La festa del lavoro. 1 maggio

 Pensando che domani sarà il 1° maggio, la festa del lavoro, mi è venuto alla mente il grande quadro “Quarto Stato” , opera di  Giuseppe  Pelizza di Volpedo, grande non solo perché ha un grande valore politico ,ma perché le sue dimensioni sono davvero eccezionali.

Quarto Stato

Dal primo maggio al 30 giugno ‘Il Quarto Stato’, capolavoro di Giuseppe Pelizza da Volpedo, sarà in mostra nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio.
. Simbolica l’apertura della mostra nel giorno della festa dei lavoratori, dato che ai lavoratori è dedicato questo enorme dipinto alto due metri e 93 centimetri e lungo cinque metri e 45.   Proviene  dal Museo del Novecento di Milano, dove è esposto dall’inaugurazione del 2010.Perchè abbia pensato a quest’opera non è il mio amore per l’autore, che ammiro,  ma per lo stato d’animo che sto vivendo, e credo di non essere l’unica in questo periodo, un’ era della mia vita tra le più brutte. Infatti   il dipinto è la rappresentazione del disagio, dello sconforto che arriva alla disperazione.   Il popolo, non solo di braccianti, operai, è quel popolo di cui fanno parte  quei cittadini, fuori dalla casta del potere, ai quali dovremmo accodarci tutti coloro  che  sono stanchi di vedere annullati tutti i nostri diritti in nome di una sudditanza mascherata da democrazia, vogliosi di potere esprimere i propri pensieri, che, se dissenzienti dal main stream del potere e dei media, oggi ti condannano al ghetto fascista.

L’autore del dipinto nacque nella seconda metà dell’ottocento e morì  nei primi anni del novecento, dopo una lunga carriera da pittore, iniziata da giovanissimo e che perfezionò seguendo scuole di maestri come Fattori, Segantini, studiò con Signorini nel periodo dei macchiaioli per approdare al divisionismo insieme a Matteo  Olivero e altri pittori di quel periodo pittorico, che correva parallelo all’impressionismo francese e le sue derivazioni tecniche. Non ebbe molta fortuna tra il pubblico, la sua produzione si trova principalmente nei musei di arte moderna. “Quarto Stato” deve la sua fama e fortuna al  Partito Socialista, che, all’inizio del Novecento, iniziò ad usare il dipinto per propagandare il movimento dei lavoratori. Di seguito alcuni dipinti della sua produzione.

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divisionismo

 

 

Successo o felicità?

Ciascuno di noi deve chiedere a se stesso :che cosa voglio realmente? Davvero voglio essere il Numero Uno? Oppure voglio essere felice? Allora la parte più vera di noi ci risponderà.” Se vuoi il successo devi essere disposto a sacrificare per esso la tua felicità. Tu puoi diventare vittima del successo, ma mai sarai vittima della felicità .”

Thich Naht Hanh

 

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La fine dell’uomo in scena alla Biennale..

 

 

Finalmente l’umanità sta per cessare. Finalmente il Pianeta potrà sopravvivere senza il suo inquinatore e disturbatore, in via d’estinzione. Finisce l’uomo, sopraffatto dal Transumano, dal Fluid gender, dall’Animale, dalla Macchina e dall’Intelligenza artificiale. La liberazione arriva al suo ultimo stadio, la liberazione dall’umano. Ad annunciarlo, con malcelata soddisfazione, è la Biennale di Venezia,  in laguna; il suo ambasciatore è un Elefante che campeggia a dimensione naturale nel padiglione centrale, per dare la lieta novella agli umani (presumo che a visitare la mostra non verranno altri pachidermi o altre specie zoologiche ma solo umani). L’uomo non è più al centro del mondo. Certo, se così fosse, la Biennale dovrebbe essere affidata e allestita direttamente da un team di bestie; pure gli artisti dovrebbero essere animali, che so, ippopotami, scimmie, sciacalli, zanzare, polpi. Ma con stridente contraddizione e lampante masochismo, è ancora l’uomo ad annunciare e inscenare la fine dell’uomo  .Da tempo, la Biennale è il barometro del tempo che fa, il tempo occidentale e global, ovviamente ripassato nella padella del mainstream e del politically correct. La Biennale è il catalogo dei nuovi pregiudizi, obblighi e tendenze dell’epoca ed è l’apoteosi di un nuovo determinismo; la strada è quella, senza alternative, si va in quella direzione. La Biennale raffigura, e spesso sfigura, l’ideologia del presente e annuncia il futuro secondo i canoni vigenti. È perfetta la progressione tematica di questa mostra: sparisce l’umano tra l’animale e l’artificiale; sparisce l’antropocentrismo per lasciare il posto all’ecocentrismo, il protagonismo assoluto del pianeta, dell’ambiente e dell’animalismo; sparisce la differenza tra il maschile e il femminile, sopraffatti dal transgenico, l’androgino e il femminismo militante; sparisce il corpo umano tra metamorfosi e cyborg; sparisce la nostra civiltà per far posto al terzo mondo, nella versione sradicata e apolide; sparisce la storia per far posto ai discendenti delle “vittime” del colonialismo. Si crea così una nuova piramide o gerarchia, come la Fiera dell’est di Angelo Branduardi. L’artificiale vince sul naturale, l’animale vince sull’umano, il nero vince sul bianco, l’Africa vince sull’Europa, il primordiale vince sul civile, il trans vince sui due sessi, il femminile vince sul maschile. Evviva, siamo finalmente annientati. Che sollievo.

