Cercami…

Cercami

Nei giorni di solitudine cercami
tra le cose che si possono dare per amore.
Nel volo primaverile degli uccelli,
nelle nubi e nel tramonto
mentre si fonde con il sole.
Nei falò estivi, tremolanti,
quando li inghiotte il buio del cielo.
Nella furia dei venti,
intrecciati tra loro
e nei rami degli alberi,
mani che abbracciano.
In tutto mi trovi.
Quando t’immergi nell’acqua,
cercami nell’onda
e m’insinuerò tra le tue gambe.
La conchiglia attaccata allo scoglio
e non lo lascia più sono io.
Cercami nel fruscio delle erbe
che il vento piega
e gli si abbandonano estatiche,
mi trovi nelle radici
che invadono il cuore della terra.
In tutte le cose
che si possono dare per amore
e per amore prendono, cercami.
Dovunque sono io, è il mio amore.

Mila Kačič

cercami

Ho debolezze eleganti, e cicatrici charmantes.

 Sono una donna felice, come lo dovrebbe essere qualunque donna al riverbero di questa età luminosa. Ho debolezze eleganti, e cicatrici charmantes. Non ho più illusioni sulla nobiltà delle persone, e per questo so apprezzare la loro inestimabile arte di convivere con le proprie imperfezioni. Sono clemente, alla fine, con me stessa e con gli altri. Così sono pronta ad invecchiare, ripromettendomi di farlo
negli eccessi e nelle sciocchezze. Se l’età adulta ti ha dato quello che volevi, l a vecchiaia dev’essere una sorta di seconda infanzia in cui torni a giocare, e non c’è più nessuno che ti può dire di smettere.

Alessandro Baricco

cicatrici

Ogni qual volta si legge qualcosa si è propensi a cercare nell’autore quel pensiero, che spesso ci rappresenta, che siamo pronti a fare nostro, a me succede, so che capita a molti. Rileggendo questo testo di Baricco, autore cha amo molto tra i contemporanei, mi ritrovo nella donna che descrive, che sono stata, che cogli anni ha mantenuto i suoi pregi, ha peggiorato i suoi difetti, nonostante si dica che il tempo ci renda più saggi e forse anche profetici. E qui mi fermo perchè la vecchiaia non è affatto un ritorno all’infanzia, come pensava Baricco quando scrisse. La vecchiaia, purtroppo, è il peggiore dei mali che possa capitare all’uomo. E se si ritorna all’infanzia lo è soltanto quando si perde l’autosufficienza per tornare a dipendere da altri, che non sono mamma e papà, a volte nemmeno i figli, che si prendono cura di te per denaro. Si sa come si nasce, ma non come si morirà. Quando si è anziani non si torna a giocare spensieratamente, e la gioia di quel periodo felice, che tutti vorremmo volasse, tanto si desidera la vita da grandi, a volte è scomparsa anche dai ricordi. Carpe diem, ossia vivi il giorno, l’attimo, non rinunciare a nulla, e soprattutto non organizzarti il futuro, perchè quando arriva la vecchiaia, tutto quello che avevi immaginato non c’è. Il destino, che nessuno di noi conosce scompiglia tutti i sogni, i progetti, i desideri, che avevi coltivato nell’età matura. Non sei tornato bambino, ma sei una barchetta di carta, che va sulle onde burrascose del tempo, sbattuta dal vento finchè l’aria tiepida che ti asciuga non cambierà direzione.

La voce del padrone e il popolo dei No Vox..

 

 

