Tutto calcolato…

 

Tutto calcolato.

Bella esce dal porto la nave. Il fumo rosa
nella polvere d’oro della sera. Dunque,
per quante volte ti abbiano rifiutato o tu abbia rifiutato,
una casa bianca sul colle chiede il tuo sguardo,
un bambino si bagna i piedi in mare sorridendo,
un uccello di notte canta anche per te.
Dunque, rinviamo di nuovo, incoroniamo
sul vetro incrinato questa piccola farfalla.

Jannis Ritsos

 

vladimjr Kush

Vladimir Kush

La nostalgia non è una malattia.

Ma la nostalgia è un vizio o una malattia? È vero che ci rende prigionieri dei ricordi, non ci fa vivere nella pienezza del presente e fa procedere a testa indietro verso il futuro, ostaggi della retro-topia, come la chiamava Zigmunt Bauman? L’unica nostalgia oggi ammessa è il vintage, la commercializzazione di oggetti e mode del passato.
A lungo, nostalgico è stato un appellativo usato per definire e deprecare chi ha posizioni politiche reazionarie, a partire dai neofascisti; ma la stessa cosa vale per i monarchici e i nostalgici dei Savoia, degli Asburgo, dei Borboni. Perfino Federico Fellini definì il suo Amarcord “un film sul fascismo dentro di noi” affermando che il fascismo e l’infanzia fossero stagioni permanenti in lui. Ma la nostalgia è un sentimento impolitico o al più prepolitico che non si fonda sulla memoria, che è un tornare alla mente, ma sul ricordo, che è un tornare al cuore. La nostalgia va oltre il piano storico, politico e polemico; tocca l’anima, la vita, il pensiero, l’arte, la letteratura, la metafisica.
C’è una filosofia della nostalgia che va ricercata prima in Platone e poi in Plotino, il suo pensiero del ritorno all’Origine, per ricongiungersi all’Uno, alla Casa, allo stesso Platone; e il suo vivere sulle tracce di tre civiltà perdute o declinanti: egizia, da cui proveniva, greca in cui si riconosceva, romana in cui viveva al tempo del suo declino, nel terzo secolo dopo Cristo. Filosofia del ritorno e della nostalgia fu pure quella di Giovanbattista Vico. E altri percorsi nostalgici furono intrapresi nell’ottocento da poeti e scrittori romantici o nel novecento in ambito psicologico, da Jung a Hillman. Ma c’è soprattutto una letteratura della Nostalgia che si oppone alla letteratura dell’Esodo, come l’Odissea alla Bibbia: parte da Omero e poi percorre tutti i tempi, fino ai nostri giorni. E trionfa con Marcel Proust che percorse contromano il novecento fino a raggiungere il cuore del secolo precedente. Con Proust avviene la rivoluzione copernicana della nostalgia, perché non si riferisce più a un luogo lontano ma a un tempo perduto. Tre fili dorati s’intrecciano nella Recerche: la curvatura del tempo, col passato che riaffiora nel presente; il ponte dei ricordi, introspettivo, che collega la realtà all’antro nascosto dell’anima, dove sorgono le idee e i sentimenti. E infine la scoperta che le cose sono animate; liberate dall’inerzia del banale parlano e vibrano in esse tracce allusive di un tempo remoto. La nostalgia di Proust scava nella memoria, nel cuore dei tempi e nella vita nascosta delle cose.
La nostalgia non è una patologia come talvolta si ripete, ma una facoltà innata dell’anima, un sentimento originario che  ci costituisce. I doni della nostalgia sono copiosi, anche se intinti nell’amarezza. Bisogna però distinguere i piani e le forme della nostalgia. Come l’Afrodite platonica c’è una nostalgia urania, celeste, e una nostalgia pandemia, volgare. C’è la nostalgia come alibi per non affrontare la realtà e rifugiarsi nel passato, nel già vissuto. C’è la nostalgia come prigionia che inibisce il rapporto con la vita reale e la con il futuro. C’è la nostalgia come velleità di restaurare pezzi di passato o fingere che il tempo non sia trascorso.
Ma c’è pure la nostalgia che non nega la realtà, non rifiuta il presente e tantomeno il futuro – c’è pure la nostalgia dell’avvenire – e non oppone il mito alla realtà, ma vive il mito sapendolo distante dall’odierno fluire dei giorni. Quella nostalgia è un’apertura dell’anima agli incanti del passato, è una fedeltà intelligente ai nostri mondi perduti, è una carezza tenera e struggente a quel che ci è caro, tra affetti, cose, paesaggi che durano oltre la loro scomparsa. E in questa chiave la nostalgia si fa gravida e feconda di pensieri, opere e visioni, genera poesia e narrazioni. La poesia nasce da una nostalgia preventiva: mentre vivi un’esperienza, un incontro, una presenza, prefiguri il suo svanire, avverti il presagio della sua assenza. E da quel sentimento di perdita sorge la poesia, che è il tentativo di eternizzare o far tesoro di quel momento, quel luogo, e portarlo in salvo nell’altrove della poesia, oltre il tempo e lo spazio. La poesia salva i volti, le anime, i mondi dalla rovina e li custodisce nella teca della nostalgia. E poi la musica, e il cinema, e l’arte, coltivano la nostalgia, e attraverso di lei toccano la grazia dei momenti indimenticabili.
Nella nostalgia non fingi che quel mondo sia ancora vivo e reale, cogli tutto lo scarto tra il passato e il presente; quel che è vivo del passato è semmai la tradizione, che si trasmette e si tramanda. Ma la nostalgia sa di abitare un mondo che non c’è più e non pretende di ripristinarlo, non è preda del revanscismo e nemmeno dello spiritismo. Il fascino della nostalgia è lì: evoca un evento o uno stato irripetibile. Non puoi rifarlo né puoi cancellarlo. Come i classici, le grandi imprese, gli affetti e gli amori perduti. Si addice alla distanza nello spazio o nel tempo; nostalgia del primo tipo fu quella di Ulisse nel suo percorso a ritroso verso la sua Itaca; nostalgia del secondo tipo fu quella di Proust alla ricerca del tempo perduto. Nel nostro tempo, le distanze si accorciano e sono possibili i ritorni; mentre restano irraggiungibili i mondi perduti del passato, e dunque la nostalgia si addice più all’infanzia, alla giovinezza ormai lontana, piuttosto che alla casa remota, alla patria lontana. La nostalgia è quel dolce dolore che pervade l’anima e la mente per una lontananza che sentiamo vicina e per un’assenza che avvertiamo presente.

