Temendo la brace, la Francia resta in padella…

 

A sentire i telegiornali, a leggere i giornali, in Francia e in Europa, c’è un sollievo generale. Tutti contenti, finito l’incubo, pericolo scampato, rompete le righe. Vince il Fronte popolare, siamo liberi e felici. Il quotidiano L’Unità, organo di retroguardia della sinistra condensa le sciocchezze del mainstream in un titolo a tutta pagina: Siamo tutti antifascisti, inneggiando alle piazze di Parigi e d’Europa che hanno sconfitto Le Pen dimostrando che la sinistra è viva. Senti i tg della Rai, i famosi melones, che dicono: che sollievo, sono stati i giovani, le piazze, le donne a far vincere la sinistra…
Un cumulo di sciocchezze e ipocrisie. Per cominciare, astensionisti a parte, il primo partito che raccolse il 34 per cento dei voti è stato il Rassemblement di Le Pen. Voto popolare, nazionale, giovanile, operaio, femminile. Come ci può essere sollievo generale in Francia per la sconfitta di chi avevano votato più di tutti? Al primo turno gli altri partiti furono sconfitti. Ma siccome il sistema elettorale consente di sommare gli sconfitti in un Fronte fondato sulla desistenza nelle candidature, la somma degli sconfitti ha sconfitto il vincitore. Il risultato non rispecchia la volontà degli elettori, perché ogni singolo addendo, almeno a livello popolare, non aveva nulla a che spartire con gli altri. In quella somma la sinistra ha la sua quota divisa in tre forze; il resto sono centristi, macroniani e liberali.
La sinistra non ha vinto un bel niente; è stato Macron il Furbo che dal primo momento – e lo scrivemmo già quando annunciò di voler sciogliere il Parlamento- ha scommesso sulla partita Le Pen contro il resto del mondo, giocando cioè sul fatto che lei non aveva possibilità di trovare alleati al secondo turno. E avrei scommesso da subito che sarebbe finita così. Lui, l’Impopolare, viene salvato dal Fronte Popolare degli Sconfitti. La loro unione, lo vedono tutti, è fondata solo sull’impedire a Le Pen di andare al governo. Non è un’unione per la Francia ma una conventio ad excludendum. Non è pro ma anti. Ecco perché tengono in piedi quel fantasma putrefatto che è l’antifascismo, ottant’anni dopo che il fascismo è morto. Perché con quella formula surreale impediscono il cambiamento, salvo poi dividersi nel dopo, e proseguire nella miseria di governi impopolari. Macron campa su questo da anni, ma non solo lui.
In Italia quella formula la invocano sempre e tuttora è l’unico collante, l’unica prospettiva, l’unica strategia che sanno mettere in piedi. Di fronte alla chiamata antifascista non ti puoi tirare indietro. Cos’è poi la chiamata antifascista, in che cosa consiste a parte la seduta spiritica di far rinascere il fascismo? Consiste nel rifiuto della sovranità popolare e nazionale nel nome dell’unione europea, cioè delle élite che governano l’Europa e dei poteri annessi; rifiuto che viene tradotto in antirazzismo. Poi consiste nel rifiuto della famiglia naturale, dei legami comunitari, della civiltà e delle tradizioni nel nome dei diritti civili tipo aborto e nei diritti gender riassunti in quel codice fiscale mezzo algebrico diventato mantra, lgtbq+ a cui aggiungerei l’asterisco, che sostituisce ogni fine parola con o e con a (beati i sardi che finiscono molte parole in u, e così scampano la militante idiozia del neutro). E consiste infine nell’accoglienza dei migranti, la cancellazione della propria civiltà e delle radici civili e religiose per far posto a chi viene da fuori; e nel richiamo retorico alla pace (salvo guerre a getto continuo, corsa ad armarsi, ma sempre per scopi democratici, umanitari, anzi pacifisti). Il tutto incipriato nel verde; ma se lo fa la destra è ecofascismo.
