Camminare dopo tanto tempo mi ha riportato i miei vent’anni…

 Non so come mai un’estate come questa, caldissima, afosa di giorno e di notte  mi abbia così spesso riportato indietro negli anni e in particolare ai miei vent’anni, quando l’estate  era gioia, spensieratezza, e un grande amore da vivere solo colla pazzia di quegli anni. Felice , innamorata non solo di un amore, che pensavo sarebbe stato impossibile, ma di tutto ciò  che facevamo insieme. Le notti a guardare non solo le stelle, i sipari di nebbia sul Tanaro, le ore passate a leggere Garcia Lorca abbracciati sotto la luna  a lume di candela, ora  me le rivivo tutte Sarà che  cammino nuovamente dopo oltre due anni di sofferenze indescrivibili, ritorno a guardare le stelle sdraiata sull’erba, tu non ci si più, ma per me sei presenza in ogni angolo di questa natura , che mi circonda, che sa tutto di noi, mi accompagna la mia cagnolona e quel vecchio libro di Lorca in spagnolo che abbiamo letto non so quante volte. Ieri notte ho riletto la Sposa infedele, ho riso e ho pianto, e oggi voglio appuntare qui queste emozioni, che sono ancora le stesse dei miei vent’anni ormai lontani…ma sappiamo tutti che tempo e spazio non sono immobili e soprattutto un ‘opinione.

sposa-infedele

 

La sposa infedele
E io me la portai al fiume
credendo che fosse ragazza,
invece aveva marito.
Fu la notte di S. Giacomo
e quasi per obbligo
Si spensero i lampioni
E si accesero i grilli.
Dopo l’ultima curva
toccai i suoi seni addormentati
e mi si aprirono subito
come rami di giacinti.
L’amido della sua sottana
mi suonava nell’orecchio,
come una pezza di seta
lacerata da dieci coltelli.
Senza luce d’argento sulle cime
sono cresciuti gli alberi,
e un orizzonte di cani
abbaia lontano dal fiume.
Passati i rovi,
i giunchi e gli spini,
sotto la chioma dei suoi capelli
feci una buca nella sabbia.
Io mi levai la cravatta.
Lei si levò il vestito.
Io il cinturone con la pistola.
Lei i suoi quattro corpetti.
Né tuberose né chiocciole
hanno la pelle tanto fine,
né cristalli sotto la luna
risplendono con questa luce.
Le sue cosce mi sfuggivano
come pesci sorpresi,
metà piene di fuoco,
metà piene di freddo.
Quella notte percorsi
il migliore dei cammini,
sopra una puledra di madreperla
senza briglie e senza staffe.
Non voglio dire, da uomo,
le cose che lei mi disse.
La luce della ragione
mi fa essere molto discreto.
Sporca di baci e sabbia,
la portai via dal fiume.
Con la brezza si battevano
le spade dei gigli.
Mi comportai da quello che sono.
Come un gitano autentico.
Le regalai un grande cestino
di raso paglierino,
e non volli innamorarmi
perchè avendo marito
mi disse che era ragazza
quando la portai al fiume
Federico Garcia Lorca

E ora ascoltate La sposa infedele, capolavoro di sensualità, colori, profumi, immagini, nella interpretazione vocale di Arnoldo Foà…non perdetevela!

Dove la luce…

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del male e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d’ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.

Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov’è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d’oro.

L’ora costante, liberi d’età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo

Giuseppe Ungaretti

 

dove la luce

Il bambino chiese alla bambina di dire nel barattolo: “Ti amo”, senza fornirle altre spiegazioni.

E lei non gliene chiese, né disse ‘che sciocchezza’, o ‘siamo troppo giovani per l’amore’; e non suggerì neanche alla lontana che diceva ‘ti amo’ perché glielo aveva chiesto lui. Invece, gli rispose: “Ti amo”.
Il messaggio viaggiò per lo yo-yo, la bambola, il diario, la collana, la trapunta, il filo da bucato, il regalo di compleanno, l’arpa, la bustina da tè, la racchetta da tennis, l’orlo della gonna che un giorno lui avrebbe dovuto toglierle…
“Che schifo!”
Il bambino coprì il suo barattolo con un coperchio, lo staccò dalla corda e collocò l’amore della bambina per lui su un ripiano nel proprio armadio. Ovviamente, non poté mai aprire il barattolo perché altrimenti avrebbe perso il contenuto.
Gli bastava sapere che era lì.

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La pienezza della vita..

