La bellezza della saggezza che viene dalla semplicità…

Questo meraviglioso autoritratto, un affresco in cui la grande poetessa Anna Achmatova racconta sé stessa attraverso la frugalità del quotidiano. “Ho appreso a vivere semplice e saggia“, racchiuso  nella raccolta del 1914 “Rosario“, ci trasporta in un mondo di cose semplici, in cui l’angoscia esistenziale si trasforma in dolce malinconia grazie alla partecipazione della natura.

Ho appreso a vivere semplice e saggia
“Ho appreso a vivere semplice e saggia
a guardare il cielo, a pregare Iddio,
e a vagare a lungo innanzi sera,
per fiaccare un’inutile angoscia.

Quando nel fosso freme la lappola
e il sorbo giallo-rosso piega i grappoli,
compongo versi colmi di allegria
sulla vita caduca, caduca e bellissima.

Ritorno. Un gatto piumoso mi lecca
il palmo, fa le fusa più amoroso,
e un fuoco vivido divampa al lago
sulla torretta della segheria.

Solo di rado un grido di cicogna,
volata fino al tetto, squarcia il silenzio.
E se tu busserai alla mia porta,
mi sembra, non sentirò nemmeno”.

Anna Achmatova

Quando si comprende il miracolo della vita

Nella sua poesia, nella traduzione curata da Michele Colucci, Anna Achmatova ritrae sé stessa, ancora giovane e ignara delle sofferenze che sarà costretta ad attraversare. Nei versi   ci toccano delicatezza, sensibilità, malinconia ma,  più di tutto, il  senso  languido di abbandono che caratterizza l’uomo quando si rende conto di essere un piccolo ingranaggio del sistema universo. La semplicità e la saggezza di cui ci parla Anna Achmatova passano per il cielo e la preghiera, per la flora che sa di infinito in confronto alla nostra fugacità, per la tenerezza della fauna, per il fuoco che illumina e scalda… Achmatova coglie il prodigio della natura, semplice e saggia  , mentre pare che briciole di eternità  ci cadano addosso come  le gocce leggere di una pioggia di primavera .