La formula politica dell’antifascismo, che da noi si chiamò arco costituzionale, è la stessa da più di sessant’anni: centro-sinistra.
Il centro-sinistra globale, che esclude ogni destra che non voglia diventare reggicoda del medesimo centro-sinistra globale (nome in codice: Ursula). Detto in breve: o la Meloni si taianizza, o finisce ai vannacci.
Sul piano dei sistemi l’antifascismo nasconde il tradimento della sinistra nei confronti della lotta al capitalismo: il capitale diventa alleato perché il nemico supremo da abbattere è sempre e solo il fascismo (che non esiste). Così Mélenchon fa patti con Macron, la sinistra diventa ovunque la guardia bianca del capitale. Cosa riceve in cambio? L’adozione del proprio manuale ideologico antifascista, filo-migranti e filo-transgender. Al di là di una spruzzatina pop sui temi sindacali e sociali, la sinistra di fatto non sogna alcun superamento del capitalismo, è dentro il suo mondo e la sua tabula rasa, concorre a cancellare la civiltà ereditata; il suo nemico non è più il Padrone, i ricchi, i giganti della finanza e i potenti, che sono invece suoi alleati, ma la famiglia, la civiltà tradizionale, la sovranità nazionale e popolare, riassunti nella formula diabolica del fascismo, con aggravante obbligata del razzismo. A dir la verità anche le destre, pur ai margini, sono dentro lo stesso acquario capital-occidentale, salvo comizi.
La formula viene applicata ovunque. Se tu per esempio denunci, come è capitato a me, che un treno ad alta velocità e lungo percorso non può abbandonare a metà corsa sui binari, per sciopero, i viaggiatori, tra cui donne, bambini, disabili, trovi sempre quattro coglioni di sinistra (non trovo definizione migliore, le altre sono peggiori) che ti attaccano: ah, il solito fascista, vuole abolire il diritto di sciopero. I problemi concreti del presente, il disagio reale dei cittadini, cancellati dal solito mantra ideologico di un secolo fa. A questo serve l’antifascismo, usato dai cinici furbi e dai cretini acidi.
L’Eliseo per Marine Le Pen è il supplizio di Tantalo, potrà anche prendere il 40% ma con quel sistema elettorale al secondo turno sarà sempre sconfitta. Le occorrerà al primo turno la maggioranza assoluta. Altrimenti ci sarà sempre un Mélenchon a fare l’antisistema ma poi ad accettare il patto col diavolo pur di non far vincere il super-diavolo (inesistente), il Fascismo. Su queste pantomime regge il potere.
Trasferite ora la vittoria degli sconfitti che si apprestano a non governare la Francia nel caso italiano e nell’euforia della sinistra nostrana. Ci sono due differenze con la Francia: il sistema elettorale qui non è di doppio turno e la destra, grazie a Berlusconi (va detto), ha la possibilità di coalizzarsi e governare. Non c’è nulla da imparare dalla Francia, è roba vecchia anche da noi, nulla di nuovo: è Fritto Misto nelle urne e Aria fritta per il Paese. Temendo la brace inesistente del fascismo, l’Unione ciechi di Francia ha scelto di restare in padella. Friggetevi.

