..specchi hanno catturato il riflesso di me, indossavo, di preciso non so, di questo o quel colore, qualcuno deve avermi visto-
W. Szymborska
per non dimenticare
..specchi hanno catturato il riflesso di me, indossavo, di preciso non so, di questo o quel colore, qualcuno deve avermi visto-
W. Szymborska
Terribile l’incertezza per me… mi fa star male mi crea un senso di angoscia che mi stordisce tra dubbi, speranze , illusioni… Amo la chiarezza, in qualunque rapporto, in qualunque frangente, mi piace la verità, la possibilità di valutarla e di accertarmi se posso affrontarla.. qualunque sia questa verità ed in modo particolare in un rapporto di amore dove posso anche amare per due… cosciente e felice di quello che faccio….
Quando si fugge o si rincorre, si deve sapere dove si va!!
Varazze, 17 agosto 1963
Mio amore…finalmente la tua voce, dopo onde e onde di silenzio; incredibile, proprio parole con la tua cadenza di tigre delle boscaglie di amore. Fra pochi giorni ti avrò. Non so più nulla; Questa assenza è stata piena di reticolati e di insidie, di velluti e di pugnali…il sangue ora non esiste nei suoi limiti. Curzia mia, ho bisogno di certezze, non di angoli bui, di molta vita: come te. Vieni nel mio cuore, come sempre, ti bacio, ti bacio….
Salvatore Quasimodo
Paradossi green: pratiche che molti di noi credono virtuose in realtà portano più danni che benefici. La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni: un saggio aforisma che ben descrive alcuni paradossi della galassia green. L’inferno, ovviamente, è la catastrofe climatica in cui siamo entrati a passo deciso. Le buone intenzioni sono alcuni dei nostri comportamenti “ecologici”, che abbracciamo con entusiasmo ma che aiutano a scavarci la fossa.
Abitudini, eccesso di zelo, cattiva comunicazione: quali sono le convinzioni più dannose e più radicate che dobbiamo assolutamente correggere?
Molte hanno a che fare con i consumi domestici. Per esempio, fare la doccia è più eco-friendly che fare il bagno, ma attenzione alla durata. Le docce “meditative” da 10 minuti consumano circa 150 litri d’acqua, l’equivalente di un bagno caldo, a cui va aggiunta l’energia utilizzata per scaldare l’acqua. Docce brevi e un buon rompigetto ci aiuteranno ad essere più green e attenzione alla temperatura dell’acqua, che , per chi teme il freddo, va scaldata il minimo necessario. Vale lo stesso per la lavastoviglie: risparmiamo acqua solo se la avviamo a pieno carico e a programmi a bassa temperatura.
Il riciclaggio è un’altra nota dolente, specialmente quello della plastica. Vanno bene raccolta differenziata e bioplastica, tuttavia nel 2019 il nostro Paese ha riciclato appena il 45,5% degli imballaggi Si tratta di un processo inquinante nella fase del trasporto e della trasformazione. Gettare i rifiuti nel giusto raccoglitore è fondamentale, ma l’obiettivo è produrne sempre di meno.
E poi c’è l’abbigliamento. Anche in questo caso, l’obiettivo deve essere quello di acquistare meno, riadattare, comprare usato anche se il nostro brand preferito è improvvisamente diventato “eco-conscious” . È giusto che le aziende si impegnino ad essere sostenibili, ma il problema è a monte. E attenzione al greenwashing.Il bucato? Se proprio serve- Essere sostenibili non è una questione di moda e non si risolve acquistando la cosa giusta. La sostenibilità ha a che fare con il nostro stile di vita, e ha un impatto sui nostri comportamenti. Non possiamo comprare la sostenibilità, semmai possiamo donarle il nostro tempo. E quindi: invece di buttare, riutilizziamo, riadattiamo Pensiamo alle nostre azioni quotidiane e chiediamoci: come posso produrre meno rifiuti? Come posso utilizzare meno risorse? Tutto qui.
Come fare?
La doccia è green? Sì, ma entro i 5 minuti.
La raccolta differenziata della plastica è sacrosanta, ma il vero obiettivo è produrre sempre meno rifiuti.
