Nessuno si scandalizza degli indù per Kamala, quando l’induismo è la religione più discriminatoria.

Nel tempio indù del paese avito della vicepresidente Usa si prega per la sua elezione alla presidenza. Nessun turbamento, perché a Hollywood, Bel Air, Beverly Hills non si perde tempo a studiare le caste, antico impasto di classismo e razzismo.

Non si guardi alla pagliuzza razzista nell’occhio di Donald, si guardi alla trave razzista nell’occhio di Kamala. Nel tempio indù del paese avito della vicepresidente Usa si prega per la sua elezione alla presidenza. Sono notizie che non turbano nessuno. Evidentemente nessuno sa che l’induismo è la religione più discriminatoria del pianeta, grazie al sistema delle caste, antico impasto di classismo e razzismo. Di sicuro non lo sa Beyoncé, kamaliana come quasi tutta la casta del pop. A Hollywood, Bel Air, Beverly Hills nessuno perde tempo a studiare le “Leggi di Manu”, feroce testo sacro indù: “Un bramino può costringere un sudra a compiere un lavoro servile perché è creato dal creatore per essere lo schiavo di un bramino” (libro VIII, verso 413). Chiaramente quella dei bramini è la prima casta, quella dei sudra l’ultima… In India le caste più alte sono più ricche e chiare (discendenti degli invasori ariani), le caste più basse sono più povere e scure (discendenti dei dravidi invasi). Poi ci sono i fuori casta, i più disgraziati di tutti: 250 milioni di paria che nelle zone rurali sono ancora intoccabili, vittime di una sorta di apartheid. Fosse davvero antirazzista Kamala Harris direbbe ai sacerdoti induisti di lasciar perdere, di non coinvolgerla nei loro riti, ma è una democratica, e i voti razzisti servono.

Camillo Langone__da__Il Foglio

 

Kamala

Quando ci si sente vuoti…

 

“Mamma Norma, cosa faccio se sento un grande vuoto nel mio cuore?”

“Figlio mio, il vuoto non è un momento perso. Sentirsi vuoti è persino incoraggiante”

“È il segnale che all’improvviso ti dice quanto avevi bisogno di uno spazio per te stesso. È il momento in cui rispondi alla chiamata per mettere in ordine le tue cose e il tempo per cambiare”

“Sentire un vuoto nel cuore è come toccare il fondo, ma è solo una parte di un processo di autoguarigione. È per questo che non è un momento in cui si perde tempo, tutt’altro”

“In ogni caso, come parte di ogni altro processo della vita, il fatto di “sentirsi vuoti” si presenta fino a un certo periodo di tempo, cioè alla fine è solo un’esperienza temporanea”

“Questa è l’altra faccia della medaglia. Sentirsi male, sopraffatti, in conflitto con i propri sentimenti, con ciò che abbiamo e con ciò che sta arrivando. Non ti fa venire voglia di fare niente e perdi un po’ il gusto per certe cose semplici della vita. Questa sensazione angustia l’anima, la rimpicciolisce, la affligge e questo si sente anche nel petto e nella pancia. Tutto questo è ascoltare il corpo e stare con se stessi nel silenzio. Questo messaggio ci dice quanto abbiamo bisogno di tornare a noi stessi, quanto dobbiamo riconoscere le nostre forze e anche scaricare gli eccessi. In fondo, è una chiamata alla nostra stessa anima”

“Figlio mio, niente aiuta meglio che uscire all’aria aperta, meglio se sei solo. Prova a camminare su un sentiero che porta a un bosco, o un sentiero che costeggia una montagna o un lago. Noterai che la mente si schiarisce man mano che ti assimili gli odori e il calore solare tipici della terra di montagna. Madre Terra è una grande alleata e sembra addirittura ascoltare senza giudicare tutti i tuoi pensieri”

“Cammina quanto ti serve, riposati quando il tuo corpo te lo chiede. Respira l’aria umida della terra o la brezza di una cascata. Siediti e rifletti finché non senti di aver identificato come sei arrivato a questo momento. Quindi medita e cerca di svuotare la mente fino quasi al punto di assoluto relax”

“Sentire il vuoto nel cuore è grave quando la circostanza non viene affrontata in tempo. È una crepa che deve essere sanata con parole dolci, con il tempo di attesa, con pazienza, con il contatto con le altre forze alleate. Il vuoto è più intenso quando risucchia energia sana come se fosse un buco nero che digerisce tutto senza riciclare nulla”

“Figlio mio, approfitta del vuoto che senti per svuotare ancora di più la tua stessa vita, cioè per purificarti, disintossicarti dal mondo, dalle relazioni, dagli eccessi e dai rumori interiori. È tempo di ascoltarti. Per arrendersi al proprio spazio sacro, è tempo di riconoscere quanto dipendiamo dall’apprezzamento e dall’approvazione degli altri, è tempo di liberarsi e affermare quanto meritiamo di essere autonomi”

“Poi, torna alla civiltà e al comfort solo dopo aver compreso il messaggio. Quando torni, benedici e sii grato per ogni esperienza vissuta. Potresti sentirti ancora vuoto nel tuo cuore, ma la prospettiva della soluzione ora sarà diversa e ancora più ampia”