Marcello Veneziani   

Il tango…

 

La danza salvifica dell’amore

Quando ci innamoriamo si fa un dono a una intera comunità.
L’inizio di un amore è uno degli agenti purificanti più forti del nostro pianeta, dovrebbero inserire l’innamoramento tra le azioni ecosostenibili. Due anni fa mi sono iscritta a un corso di tango. Potrei dire che l’ho fatto perché mi piace ballare, può essere, anche se (a me piace ballare quando sono in casa, scalza, con la musica nelle orecchie e non mi vede nessuno) sospetto sia stato l’abbraccio. Due anni fa ero a Rio de Janeiro e ho frequentato un po’ per caso una lezione di tango. Ero l’unica allieva e l’insegnante, una signora piccolina piccolina, mi ha stretta a lei e mi ha fatto camminare avanti e indietro per tutto il tempo lungo il perimetro della sala. Ammetto che ero un po’ delusa, volevo imparare dei passi veri, mi vedevo già a volteggiare con la rosa rossa tra le labbra, ma lei ha detto o abraço (in portoghese, eravamo in Brasile), devi sentire l’abbraccio, ha detto. Aveva ragione, infatti poi di e in quell’abbraccio mi sono innamorata  .Due anni fa mi sono iscritta a un corso di tango, ancora ci vado, anche se ogni tanto mi chiedo come mai non smetto: quello del tango è uno degli ambienti più fastidiosi che abbia mai frequentato, teatrale direi, e sto usando un eufemismo. Da quando ho cominciato, in ordine sparso: ho perso un’amica, ho iniziato a mettere degli stupidi copri capezzoli e mi sono domandata più volte in quale punto delle mie scarpette fosse finito il mio presunto femminismo (nel tacco o nella punta?). Funziona che se sei giovane e molto scoperta balli tantissimo (alla faccia della non oggettificazione della donna), se sei donna di una certa età puoi anche fare tappezzeria (alla faccia del combattere il tabù dell’invecchiamento) a meno che tu non balli come Augustina Rodriguez (nome inventato per l’occasione). Per gli uomini timidi è durissima, gli uomini hanno tutto un loro sistema lì dentro: c’è chi si impettisce come un piccione e fa a gara a chi ha l’ego più grande, quelli nascosti dietro al palo, quelli al bancone del bar (beh, lì ci sono anche io in verità).
Il tango, a onor del vero mi dà anche delle cose belle, la prima è la leggerezza, mi diverto come una pazza, soprattutto quando ci sono i tanghi ritmici, viene proprio fuori tutta la mia leopardiana urgenza di giocare; la seconda è la musica, non è facile, ma piano piano impari a capirla – grazie Shazam – e ti avvolge mentre balli.  La terza cosa bella è l’abbraccio, dentro quell’abbraccio, se dato bene, c’è un tentativo di abbraccio collettivo, qualcosa di cui dovremmo fare uso più spesso, e dentro quell’abbraccio, mi sono anche innamorata. Quando ci innamoriamo si fa un dono a una intera comunità, l’inizio di un amore è uno degli agenti purificanti più forti.  L’amore si propaga su ogni cosa, si trasmette di persona in persona, di casa in casa; piccole particelle di baci si propagano per le strade, raggiungono anche i fiori, i pesci del lago nel parco, i cani e i gatti. È stato il suo fiato sul mio collo, il profumo della pelle, toccare il corpo di qualcuno che ancora non conosci, ma del quale volta dopo volta, impari a riconoscerne i segni, i rigonfiamenti e gli avvallamenti. È bello innamorarsi di un nome che ancora non sai, è come uno scrigno ancora da aprire, dove ci sono tutte le promesse intatte. Io mi sono innamorata ripetutamente a dire la verità. Credo di essermi sentita vergine, per quanto potesse farmi paura, mi sono chiesta se ero mai stata così tanto attratta da qualcuno. Forse accade a tutti, che quando ci innamoriamo diventiamo degli analfabeti, o forse è proprio il presupposto dell’amore: l’urgenza, se non il dovere, di andare sempre un po’ più in là; dover pensare a tutti i costi «questo è quello grande grande grande». Lo diceva anche Mina.  Mi sono innamorata di nuovo quando l’ho sentito parlare, non gli ho mai sentito dire cose stupide (cosa per me quasi orgasmica); e ho imparato anche io a parlare, quando ho scoperto a mia insaputa di usare così tanto il verbo scopare, quando te ne rendi conto, dopo ci sono sedute di terapia a capire come mai ti esprimi in maniera così sconnessa dalla tua età biologica. E non può essere colpa di tutte le serie che hai visto, c’è dell’altro. Si dice fare l’amore. E fare è un verbo bellissimo, fa pensare all’agire, all’adoperarsi dell’artigiano, come se l’amore non fosse davvero una bottega, dove nel retro si lavora. Poi ci sono i suoi occhi, che odio sempre un po’, perché più belli dei miei, mi costringono a fare di tutto per stare sulla terraferma e non affogarci dentro, come si affoga in quegli oceani dove non si tocca. Ma in veritas, io sono un disastro, e in quel grande grande grande mi ripiego su me stessa.  Bisognerebbe che la scuola ci insegnasse ad amare, perché tanto le famiglie non ne possono niente, allora dovrebbero scrivere dei manuali, stilare delle formule sui libri, delle linee pratiche da seguire, così almeno quelli come me saprebbero come fare le cose che non sanno fare e così, potremmo continuare purificare l’aria del nostro pianeta.