Morte dell’arte, verrebbe da dire, ma qui a morire con l’arte è pure il mondo che abbiamo finora conosciuto e frequentato; finisce il nostro statuto di uomini, la nostra differenza sessuale, la nostra identità civile e culturale. Vince l’estraneo, muore il nostrano. Nell’esposizione, l’arte muta in spettacolo: si inscena la trovata, non il “manufatto”, un po’ come succedeva nei circhi coi fenomeni da baraccone (la donna cannone, il nano volante, il trasformista, il mangiafuoco). Tutto è allestimento, performance, installazione; non opera d’arte. Gli artisti prescelti per raccontare questa gioiosa catastrofe dell’umanità sono naturalmente donne, nere, africane, meglio se espatriate, ancor meglio se appartenenti a quelle minoranze protette che ormai ben conosciamo. Per completare l’opera del conformismo finto trasgressivo, c’è l’atto eroico d’impegno civile: è stata cacciata la Russia dal suo padiglione nella Biennale, come se gli artisti russi abbiano responsabilità nella guerra, adottando così una discriminazione di tipo etnico-nazionale; al suo posto troneggia l’Ucraina, che nella città del Luogo Comune ha una piazza centrale tutta sua, con un cumulo di sacchi come set.

Ma cos’è l’arte, cosa resta dell’arte secondo la Biennale? E’ una domanda che ci facciamo non da oggi, anche a proposito della stessa Biennale, di cui la miglior critica sul campo resta quella di Alberto Sordi e Signora in un film del ’78 dedicato alle Vacanze Intelligenti. In modo grossolano ma divertente, la coppia di fruttaroli romani in visita alla Biennale ne rivela il punto debole più elementare: non distinguere ciò che è arte da ciò che non è, al punto che i visitatori scambiano la pingue moglie seduta per un’installazione di pop art. D’altronde le stesse “opere” esposte possono essere scambiate per oggetti comuni, scarabocchi puerili, scene per il teatro. Tanto è vero che un manifestante antirusso, semi nudo con saluti nazista, è stato scambiato ieri per un’opera esposta. Al di là dell’impressionismo naive del film, assai efficace non solo dal punto di vista della comicità, qual è il punto centrale dell’arte contemporanea, espresso dalla Biennale? È la sostituzione dell’opera d’arte con l’intenzione dell’autore; non conta la capacità di arrivare alle anime tramite gli occhi, non conta l’opera e la maestria dell’artista ma le intenzioni del soggetto che l’ha prodotta (cosa ha voluto dire e denunciare l’autore). Non il valore oggettivo dell’opera ma il proposito soggettivo dell’autore, che ho difficoltà a definire artista. Conta il messaggio, meglio se in forma di denuncia e adesione militante, non la bellezza dell’opera. Un lascito del vecchio impegno ideologico. È caduto il confine tra arte e non arte, ha ragione Peter Burger. Frutto della convinzione, veicolata nel ’68, che la creatività sia universale: tutti sono artisti, non ci sono più confini tra bello e brutto, tra valore e disvalore, tra genio e banalità. Il narcisismo e la psicanalisi stuprano la realtà; l’arte perde la sua aura, il mito e la bellezza. Restano la vanità e l’inconscio dell’autore e il prevedibile sconcerto prodotto dalla sua perfomance. L’arte perde il suo linguaggio e la sua motivazione; si confonde con la società, con la non arte, con la pubblicità. A proposito, l’arte sovverte il mondo, ma poi si piega ai voleri degli sponsor. E questo la dice lunga sulla finta trasgressione e sul vero conformismo dell’arte odierna, sottomessa al mercato, all’industria e alle ditte che la sostengono, anche a Venezia. L’umanità sparisce ma ora dobbiamo andare in pubblicità; restate con noi.

