuderla in un anello: un girotondo infinito perché non comincia e non finisce in nessun punto e comincia e finisce nello stesso punto.

È una condizione che impedisce anche la disperazione del “non poterne più”, ma aumenta il terrore di non sapere più dove ci si trova. Pensare alla pandemia ormai richiede uno sforzo simile a quello necessario a credere alle storie di fantasia: sospensione dell’incredulità, la decisione consapevole di credere all’incredibile, la scelta di aggiungere l’impossibile all’elenco delle possibilità. Acquisisco ogni giorno nuove notizie sulla situazione, ma mi rendo conto che ormai nessuna di queste aggiunge niente alla mia consapevolezza: ogni nuova informazione resta al di fuori di me, diventa un altro mattone dell’architettura assurda che mi circonda: la ripetizione illusoria dell’ambiente circostante costruisce la trappola perfetta (dalla quale si può sfuggire solo impiegando la forza che per definizione permette di andare oltre le cose per come sono, cioè la magia). La ripetizione è ciò che ormai mi dà la nausea: con omicron abbiamo impiegato a fini di tassonomia più della metà dell’alfabeto greco antico, mi chiedo cosa faremo quando arriveremo all’omega. Quando mi rispondo che probabilmente ricominceremo da capo, arriva la nausea.
Naturalmente esiste una parte razionale di questo discorso che si rifiuta di cedere all’accettazione disperata delle cose come stanno, che non ammette la possibilità del rifugio nei paradisi fantastici. Il tempo non si è fermato e le cose oggi non stanno come stavano ieri: in due anni abbiamo imparato e abbiamo inventato, e abbiamo aperto minuscoli varchi nel labirinto che il Covid-19 sembra averci costruito e stretto attorno. Forse la salvezza sta in questa consapevolezza, dimenticata nei tanti anni in cui ci eravamo convinti che la storia fosse finita e che non ci fossero più cambiamenti (sconvolgimenti) da vivere: il tempo scorre in minuscoli varchi, va avanti in flussi sottili che spesso sfuggono alla percezione, prosegue anche in momenti come questo in cui esso sembra intrappolato dentro se stesso, e noi con lui.

Ritorno-al-tempo-ciclico-01102016-Novo-Stilos-20161001-1024x845

Fonte:Rivista Studio