Chiara Cerri

Illustrazione  Laura   Bersellini
tango,lauraBersellini

«Ho “liberato” mio figlio dalla scuola: decide lui quando e cosa vuole imparare, noi non gli insegniamo nulla»

«Se non volete che i figli si conformino, allora abbiate fiducia nel fatto che seguiranno i loro interessi e impareranno tutto ciò di cui hanno bisogno, non ciò che gli altri vogliono che imparino»
«Ho “liberato” mio figlio dalla scuola: decide lui quando e cosa vuole imparare, noi non gli insegniamo nulla»

Le responsabilità di un genitore nei confronti dei propri figli non si limitano alla necessità di assicurare il mantenimento di un buono stato di salute fisica. Le mamme e i papà devono essere in grado di crescere i bambini in modo che riescano a vivere una vita felice e soddisfacente, e per questo cercare di dare i giusti input anche quando si tratta di educazione, di sport, di dinamiche sociali e tanto altro. Il lavoro della scuola si inserisce in questo contesto e supporta i genitori nel percorso, ma non tutti sono d’accordo sulla validità dei suoi metodi, che in effetti cambiano già in base al luogo e al periodo storico.  Una mamma, Onami, ha scelto i social per parlare del metodo che utilizza con suo figlio. Il primo passo è la liberazione dalla scuola: non c’è un orario preciso, non c’è un curriculum preciso, non ci sono insegnanti, né compiti. È il bambino a prendere l’iniziativa.

scuola

 

L’educazione che parte dal bambino
«Non insegniamo nulla ai nostri bambini, tutto ciò che imparano è in risposta ai loro interessi e alle loro domande – spiega Onami nel video pubblicato sul suo account TikTok, che tanto ha fatto discutere -.Non c’è alcun curriculum, né un orario scolastico. Quando vogliono sapere qualcosa, rispondiamo e facciamo del nostro meglio per assicurarci che capiscano».
La mamma chiama questo metodo “free school”, o “unschool”, e afferma che la sua più grande paura era relativa alla possibilità che i bambini si dedicassero soltanto a ciò che li interessa, senza riempire il cervello di informazioni che per loro non sono necessarie: Credevo che non si sarebbero mai avvicinati a cose come la lettura, la scrittura e la matematica e invece… mio figlio ha 6 anni, mi ci è voluto tempo per non paragonarmi alle altre mamme, ma questo è il suo quaderno», dice Onami, e mostra le parole scritte sulla carta, tra cui lampada, uova, barattolo, leone e via dicendo. «Ha cominciato a farlo da solo, e ne ha chieste altre a noi – spiega -. Ha fatto la stessa cosa con le addizioni, mi fa “mamma quanto fa 7 più 5?”. Tutto arriva nel momento giusto, ma se non vi piace l’idea di mandare vostro figlio via per 40 ore a settimana e poi chiedervi come mai non hanno più energia per fare altro quando sono a casa… se non volete che i figli si conformino, allora abbiate fiducia nel fatto che seguiranno i loro interessi e impareranno tutto ciò di cui hanno bisogno, non ciò che gli altri vogliono che imparino».