Non serve “acquistare” la sostenibilità: basta riciclare ciò che abbiamo e comprare meno cose.
Le riflessioni sulle frasi pronunciate a Milano da Bob Jr. Kennedy, terzogenito del senatore Robert, assassinato nel 1968 mentre era in corsa per la presidenza degli Usa, e nipote dell’ex presidente John
C’è di tutto, nella storia della famiglia Kennedy: gloria e tragedia, fascino e mistero, successo e disastri. La farsa mancava. I milanesi ne hanno avuto un assaggio ieri pomeriggio, all’Arco della Pace, quando Robert Kennedy Jr ha preso la parola. Senza voce, senza cappotto e senza contraddittorio, il terzogenito di Bob Kennedy — il senatore democratico assassinato nel 1968, quand’era in corsa per la Presidenza — è salito sul palco e s’è lanciato in una serie di strabilianti affermazioni. Un florilegio complottista introdotto da un euforico Carlo Freccero, secondo cui l’Italia è «il laboratorio politico mondiale di un Grande Reset».
Robert Kennedy Jr — classe 1954, laurea ad Harvard, avvocato e scrittore, tre mogli, sei figli, un libro da lanciare — ricorda il padre Bob, nell’aspetto e nei modi. Ma la somiglianza si ferma qui, purtroppo. Ecco alcune delle frasi ascoltate ieri, seguite dalle obiezioni che non ci sono state. «Quello che ci hanno sottratto non ce lo ridaranno più. Nessun governo nella storia ha mai lasciato il potere volontariamente» (be’, in democrazia dopo ogni elezione accade). «Hanno chiuso le chiese, eliminato i giusti processi» (non risulta). «Ci hanno tolto la libertà di espressione» (falso, tant’è vero che Mr Kennedy parla e i media lo trasmettono). «Il green pass è lo strumento di un colpo di Stato globale» (organizzato dai soliti banchieri?). «In Germania nel 1937 hanno usato lo stesso sistema» (paragonare il green pass all’Ahnenpass nazista? Veramente?). «Nel 2019 a New York c’è stato l’Evento 201, una simulazione con Tony Fauci, Bill Gates e la Cia, che non si occupa di pandemia ma di colpi di Stato» (anche di sicurezza nazionale, dicono) . Infine: «Il green pass controlla il vostro denaro digitale: magari andate a Bologna e scoprite di non poter pagare la pizza» (non accadrà: ci sentiamo di tranquillizzare le pizzerie bolognesi).
Ridere? È sbagliato, perché molte persone si bevono queste assurdità. Piangere? È prematuro: la maggioranza di noi distingue fra preoccupazione e farneticazione. Che fare, allora? Avere pazienza e sperare che Robert Kennedy — quello sensato — getti un’occhiata dall’alto, perdoni il figlio e interceda per tutti noi. Siamo in una pandemia, infatti, e non è ancora finita.
Caro Serra, sono marito felice di una moglie in carriera che guadagna molto più di me; figlio di una donna che delle istanze femministe ha fatto la sua bussola; amico e collega di tante di straordinaria capacità con le quali condivido orizzonti e idee; padre di due figlie alle quali non ho mai neanche dovuto spiegare perché mia cognata è innamorata di un’altra donna e vive con lei, tanto è naturale per loro. Nel mio orizzonte i problemi della disuguaglianza di genere e delle discriminazioni sessuali non esistono. Ovvio, sono e restano questioni sociali di scandalosa urgenza, che richiedono grande attenzione e cura: sarei stupido a ricavare dal mio felice microcosmo conclusioni universali. Ma la questione è un’altra: sono stanco di dovermi giustificare per appartenere alla categoria del maschio bianco eterosessuale. Non sopporto l’idea che su alcune questioni non sia ammesso il dissenso a chi non appartiene direttamente alle categorie discriminate. Non è concepibile che ogni argomento dissonante sia immediatamente squalificato come “suprematista”, “patriarcale”, “omofobo” o con analoghe etichette. Anche un recente articolo di Luca Ricolfi ha trovato il medesimo contrappunto censorio. L’argomentazione perde subito aderenza con i temi trattati e si sposta sulle caratteristiche personali di chi formula un’obiezione. Di qui, il passo verso il linciaggio è breve e spesso viene compiuto. Dolorosissimo è stato assistere alle scostumate contumelie che hanno investito Natalia Aspesi (la Aspesi!) quando si è azzardata a esprimere alcune perplessità sul modo in cui alcune battaglie femministe sono condotte. Un livore insopportabile, che mi spinge a irrigidirmi verso posizioni che nemmeno mi appartengono. Ma un mondo in cui non posso dire serenamente la mia è un mondo a cui sono estraneo e che combatto. Serra, le riconosco il merito di essersi sempre sottratto alla logica dello scontro e allo schematismo della contrapposizione amico-nemico in cui il dibattito rischia di soffocare. Mi chiedo però se rispetto a certi atteggiamenti il fair-play sia sufficiente e se non serva contrastare in modo più deciso quel furore che trasmoda in fanatismo. Anche se al servizio di una buona causa, sempre di fanatismo si tratta. E ci rende tutti peggiori.