 

La vita, amore mio, è la pienezza.
La vita sono un uomo e una donna che si incontrano
perché sono fatti l’uno per l’altra,
perché sono, l’uno per l’altro,
ciò che la pioggia è per il mare:
l‘uno torna sempre a cadere nell’altro,
si generano a vicenda,
l’uno è la condizione dell’altro.
Da tale pienezza nasce l’armonia,
e in questo consiste la vita.
Una cosa rarissima fra gli esseri umani.

Sándor Márai

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Il più bell ‘ inno all’ amore ,che mai sia stato scritto…

 

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi l’amore,
sono come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi l’amore,
non sarei nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi l’amore,
niente mi gioverebbe.
L’amore è paziente,
è benigno l’amore;
non è invidioso l’amore,
non si vanta,
non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Tutto copre,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta.
L’amore non avrà mai fine.

San Paolo (Lettera ai Corinzi)

 

dipinto di Nicoletta Banti

 

Come Neruda amo il vento, messaggero di voci, di carezze di baci.Ah se potessi anch’io disperdermi nel vento, per giungere più in fretta da te, amore mio!!

Ti manderò un bacio col vento

Ti manderò un bacio con il vento
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi ma io sarò li.
Siamo fatti della stessa materia
di cui sono fatti i sogni
Vorrei essere una nuvola bianca
in un cielo infinito
per seguirti ovunque e amarti ogni istante.
Se sei un sogno non svegliarmi.
Vorrei vivere nel tuo respiro
(Mentre ti guardo muoio per te
Il tuo sogno sarà di sognare me
Ti amo perché ti vedo riflessa
in tutto quello che c’è di bello)
Dimmi dove sei stanotte
ancora nei miei sogni?
Ho sentito una carezza sul viso
arrivare fino al cuore.
Vorrei arrivare fino al cielo
e con i raggi del sole scriverti ti amo.
Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno
tra i tuoi capelli,
per poter sentire anche da lontano
il tuo profumo!
(Vorrei fare con te quello
che la primavera fa con i ciliegi)

Pablo Neruda

p neruda

 

Quando i sentimenti sono veri…

Quante volte dobbiamo soffocare ancora un sentimento vero, vero a tal punto da non poterlo negare a noi . Un sentimento che esplode dentro noi e che, non implica un corpo nell’altro..

La vita è assurda per certi versi, si parla d’amore così spesso che quasi ci si dimentica di cosa sia in realtà. Si sente parlare di questo sentimento a tal punto da vedere che poi è una grande illusione . Amare che sarà mai ? Non si definisce nelle parole e in quei modi semplici  che dicono  che amare è  semplicemente tenere la mano di qualcuno ,che poi nel tempo  ritroverai  su un divano con un giornale e in una cucina a vedere telenovelas, nè   volere ricreare un senso  per quell’ amore  quando questo è già finito. Amare è un libertà talmente grande che non include due soggetti ma include un mondo intero. I sentimenti potranno anche avere scale che indicano il valore, ma questo è solo un modo impaurito di definire un sentimento vero. Amare non conosce uomo e donna ,conosce solo l’universo e noi in quello che siamo indipendentemente da cosa siamo . Ma come spesso devo vedere tutto deve essere ordinario perchè uscire da questo è l’incubo di un mondo intero. Che non è pronto a questo, non è adattato a dire qualcosa che non sia racchiuso in due persone all’interno di un concetto chiamato famiglia.
Sentimenti veri ,quelli che invece vivono in coloro che sanno dare e ricevere amore e io, dico amore non dico un volere bene che sminuisce solo un sentimento diverso, ma che piccolo non è. Perchè come si piange per amore si piange pure per un tvb . Quindi la scala meglio vederla in salita  piuttosto che nelle parole che non diciamo .

Sentimenti veri ,quelli che al di là della coppia ci fanno volare ,quelli che al di là di mille persone ci fanno sentire bene , quelle carezze innocenti che ricevi da qualcuno, come una madre verso un figlio. Amore vero quello che non conosce solo il sesso che unisce per poi  denigrare qualcuno, per poi portare a merce da mercato uomini e donne e che, se visto in contesti diversi, parla  invece d’amore. Il sesso è un fusione totale tra due persone che con un sentimento trovano una meditazione totale nel vivere il corpo in estasi .. Ma questo è il miraggio che rimane per molti . Amare è la semplice via di una libertà che fa abbracciare colori diversi, con parole diverse, con mondi  dissimili, uomini e donne ,animali, piante e Dio stesso. Quando non temi più il sentimento e non gli dai un nome per darlo sei Tu Dio, L’amore è Dio ,il sentimento vero, chiamalo come vuoi . Ma pensa a una cosa: è l’unica religione dell’universo intero che non lotta contro un diverso e che unisce tutti sempre.