Nei commenti qualcuno si chiede se questo approccio sia legale e molti utenti esprimono riserve rispetto a questo metodo, chiedendosi cosa succederà tra qualche anno. Un’insegnante ha scritto: « Lavoro in una scuola elementare e credo sia un’idea interessante il fatto che si tratti di un’educazione gestita dal bambino, e imparare giocando è positivo. Ma c’è una scienza che studia cos’è appropriato durante lo sviluppo e la crescita, e il curriculum è basato su quei dati. La scuola è molto più che teoria e nozioni. A ognuno il suo, ma assicurati di informarti».

Cliccando il link potrete accedere all’articolo originale e vedere anche il video tanto discusso non solo sui social.

https://www.leggo.it/esteri/news/figli_scuola_imparare_mamma_oggi_5_7_2024-8223112.html?refresh_ce

L’insicurezza,che non fa bene..

 

Un adulto dovrebbe essere in grado di gestire una critica neutrale che non è una critica alla persona ma al comportamento, che è evidentemente sbagliato e manchevole.

Ma no.

Le persone vanno subito sulla difensiva perché entrano nel senso di colpa, si sentono “sbagliate” e aggredite, e non sanno gestire la carica emotiva che ne consegue se non riscaricandola sull’altro .Questa dinamica, nelle relazioni, è quanto di più devastante perché si finisce per non dirsi più nulla, e accumulare risentimento e rancore, dato che l’altro è una sorta di cristallo che appena viene sfiorato, va in frantumi. Una maturità emotiva accetta qualche scossa, qualche spinta, qualche crepa. Se non lo fa significa che c’è un IO debolissimo, che deve continuamente mettersi in sicurezza perché percepisce tutto il mondo come pericoloso e potenzialmente scompensante, all’infuori di quelli che lo venerano e lo validano. Il non poter comunicare apertamente di qualsiasi cosa ovviamente in modo consapevole, in una relazione, è l’inizio della fine.

Claudia Crispolti

 

th

E il vertice lasciò solo voglia di Puglia…

 