Andrea Merlo
Caro Merlo, lei scrive che «su alcune questioni non è ammesso il dissenso di chi non appartiene alle categorie discriminate». Forse è anche peggio: non si ammette nemmeno il consenso di chi non appartiene alle categorie discriminate. Siamo di fronte a una specie di corporativismo della sofferenza che non è solamente antisociale, perché rinchiude in nicchie e in definizioni quasi maniacali problemi che appartengono all’intera comunità; è anche rovinosa, perché rende impopolare, e a volte ridicolizza, la lunga e dura lotta per i diritti, per l’inviolabilità e l’autodeterminazione di tutte le persone umane.
È un grave errore, però, lasciarsi intimidire o suggestionare dalle tribù organizzate (spesso in lotta tra loro) che si pretendono concessionarie uniche delle battaglie di libertà. Molte, troppe persone prima di aprire bocca o di scrivere sui giornali si domandano “come reagiranno i social”. Gravissimo peccato di viltà. Questo è un momento storico nel quale l’esercizio della parola va tutelato con scrupolo, e se necessario con durezza. “Non sei tu il mio giudice” è la sola risposta che meritano le falangi di depositari della Verità. Qualcuno di loro ha piaghe da curare e sofferenze da lenire, ed è una giustificazione importante. Molti altri hanno solo spocchia intellettuale e astio personale, e in aggiunta (recente) devono valorizzare, strillando, rendite di posizione che derivano dalla loro inedita visibilità politica, non dal loro talento. Di loro non bisogna curarsi. Ci vogliono un briciolo di coraggio (ben altre prove, per difendere la libertà di parola, hanno dovuto affrontare le generazioni precedenti) e soprattutto molta serenità.
E dunque no, non ci si deve giustificare per essere maschio, bianco e eterosessuale. Non è un merito, non è una colpa, è solo una condizione umana molto diffusa. Ognuno di noi deve rispondere solo dei propri comportamenti e della propria storia personale. Il resto è da respingere al mittente, e immagino che anche Aspesi e Ricolfi lo abbiano fatto.
Sul Venerdì del 12 Novembre 2021
Molti anni fa, era di moda mettere in ridicolo l’idea dell’«amore a prima vista»; ma coloro che pensano, non meno di coloro che sentono profondamente, ne hanno sempre sostenuto l’esistenza. A dire il vero le moderne scoperte, in quel che può essere definito magnetismo etico o magneto estetica, fanno apparire probabile che i più naturali e perciò i più veri ed i più intensi affetti umani sono quelli che sorgono nel cuore quasi per opera di simpatia elettrica, in una parola che i legami psichici più vivi e durevoli sono quelli scaturiti da uno sguardo.
Edgar Allan Poe_ Gli occhiali
Uno dei fronti più caldi del green sono le emissioni inquinanti prodotte dalle automobili. Problema di facile risoluzione, a detta di certo utopismo green: basta produrre automobili elettriche. È così facile che i potenti della terra, che ancora non hanno adottato tale risoluzione, sono dei criminali, secondo certo estremismo.