“È giunto il momento di riempire gli spazi vuoti di dolce energia, di acqua cristallina, di profumo di fiori, di canto degli uccelli, di fruscio di foglie cadute, di profumo di terra umida. Ma soprattutto di pensieri ottimisti, con nuovi impegni, con animi carichi del proprio respiro, la cui propria anima è ascoltata e curata”

Arnaldo Quispe –

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La vita gratis…

 

I ricordi dormono accanto a noi. A volte è bello svegliarli e svegliarsi con loro. Si apre un mondo che credevi di non conoscere, invece ci vivevi dentro, e allora ti appariva naturale, come l’acqua che scorre e l’aria che respiri. La nostalgia non è una malattia ma un dono, la sua malinconia è un guscio che protegge un frutto gioioso.
Ci vorrebbe davvero una clinica dei ricordi, come scrive Georgi Gosdopinov nel suo romanzo Cronorifugio, dove la gente va a riprendersi i ricordi smarriti nel tempo o nella testa delle persone. Se dovessi scegliere il decennio preferito in cui rivivere, come succede ai popoli nel romanzo di Gosdopinov, sceglierei senza esitazioni il primo che vissi. Perché il più antico, il più lontano vissuto, il più diverso da oggi, avvolto nel mitico alone dell’infanzia quando non sai dove finisce la realtà e dove comincia la favola, tramite la fantasia. Risale a un’epoca primitiva, ancora senza tv ed elettrodomestici, usati da poco e da pochi pionieri. La chiave per aprire quel cassetto favoloso, oltre l’incanto della vita vista con gli occhi magici dell’infanzia – la scoperta primigenia delle cose, il fascino della prima volta di tutto, il piacere di scoprirsi al mondo e di conquistare ogni giorno un pezzo di vita e di conoscenza – è l’apriti sesamo di quel tempo magico, quel luogo, quel mondo che non c’è più: la vita gratis.
È la vita a portata di mano, all’aperto, senza prezzo e senza pretese, semplice e generosa, gratuita, dove tutto è accessibile a tutti: il ristoro delle fontane, il riposo delle panchine, il giardino pubblico, i frutti appesi agli alberi, i carrubi offerti dai rami ai viandanti, il ruscello in cui ti lavi e lavi i tuoi panni, i giochi fatti con ciò che hai a disposizione, senza arnesi, più la fantasia di un regola o di un oggetto che facilmente costruisci con le tue mani; e poi il mare libero, come i boschi e la campagna. Hai sete? Non vai al bar ma bevi alla fontana, e anche a casa non compri l’acqua minerale ma attingi dalle pompe e dai ruscelli. Le fontane d’estate erano ritrovi affollati, gente che beve, che riempie brocche, che si lava i piedi, dove ai bambini si dà fretta nei loro trastulli d’acqua per far bere gli adulti. Hai fame per uno spuntino? Stacchi un frutto dall’albero e lo mangi; finché è un frutto puoi anche staccarlo da un albero che appartiene a qualcuno, non lo stai saccheggiando, non è un peccato. Anzi, lo sarebbe il contrario, non dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati, come ci insegnavano. Vuoi riposarti? Non c’è bisogno di ordinare qualcosa a un tavolo, ti siedi alla panchina, come ancora fanno, soprattutto i vecchi al paese e aspetti, aspetti che passi il tempo, il caldo, la stanchezza. Da vecchi, il tempo è lungo e la vita è breve; il contrario dei giovani, a cui le ore corrono in fretta ma gli anni davanti sono tanti.
Vuoi farti un bagno? Niente stabilimento balneare, con lettini e ombrelloni, niente cabine, pedalò o gommoni, ma spiaggia libera con bagno libero, a volte senza costume o con le mutande di casa; e se hai caldo ti rituffi o trovi l’ombra di una grotta, la cavità di uno scoglio, o un albero vicino a riva. Tutto appare più semplice. E al mare corpi magri, non obesi né sottoposti a dieta, non rifatti, ritoccati, siliconati, palestrati, senza tatuaggi, creme, lampade, telefonini. Poi si passa la sera con lo struscio, il piacere è l’incontro, lo scambio di parole, la battuta. Basta poco per vivere. Gratis.
I bambini che giocano con niente tra strade e spiazzi, il massimo è rimediare un pallone. Il resto solo giochi di fantasia: la campana, i quattro angoli, nascondino, mago o libero, la piramide, il ciuccio, fiori e frutti, più mimica e indovinelli; giochi d’inventiva e abilità che non prevedono attrezzi.
Questa era la vita gratis, in uso soprattutto nella provincia, in particolare a sud, ma in fondo tutto il mondo è paese. E non era un secolo fa. Si poteva vivere senza soldi e senza limiti d’accesso, con poche pretese. Si campava d’aria, di terra, d’acqua, d’amicizia, espedienti e fantasia. Poi, è vero, c’erano i benestanti e i bisognosi, le proprietà private, i muri di recinzione, i privilegi, l’abbondanza e la penuria, le criature scalze; i mendicanti erano del posto.
La vita gratis era un mondo che sembrava fresco di creazione, appena sfornato da Madre Natura o dal Padreterno; ancora giovane, un po’ bambino, ingenuo nei suoi piccoli desideri, facili d’appagare.
Era bella la vita gratis, e lo dici con un sospiro, ma chissà se lo pensi davvero. Era una vita povera, ancora cruda, difficile nella sua facilità, aspra nella sua dolcezza; una vita che non riusciremmo più a vivere, perché abbiamo bisogno di troppe cose che prima non avevamo e perciò erano allora superflue; ma ora non sappiamo farne a meno. La nostalgia è dolceamara perché sai che quel mondo non può tornare e non ha senso affannarsi a restaurarlo. Tutta la sua poesia, la sua bellezza, è in quella irrimediabile lontananza; l’incanto di una perdita che non si recupera. Non si torna bambini, tuttavia è bello ritrovare lo spirito e lo stupore delle origini, pur sapendo che il tempo è passato ed è impossibile retrocedere. Ma il tempo, lo dice pure Gosdopinov, sembra rettilineo invece è circolare; alle curve rallenta, ci sono i tornanti. E la vita perfetta sa ricongiungere la fine all’inizio. In fondo, gratis vuol dire per grazia, e il proverbio antico aggiungeva et amore dei. La vita gratis, la grazia di essere al mondo…