 Cosa ha lasciato di buono il summit del g7 in Puglia? La Puglia. Il vertice coi grandi del pianeta non sembra aver lasciato importanti eredità, svolte o grandi risultati. Di quell’affollata concentrazione di potenti in quella fettina di terra contesa col mare e baciata dal sole, resta lei, la Puglia, una regione scoperta solo col terzo millennio. Prima era nel lato d’ombra della storia e della geografia. Parlavi d’Italia e ti venivano fuori, dopo Roma, le città d’arte o d’affari. Parlavi di regioni e ti spuntava la Toscana, l’Umbria o se scendevi a sud i nomi sulla bocca di tutti erano Napoli e la Sicilia. Anche la storia d’Italia è stata fatta sul versante tirrenico; pure i Mille di Garibaldi mica pensarono di passare dal versante adriatico. Così la filosofia, la letteratura, l’arte, in Magna Grecia, hanno nomi grandi e pensieri illustri su quel versante, non in Puglia.    Fino agli anni novanta Bari era Beri, caricatura malevola di tanti comici e caratteristi locali, elevati a potenza da Lino Banfi. Fece impressione trent’anni fa un film del grande Clint Eastwood, I ponti di Madison County, in cui la protagonista, la grande Meryl Streep, confessava di essere originaria di Bari. Che stravaganza, e che miracolo quando pure Clint nel film confessava di conoscere Bari, era stato per imbarcarsi per la Grecia (ecco, cos’era la Puglia, il trampolino di lancio per la Grecia); aveva visto Barivecchia e gli era piaciuta nonostante all’epoca fosse considerata zona pericolosa, in mano a malavita e scippatori.  Certo, c’erano Renzo Arbore e Domenico Modugno, ma uno passava per napoletano (come il molfettese Riccardo Muti, del resto) e l’altro si spacciava per siciliano. Sul piano politico, c’era stato Aldo Moro, ma la sua identità, come la sua inflessione, appariva così flebile e vaga, anzi ondivaga, tra Roma e Bisanzio, tra la Dc, l’Ateneo e un generico Levante; Moro era pugliese solo per i pugliesi, non per tutti gli altri. Si veniva in Puglia magari per Padre Pio, ma lui era di Pietrelcina e parlava con inflessione napoletana-sannita. Al più c’era il Gargano. Insomma la Puglia passava inosservata. Poi, verso la fine dello scorso millennio qualcosa è accaduto. Il declino di Napoli e del resto del sud, bollato col marchio mondiale di mafia, ‘ndrangheta e camorra, rispetto a cui la malavita pugliese era poca cosa nonostante il nome fastoso di Sacra corona unita. Poi la scoperta di piatti e prodotti della natura pugliese: fave e cicorie, lampascioni e cime di rape, riso, patate e cozze. Madò, che goduria… Quindi l’exploit del cinema e delle fiction in tv, che trovarono la loro location naturale in Puglia e dintorni. La masseria pugliese, i paesi bianchi, i trulli, la controra, le meraviglie barocche di Lecce, le vecchie baresi che fanno le strascinate – le orecchiette- su strada, il pesce crudo, di casa a Bari e Taranto prima del sushi giapponese; una scia di folclore, la scoperta del Salento… Su quella scia il successo pazzesco di Checco Zalone, la pizzica e la taranta, l’arrivo dei vip nelle campagne pugliesi. Com’è bello far l’amore da Vieste in giù…È stata un’escalation, che stava cominciando a incrinarsi per eccesso di turismo, overdose di film e pugliofilia; quando è arrivato il vertice del G7 a Borgo Egnazia e dintorni. Migliaia di giornalisti, non solo telefonini ma telecamere puntate sulla Puglia, trulli in mondovisione. Prima la contesa tra i castelli svevi per ospitarli, quello di Federico a Castel del Monte o a Barletta, alla fine si è scelto quello di Brindisi; i Grandi portati in giro, in ogni senso, a vedere le ceramiche di Grottaglie come una qualunque comitiva di crocieristi, tipo laboratorio di tappeti alla casbah. Poi i Big tra gli Ulivi, la voce di Bocelli, le mangiate, e che mangiate. Si, il pescato del giorno, taralli e focacce, le lasagne e varie prelibatezze non solo locali. Ma la scoperta principale della tavola è stata una, venuta dalla cucina povera e verace della Puglia più profonda: pane e pomodoro. La cena dei poveri, lo spuntino dei ricchi, la variante del pranzo a mare, senza portarsi come una volta la cofana di pasta al forno. Per pane s’intendeva pan raffermo; esiste pure una versione primitiva invernale, da noi detta caldello, pane tosto su cui si versa generosamente acqua calda, possibilmente marina, più pomodori, aglio, olio, sedano e vari altri ortaggi. Oltre la versione invernale, gli ingredienti classici di base sono i pomodori, l’olio e l’origano, tutti pugliesi, più un pizzico di sale marino, magari delle saline pugliesi, e qualche foglia di basilico. Gli esagerati c’inzaccano altra roba, pure cipolle e uova sode. Ci sono versioni innumerevoli, tra varianti locali e famigliari ma la base di partenza era la povertà creativa, il riciclaggio del pane avanzato più l’odore del mare riscaldato sul fuoco, almeno l’ombra dei pomodori e il resto è fantasia; ossia altri ingredienti per chi può permettersi o solo immaginazione per chi non poteva altro.   Il pane e pomodoro, che dà il nome anche alla più famosa spiaggia di Bari, ha spopolato tra i big del pianeta, la povertà fantasiosa locale ha sedotto la ricchezza potente globale. Il sud del mondo in una frisella integrale.   Scrivendo della Puglia da lontano, ho sentito un formicolio nostalgico, un desiderio irresistibile di tornarci, una fame di Puglia, pane e pomodoro; e un libro che mi è giunto a fagiolo, Ritorno in Puglia di Marco Ferrante, fa da didascalia al mio desiderio. Che voglia di tornarci, di tuffarsi nell’infanzia; ora che sono andati via i Grandi, che voglia di tornare piccoli…