La Cupola e gli spalti. Al centro, incombente, oppressiva, uniforme, la Cupola esprime in video, in audio, sui giornali, la Voce del Padrone; il tema a senso unico sia esso la pandemia, la guerra, il voto francese; ai bordi in basso, gli spalti non aderiscono alla “narrazione” unilaterale e ideologica imposta dalla Cupola ed esprimono altre opinioni, cercano fonti alternative d’informazione e di orientamento, sentono di essere pressati sotto una vera e propria Macchina del Consenso. Sono outsider, provengono da mondi e culture politiche diversi, a volte sono studiosi, inviati, intellettuali che hanno un polso diverso della situazione; più spesso è gente comune, che però non vuole rinunciare all’uso dell’intelligenza e del pensiero libero, al senso critico. Oltre loro c’è inevitabilmente chi estremizza, chi sposa un manicheismo rovesciato rispetto a quello somministrato dalla Cupola, ha posizioni infantili e complottiste, deduce controstorie da piccoli indizi, voci non confermate. Ma gli uni e gli altri vengono assemblati dalla Ditta in una sola risma, la gente si fa gentaglia, se non marmaglia. E coloro che articolano un ragionamento con argomenti seri e pacati, coloro che si limitano anche a esprimere dubbi ragionevoli, a non accontentarsi delle versioni ufficiali e degli uffici propaganda all’opera nella guerra, nel voto come ieri nella pandemia, vengono stoccati in due categorie da macero: quelli di destra, di cui non conviene neanche parlare, se non quando entrano nella cronaca giudiziaria, sono ritenuti civilmente morti, e da prima; e quelli di sinistra, che avendo assunto posizioni difformi rispetto al Mainstream, all’Establishment, insomma alla Cupola, vengono trattati come casi clinici con improvvisi problemi mentali, menti soggette a processi degenerativi. Come un tempo si mandavano i dissidenti in manicomio, così oggi non potendo accettare che un intellettuale di sinistra possa esprimere argomentazioni difformi dalla Cupola, lo si attacca e deride come uno che sta vaneggiando, ha perso la bussola, o al più è uno stravagante. È ridicolo leggere editoriali, rubriche o sentire commenti della Ditta (i suddetti menano in gruppo, pensano in clan): sono sempre denunce contro ignoti; se la prendono coi “negazionisti”, così definiti ieri in tempo di virus come oggi in tempo di guerra, ma non si riesce a capire a chi si riferiscano. Usiamo omeopaticamente lo stesso metodo con loro, non citando nessun clone; ma basta sfogliare il Giornale Unico per vederli bene in vista, tutti allineati e coperti, con l’elmetto e il dito armato (digitali da guerra). Diventa oro colato per loro anche l’alternativa infelice di Draghi tra la pace e l’aria condizionata: ma i draghi sono pecilotermi, come tutti i rettili, non hanno problemi termici (immagino Draghi in tv con la maglietta di Zelensky, per mostrarsi solidale e termo-autarchico).

Nella Cupola mezzo popolo si rifugia come sotto un guscio protettivo. Mezzo popolo invece no, avverte il soffocamento. O per dir meglio, la popolazione si divide in più fasce: i convinti ripetitori di tutto quel che somministra la Gazzetta Ufficiale della Cappa; i perplessi, che però per prudenza e quieto vivere ne accettano i verdetti e vi si attengono; gli struzzi, che mettono la testa sotto terra per non vedere, per non pronunciarsi e per non prender parte. Poi, dicevamo, ci sono gli altri,i più, quelli che non si accontentano di quel che passa il regime.

Come definire questi ultimi? I No Vox, nel senso che non hanno voce in capitolo, o ce l’hanno flebile, fuori dal recinto, in luoghi periferici e remoti, oppure la pensano in questo modo ma sanno che è meglio non dirlo pubblicamente, e dunque adottano una formula a metà tra l’omertà e il mutismo volontario a scopo di sopravvivenza.

La questione non riguarda solo i temi della guerra, il voto o la pandemia, e non riguarda solo gli italiani che pure restano la punta più avanzata del servilismo. Ma si allargano a gran parte dell’Europa, e buona parte d’Occidente, almeno nell’emisfero nord. Poi c’è il resto del mondo, che è quasi il novanta per cento ma agli occhi bolliti dell’Occidente è una “trascurabile maggioranza”, direbbe ironicamente Ennio Flaiano. La sensazione generale è di vivere in un mondo prefabbricato che nega la realtà del mondo, le sue varietà, le sue verità, evidenti e nascoste.

Aldo Giorgio Salvatori lo chiama il “ControMondo” in un libro da poco uscito da Solfanelli (Naufragio nel Contromondo, pp.196, 13 euro). Salvatori colleziona e commenta notizie, articoli dei giornali, perfino cartelloni stradali per mostrare le tante applicazioni ed effetti di questo sistema globale che ben riassume nella sigla PUG, acronimo di Pensiero Unico Globale: dai migranti agli sfruttati, dai grandi cancellati perché non conformi ai temi dell’omofobia e del gender fluid; dall’ideologia del clima alle mutazioni genetiche in corso, dal potere nero al potere degli eurocrati, dai fumetti agli spot, dall’animalismo al veganesimo fino all’antispecismo umano, solo per citarne alcuni. Brevi capitoli che danno uno spaccato del tempo in cui viviamo, rispetto a cui Salvatori esprime tutto il disagio di chi si sente un naufrago, uno straniero rispetto al suo mondo e al suo tempo. E’ una percezione che sento di condividere, e che ho espresso anch’io altrove.