 Marcello Veneziani

 Grazie a  Marcello Veneziani,scrittore, giornalista, filosofo, che seguo da tantissimi anni. Leggerla per me è , fin dalla prima volta, pane quotidiano, che nutre il mio spirito, la mia mente. I suoi scritti mi fanno una meravigliosa compagnia, grazie infinite per ogni sua parola, in cui spessissimo mi ritrovo,e sono felice che molte persone visitino questo mio blog, dove da tempo ho preso abitudine di condividere quanto di suo  mi piace avere a portata di rilettura.. Ancora grazie di cuore e tutta la mia stima. GSB

La staffetta…

Prendetela per un’insolazione estiva, un delirio d’agosto, la ricerca di una zona d’ombra in tanto sole. Ma se sono veri alcuni indizi, alcuni retroscena, alcuni segnali degli ultimi giorni, il Quartier Generale sta confezionando un pacco per Giorgia Meloni e il suo governo. Intendo per Quartier Generale il potere sovrastante ai governi nazionali, quello che decide in ultima istanza e corregge, laddove è possibile, gli esiti elettorali e l’agire politico. È un potere che genericamente definiamo tecnocratico o meglio buro-tecnocratico  ma di fatto cammina su due zampe: quella economico-finanziaria e quella militare, che con qualche approssimazione possiamo ricondurre al Mercato, tramite la Banca Centrale Europea, e all’apparato militare della Nato e al Patto Atlantico. La rete dei poteri intermedi e sovranazionali, dei mediatori e dei funzionari è vasta sicché non è chiara la catena di comando.

Se abbiamo ben compreso, il pacco prevede qualcosa come una staffetta a Palazzo Chigi. Si, staffetta è il termine giusto e non solo perché siamo in tempi d’Olimpiadi. Chi corre nella staffetta non può andarsene per conto suo, deve seguire il percorso prestabilito e consegnare il testimone al successore. Dopo una crisi, sul tipo di quelle provocate dalle spread, già accadute in Italia e altrove, ci sarebbe un cambio della guardia a Palazzo Chigi. Esce Meloni entra Schlein, con larghe alleanze e ampi sostegni, regia politica di Matteo Renzi nel ruolo ormai consolidato di malefico scazzamuriello; ma regia transpolitica di Autori Vari del Quartier Generale, più concorso esterno di collaudate figure jolly e faccendieri nostrani. Pressioni in questo senso raggiungerebbero pure Forza Italia e il mite Tajani. Ignara precorritrice di questa politica trans è la ricca ereditiera Francesca Pascale che ha dichiarato di sognare un governo berlusconiani-dem a guida Schlein, in modo da sistemare non certo l’Italia ma almeno la sua biografia…