MV

Guardando le stelle…

Guardando le stelle.

Sdraiata sull’erba fresca, cala la notte,
i miei occhi vanno al cielo subito
come attratti da una calamita.
All’improvviso una luce attraversa il cielo
inizia un dialogo
là un luccichio
là uno sfavillare
e di rimando un baluginio
la luna e le stelle chiacchierano.
E se chiudo gli occhi mi pare
persino, anche se sommessamente ,
si, credo proprio di potere ascoltare
il finale di un coro come
se le stelle avessero dato l’ultimo
tocco d’archetto.
Provo ad immaginare allora che cosa possano pensare le stelle di me che le sto guardando mentre loro guardano me e non mi parlano, ma io so che in questo mondo che gira velocemente il loro spettacolo mi regala una dolcissima serenità, sorrido appagata da tanto incanto, mentre il sipario si apre su un nuovo gioco di luci, e la notte è ancora lunga…

 

guardando stelle1

Sarà il caldo di quest’anno, ma non ricordo notti piene di lucciole come queste che si vivono ora…

 

L’estate è nel pieno del suo fulgore, il che significa che siamo in piena stagione di lucciole. In tutto il mondo esistono più di 2000 specie conosciute di lucciole e la maggior parte di esse comunicano secondo schemi di luci intermittenti. Come fuochi d’artificio della natura, esse illuminano le notti con le loro bioluminescenze. I loro segnali hanno lo scopo di trovare ed attrarre i loro compagni, riconoscere altre specie di lucciole ed evitare i predatori. La luce prodotta dalle lucciole è il risultato della miscelazione di un cocktail di due elementi chimici :la luciferina e la luciferasi,  che condensano in un organo che funziona come una lanterna.

lucciole

Ucraina: la propaganda della Nato è alla corda.