In realtà tanto facile non è, come spiegava un servizio della BBC dell’aprile scorso: sebbene le automobili elettriche siano già in circolazione, né le industrie automobilistiche né quelle preposte allo smaltimento dei rifiuti sono ancora in grado di far fronte al problema posto dall’esaurimento delle batterie.
Certo, alcune industrie automobilistiche hanno iniziato a riciclare, ma si è ancora ai primi passi, dato che tante sono le criticità poste dal procedimento. La Wolkswagen, che viene indicata come front runner di questa corsa, ha dedicato a tal fine, a febbraio dello scorso anno, l’impianto pilota di Salzgittee.
Thomas Tiedje, responsabile della pianificazione tecnica di Volkswagen Group Components ha spiegato che “Il nostro obiettivo è avere un processo circolare in cui oltre il 90% dei componenti di una batteria viene riciclato”. Un obiettivo che però è ancora lontano.
Attualmente si ricicla il 5% delle batterie per auto
“La velocità con cui stiamo facendo crescere il settore è assolutamente spaventosa”, spiegava alla BBC Paul Anderson, professore dell’Università di Birmingham e co-direttore del Birmingham Center for Strategic Elements and Critical Materials.
“Entro il 2030 l’UE spera che ci saranno 30 milioni di auto elettriche sulle strade europee”, proseguiva la BBC, ma la svolta che è stata data in questi giorni potrebbe accelerare di molto il processo.
“È qualcosa che non è mai stato fatto prima con un tale ritmo di crescita per un prodotto completamente nuovo”, affermava ancora il dottor Anderson, che peraltro, ribadiamo, sembrava avere una stima al ribasso del processo in corso. E aggiungeva: “Tra 10 o 15 anni, quando ci saranno grandi numeri che giungono alla fine della loro vita, sarà molto importante avere un’industria del riciclaggio”.
“Attualmente – affermava – a livello globale, è molto difficile ottenere dati dettagliati sulla percentuale di batterie agli ioni di litio riciclate, ma il valore che tutti citano è circa il 5%. E in alcune parti del mondo esso è notevolmente inferiore”.
Inutile aggiungere ulteriori dettagli di una nota che vuole solo accennare a uno dei tanti problemi posti dalla svolta green. Non si tratta di allarmare o frenare alcunché di un processo che comunque va portato avanti, solo evidenziare che certo utopismo rischia di provocare disastri.
Il punto è che mentre si sta spingendo per passare ai veicoli a energia elettrica, la tematica dello smaltimento delle batterie, enorme per le implicazioni ecologiche che pone, non sembra sia stata affrontata in maniera adeguata, come denota il fatto che la Wolkswagen ha aperto il primo stabilimento pilota per riciclare le batterie solo alcuni mesi fa.
Le case produttrici di veicoli elettrici, ad oggi, garantiscono la gestione corretta delle (relativamente) poche batterie esauste che hanno messo in circolazione finora. Si va a fiducia, ovviamente, e non abbiamo elementi che indicano il contrario.
La discarica chiamata Africa
“Lo studio Soil Contamination from Lead Battery Manufacturing and Recycling in Seven African Countries (Contaminazione del suolo da produzione e riciclaggio di batterie al piombo in sette paesi africani), pubblicato nel 2018 sul Journal Environmental Research, ha testato le aree che circondano sedici impianti industriali autorizzati in Camerun, Ghana, Kenya, Mozambico, Nigeria, Tanzania e Tunisia. I livelli di piombo intorno agli impianti di riciclaggio delle batterie al piombo hanno raggiunto le 48.000 parti per milione (ppm) con una media di 2.600 ppm. I livelli inferiori a 80 ppm sono considerati sicuri per i bambini. (fonte: AZoCleantech.co)”.
Si tratta, nello specifico, di impianti “autorizzati”: tremiamo all’idea di cosa accade in altri siti non autorizzati, che di certo fioriscono tra le pieghe della povertà e della destabilizzazione africana (vedi ad esempio alla voce Somalia, Paese ormai diventato un sorta di discarica globale).