Un tassello utile sarà la battaglia sulle tre regioni in cui si vota – Liguria, Emilia-Romagna e Umbria – per dare la parvenza di un vento elettorale cambiato a favore della sinistra.
Sulla caduta della Meloni dopo le Europee e comunque nel corso del terzo anno di governo, scommette dall’inizio Renzi; di recente anche Cacciari in un’intervista al Corriere della sera si è sbilanciato in questo senso, dicendo che bastano due pomeriggi ai mercati per rovesciare con un golpetto finanziario (diciamo noi) il governo in carica. Convinzione condivisa anche al governo, da cui la prudenza.
Qual è la ratio della svolta? Si potrebbe dire che nonostante le numerose prove di lealtà e di adesione al Quartier Generale, sussistono sulla Meloni riserve, accresciute dal mancato sostegno all’elezione di Ursula Von Der Leyen, lo scontro per il controllo del comando Nato nel sud Europa, le visite a Roma da Mattarella e i vertici parigini appena la Meloni è volata a Pechino; la sua amicizia malvista con Marine Le Pen e con Orbàn, i suoi tentativi di una politica estera relativamente autonoma, da ultimo con il viaggio in Cina. E sopratutto il timore che l’Italia meloniana-salviniana possa diventare domani la sponda euro-mediterranea di Trump, bestia nera dell’Establishment.
In realtà, dietro le ragioni contingenti c’è un nodo strutturale: i governi nazionali, quando non possono essere affidati direttamente al personale della Casa – tecnici, maggiordomi o affini – devono allinearsi nelle scelte di fondo, e non possono pretendere di sottrarsi ai cicli sempre più brevi di durata loro consentita, per evitare che con la permanenza lunga al governo azzardino una parvenza di sovranità nazionale, politica e popolare e di autonomia decisionale. Il ciclo previsto da tempo non supera il triennio. Fatti questo mezzo giro ma poi devi riportare la staffetta qui. Brevi governi di passaggio, in modo che ben si comprenda quali sono i poteri veri e permanenti e quelli fittizi e transitori, e ben si rispecchino gli interessi forti (economici, finanziari, militari, geo-strategici) rispetto a quelli labili collegati al consenso, gli umori, le retoriche identitarie.
I cicli della politica dopo Berlusconi, sono stati sempre più corti, nessuno è durato più di un triennio, inclusi Renzi e Conte nel suo duplice format, e alla fine anche Draghi. Il triennio sembra essere ormai la curva fisiologia della leadership politica, anziché il quinquennio canonico delle legislature. Abbiamo presidenti della repubblica che diventano monarchi a cui si concede il bis dei già lunghi settennati, e poi abbiamo presidenti del consiglio che scadono precocemente, per consentire il turn over e impedire che mettano radici e passino da esecutori a decisori. Tutti transitori…
Da qualche tempo, dopo un anno di prove, scetticismo e incredulità, è in corso una specie di investitura politico-mediatica di Elly Schlein. Lo si capisce da troppi indizi; è trattata da prossima premier, le hanno dato il numeretto e aspetta il turno. La politica ci ha abituato a ricambi repentini e a giri completi di turnazione: antipolitici e politici, tecnici e grillini, sinistre e destre, non avendo il centro una consistenza elettorale che permette di governare da solo. In questo modo tutti sono provvisori, sostituibili e complementari. Così ora si prepara il turno della Schlein, e ci sono già le tifoserie mobilitate, i marchettifici pronti a narrare il cammino dell’astro nascente, riconoscerle uno spessore politico prima negato e lanciare la svolta. Ma è ben chiaro che eccettuata la fuffa, che riassunsi sin dall’inizio in “gay, migranti e bella ciao”, la politica richiesta alla Schlein non è né più né meno di quella che si pretende dalla Meloni: in politica estera, nelle alleanze, nelle scelte economiche, civili e militari. La stessa di Draghi, e di Conte. La fuffa serve per sceneggiare il cambiamento, ma la sostanza resterebbe la stessa, anzi i dem sono più omogenei al Quartier Generale e ai suoi paraggi, e in più non sono sovranisti ma sottanisti, cioè reputano l’Italia un inquilino subalterno del Palazzo euroglobale. La loro speranza è che arrivi la Harris, Amala col K, alla Casa Bianca. Ma se arriva Trump, si complicano le cose.
Intanto la prospettiva serve per minacciare la Meloni e farla rientrare nei ranghi; e dare più spazio di manovra a Tajani e ai centristi rispetto a Salvini (nel frattempo Crosetto è sull’attenti, in tuta mimetica, pronto per la guerra). L’Italia si attrezza di nuovo a portaerei della Nato in vista di imprese belliche e il Mediterraneo si conferma acqua di colonia.

Marcello Veneziani      

Adolescenti, meno rischi di abusi e depressione con padri più presenti…

 

La cosa peggiore che può capitare al padre di uno o più adolescenti è leggere un vademecum, tra le migliaia che si trovano in rete, su come essere un buon genitore rafforzando la propria relazione con la prole. In genere sono strutturati come una lista di buoni consigli, in genere servono solo a ricordare i difetti sche si hanno e gli errori che si sono commessi. Però è vero che si basano, prevalentemente, su una letteratura scientifica corposa, a sua volta fondata su dati raccolti tra decine di famiglie ed è da da queste ricerche, da questi dati che bisogna partire.