Il mondo e coloro che ci vivono dimenticano spesso cosa sia un sentimento vero, perchè  dimenticano il senso della libertà. Un sentimento non conosce limiti e barriere e nemmeno ha l’esclusiva di qualcosa e qualcuno. Se questo fosse i messo in una luce nuova il mondo sarebbe rosso amore per sempre……

Non serve oggi mentire alla verità, anche se la verità è oscurata dall’ipocrisia fatta per tutelare coloro che oltre al limite che conoscono non possono vedere altro. E’un comodo  che può diventare violento, perchè porta spesso a vincolare cose e persone, a porre una tristezza unica e dire non posso, non voglio , ma perchè? E’ solo negarsi un sentimento che fa vivere secondo la natura stessa e non contro di essa. La natura mostra la verità assoluta e l’uomo  la nasconde dietro il “valore”. Il valore è solo un vincolo che decide chi e come e perché e ci impedisce di ammettere che una relazione è finita , una banale giustificazione che ci fa sentire deboli nel non saper accettare una responsabilità vera: quella di porre fine a qualcosa senza un valido motivo , ma che,  coll’aiuto di pretesti nascondiamo il  desiderio e il diritto alla libertà.

Il mio pensiero potrà fare anche ridere, ma io che so piangere per poco e so ridere in un nulla, vedo una tristezza in questo. Perchè ammettere a volte di essere come si è , di pensarla diversamente da una massa ordinaria, è un gesto pericoloso che tende a isolare.
Ma penso che chi, non vive pericolosamente non ha mai iniziato a vivere davvero. Pianto e risate, estasi e solitudine sono solo un modo di vita nell’esperienza di una meditazione unica.

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L’amore è un dono speciale e meraviglioso; ma l’amore è anche un diritto per tutti!

Caterina Storti è nata per il cognome che porta. Ha la sindrome di Down, ed è per questo che ha gli occhi di mandorla: anche il loro colore è uguale. Ogni giorno li sfuma con dell’ombretto rosa e quando la scorgi mentre spinge il carrello della biancheria dell’ospedale sembra che due petali le carezzino lo sguardo. A mezzogiorno, prima di andare in mensa, si riassetta il lucidalabbra perché, dice, una donna deve sempre essere in ordine. Fa bello. Linda, la coordinatrice in lavanderia, la schernisce affermando che è una civetta e Caterina prima ride, poi, la prende sottobraccio e le risponde: come te!
Mario Loda, invece, non sa perché è nato così. Non è per colpa del cognome, e neanche gli occhi a mandorla gli sono stati fedeli; i suoi sono azzurri, come i nontiscordardime. Però ha lunghi ricci castani che gli contornano il viso e Piero, il suo capo in magazzino, lo chiama Rubacuori. Quando va a consegnare le merci nei reparti o negli uffici, tutte le donne lo vezzeggiano e gli fanno piccoli regali, ma lui non sa se è contento; sa solo che diventa tutto rosso e che sente qualcosa che non sa spiegare, come un groppo nella pancia. Allora corre via e torna in magazzino, passando per il parcheggio perché l’aria gli piace e gli porta via il nodo che ha dentro.
Ė lì che è diventato amico di Caterina: la lavanderia è un prefabbricato vicino all’ospedale, a ridosso del parcheggio. Con lei Mario non ha mai il groppo e non diventa rosso; e poi gli piacciono i suoi occhi marroni.
«Ma i tuoi sono più belli», gli aveva detto Caterina un giorno, «guarda, sono come questi nontiscordardime». Caterina ne aveva raccolti cinque dall’aiola e glieli aveva regalati. Lui li aveva messi nel portafoglio anche se gli dispiaceva stropicciarli, ma così non li avrebbe mai persi.
Il giorno dopo Mario era andato in lavanderia, invitando Caterina a bere un caffè al bar. Gli sembrava giusto, dopo il regalo dei fiori. Forse è lì che è cominciato tutto. Piaceva a tutti e due bere il caffè insieme e chiacchierare un po’. Veramente parlava soprattutto Caterina, e Mario ascoltava; lei gli raccontava di come era brava a piegare le lenzuola, sempre dritte e con gli orli tutti a posto. Poi, quando aveva finito il lavoro, andava a fare la spesa per tutta la famiglia e le piaceva dipingere fiori. Gli aveva anche portato i suoi disegni, una volta. Mario, invece, era un vero esperto di musica. Le aveva fatto conoscere il jazz, il blues, la musica classica e tante altre bellissime canzoni! Sapeva tutto degli autori e le raccontava le loro vite come se avesse studiato l’enciclopedia della musica del mondo.
«Oggi è San Valentino», aveva esclamato Caterina quel giorno. «Il mio papà regala sempre alla mamma un mazzo di rose uguale al numero degli anni che si conoscono. Non so come fa, ma quando ci alziamo c’è già il mazzo sul tavolo della colazione. Per me butta giù dal letto il fioraio».
Si erano messi a ridere, e Mario, insieme al caffè, le aveva comperato anche un bacio perugina.
Caterina aveva letto a Mario il biglietto trovato nell’involucro del cioccolatino: Il vero amore è una quiete accesa (G. Ungaretti).
«Cosa vuol dire?» aveva chiesto Mario, dopo averci pensato un po’.
«Non lo so», aveva risposto lei. Ma dopo le si erano illuminati gli occhi e aveva detto: «Forse vuol dire che l’amore è come quando c’è il sole a giugno. Sai quando non fa mica troppo caldo, con il cielo tutto azzurro e il paese che sembra colorato con le tempere!». Poi gli aveva dato un bacio, lungo, sulle labbra.
Mario era rimasto fermo come un salame. Era diventato tutto rosso e poi era corso via, per colpa del nodo nella pancia. Ma questa volta era diverso: non voleva che l’aria se lo portasse via.
Caterina, invece, era tornata in lavanderia saltellando, con un caldo dentro che anche se era febbraio sembrava giugno.
La sera, a casa, la mamma l’aveva presa in disparte e le aveva fatto un lungo discorso. «Hai capito, Caterina, perché non puoi continuare a incontrarti con Mario?», aveva concluso, accarezzandole la testa.
«No», aveva risposto lei, con gli occhi pieni di lacrime.
Anche al lavoro Linda non la lasciava più uscire da sola. La accompagnava dappertutto, anche a consegnare la biancheria nei reparti. Un giorno avevano persino litigato e Caterina le aveva urlato tutto il suo odio. Ma non era servito a niente.
Erano passati diciotto mesi e sei giorni, quando sua madre l’aveva raggiunta al lavoro, un pomeriggio; lei e Linda le avevano raccontato che Mario era morto, per la leucemia. Quel giorno c’era il funerale; potevano andarci, se voleva.
Caterina rispose di sì.