Insomma, la transizione da combustibili fossili al green va bene, ma pone criticità che vanno affrontate con realismo, evitando cioè quel fondamentalismo che troppo spesso si riscontra quando si affrontano tali tematiche Altrimenti il problema delle automobili green sarà risolto sommergendo ulteriormente l’Africa di rifiuti tossici (peraltro, essendo lo smaltimento dei rifiuti un business notevole, si è registrato troppo spesso un interessamento della criminalità organizzata nel settore: si dovrebbe tentare di evitare di procacciar loro ulteriori profitti…).
Infine, una nota a margine: per produrre automobili green, dalla carrozzeria al motore alle stesse batterie, serve energia, che ad oggi, e per diversi anni a venire, sarà prodotta dai combustibili fossili, dato che non esistono alternative immediate. La transizione necessaria abbisogna dell’altrettanto necessario realismo.
da Piccole note
La quarta ondata del covid annunciata con grande allarme dai media; il terzo vaccino nell’arco di sei mesi prescritto praticamente a tutti con una campagna martellante; il novanta per cento di vaccinati indicata come nuova soglia d’immunità, dopo il settanta e dopo l’ottanta per cento dei mesi scorsi; il terzo anno di pandemia e di emergenza che si annuncia con certezza e apprensione: si può insinuare il dubbio che qualcosa non stia funzionando, che i poteri pubblici, politici, amministrativi e sanitari, e i loro corifei mediatici, abbiano fallito clamorosamente la sfida dei contagi e delle terapie, considerando che si alza sempre l’asticella e si rimanda sempre la salvezza? O si deve per forza concentrare ogni responsabilità, ogni attenzione e ogni condanna sulla esigua minoranza che non si è vaccinata e si ribella al green pass, con manifestazioni che gli stessi media giudicano di poco rilievo e con quattro gatti?
Avevo deciso in questa pandemia di sospendere ogni giudizio, non ritenendomi in grado di esprimere pareri netti e autorevoli in merito o indicare soluzioni alternative; con tutte le perplessità che ho sempre coltivato, ho continuato a seguire di malavoglia le prescrizioni e le proscrizioni imposte. Con una sola raccomandazione: allargare e non restringere i campi di ricerca e di sperimentazione, non limitarsi ai vaccini ma investire di più sulle cure per debellare o neutralizzare il virus. Insomma aggredire il covid su vari fronti, a monte e a valle. Personalmente ho usato come strategia di sopravvivenza quella di evitare tutti i programmi televisivi sul tema e cambiare canale o media quando appariva il santino del virologo di turno e dei centouno virologi di complemento. Sottrarmi, senza nessuna pretesa di insegnare a nessuno il mestiere. Non ho dunque alcuna tesi precostituita, nessuna soluzione alternativa, nessuna propensione al complotto.
Però quando ti alzi la mattina del 5 novembre del 2021 e vedi che il titolo principale dei principali giornali e media italiani è incentrato sulla quarta ondata, sull’euroterrorismo, sul pericolo che viene dall’est (dove peraltro sono già sotto osservazione i dodici paesi europei colpevoli di voler ripristinare i confini per arginare l’immigrazione), allora dici: basta, non se ne può più, non potete tenere l’umanità così a lungo in una gabbia di terrore, di obblighi e divieti, spostando continuamente gli obbiettivi da raggiungere, e facendo ricadere ogni colpa sui pochi che non seguono le vie obbligate. Se dopo venti mesi un virus non viene debellato nonostante l’80% di popolazione sia vaccinata, e anche due volte, se il covid è ancora virulento e pericoloso, vogliamo dirlo che siamo davanti a una sconfitta, anzi un fallimento delle classi dirigenti e delle forze sanitarie, farmaceutiche e amministrative senza precedenti? La moltiplicazione dei dubbi a questo punto è più che legittima: la strada intrapresa senza se e senza ma, imposta ai quattro quinti della popolazione, considerando che il restante quinto è per meta costituito da bambini, è stata davvero quella giusta? Un virus che supera il biennio, ditemelo voi perché io non lo so, ha precedenti? O se volete riformulo la domanda: è concepibile che all’entrata nel terzo anno di covid, si debbano ancora allestire, intensificare e amplificare vaccini, controlli e allarmi, senza contemplare soluzioni alternative o supplementari? E sfiorando la blasfemia, la bestemmia contro il dio vaccino: e se ci fosse un nesso tra le varianti e i vaccini, nonostante le dimostrazioni che il contagio riguarda in particolare chi non si è vaccinato? Dobbiamo considerare normale che i virologi si portino avanti col lavoro e si proiettino non nell’anno venturo ma addirittura nel 2023, che era un modo proverbiale per indicare il futuro lontano, predicendo che in quell’anno ci faranno un vaccino multitasking, onnicomprensivo, prodigioso, incluso di anti-influenzale? Se dopo sei mesi siamo al terzo vaccino, dopo ventiquattro mesi saremo alla dodicesima dose? Siamo entrati in un serial horror, in un raggiro universale, in una truffa colossale o che? A fronte di un fallimento così vistoso sono legittimi i dubbi, anche quello di aver imboccato una strada sbagliata, oltre che esserci affidati a percorsi sanitari e farmaceutici errati o inadeguati.