Uno studio effettuato dalla Penn University, ad esempio, ha provato a stimare l’impatto della maggiore o minore intimità tra genitori e figli adolescenti: basata su 388 ragazzi da 202 famiglie, ha misurato la loro condizione psicologica in tre momenti diversi tra i 12 e i 20 anni, differenziando i soggetti sulla base del rapporto costruito col padre e con la madre, ricostruito dai ricercatori con una serie di domande su quanto andassero da loro a chiedere consiglio, quanto si confidassero, quanto li mettessero a parte delle loro questioni personali.
Risultato: una maggiore intimità col padre produce un minor rischio di sintomi depressivi attraverso tutta l’adolescenza, una maggiore con la madre lo produce verso la metà di questo periodo delicato, intorno ai 15 anni; una maggiore intimità col padre crea meno preoccupazioni in merito al peso corporeo sia nei ragazzi sia nelle ragazze per gran parte dell’adolescenza, mentre l’intimità con la madre svolge questo ruolo prevalentemente nei primi anni e quasi solo nei ragazzi
In generale la letteratura scientifica tende a coincidere: nelle famiglie con due genitori un maggior coinvolgimento del padre – non solo nella modalità tipica di una volta, quella normativa – migliora i risultati accademici dei figli, ne aumenta l’autostima e, più in generale, li fa stare meglio.
Ma è vero anche che a pesare sulla salute mentale dei ragazzi e sulle loro capacità di raggiungere gli obiettivi che si prefiggono, pesano tanti di quegli elementi da rendere difficile legare i miglioramenti esclusivamente alla solidità emotiva della figura paterna: lo status socioeconomico di partenza, per esempio, ha un ruolo centrale.
Il rapporto più corposo sul benessere dei ragazzi in età scolare viene realizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e si basa su dati raccolti in 44 Paesi, dai quali emerge che il 20% più povero del campione ha maggiori difficoltà a risolvere i problemi, a raggiungere i risultati che desidera, denuncia una situazione di salute fisica e mentale peggiore e si sente più solo. I ragazzini che provengono da famiglie meno danarose, peraltro, tendono più degli altri ad un utilizzo “problematico” dei social network.
Avere un padre e averlo presente può essere utile (ovviamente), ma non è detto che sia l’elemento fondante nello sviluppo di quei bambini che saranno gli adolescenti e poi gli adulti di domani. Più in generale, si nota in una ricerca realizzata dall’università di Halle-Wittenberg, in Germania, quello che conta di più è il clima familiare.
Ancora una volta si ricade nell’impalpabilità delle relazioni, laddove il tentativo di misurare cosa è bene e cosa è male si scontra col vissuto di ciascun nucleo famigliare, comunque sia composto e di qualsiasi genere siano i suoi protagonisti, che vi sia un padre o no, che vi sia solo il padre, che il padre sia lontano, che siano due o che ci siano due madri.
E qua si torna ai decaloghi, che spiegheranno per filo e per segno come essere un padre (o una madre) ideale; proveranno a tracciare un confine tra nuova genitorialità ed eccesso di confidenza; indicheranno – banalmente, correttamente – la via dell’ascolto e della pazienza. Ma ogni famiglia ha il suo calderone di limiti, parole ed errori. Così come ogni adolescente è una persona a sé. E come lo è, naturalmente, ogni padre.

Simone Spetia   

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I primi nemici della libertà di stampa sono i giornalisti…

 

 

Ma davvero l’informazione oggi è minacciata da un attacco eversivo che la intimidisce e l’aggredisce? La stampa, secondo Mattarella documenta la realtà senza sconti, getta luce su fatti trascurati, raccoglie la sensibilità e le denunce della pubblica opinione. E la democrazia, conclude citando Tocqueville, è il potere di un popolo informato. Sentita la predica, guardiamo la realtà.
La gente segue sempre meno l’informazione e l’informazione segue sempre meno la realtà e la sensibilità della gente. Lo dicono i dati, lo dice il restringersi del numero di lettori, lo dice l’astensionismo popolare che non riguarda solo il voto ma anche l’informazione. Lo dice la spaccatura clamorosa tra l’opinione prefabbricata dominante e le opinioni della gente su tanti eventi di politica estera, interna, militare, sanitaria, sociale e civile.
Pensate davvero che alle origini di tutto questo distacco tra la stampa e la gente ci sia l’attacco eversivo contro la stampa? Ovvero episodi come quello di Torino, di due o più attivisti di Casa Pound che malmenano un giornalista infiltrato nel loro ambiente?
Non sarebbe più onesto e veritiero dire che l’informazione è screditata dalla percezione sempre più diffusa nella gente che non racconti la realtà dei fatti ma la minestrina corretta del giorno, le distorsioni dell’ideologia, gli obblighi rituali imposti dal Canone in base agli interessi politici e affaristici di chi la controlla? Pensate davvero che quattro sciamannati scoperti a fare il saluto romano siano la causa del lento, inesorabile, progressivo declino dell’informazione e della libertà; e che la gente non legga i giornali perché impaurita, intimidita da questi attacchi che i giornali medesimi poi presentano come se fossero figli di un piano eversivo paragovernativo? Vuoi vedere che la stampa in Italia perde lettori, libertà, diritti a causa del malefico Ignazio La Russa, il più dileggiato presidente del senato a mezzo stampa?
Ogni volta che Mattarella interviene in queste vicende, dopo aver taciuto su altre, troppe altre, hai la netta sensazione che la parrucca prevalga sulla realtà, e che ogni discorso alla fine sia sempre funzionale a una parte politica ben precisa, che per comodità chiamiamo dem.
Lo spettacolo dell’informazione è quello di un racconto a senso unico, pieno di omissioni e omertà, carico di esagerazioni, di cui la gente si fida sempre meno. O se volete la più cinica delle interpretazioni, la gente coglie questa faziosità della stampa a pretesto per risparmiarsi la fatica di leggere, di informarsi, comprare i giornali; il pretesto, però glielo fornisce in abbondanza la stampa medesima e i parrucconi che la proteggono.
Magari la gente si chiede perché gli stessi giornali o giornalisti, le stesse testate online, non s’infiltrano tra gli attivisti di ultima generazione che compiono atti di teppismo e di intolleranza o tra quei gruppi, quei centri sociali, che organizzano spedizioni punitive all’esterno, per esempio in Ungheria. Sarebbe interessante sapere come nascono queste azioni eversive (azioni, non opinioni eversive), come si organizzano questi gruppi ma nessuna inchiesta documenta queste cose. Eppure compiono danni, aggressioni, blocchi stradali, interrompono libere espressioni di pensiero o manifestazioni istituzionali; mentre nei casi sparati sui media con la massima evidenza vengono portati alla luce solo chiacchiere e distintivi, parole in libertà, non aggressioni ma saluti romani; insomma non fatti, non reati contro qualcosa o qualcuno, se non d’opinione.
Ma il tema vero di fondo in una società matura e democratica, con senso critico e amore vero di libertà e di verità, è come mai l’informazione è così poco frequentata e così tanto disistimata nel nostro paese? Valida è l’obiezione che pure l’informazione non allineata, non se la passa meglio in termini di diffusione; resta di nicchia. Diciamo che la scontentezza verso l’informazione non premia la controinformazione ma si esprime nella fuga generale dall’informazione, nella defezione, nel buco nero della non lettura o si disperde nei mille rivoli sotterranei dei social. Dove ogni giorno si esercita una ridicola, soffocante, irritante censura, sotto la finzione degli algoritmi, e nessun mattarella osa denunciare lo sfregio alla libertà d’opinione e al diritto al dissenso, quotidianamente e impunemente violati. Siti oscurati, parole e immagini censurate, emarginazioni e squalifiche programmate, non solo a causa di contenuti offensivi e aggressivi, ma semplicemente perché non allineati al mainstream.
A queste vicende torno sempre più sporadicamente e sempre più controvoglia, perché stanca ripetere sempre le stesse cose ed è frustrante notare che le denunce non servono mai a nulla. Da tempo rifiuto interviste di chi vorrebbe usarti solo per parlare ancora e sempre di questi presunti attacchi eversivi protetti chissà in quali sedi governative: ti chiedono di alzare la zampa a comando e dire pure tu che viviamo in un terribile clima intimidatorio e fascistoide; e se non lo fai sei eversivo pure tu e complice. Mi è capitato in più occasioni di dover gentilmente mandare a quel paese giornali e giornalisti che ti chiedono interviste sempre e solo per parlare di mazzate, saluti romani, fasci, nazi e roba simile. Mai di libri, scenari, pensieri, eventi culturali che sistematicamente ignorano. Si accorgono di te solo se partecipi a questo circo propagandistico, scegliendo se fare la bestia selvatica o la scimmia ammaestrata. E hanno trovato alcuni damerini di pseudodestra, che saltano da un carro all’altro, purché ci sia guadagno e convenienza strettamente personale, pronti a far la riverenza e attaccare il ciuccio dove vuole il padrone. Benvenuti nel tempo dei servi e dei parrucconi, dove pure la verità è trans, e dove i primi nemici della libera informazione stanno nell’informazione.