 

Gli obiettivi dichiarati dalla Russia nella sua invasione dell’Ucraina rimangono il cambio di regime a Kiev e la fine della sovranità ucraina in qualsiasi forma essa sopravviva all’attacco russo, nonostante le battute d’arresto dei militari russi e la retorica che allude a una riduzione degli obiettivi della guerra dopo tali sconfitte”. Questo sarebbe il significato delle dichiarazioni rese ieri dal segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev, secondo l’Institute for the Study of War, il think tank dal quale i media mainstream Usa, e a ricasco quelli europei, dipendono per le loro notizie e analisi di guerra.

La nota dell’ISW, fedele al suo obiettivo guerrafondaio, conclude così la sua analisi: “La dichiarazione di Patrushev aumenta notevolmente l’onere per coloro che suggeriscono che sia possibile un cessate il fuoco tramite compromesso o addirittura una pace basata su limitati guadagni territoriali russi, anche se fosse accettabile per l’Ucraina o desiderabile per l’Occidente (e non è questo il caso)”. Così, quindi, il think tank guidato dai noti guerrafondai neocon sotto la guida di Kimberly e Frederick Kagan, Bill Kristol e i loro compagni di merende.

In realtà, alla notizia della conquista di Severodonetsk, Putin ha dichiarato esplicitamente che l’obiettivo della campagna russa è il Donbass (AdnKronos), facendo seguire a tali parole il ritiro da Snake Island, la porta di Odessa, confermando con i fatti le parole.

Ma alla follia neocon non c’è limite, né si riscontra un limite, se non in via eccezionale, nella dipendenza dei media mainstream dalle loro direttive (a proposito di autoritarismi e democrazie).

Si può riscontrare tale dipendenza da un particolare: per mesi i media hanno accusato la Russia di bloccare il grano ucraino nei porti del Mar Nero (con riferimento specifico a quello di Odessa) e, in tal modo, di essere responsabili del dilagare della fame nel mondo.

Dopo il ritiro da Snake Island, cioè la liberazione del porto di Odessa, questo tema è stato semplicemente rimosso dalla narrazione, nulla importando che, nonostante lo sblocco della situazione, nessuna nave ucraina sia partita col suo carico di grano dal porto in questione per sfamare il mondo; né si hanno notizie di uno sminamento da parte degli ucraini delle acque antistanti, che loro stessi hanno disseminato di tali ordigni… Tant’è.

Intanto, la Russia annuncia che ha distrutto due batterie di lanciamissili HIMARS nella regione di Lugansk… La Nato aveva assicurato, tramite politici e media, che tali sistemi d’arma avrebbero ribaltato le sorti del conflitto (vedi ad esempio AdnKrons: “Lanciarazzi Himars in Ucraina: perché possono cambiare la guerra”).

E su tale assunto hanno fondato la necessità di continuare questa guerra che, se invece è persa, sarebbe inutile, anzi controproducente, proseguire (inutile strage, inutili le sofferenze globali causate delle sanzioni, sprecati i soldi dati alle industrie delle armi).

Ad oggi pare siano stati inviati in Ucraina una decina di HIMARS, otto americani e due britannici (almeno stando agli annunci, troppo spesso caotici). Ma alcuni di essi potrebbero non essere ancora arrivati o, se giunti, non ancora pervenuti al fronte, da cui la possibilità che siano distrutti prima ancora di essere usati in battaglia, come capita ad altri armamenti Nato,

D’altronde era ovvio immaginare che, se anche fossero stati risparmiati dal fuoco preventivo, una volta che fossero giunti destinazione e avessero iniziato a sparare venissero subito individuati, diventando così il target più rilevante per i missili russi.