Ma torno nel frangente dei nostri giorni e osservo che ogni mutazione, ogni costrizione, ogni assuefazione nasce dall’annuncio di un’emergenza, rispetto a cui non è più tempo di dividersi, di discutere, di avere divergenze: sia esso il covid o la guerra, i crimini contro l’umanità o il razzismo tornante, la violenza dei social, la minaccia sovranista e il rigurgito negazionista. Da una parte la Voce del Padrone, dall’altra i No Vox, coloro che hanno scarsa voce, tacciono o sono messi a tacere. Una guerra globale tra Mondo reale e Contromondo.

MV,

Ho contato i miei anni…

 

“Ho contato i miei anni
ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere
da qui in avanti
di quanto non ne abbia già vissuto.
Mi sento come quel bambino
che ha vinto una confezione di caramelle
e le prime le ha mangiate velocemente,
ma quando si è accorto che ne rimanevano poche
ha iniziato ad assaporarle con calma.
Ormai non ho tempo per riunioni interminabili,
dove si discute di statuti, norme,
procedure e regole interne,
sapendo che non si combinerà niente…
Ormai non ho tempo
per sopportare persone assurde
che nonostante la loro età anagrafica,
non sono cresciute.
Ormai non ho tempo
per trattare con la mediocrità.
Non voglio esserci in riunioni
dove sfilano persone gonfie di ego.
Non tollero i manipolatori e gli opportunisti.
Mi danno fastidio gli invidiosi,
che cercano di screditare quelli più capaci,
per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.
Odio, se mi capita di assistere,
i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso.
Le persone non discutono di contenuti,
a malapena dei titoli.
Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli.
Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta…
Senza troppe caramelle nella confezione…
Voglio vivere accanto a della gente umana,
molto umana.
Che sappia sorridere dei propri errori.
Che non si gonfi di vittorie.
Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo.
Che non sfugga alle proprie responsabilità.
Che difenda la dignità umana
e che desideri soltanto essere
dalla parte della verità e l’onestà.
L’essenziale è ciò che fa sì che la vita
valga la pena di essere vissuta.
Voglio circondarmi di gente
che sappia arrivare al cuore delle persone…
Gente alla quale i duri colpi della vita,
hanno insegnato a crescere
con sottili tocchi nell’anima.
Sì… ho fretta… di vivere con intensità,
che solo la maturità mi può dare.
Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella
di quelle che mi rimangono…
Sono sicuro che saranno più squisite
di quelle che ho mangiato finora.
Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto
e in pace con i miei cari e con la mia coscienza.
Spero che anche il tuo lo sia,
perché in un modo o nell’altro ci arriverai…

Mario Andrade

 

1 anziana

 

Punto…e a capo.

Mi domando se veramente tutto questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in giorno sempre più si complica e s’accelera, non abbia ridotto l’umanità in tale stato di follia, che presto proromperà frenetica a sconvolgere e a distruggere tutto. Sarebbe forse, in fin de’ conti, tanto di guadagnato. Non per altro, badiamo: per fare una volta tanto punto e daccapo.

 Luigi Pirandello
 Uno dei più veri pensieri di  Pirandello, mai timoroso nel raccontare la realtà in tutto il verismo che essa contiene, qui si trattiene del tutto dall’inserire anche solo un concetto, nei quali era maestro, di umorismo, inteso come sentimento, che  sempre ha una spiegazione.
punto e a capo

 