 

 M V

Lei era così…

 
Era una donna semplice, di quelle che sognano dietro ai libri e alle poesie, e se la vita è carogna non importa, una ragione buona per sorridere la trovi comunque.
Era un tipo così.
Ed era carina, questo bisogna dirlo.
Non del genere vistoso, quelle che ti giri a guardarle.
Più semplice.
Ma aveva qualcosa che ti accalappiava, niente da dire, ce l’aveva.
Come una specie di limpidezza, di trasparenza.
Era quel tipo di donna che quando ce l’hai tra le braccia, sai che lei è lì, proprio tra le tue braccia e da nessuna altra parte.
Non so se avete presente.
Ma è una cosa rara.
E bellissima, nel suo genere.
Alessandro Baricco.    Da Barnum.
 

Marx è andato a vivere a New York

La Verità ha riproposto uno stralcio dal libro-antologia di Karl Marx Contro la Russia, che le edizioni de Il Borghese pubblicarono per primi negli anni settanta. Ma c’è un’integrazione essenziale, e attualissima, da fare: in queste pagine emerge il Marx filo-americano, persuaso che il suo pensiero radicale potesse meglio attecchire in una società nuova, moderna, priva di storia, radici e tradizione come gli Stati Uniti. Non a caso questi scritti furono pubblicati tra il 1858 e il 1861, sul New York Tribune, poi raccolti dalla figlia Eleanor con il titolo The eastern question; articoli antirussi, filoamericani, occidentalisti, che auspicavano l’avvento del mercato libero globale e del pensiero radicale. Per la rivoluzione comunista Marx non pensava alla Russia zarista ma all’America descritta da Tocqueville, che era poi l’espansione “giovanile“ dell’Inghilterra, da Marx non a caso eletta a sua residenza, rispetto alla natia Treviri, in Germania.

Marx è il filosofo che più ha inciso nella storia del ‘900 attraverso la tragedia mondiale del Comunismo. Poi tramontò nel fallimento del comunismo, precipitò con l’impero sovietico, sopravvisse ibrido nella Cina mao-capitalista. Ma fu davvero archiviato?

Il marxismo separato dal comunismo è lo spirito dominante dell’Occidente. Scrive Marx nel Manifesto: “Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra e gli uomini sono finalmente costretti a osservare con occhio disincantato la propria posizione e i reciproci rapporti”. E’ la prefigurazione della nostra epoca volatile e mondialista. Il marxismo fu il più potente anatema scagliato contro Dio e il sacro, la patria e il radicamento, la famiglia e i legami con la tradizione, la natura e i suoi limiti. Fu una deviazione la sua realizzazione in paesi premoderni come la Russia e la Cina, la Cambogia o Cuba. Il marxismo non si è realizzato nei paesi che hanno subito il comunismo, dove invece ha fallito e ha resistito attraverso l’imposizione poliziesca e totalitaria; si è invece realizzato nel suo spirito laddove nacque e a cui si rivolse, nell’Occidente del capitalismo avanzato. Non scardinò il sistema capitalistico ma fu l’assistente sociale e culturale nel passaggio dalla vecchia società cristiano-borghese al neocapitalismo nichilista e globale, dal vecchio liberalismo al nuovo spirito radical. Marx definisce il comunismo: “è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. E’ lo spirito radical del nostro tempo, cancel e correct.

Nell’Ideologia tedesca, Marx dichiara che il fine supremo del comunismo “è la liberazione di ogni singolo individuo” dai limiti e dai legami locali e nazionali, famigliari, religiosi, economici. Non le comunità ma gli individui. Il giovane Marx onora un solo santo e martire nel suo calendario: Prometeo, liberatore dell’umanità. Padre dell’Occidente faustiano e irreligioso, proteso verso la volontà di potenza.