  Marcello Veneziani 

Non so trovare un titolo. Ma so che per me è importante.

 

Se ancora riesci a respirare.Se i tuoi polmoni si riempiono di aria.
Se il cuore batte.E pompa sangue.E di quel sangue senti il flusso caldo,nelle vene.
Se le gambe reggono il peso del tuo corpo.E ancora ti ricordi come si fa a mettere un piede dietro l’altro.
Se le braccia fanno scudo ad un cucciolo di uomo.E le mani sanno stringere altre mani.
Se gli occhi sanno piangere.E le labbra piegarsi in un sorriso.
Se riesci a ripensare al Passato senza compromettere il Futuro.
Se ancora hai un Presente.Qualche sogno nelle tasche.E la possibilità di crescere e invecchiare.
Se ancora ti resta una Vita intera davanti …

Ecco.Se hai tutte quante queste cose … sappi che sei fortunato.Non hai bisogno di nient’altro per essere felice.

Allora prendi la tua Vita.E non limitarti a guardarla da lontano,come fosse il film di qualcun’altro.Diventane protagonista.Scrivi la tua storia.Vivi come vorresti vivere.E non come ti dicono di farlo.Balla ad un ritmo che sia soltanto il tuo.Scegli chi vuoi essere,e diventalo.Anche se fa paura.E ne fa tanta.Scegli chi non vorresti essere.E stai lontano dalle strade che rischierebbero di trasformarti proprio in quello.
E’ tutto un gioco.Un battito di ciglia.Il Tempo di un respiro.Una porta che si chiude.Una finestra che sbatte.Un temporale in arrivo.Una giornata di sole.L’arcobaleno.Le nuvole,e lo zucchero filato.E’ una partita.Una follia.Una mano vincente.Una scommessa sbagliata.Una sfida.Una corsa.Una caduta.Una ripresa.Ripartenza.

Allora prendi la tua Vita.E vivila.Tutta quanta.Fino in fondo.E’ tuo dovere.Hai un obbligo preciso verso tutti coloro che vorrebbero,ma non possono.Tu non li conosci.Ma loro esistono.E non sono stati fortunati come te.

E se è vero che le parole sono pietre,prendi queste mie e trasformale in mattoni.Costruisci un parco giochi nel giardino del tuo cuore,e corri lì a divertirti.Come quando eri bambino,e ancora sapevi come fare.
Se è vero che le parole sono pietre,prendi queste mie e scagliale lontano.Oltre l’orrizonte.Poi,corri a riprenderle.Ma non preoccuparti davvero di arrivare alla meta.Ciò che conta è il viaggio,e come,e quanto,esso sa cambiarti.E come,e quanto,ti lascerai cambiare.
Se è vero che le parole sono pietre,prendi queste mie e non dimenticarle.Fallo per me.Ti prego.Ho bisogno che tu te ne ricordi.