passeggiataal tramonto

Con la vecchiaia si restringe il mondo…

Venti contro venti. L’anno che verrà si annuncerà una svolta importante nella storia sociale e anagrafica del nostro paese: si sfiorerà la parità tra venti milioni di lavoratori e venti milioni di pensionati. Il terzo restante, tra bambini, casalinghe, disoccupati, agiati e sommersi, completa la popolazione italiana. Tra pochi anni, poco più di una decina, avverrà il netto sorpasso degli anziani in quiescenza sui lavoratori. Ma non solo: le risorse pubbliche sono già assorbite per metà dalla previdenza (il 48%) e per oltre un quinto dalla sanità (21,8%). Insomma le risorse pubbliche vanno per il 70% in prevalenza sugli anziani, più che sui giovani, sulle politiche sociali (18,2%) o sull’istruzione (11,6%). A indicarlo è il Rapporto 2022 del Think Tank «Welfare, Italia».
Può far piacere sapere che grazie alla longevità e al benessere tanti italiani potranno godersi a lungo la pensione. Ma il fatto che per ogni lavoratore ci sia un pensionato, è una prospettiva socialmente ed economicamente preoccupante: il sistema previdenziale e pensionistico così non può reggere, è sempre più vicino al collasso; e l’Italia senza giovani e senza bambini, sprofondata nella terza età, non ha futuro. Ma non vorrei ripetere la solita denuncia sul paese di vecchi e nemmeno il pistolotto confortante per cui essere anziani oggi è cosa ben diversa da ieri, perché i pensionati hanno energie, sono in larga parte benestanti, anche se sono più soli e depressi.
Ma resta un nodo: quando si diventa vecchi, ovvero qual è il punto di passaggio alla senilità? Non cerco una risposta medica, scientifica o statistica, ma esistenziale, legata cioè alla realtà della vita.
Se dovessi definire, da vecchio ancora giovane, qual è l’aspetto saliente della vecchiaia, direi in una sola frase: si diventa vecchi quando si restringe il mondo e non solo il tempo futuro a tua disposizione. Si restringono le possibilità e le risorse, che si fanno meno accessibili, meno vaste e meno vigorose; si restringono molte facoltà, fisiche e mentali, si impoveriscono le energie e il fuoco che le ravvivava; si restringono i nomi che ricordi, insieme con i neuroni si accorciano le possibilità mnemoniche e le sinapsi; si accorcia la durata e la resistenza a ogni cosa, non solo urinaria, muscolare o respiratoria; si restringono le opportunità, le cose che puoi fare, che puoi bere e che puoi mangiare; si restringono i piaceri e le performance vitali, le pulsioni naturali; si restringe il campo visivo e uditivo, ma anche gli altri sensi battono la ritirata, come i riflessi; si restringono i luoghi a cui puoi accedere, gli stadi e gli stati che prima raggiungevi; sei condannato alla prossimità; si restringe il numero delle persone che conosci e frequenti perché i morti e i malati svuotano il tuo mondo; si restringono le aspettative e la vita attiva, passando sempre più da protagonisti a spettatori, comparse, figure di passaggio. Si diventa sempre più spettatori e sempre meno attori e non solo nel senso cine-televisivo, da divano; anche nella vita si restringe lo spazio delle tue relazioni, vivi la vita degli altri, sei come alla finestra; i fatti ti riguardano sempre meno; sei solo uno spettatore, non sei più dentro la scena ma fuori. Se guardi una bella ragazza, sai che la cosa non ti tocca più direttamente; sei fuori, la osservi come se la vedessi in un video, non ti può riguardare. E così molti atti vitali sarebbero inappropriati e malvisti; devi mantenere la sobrietà, ovvero lasciar vivere gli altri al posto tuo. Si restringe anche il ruolo sociale, la rilevanza, la considerazione.
Non è dunque solo il tempo ad accorciarsi, che già genera qualche infelicità se non angoscia; ma il mondo si fa più piccolo, il campo delle possibilità si restringe sensibilmente e progressivamente. Si contrae, si accartoccia e si avverte che il processo è irreversibile, è un punto di non ritorno, di sola andata, in discesa. Senza possibilità di rivincita o di risalita. Questa è propriamente la vecchiaia, oltre gli acciacchi: il mondo ristretto; vivere, fare, essere meno. Vivere col segno “meno”.
Ci sono poi eterei risarcimenti, sottili compensazioni e tenui conforti: è possibile raggiungere una certa sazietà di vita e un gentile distacco dalle cose; c’è libertà di sottrarti a ciò che non ti piace e di vivere, hai meno obblighi e meno ansie, devi dar conto sempre meno, hai possibilità maggiori di contemplare la vita, di apprezzarne le sfumature, che nella fretta e nella furia delle tante possibilità vitali sfuggono ai più giovani. La lentezza dei vecchi non deriva solo dal peso degli anni e dei malanni, ma anche dal più lungo tempo a disposizione, il tempo libero che si allunga mentre si va accorciando la vita, gli affanni cedono il posto alla calma. C’è poi la bellezza della nostalgia, la dolcezza amara dei ricordi…Con la senilità sorge la tendenza naturale a farsi più spirituali, più leggeri pur nell’età grave, cercatori ostinati di luce rispetto al buio, alla sera e alle notti; ridimensioni l’importanza delle cose, e lo stress che ne scaturiva, fino a cogliere la loro irrilevanza; dai meno peso a molte faccende e vicende un tempo importanti e dai più peso ad altre che passavano inosservate.
Si, ci sono anche vantaggi e conquiste col passare degli anni, che un tempo andavano sotto il nome di saggezza, la saggezza dei vecchi. Magre consolazioni? Non saprei, segnano il passaggio dalla ricerca della felicità alla ricerca della serenità, ma la vita va accettata in tutte le sue stagioni e ogni stagione nel modo proprio che le si addice. Con amor fati.