Il giovane Marx auspica nei Manoscritti economico-filosofici l’avvento dell’ateismo pratico. E nella Critica della filosofia del diritto di Hegel scrive: “La religione è il sospiro della creatura oppressa…essa è l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire poterne esigere la felicità reale”. Liberandoci da Dio e dalla religione per Marx ci liberemo dall’alienazione e conquisteremo la felicità terrena. La società di oggi, atea ma depressa, irreligiosa ma alienata, smentisce la promessa marxiana di liberazione. L’utopia di una società “libertina”, dove ciascuno svolge la sua attività quando “ne ha voglia”, che abolisce ogni fedeltà e introduce “una comunanza delle donne ufficiale e franca”, fa di Marx un precursore della società permissiva. Il principio ugualitario perde la sua carica profetica e si realizza in negativo come uniformità e negazione dei meriti, delle capacità e delle differenze.

La società capitalistica globale ha realizzato le principali promesse del marxismo, seppur distorcendole: nella globalizzazione ha realizzato l’internazionalismo contro le patrie; nell’uniformità e nell’omologazione standard genera uguaglianza e livellamento universale; nel dominio globale del mercato ha riconosciuto il primato mondiale dell’economia sostenuto da Marx; nell’ateismo pratico e nell’irreligione ha realizzato l’ateismo pratico marxiano e la sua critica alla religione; nel primato dei rapporti materiali, pratici e utilitaristici rispetto ai valori spirituali, morali e tradizionali ha inverato il materialismo marxiano; nella liberazione da ogni legame naturale e da ogni ordine tradizionale ha realizzato l’individualismo libertino di Marx, liberato dai vincoli famigliari e nuziali. E come Marx voleva, ha realizzato il primato dell’azione sul pensiero. Lo spirito del marxismo si realizza in Occidente, facendosi ideologicamente radical, economicamente liberal, geneticamente modificabile.

L’ultima frontiera del marxismo si ritrova nelle porte aperte agli immigrati, dove un nuovo proletariato, sradicato dai paesi d’origine, sostituisce le popolazioni d’occidente, a sua volta sradicate. La lotta di classe cede alla lotta antisessista, antinazionalista e antirazzista. La difesa egualitaria dei proletari cede alla tutela prioritaria delle minoranze dei “diversi”.

Il marxismo vive sotto falso nome ma si muove a suo agio nella società global made in Usa; un marxismo al ketch-up, transgenico. Marx con passaporto americano sembra strizzare l’occhio ai dem di Biden. Noi ci attardiamo da anni a celebrare il suo funerale; ma è un caso di morte apparente.

MV

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Giornata mondiale della terra 2022…

La storia della Giornata della Terra

La manifestazione nasce nel 1970 per sensibilizzare il mondo all’importanza della conservazione delle risorse naturali della terra e la salvaguardia dell’ambiente. Fu istituita negli Stati Uniti grazie al senatore Gaylord Nelson, un anno dopo l’intervento di John McConnell alla Conferenza dell’UNESCO a San Francisco. McConnell, un attivista per la pace che si era interessato anche all’ecologia propose una giornata per celebrare la vita e la bellezza della terra e per promuovere la pace. Ad oggi le nazioni coinvolte per la celebrazione di questa giornata sono più di centocinquanta.

Una celebrazione sentita in tutto il mondo
Nel corso degli anni la partecipazione internazionale all’Earth Day è cresciuta superando oltre il miliardo di persone in”tutto il mondo: è l’affermazione della “Green Generation”, che guarda ad un futuro libero dall’energia da combustibili fossili, in favore di fonti rinnovabili, alla responsabilizzazione individuale verso un consumo sostenibile, allo sviluppo di una green economy e a un sistema educativo ispirato alle tematiche ambientali.