Antonia Storace

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Con il berretto frigio, queste Olimpiadi sono non solo pagane, pure giacobine..

Bisognava anche celebrare, con la mascotte, i rivoluzionari atei e tagliatori di teste. Bisognava proprio riesumare il berretto dei fanatici, dei settari, dei totalitari, dei terroristi di Robespierre,       e se non fosse sufficiente bisognava anche alzare agli onori dell’Ultima cena Leonardesca la bellezza della cultura Lgbtq+ con la parodia drug queen, la più grande bestemmia contro la  Religione Cattolica, che il mondo potesse ammirare ,coll’entusiasmo estasiato delle sinistre ,che  qui dovrebbero solo vergognarsi di tanta ignobiltà e , ineducazione, quando accusano di omofobia  chi osa dissentire.( Il corsivo è mio)

Santa Geneviève, patrona di Parigi, davvero grande è la tua carità se continui a intercedere per i parigini. Non bastava loro organizzare le consuete Olimpiadi pagane: le hanno volute pure giacobine. Non bastava l’osceno culto del corpo, l’idolatria della perfezione fisica e del successo sportivo (tutto opportunamente condannato dal Catechismo della Chiesa Cattolica al punto 2289). Non bastava. Bisognava anche celebrare, con la mascotte-berretto frigio, i rivoluzionari atei e tagliatori di teste. I giacobini che nel 1793 bruciarono pubblicamente le tue reliquie. I vandali che distrussero la tua chiesa (non a caso la parola “vandalismo” nasce proprio durante la rivoluzione per identificare i rivoluzionari e la loro “cancel culture” avanti lettera). Bisognava proprio riesumare il berretto dei fanatici, dei settari, dei totalitari, dei terroristi di Robespierre, dei protofascisti (De Felice spiegò i legami tra giacobinismo e fascismo), scelto come simbolo da organizzatori che, forse inconsapevoli della violenza così evocata, ora temono atti terroristici. Quello scatenarsi dell’odio già evidentissimo nella partita Argentina-Marocco. Maledette Olimpiadi. Come potrai benedirle, Santa Geneviève?

Camillo Langone_da_IL FOGLIO

Camilleri e De Crescenzo scrittori pop, non giganti..

Nella stessa settimana di mezza estate, un luglio di cinque anni fa, il Sud, l’editoria italiana e la letteratura popolare persero due grandi pop-writer e due figure pubbliche con grande seguito: Andrea Camilleri e Luciano De Crescenzo. Entrambi hanno reso più accattivante il sud, i suoi linguaggi, il suo modo di vivere e di pensare, la Sicilia di Camilleri e la Napoli di De Crescenzo. La sorte ha dato a Camilleri il privilegio di vivere una lucida e riverita vecchiaia, ha recitato per vent’anni il ruolo di Grande Vecchio e di Oracolo Siculo della Tv e delle Lettere. Invece ha dato a De Crescenzo un ventennio di declino e di ritiro dalle scene pubbliche per ragioni di salute. Ricordo vent’anni fa a una cena De Crescenzo si presentò esibendo un biglietto preventivo di scuse perché non riconosceva i volti delle persone, anche a lui note o addirittura amiche. I primi tempi si pensò a una spiritosa trovata dello scrittore, che conoscendo molte persone non ricordava i loro nomi e dunque era un modo gentile e simpatico per scusarsi in partenza della distrazione e non passare per superbo e scostante. In realtà soffriva di prosoagnosia, una malattia seria.

Entrambi sono stati scrittori assai popolari, e l’uno deve molto alla traduzione televisiva dei suoi romanzi, l’altro al cinema e alla partecipazione attiva nella simpatica scuola meridionale di Renzo Arbore. De Crescenzo si tenne sempre lontano dalla politica e dalle ideologie, si definì monarchico, indole di destra ma votante a sinistra, un po’ ateo e un po’ cristiano, ma preferì non mischiarsi nelle vicende della politica. Camilleri invece da anni ormai aveva assunto il ruolo di testimonial della sinistra, si era schierato apertamente in modo radicale, con qualche nostalgia del comunismo e un’antipatia viscerale che tracimava nell’odio verso Berlusconi ieri e verso Salvini di recente, fino alla famosa dichiarazione del vomito. Ma per giudicare un autore si deve avere l’onestà intellettuale e lo spirito critico di distinguere le sue posizioni politiche dalla sua prosa e dall’impronta che lascia nella letteratura. A questo criterio ci sforziamo di attenerci, ma l’aperto schierarsi di Camilleri gli è valso da morto una glorificazione veramente esagerata. Mentre De Crescenzo ha avuto un trattamento sottotono.  Eppure De Crescenzo, oltre a riabilitare con arguzia il sud, aveva avuto il merito non secondario di aver reso simpatica e popolare la filosofia a tanti, e soprattutto la filosofia antica. Aveva reso famigliare la figura di Socrate, i presocratici, lo Zarathustra nietzschiano, stabilendo un ponte con la Magna Grecia. I professori di filosofia trattavano con sussiego De Crescenzo, come se fosse un abusivo del pensiero e un profanatore della filosofia: ma lui non ha trascinato in basso la filosofia, ha innalzato il lettore comune facendogli scoprire e amare la saggezza dei filosofi. Lui è stato un campione amabile di filosofia pop. Quanti accademici contemporanei hanno allontanato i lettori dalla filosofia, coi loro linguaggi involuti che nascondevano scarsa originalità e più scarso acume. Allontanavano la gente senza avvicinarsi alle vette del pensiero. Meglio De Crescenzo a questo punto…