Ora può di nuovo uscire da sola. Finito il turno di lavoro, si riassetta il lucidalabbra e, prima di andare a casa, passa dal cimitero a chiacchierare con Mario.
Quando sono fioriti, gli porta ogni giorno cinque nontiscordardime.
«Vedi», gli dice mentre li cambia nel vasetto ai piedi della lapide «questi non si possono stropicciare».
Poi, prima di andar via, bacia sempre le sue labbra nella foto. E sente un caldo che, per un attimo, giugno sembra durare un anno intero.

Lara Gregori, nontiscordardime
down

L’amore è un dono, non solo; l’amore è un diritto di tutti…

Caterina Storti è nata per il cognome che porta. Ha la sindrome di Down, ed è per questo che ha gli occhi di mandorla: anche il loro colore è uguale. Ogni giorno li sfuma con dell’ombretto rosa e quando la scorgi mentre spinge il carrello della biancheria dell’ospedale sembra che due petali le carezzino lo sguardo. A mezzogiorno, prima di andare in mensa, si riassetta il lucidalabbra perché, dice, una donna deve sempre essere in ordine. Fa bello. Linda, la coordinatrice in lavanderia, la schernisce affermando che è una civetta e Caterina prima ride, poi, la prende sottobraccio e le risponde: come te!
Mario Loda, invece, non sa perché è nato così. Non è per colpa del cognome, e neanche gli occhi a mandorla gli sono stati fedeli; i suoi sono azzurri, come i nontiscordardime. Però ha lunghi ricci castani che gli contornano il viso e Piero, il suo capo in magazzino, lo chiama Rubacuori. Quando va a consegnare le merci nei reparti o negli uffici, tutte le donne lo vezzeggiano e gli fanno piccoli regali, ma lui non sa se è contento; sa solo che diventa tutto rosso e che sente qualcosa che non sa spiegare, come un groppo nella pancia. Allora corre via e torna in magazzino, passando per il parcheggio perché l’aria gli piace e gli porta via il nodo che ha dentro.
Ė lì che è diventato amico di Caterina: la lavanderia è un prefabbricato vicino all’ospedale, a ridosso del parcheggio. Con lei Mario non ha mai il groppo e non diventa rosso; e poi gli piacciono i suoi occhi marroni.
«Ma i tuoi sono più belli», gli aveva detto Caterina un giorno, «guarda, sono come questi nontiscordardime». Caterina ne aveva raccolti cinque dall’aiola e glieli aveva regalati. Lui li aveva messi nel portafoglio anche se gli dispiaceva stropicciarli, ma così non li avrebbe mai persi.
Il giorno dopo Mario era andato in lavanderia, invitando Caterina a bere un caffè al bar. Gli sembrava giusto, dopo il regalo dei fiori. Forse è lì che è cominciato tutto. Piaceva a tutti e due bere il caffè insieme e chiacchierare un po’. Veramente parlava soprattutto Caterina, e Mario ascoltava; lei gli raccontava di come era brava a piegare le lenzuola, sempre dritte e con gli orli tutti a posto. Poi, quando aveva finito il lavoro, andava a fare la spesa per tutta la famiglia e le piaceva dipingere fiori. Gli aveva anche portato i suoi disegni, una volta. Mario, invece, era un vero esperto di musica. Le aveva fatto conoscere il jazz, il blues, la musica classica e tante altre bellissime canzoni! Sapeva tutto degli autori e le raccontava le loro vite come se avesse studiato l’enciclopedia della musica del mondo.