È inutile per l’uomo conquistare la Luna, se poi finisce per perdere la Terra.
(François Mauriac)

Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita.
(Attribuita ad Albert Einstein)

Mi chiedo se c’è un modo per descrivere adeguatamente la follia che ci fa sprecare i grandi doni sia della Terra che del Cielo.
(James Lee Burke)

Solo quando l’ultimo albero sarà abbattuto e l’ultimo fiume avvelenato e l’ultimo pesce pescato ci renderemo conto che non possiamo mangiare il denaro.
(Proverbio indiano)

Il mondo: una foglia appesa all’albero dell’universo.
(Fabrizio Caramagna)

L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile.
Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando.
(Hubert Reeves)

Credo che la terra appartenga a una vasta famiglia di persone. Molte sono morte, alcune sono in vita, e innumerevoli non sono ancora nate.
(Anonimo)

Non dimenticate che la terra si diletta a sentire i vostri piedi nudi e i venti desiderano intensamente giocare con i vostri capelli.
(Kahlil Gibran)

Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.
(Andy Warhol)

Siamo tutti farfalle. La Terra è la nostra crisalide.
(LeeAnn Taylor)

Gli alberi rimangono intatti se tu te ne vai. Ma tu no, qualora se ne vadano loro.
(Markku Envall)

Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli.
(Proverbio del popolo navajo)

La Terra fornisce abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di ogni uomo, ma non l’avidità di ogni uomo.
(Gandhi)

La terra ha oltre un milione di anni di età. Rispetta gli anziani.
(Deanna Anderson)

La volpe a custodia del pollaio, l’uomo del paradiso, l’industria dell’ambiente.
(Markku Envall)

Le primavere e i paesaggi hanno un grave difetto: sono gratuiti. L’amore per la natura non fornisce lavoro a nessuna fabbrica.
(Aldous Huxley)

Vivere è bene. Saper vivere è meglio. Sopravvivere sarà senza dubbio il problema degli uomini di “domani”.
(Roger Molinier)

Il silenzio muore, il rumore prende dappertutto il potere. E’ la sola calamità ecologica sulla terra di cui nessuno parla.
(Alain Finkielkraut)

La Terra non rimpiangerà l’uomo, né l’Uomo la terra. Una coppia troppo litigiosa, che con le sue urla disturbava gli astri vicini.
(Guido Ceronetti)

Alberi massacrati. Sorgono case. Facce, facce dappertutto. L’uomo si estende. L’uomo è il cancro della terra.
(Emil Cioran)

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La pazienza di vivere…

L’essere umano è una cosa forte e profonda, che richiede molta pazienza.

Immanuel Kant

Kant ha ragione un milione di volte. Se siamo sinceri  infatti, quante volte, incalcolabili volte siamo costretti a mettere alla prova la nostra pazienza nel corso della vita, iniziando dalla nascita, quando ci ritroviamo in un mondo, dove nessuno di noi ha chiesto di entrare. La prima volta in cui accettiamo con pazienza una cosa è proprio questa. E poi la crescita che ci costringe nostro malgrado, ma non del tutto inconsapevoli ad essere causa di stanchezza fisica ed emotiva di chi ci dedica le sue  cure ,e accettiamo gli inevitabili  battibecchi dei nostri genitori con pazienza. Kant aveva compreso che la vita ha bisogno della pazienza più dell’aria stessa. E ci vuole pazienza ad accettare, fin da piccoli, che la vita sia ingiusta, che oltre a farci nascere lo abbia fatto così a caso, qualcuno in un mondo dorato,  qualcuno in un mondo decente,  qualcuno nelle fogne. E ci vuole pazienza ad accettarci ,poichè questo mondo, fatto sempre più di distinguo, prima o poi ci mette davanti uno specchio, nel cui riflesso vediamo tutto quello che di noi non ci piace, che vorremmo cambiare . E ci vuole pazienza ad accettare che forse avremmo anche le capacità per farlo, ma il mondo in cui siamo nati ci tiene dentro al suo ghetto, per uscire dal quale non bastano volontà , bravura, perseveranza, doti eccellentissime  ,ma che non possono competere con la corruzione, il dominio di alcuni sugli altri, il denaro e soprattutto il disprezzo verso chi non sta in quel mondo. E ci vuole pazienza ad accettare un mondo senza valori veri ai quali legarsi quando la Religione predica bene e razzola male, quando la Politica, le Istituzioni sono la quinta essenza di tutta la falsità ricoperta da belle facce, da bei nomi, e soprattutto da parole riconducibili al nulla per quanto riguarda i benefici per i cittadini, che rappresentano e dovrebbero proteggere. E ci vuole pazienza ad accettare il calvario delle malattie, della disabilità, della diversità in un mondo che predica uguaglianza e accettazione, e continua a proporre modelli di bellezza e vita irraggiungibili. Ci vuole pazienza ad accettare che forse non esiste più nemmeno l’amore, l’unico sentimento che quando è vero, non fa distinzione, non guarda il denaro, nascita, ma segue soltanto se stesso ,l’amore per l’amore, gratuito, l’incontro di due cuori e due anime, che forse si erano già scelte prima di incontrarsi in questo mondo dove prevalgono solo l’egoismo, l’odio e la voglia di sopraffarsi gli uni e gli altri. Ci vuole la pazienza della fede ,l’unica che da molto tempo è diventata la devozione a Dio durante la mia giornata : “Signore Dio, sia fatta la tua volontà ora e sempre.” Nulla dipende da noi…