Il dolore non è affatto…

Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio.Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria.
È impalpabile, sfugge a ogni presa e a ogni lotta; vive nel tempo, è la stessa cosa che il tempo; se ha dei sussulti e degli urli, li ha soltanto per lasciar meglio indifeso chi soffre, negli istanti che seguiranno, nei lunghi istanti in cui si riassapora lo strazio passato e si aspetta il successivo.
Questi sussulti non sono il dolore propriamente detto, sono istanti di vitalità inventati dai nervi per far sentire la durata del dolore vero, la durata tediosa, esasperante, infinita del tempo-dolore.
Chi soffre è sempre in stato d’attesa — attesa del sussulto e attesa del nuovo sussulto.
Viene il momento che si grida senza necessità, pur di rompere la corrente del tempo, pur di sentire che accade qualcosa, che la durata eterna del dolore bestiale si è un istante interrotta- sia pure per intensificarsi.
Qualche volta viene il sospetto che la morte – l’inferno – consisterà ancora del fluire di un dolore senza sussulti, senza voce, senza istanti, tutto tempo e tutto eternità, incessante come il fluire del sangue in un corpo che non morirà più.

dolore

WP: la Nato impone a Zelensky di proseguire la guerra fino alla vittoria.

 

La Nato commissaria Zelensky, che non potrà fare accordi con Putin per porre fine alla guerra. Questo, in sintesi, il contenuto di un articolo del Washington Post che ovviamente non spara sic et simpliciter questa notizia bomba, diluendola in un argomentata nota che spiega come la Nato riconosce la piena indipendenza di Zelensky, che quindi è libero di negoziare con il nemico per porre fine alla guerra, ma ammonisce che non potrà fare concessioni territoriali né dare a Putin qualcosa che abbia “una parvenza di vittoria”.

Insomma, l’Ucraina è di fatto costretta dalla Nato a vincere questa guerra e ad addivenire a un accordo col nemico solo se tale intesa ne sancirà la sconfitta. Così sintetizza l’articolo: “Gli ucraini, di conseguenza, sono coinvolti in una lotta più ampia a nome dell’Europa, affermano i leader della NATO”…

Tale la follia, che di fatto rende questa guerra una guerra per procura della Nato contro la Russia, nella quale l’Ucraina e i suoi cittadini non sono considerati altro che uno strumento per tale contesa, nulla importando la macelleria delle vite ucraine che saranno immolate sull’altare di questa guerra santa contro l’asserito macellaio di Mosca…

Ovviamente, Putin non potrà mai accettare un accordo che in qualche modo non compensi le perdite subite a seguito dell’invasione dell’Ucraina, sia in termini economici che di vite dei cittadini russi. Ne sarebbe travolto e con lui la Russia, dal momento che una Nato vittoriosa avrebbe come ulteriore missione quella di evitare il ripetersi di questa criticità, che in termini brutali vuol dire smantellare sic et simpliciter la Russia.

A queste condizioni la pace o un qualsiasi accordo che ponga termine al conflitto diventa un miraggio lontano, se non impossibile, vanificato da quella che ormai è diventata una lotta esistenziale tra Oriente e Occidente, con tutto il corollario che i conflitti esistenziali comportano, anzitutto la demonizzazione del nemico, non più avversario geopolitico ma simbolo del Male (basta, a tal fine, amplificare o costruire narrative usando gli usuali orrori delle guerre).

A questo serve anche la campagna iniziata con il vero o asserito massacro di Bucha, che è solo l’incipit di una narrativa che andrà declinandosi in modalità sempre più orrorifiche, dal momento che per colpire l’opinione pubblica occorre il crescendo, altrimenti si rischia che essa si abitui e non partecipi più emotivamente alla guerra e non ne condivida le “ragioni”.

Su Bucha,si può registrare un altro dato. Di ieri le immagini satellitari che confermerebbero quelle registrate dopo il ritiro russo.

Le riportava il New York Times che pubblicava dei filmati satellitari che mostrerebbero i corpi delle vittime delle rappresaglie russe disseminati per strada nelle stesse posizioni in cui sono stati rinvenuti dagli ucraini dopo il ritiro dell’invasore.

La documentazione del Nyt smonterebbe la difesa dei russi, i quali avevano dichiarato che le uccisioni dei civili, o la messinscena del massacro (o ambedue in combinato disposto), si erano consumate dopo il loro ritiro da Bucha (il report del Nyt lascia inevasa l’altra argomentazione difensiva dei russi, cioè la discrasia temporale tra il loro ritiro e la denuncia dei liberatori, giunta quattro giorni dopo il ritiro stesso nonostante l’orrore fosse così evidente – i morti per strada… ma è un particolare).

Le immagini satellitari pubblicate dal Nyt sono di marzo, dettaglia il media della Grande Mela, con datazioni certe, dal 9 marzo in poi. Tale datazione, però, cozza con un report di una fonte americana, l’Intitute for war, che sta seguendo la guerra ucraina, registrandone nel dettaglio l’evoluzione.