Il dramma, lo ammetto onestamente, è che non siamo in grado di opporre un’altra soluzione organica, né abbiamo poteri, voce in capitolo, mezzi e condizioni per poter indicare altri percorsi o correggere quelli presenti.
Dobbiamo però vigilare con la massima attenzione su quel delicato passaggio in cui il regime della sorveglianza sanitaria si estende automaticamente ad altri ambiti civili, culturali, politici, sociali. È impressionante l’ondata repressiva e liberticida che c’è in giro che esonda dai confini sanitari e si allarga ovunque. Oscuramenti sui social, intimidazioni, censure dappertutto e nuove restrizioni si annunciano in ogni campo. Lo dico anche per esperienza personale. Considerando che i social sono, bene o male, l’unico luogo in cui il privato dissenso si fa pubblico, è di una gravità enorme. Se solo tocchi certi temi “sensibili” o presunti tali, anche argomentando, non insultando nessuno né semplificando con tesi “oltraggiose”, sei subito censurato e punito. E non puoi prendertela con nessuno perché ti dicono che il mandante è l’algoritmo, dunque la censura è anonima, come la banda dei sequestri. Anonimo, come il covid.
La colpa in ambo i casi non è di chi usa questi agenti anonimi per veicolare e controllare la gente ma del caso o della tecnica. Se non possiamo fare e dire molto in ambito sanitario, sorvegliamo almeno le linee di frontiera della nostra libertà, della nostra dignità e dei diritti. Occhio alla dogana, alle mascherine ideologiche e agli sconfinamenti delle “ondate” sanitarie. Cantava Bruno Lauzi: “onda su onda il mare ci porterà alla deriva, in balia di una sorte bizzarra e cattiva”…
MV
Per combattere la malinconia – per me inevitabile – di questi primi giorni di novembre, non c’è molto di meglio delle parole di un grande poeta e grande visionario, Jorge Luis Borges. Le sue poesie hanno il potere di aprire davanti ai nostri occhi scenari un po’ misteriosi e anche un po’ mistici, magari non chiarissimi ma sicuramente vivaci e vividissimi.
Una bussola
Tutte le cose sono parole della
lingua in cui Qualcuno o Qualcosa, notte e giorno,
scrive quell’infinito garbuglio
che è la storia del mondo. Nel suo vortice
passano Cartagine e Roma, io, tu, lui,
la mia vita che non capisco, questa agonia
di essere enigma, caso, crittografia,
e tutta la discordia di Babele.
Dietro il nome c’è ciò che non si nomina;
oggi ho sentito gravitare la sua ombra
su quest’ago azzurro, lucido e lieve,
che verso il confine di un mare tende il suo zelo
con qualcosa di un orologio visto in sogno
e qualcosa di un uccello addormentato che si muove.
Questa poesia mi piace molto , trovo che gli ultimi due versi siano splendidi.
I versi evidenziano da una parte l’uomo, coi suoi tentativi di mettere ordine nel mondo dando un nome alle cose ,senza però riuscire a dominare il tempo o a spiegare il senso della propria esistenza , e dall’altra quel mistero che ci controlla tutti, che non si può nominare né descrivere eppure è il motore del mondo,che non si ferma mai.
Giorgio De Chirico__Meditazione autunnale__1912