Marcello Veneziani             

Rimedio dolcissimo per la tristezza…

Qualche estate fa tornavo dalla spiaggia di Arma piangendo per strada.Mi sono sentita chiamare, almeno due volte; mi sono girata. C’era qualcuno su un furgoncino bianco.

⁃ Sei tu, vero? – mi ha detto.

Mi sono avvicinata per guardare meglio e ho riconosciuto uno del mio paese, più grande di me di 5, 6 anni, che non ricordavo più di aver frequentato da ragazza, nel modo in cui frequentavamo chiunque sostasse sul muretto dietro la sala giochi. L’ultima volta dovevo averlo visto nel ‘96 e ricordavo che mi era molto simpatico.

⁃ Ciao, – ho detto raggiungendo il furgone: solo ciao, il suo nome non mi veniva.

Mi sono asciugata di corsa le lacrime e d’istinto ho sciolto i capelli, ma erano sudati e crespi di sale, sarebbe stato meglio tenerli legati; pensavo, ma guarda tu se in questo stato devo incontrare uno che non vedo da decenni, uno che devo fermarmi per forza. Mi sentivo brutta e per questo colpevole. Chissà se è solo femminile il senso di colpa di essere esteticamente deludenti.

– Di’ la verità, te lo ricordi, il mio nome? – ha detto lui.

L’ho fissato annebbiata, ma quando ha messo su quella faccia piena di imbarazzo mi è tornato di colpo in mente il soprannome con cui lo prendevo in giro. Appena l’ho pronunciato lui è scoppiato a ridere. Mi ha chiesto dei miei romanzi, gli ho chiesto del suo lavoro. Aveva la fede, un figlio a casa e uno prossimo alla nascita, che adesso avrà quasi sei anni. Abbiamo chiacchierato per una decina di minuti.

Prima di andare ho detto: – Ma come hai fatto a riconoscermi, a ricordarti?

⁃ Rosella, – ha risposto. – Nessuno può dimenticarsi di te.

Ecco, penso che ogni volta che siamo tristi e piangiamo e ci sentiamo orribili da ogni punto di vista dovremmo incontrare per caso qualcuno che ci dica che siamo indimenticabili. Sarebbe un mondo più giusto.

Rossella Postorino

OIG2 (2)

Il fior di loto, che c’è in te…

loto
                      Se ti senti smarrito, contrariato, esitante oppure debole,
ritorna a te stesso, alla persona che sei, qui ed ora e
guardando a  come stavi prima, riscoprirai te stesso…
come un fiore di loto in piena fioritura,anche in uno stagno
fangoso, bellissimo e forte-
Masaru Emoto

Essere giovani…

La gioventù non è un periodo della vita, è uno stato d’animo; non è una questione di guance rosee, labbra rosse e ginocchia agili; è un fatto di volontà, forza di fantasia. Vigore di emozioni: è la freschezza delle sorgenti profonde della vita. Gioventù significa istintivo dominio del coraggio sulla paura, del desiderio di avventura sull’amore…

E spesso se ne trova di più in un uomo di 60 anni che in un giovane di venti. Nessuno invecchia semplicemente perché gli anni passano.

Si invecchia quando si tradiscono i propri ideali.

Gli anni possono far venire le rughe alla pelle,

ma la rinuncia agli entusiasmi riempie di rughe l’anima.

Le preoccupazioni, la paura, la sfiducia in se stessi

fanno mancare il cuore e piombare lo spirito nella polvere.