Così torniamo al report del Nyt, nel quale si leggeva: “Le immagini mostrano oggetti scuri di dimensioni simili a un corpo umano che appaiono in Yablonska Street tra il 9 marzo e l’11 marzo”…  cioè prima dell’arrivo dei russi..

Al di là dei veti della Nato a Zelensky e delle incongruenze, spiegabili o meno che siano, delle documentazioni su Bucha e su altro, è ovvio che questa controversia rende più difficile proseguire i negoziati, anche se Zelensky ha ribadito che intende farlo, in quanto unica via di uscita (BBC). E i negoziati, nonostante tutto, stanno proseguendo, come ha dichiarato il portavoce del Cremlino (Associated Press).

Il punto è se la Nato – e il partito della guerra così forte in America – lascerà o meno l’Ucraina libera di trattare sul proprio destino. L’articolo del Wp getta un’ombra oscura su tale possibilità.

Il valore delle nostre scelte…

“Generale, il tuo carro armato è una macchina potente” è un breve componimento in cui Bertolt Brecht in prima persona si rivolge a un generale, oggetto dell’anafora ripetuta in tutte e tre le strofe che compongono la poesia. Le tre quartine sono un dialogo in cui il generale è il destinatario di una verità per lui scomoda: il carro armato della prima quartina, tanto quanto il “bombardiere” della seconda, sono armi potenti, capaci di distruggere tutto ciò che si trova dinanzi ad essi. C’è un però: entrambi hanno bisogno dell’essere umano per essere manovrati e adoperati.

Né la quantità sillabica, né le rime, vengono attenzionate da Bertolt Brecht nella versione originale del componimento non bada alle rime, crea unicamente assonanze e armonia, senza rendere i versi troppo ridondanti o studiati. Il risultato è una poesia molto semplice e scorrevole. Il messaggio si srotola come un gomitolo, che nell’ultima quartina giunge alla meta finale: non importa quante armi distruttive possegga l’uomo. La guerra non dipende da esse. Dipende dalla volontà degli uomini, dalle loro scelte, perché: “Generale, l’uomo fa di tutto./Può volare e può uccidere./Ma ha un difetto:/può pensare”. Una poesia che costituisce un autentico inno all’umanità, che ha il potere di decidere le sorti del mondo discernendo ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

 

carro armato

Di figli e lenzuola…

Certi gesti li fanno le madri.
Piegare le coperte è uno di questi.
Lei ne afferra la cima da un lato, tu la prendi dall’altro e, quando la stoffa è squadernata a mestiere, la piegate, per lungo, nelle due prime metà. Non paghi, ripetete la scena, come due commedianti sulle travi di legno di un palco, fino ad ottenere una benda liscia, tesa e senza ombre.
Ci si allontana il più possibile per conquistare un risultato decente e non dover cominciare ogni cosa da capo. Ci si stacca di netto. Ciascuno dalla sua parte. Come quando vieni al mondo e abbandoni, di colpo, quella culla calda e liquida che era la pancia.
Poi sopraggiunge l’epilogo, l’atto finale: il figlio, con il suo lembo di coperta stretto tra le mani, si avvicina alla madre. Lei resta ferma, aspetta paziente che lui copra le necessarie distanze e, quando finalmente arriva, raccoglie entrambe le estremità, se le porta all’altezza del petto e piega la stoffa per l’ultima volta, usando lo sterno come base d’appoggio. Lì, nello stesso punto in cui anche la sua testa di bimbo s’appoggiava, col naso gocciolante e i capelli sparati, prima che diventasse troppo alto per ricordarselo.
Quel punto lì, di sterno e coperte, è punto d’approdo di ogni bene.
Certi gesti li fanno le madri.
Accogliere e raccogliere figli e lenzuola, ad esempio.

Antonia  Storace

lenzuolo2

 

Tutta la felicità nella pubblicità…

Alla felicità”facile”, quanto illusoria, della pubblicità (ma la foto del bambino è comunque suggestiva, ricorda la tenerezza di Snoopy, sia pur un poco sdolcinata) risponde il realismo di Montale, che guarda, singolarmente anche lui, ai bimbi. Quasi una eccezione nel suo universo poetico:

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e’ dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

 

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