Invano abbiamo cercato la notizia della distruzione di tali armamenti su fonti d’Occidente, essendo stata rilanciata solo dall’ignoto bulgarianmilitary.com.

Tale oblio può essere spiegato facilmente: non si tratta solo di un rovescio sul piano militare, ma del crollo dell’intera narrativa sulle magnifiche sorti e progressive di questa guerra per procura, che gli HIMARS hanno rilanciato.

Se vera la notizia (e tale sembra), c’è da inventarsi un’altra narrativa sulla vittoria ucraina, ma dopo mesi passati a contrabbandare quella legata all’invio dei magici lanciarazzi, è davvero arduo.

Così trattare col nemico resta l’unica via per evitare un’inutile ulteriore distruzione dell’Ucraina e che la frustrazione di neocon e compagni spinga la Nato a interventi più diretti e incisivi, cioè all’escalation. Non si tratta di essere pacifisti a oltranza, ma semplicemente realisti, come nel caso di Henry Kissinger.

Nonostante… l’incalzare degli anni, le vicissitudini, le perdite dolorose..

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Quando la bellezza invecchia, c’è un modo solo di scendere lungo questo fiume:
ascoltare la musica dell’acqua sulle rocce,
trovando qualcuno da amare, me stessa, te, chiunque.
Allora dico, salta fuori dalla barca primavera, salta via nuda ,tenera e nonostante il cuore feroce apri una svolta alla vita..

sharon

 

Che sarà, sarà…

 

 

Ah che sarà che sarà che vanno sospirando nelle alcove che vanno sussurrando in versi e strofe che vanno combinando in fondo al buio che gira nelle teste e nelle parole che accende candele nelle processioni che va parlando forte nei portoni e grida nei mercati che con certezza sta nella natura nella bellezza quel che non ha ragione ne mai ce l’avrà quel che non ha rimedio ne mai ce l’avrà quel che non ha misura. Ah che sarà che sarà che vive nell’idea di questi amanti che cantano i poeti più deliranti che giurano i profeti ubriacati che sta sul cammino dei mutilati e nella fantasia degli infelici che sta nel dai e dai delle meretrici nel piano derelitto dei bambini ah che sarà che sarà quel che non ha decenza ne mai ce l’avrà quel che non ha censura ne mai ce l’avrà quel che non ha ragione. Ah che sarà che sarà che tutti i loro avvisi non potranno evitare che tutte le risate andranno a sfidare che tutte le campane andranno a cantare e tutti i figli insieme a consacrare e tutti i figli insieme a purificare e i nostri destini ad incontrare perfino il Padre Eterno da cosi’ lontano guardando quell’inferno dovrà benedire quel che non ha governo ne mai ce l’avrà quel che non ha vergogna ne mai ce l’avrà quel che non ha giudizio. Ah che sarà che sarà quel che non ha governo ne mai ce l’avrà quel che non ha vergogna ne mai ce l’avrà quel che non ha giudizio. Ah che sarà che sarà quel che non ha governo ne mai ce l’avrà quel che non ha vergogna ne mai ce l’avrà quel che non ha giudizio.

Chico Buarque, trad. Ivano Fossati

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Un pomeriggio di vento…

 

un pomeriggio di vento

 

Un pomeriggio di vento
che tutto arruffa: i capelli come l’anima e i pensieri.
Intrigo, nodi, diritto e rovescio ma non ne esce un maglione,biancheria sbattuta, un fischio confuso, una porta che sbatte, un’altra ribatte, si piegano i rami a spazzare il vialetto, corron le nuvole
e gonfiano il petto, non battono gli uccelli le ali, volan sul vento su, sempre più su, dove si perdono i sogni e gli aquiloni.