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La Pasquetta, che non c’è più…

Il bello della Pasqua era che a differenza delle altre domeniche non annunciava la mestizia leopardiana del lunedì (“diman tristezza e noia recheran l’ore”). Perché alla domenica di Pasqua seguiva il Lunedì dell’Angelo. La Santa Pasqua si faceva puttanella con la Pasquetta. La vezzosa e ovipara Pasquetta, in campagna o al mare, tra i cibi avanzati della Pasqua, più i tegami e le tielle da asporto, e il mitico cucuo (focaccia); la Pasquetta civettuola, tra camicette gonfie, corpi scoperti e prime voluttà che annunciavano l’estate. Il sole che torna sulla pelle, il contatto con la terra, per i più arditi il primo bagno a mare, tra grida disumane ed eccitazione goliardico-vascolare. Alla Pasquetta c’era una regressione infantile: si giocava al pallone, alla bandiera, a mago o libero, a tezzuare le uova e sopra tutto al ciuccio: c’erano due squadre contrapposte, una formava un serpentone di corpi intrecciati e piegati, in posa da rugby, come un lungo animale e l’altra squadra doveva montarvi sopra con la massima irruenza per far scoffolare (crollare) il ciuccio. Di solito i bestioni più obesi saltavano per ultimi, per dare al ciuccio il colpo di grazia. Se il ciuccio reggeva, vinceva la partita. Viceversa, se gli avversari toccavano terra o smontavano dal ciuccio prima che si sgriduasse (decomponesse), perdevano loro. A volte durava un tempo infinito prima che il ciuccio schinicchiasse (scricchiolasse). Una guerra di resistenza punteggiata da minacciose frasi: “Pes u’ chiumme?” (Pesa il piombo?). Risate e imprecazioni quando nel salto si squartavano i pantaloni o quando si cadeva uno sull’altro. Si andava in visibilio in caso di rumorose flatulenze digestive che tramortivano il ciuccio. La sera i più fortunati s’imboscavano con la minenna (la ragazza), gli altri si sfogavano intorno a una chitarra. E si tornava a casa svociati e contenti, ubriacati d’aria. Sazi di vita, di luce, di focacce e taralli.

Da Ritorno a sud (M V)

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Don Chisciotte…

 

Chi meglio di Nazim Hikmet poteva farsi difensore con ammirazione di Don Chisciotte? Per molti anni della sua vita combattè contro la disperazione, la lontananza, la paura di non rivedere mai più il suo grande amore. Anni e anni di sofferenze, di prigionie, di lotte hanno rinvigorito il suo sentimento al punto di vedere lei dovunque, lei e il Bosforo in ogni tramonto, lei nel profumo di un fiore , lei in una fetta di pane e in sorso di vino rosso come le labbra di quella donna fino al giorno in cui potè finalmente ribaciarle in un tempo ritrovato,anche se breve.
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Don Chisciotte

Il cavaliere dell’eterna gioventù
seguì, verso la cinquantina,
la legge che batteva nel suo cuore.
Partì un bel mattino di luglio
per conquistare, il bello, il vero, il giusto.
Davanti a lui c’era il mondo
con i suoi giganti assurdi e abbietti
sotto di lui Ronzinante
triste ed eroico.

Lo so quando si è presi da questa passione
e il cuore ha un peso rispettabile
non c’è niente da fare, Don Chisciotte,
niente da fare
è necessario battersi
contro i mulini a vento.

Hai ragione tu, Dulcinea
è la donna più bella del mondo
certo
bisognava gridarlo in faccia
ai bottegai
certo
dovevano buttartisi addosso
e coprirti di botte
ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati
tu continuerai a vivere come una fiamma
nel tuo pesante guscio di ferro
e Dulcinea
sarà ogni giorno più bella.

da Poesie d’amore- Nazim Hikmet

don chisciotte