A 60 anni o a 16, c’è sempre nel cuore di ogni essere umano il desiderio di essere meravigliati, l’immancabile infantile curiosità di sapere cosa succederà ancora, la gioia di partecipare al grande gioco della vita. Al centro del vostro cuore e del mio cuore c’è una stazione del telegrafo senza fili: finché riceverà messaggi di bellezza, speranza, gioia, coraggio e forza dagli uomini e dall’infinito, resterete giovani. Quando le antenne riceventi sono abbassate, e il vostro spirito è coperto dalla neve del cinismo e dal ghiaccio del pessimismo, allora siete vecchi, anche a vent’anni; ma finchè le vostre antenne saranno alzate, per captare le onde dell’ottimismo,c’è speranza

Samuel Ullman__Essere giovani

 

essere giovani

Una notte d’estate e la poesia di Antonio Machado.

Notte d’estate (Noche de Verano) di Antonio Machado è una poesia che mette in scena la solitudine e il vuoto del poeta proiettati sul paesaggio di un vecchio villaggio durante una notte estiva.

Notte d’estate
È una bella notte d’estate
Tengono le alte case
aperti i balconi
del vecchio paese sulla vasta piazza
Nell’ampio rettangolo deserto,
panchine di pietra, evonimi ed acacie
simmetrici disegnano
le nere ombre sulla bianca arena.
Allo zenit la luna, e sulla torre
la sfera dell’orologio illuminata.
Io in questo vecchio paese a passeggiare
solo come un fantasma.

Noche de verano, (testo originale)

Es una hermosa noche de verano.
Tienen las altas casas
abiertos los balcones
del viejo pueblo a la anchurosa plaza.
En el amplio rectángulo desierto,
bancos de piedra, evónimos y acacias
simétricos dibujan
sus negras sombras en la arena blanca.
En el cenit, la luna, y en la torre,
la esfera del reloj iluminada.
Yo en este viejo pueblo paseando
solo, como un fantasma.

Antonio Machado

Il caldo di una notte d’estate, i climatizzatori che non facevano ancora sentire il loro rumore notturno, i balconi delle case ai piani alti, per far entrare la frescura della notte.
Tutto questo creava comunità, appartenenza, identità collettiva .Questo paesaggio risveglia il senso di solitudine di chi lo vive , come Antonio Machado,espressione di un malessere esistenziale per una perdita recente , oppure ,chi lo ricorda può ritrovarvi luoghi antichi, sommessi momenti di piacevole solitudine in periodi giovanili, quando le notti semplici e silenziose facevano da sfondo a sogni e desideri. Chi non ha avuto momenti come questi, che ripensati ad anni di distanza non ci vedano ,come il fantasma di Machado, aggirarsi tra tutto quello che non c’è più ed è stato , per noi, tantissimo? E l’orologio della torre ci  fa scorrere ,proprio  davanti agli occhi, il film della vita che scorre e di quello che è stata la nostra esistenza.

borgo estivo

Nè ieri, nè domani …oggi forse..

Cominciano ad andare via tutti:le persone, i sogni,i fumi di tutte le battaglie.
Persino le ragioni e i torti ,che mi hanno infiammata,adesso si confondono
e si congedano. Nella mia nuova età  averla vinta è triste, ti fa sentire più sola. Ho sulle spalle più addii che anni.  E gli anni che ho vissuto insieme ad altri sono rimasti in mano a me soltanto. Mi capita di tirare fili,che mi ricadono addosso, non c’è più nessuno, dall’altra parte, a tener saldo quel che mi legava: a un’amica, a un ricordo, a un uomo conosciuto e perso.
Ho chiuso tante porte su un amore o l’altro. E ho chiuso gli occhi  di chi andava via, mentre temevo di avere le mani troppo fredde e mi chiedevo
che sono stata:  abbracciare la bambina,  la ragazza e me.  E dire a tutte:
cerca di star bene.  Ma è ancora presto  per vivere all’indietro.  Devo tirare dritto  e vedere cosa c’è poi-

 

stai bene