«Oggi è San Valentino», aveva esclamato Caterina quel giorno. «Il mio papà regala sempre alla mamma un mazzo di rose uguale al numero degli anni che si conoscono. Non so come fa, ma quando ci alziamo c’è già il mazzo sul tavolo della colazione. Per me butta giù dal letto il fioraio».
Si erano messi a ridere, e Mario, insieme al caffè, le aveva comperato anche un bacio perugina.
Caterina aveva letto a Mario il biglietto trovato nell’involucro del cioccolatino: Il vero amore è una quiete accesa (G. Ungaretti).
«Cosa vuol dire?» aveva chiesto Mario, dopo averci pensato un po’.
«Non lo so», aveva risposto lei. Ma dopo le si erano illuminati gli occhi e aveva detto: «Forse vuol dire che l’amore è come quando c’è il sole a giugno. Sai quando non fa mica troppo caldo, con il cielo tutto azzurro e il paese che sembra colorato con le tempere!». Poi gli aveva dato un bacio, lungo, sulle labbra.
Mario era rimasto fermo come un salame. Era diventato tutto rosso e poi era corso via, per colpa del nodo nella pancia. Ma questa volta era diverso: non voleva che l’aria se lo portasse via.
Caterina, invece, era tornata in lavanderia saltellando, con un caldo dentro che anche se era febbraio sembrava giugno.
La sera, a casa, la mamma l’aveva presa in disparte e le aveva fatto un lungo discorso. «Hai capito, Caterina, perché non puoi continuare a incontrarti con Mario?», aveva concluso, accarezzandole la testa.
«No», aveva risposto lei, con gli occhi pieni di lacrime.
Anche al lavoro Linda non la lasciava più uscire da sola. La accompagnava dappertutto, anche a consegnare la biancheria nei reparti. Un giorno avevano persino litigato e Caterina le aveva urlato tutto il suo odio. Ma non era servito a niente.
Erano passati diciotto mesi e sei giorni, quando sua madre l’aveva raggiunta al lavoro, un pomeriggio; lei e Linda le avevano raccontato che Mario era morto, per la leucemia. Quel giorno c’era il funerale; potevano andarci, se voleva.
Caterina rispose di sì.

Ora può di nuovo uscire da sola. Finito il turno di lavoro, si riassetta il lucidalabbra e, prima di andare a casa, passa dal cimitero a chiacchierare con Mario.
Quando sono fioriti, gli porta ogni giorno cinque nontiscordardime.
«Vedi», gli dice mentre li cambia nel vasetto ai piedi della lapide «questi non si possono stropicciare».
Poi, prima di andar via, bacia sempre le sue labbra nella foto. E sente un caldo che, per un attimo, giugno sembra durare un anno intero.

Lara Gregori, nontiscordardime
down

Vorrei quel che non sarà mai più…

Quel Che Non Sarà Mai…

Vorrei sentire il tuo odore profumato di te
che risveglia tutti i miei sensi,
e mi fa sentire viva
vorrei toccarti,
percorrere le linee dure del tuo corpo,
che mi fa sentire donna
vorrei assaggiarti
piano piano
per sentire il tuo sapore ribollire sul mio palato,
che mi fa avere ancora più fame
vorrei fare l’amore con te
perdermi in te e tu perderti in me,
sentire il nostro piacere che esplode insieme…
che ci travolge…
e ci fa sentire amanti
e sentire quell’estasi che solo un atto d’amore può…
vorrei quel che non sarà mai…

Anne Sexton

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