Dal canto suo Camilleri è stato uno scrittore di talento, ha inventato un suo linguaggio gustoso e simil-siciliano, ha scalato le classifiche librarie quanto e più di De Crescenzo, anche perché la narrativa tira più della saggistica, le sue opere sono state tradotte in tutto il mondo, aiutato dal successo televisivo di Montalbano che è una delle fiction più vendute nel mondo.  Ma i necrologi agiografici, gli infiniti servizi dedicati dai tg, i paragoni con Pirandello e Verga, e perfino con i classici, non gli hanno reso un buon servizio.   Quando muore un personaggio pubblico bisogna rispettare la memoria e difenderlo dai suoi detrattori come dai suoi esagerati incensatori. Camilleri intrigava con le sue trame, sapeva gigioneggiare in video e sul palco, col suo tono da cassandra sicula e l’aura istrionica del vegliardo, assumendo un ruolo ironico-profetico. Grande affabulatore. Sul piano civile, sbandierava l’antifascismo, seppure molto postumo, ieri antiberlusconiano, poi antisalviniano. Una polizza per farsi incensare, come era già avvenuto in vita, e come è avvenuto in morte. Era uno scrittore bravo, un giallista e un autore di polizieschi di successo, non un Gigante, non il Grande Scrittore che entra nella storia della grande letteratura. Non esagerate, Camilleri rimane nella bestselleria corrente e nella personaggeria di scena del nostro tempo. Non rendetelo ridicolo, paragonandolo a Pirandello e Verga e pure a Sciascia. E’ come se negli anni trenta avessero paragonato Guido da Verona e Pitigrilli, autori di successo e di talento, a D’Annunzio e Pirandello. Via, abbiate senso della misura e delle proporzioni. Non mettetegli pennacchi e aureole, abbiate rispetto di un morto; lo scrissi allora sui social e oltre a una marea di consensi ricevetti insulti isterici dai suoi fan, che sono spesso lettori di un solo autore, non hanno termini di confronto, e credono che leggere Omero o Camilleri, Proust o Saviano sia la stessa cosa. La mia polemica non era rivolta contro Camilleri ma contro chi lo usa per scopi politici e lo innalza a tal punto da rendergli un cattivo servizio. Sappiate distinguere il successo dalla gloria, il cantastorie dalla storia, il “colore” dal pensiero. Pirandello descrisse a teatro la condizione dell’uomo contemporaneo, la perdita delle verità, l’avvento del relativismo; Camilleri seppe intrattenere, piacevolmente, migliaia di lettori e milioni di spettatori. Sono due cose diverse. Camilleri non è Pirandello, e De Crescenzo non è Benedetto Croce. Lo dico per difendere la verità e la memoria di ambedue, De Crescenzo e Camilleri.

Marcello Veneziani                                                                                      

Scompare il freno a mano, e l’uomo è defitivamente addomesticato dalla tecnica..

Comprare una macchina nuova e scoprire che esiste il freno di stazionamento elettronico. I vantaggi sono risibili. Torna in mente Jünger: “Ogni comodità ha il suo prezzo. La condizione dell’animale domestico si porta dietro quello dell’animale da macello”

Compro una macchina diesel per tornare all’antico e scopro che è scomparso il freno a mano. Dove caspita è finito? Chiedo al venditore, sorride: è stato sostituito da un freno più moderno, il freno di stazionamento elettronico. Al progresso non c’è proprio modo di sfuggire… Vantaggi? Il venditore sorride di nuovo: adesso li fanno così. Insomma non li conosce nemmeno lui i vantaggi. Per trovarli devo guardare su internet e sono, sarebbero, due: 1) libera spazio; 2) è comodo. Il vantaggio 1 è risibile: eliminando la leva del freno si liberano pochi centimetri cubi. Il vantaggio 2 è inquietante: a chi mai un pulsante risulterà più comodo di una leva? A un ibrido uomo-mollusco? Ovviamente ci sono degli svantaggi, il primo è la manutenzione maggiore: per settare il freno c’è bisogno di taratura elettronica, dunque di personale iperspecializzato. Mi torna in mente Jünger: “Ogni comodità ha il suo prezzo. La condizione dell’animale domestico si porta dietro quello dell’animale da macello”. Il freno di stazionamento elettronico, di utilità dubbia e fragilità certa, è un’altra tappa dell’addomesticamento dell’uomo da parte della tecnica. Che ormai è del tutto autonoma e serve innanzitutto a sé stessa. E’ la tecnica a decidere il percorso: l’uomo può soltanto sorridere, accettare, atrofizzarsi.

Camillo Langone_da_IL FOGLIO         

mani legate