Dolce malinconia…

…..

Non sarò più felice. Forse non importa.
Ci sono tante altre cose nel mondo;
un istante qualsiasi è più profondo
e diverso del mare. La vita è corta
e sebbene le ore sian tanto lunghe, una
oscura meraviglia ci perseguita,
la morte, quell’altro mare, quell’altra freccia
che ci libera dal sole e dalla luna
e dall’amore. La gioia che mi hai dato
e tolto deve essere cancellata;
quel che era tutto deve essere niente.
Soltanto mi resta il gusto di essere triste,
questa vana abitudine che mi inclina
a sud, a una certa porta, a un certo angolo.

Jorge Luis Borges

 

malinconia

Questa poesia è una specie di inno alla malinconia. Il poeta ci racconta della sua tristezza e di come l’unica forma di felicità che gli resta sia quella di farsi cullare dai ricordi, perché a volte anche la malinconia riesce a guarire un’anima.

Una vacanza in Grecia…

 

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ILLUSTRAZIONE DI ZAC

Una vacanza in Grecia

 

Rachele uscì dalla saletta piena di sostanze chimiche. Barcollante si diresse verso suo figlio. Pronto e oramai esperto nella manovra, la prese per il braccio e l’accompagnò nella stanza delle poltrone verdi. Lei barcollò ma riuscì a stare in piedi. L’avambraccio del figlio diventò una ringhiera di legno stretta nella morsa delle sue dita. Dieci poltrone di similpelle disposte su due pareti. Cinque pazienti sulla parete di destra, cinque su quella di sinistra. L’uno di fronte all’altro. Quel verde lucido rifletteva schegge di luce negli occhi. Davano fastidio soltanto agli esterni e non ai pazienti. Questi ultimi appena seduti, chiudevano subito gli occhi. Rachele, invece, non li chiudeva. Aspettava silenziosa la sua giovanissima amica dopo il trattamento. Non si accontentava di salutarla con un sorriso. Voleva accoglierla a modo suo: voleva intrecciare, annodare e forse sciogliere quel groviglio di sguardi fra lei e la sua giovanissima conoscente. Nemmeno Penelope sarebbe riuscita a entrare fra loro due, in quella trama di vita, con le sue dita. Troppo intima e selettiva. Una donna vecchia e una ragazza. L’età in quella saletta conta, eccome se conta. Non è un pregiudizio, è un dato di fatto che muove troppe domande. Quella donna di ottant’anni non accettava di vedere quella giovanissima ragazza davanti a lei. Provava rabbia e si sentiva impotente e a tratti quasi in colpa davanti a quel seme appena interrato e subito costretto a germogliare dentro un foulard di Emilio Pucci intorno alla testa. Simona aveva diciott’anni. Quest’anno esame di maturità classica. Quest’anno vacanze premio in Grecia.

Simona arrivava dieci minuti dopo nella stanza delle poltrone verdi. Sempre accompagnata dalla sua amica Roberta. Si sedeva piano. Lentamente appoggiava la schiena poi la testa e subito rivolgeva un leggero sorriso verso Rachele. Non si parlavano, si guardavano con attenzione, con avidità. Il verde smeraldo degli occhi di Simona si mescolava con il marrone chiaro della vecchia. Nasceva così un colore nell’aria, nella stanza, che forse Masaccio avrebbe usato per la sua cappella Brancacci, per Adamo ed Eva, per i cacciati dal paradiso terrestre. Ecco i biglietti per la Grecia! – disse Roberta con il tono della voce troppo alto.

– Abbassa la voce…stordita! – rispose Simona.

– Ascolta bellina! Quest’anno ci andiamo sul serio…basta rimandare…e poi ce lo meritiamo!

– Tu, ma io…troppe assenze…

– Ma smettila!

– Corri troppo…però mi piacerebbe – disse Simona facendo un sorriso alla sua amica e rammendando un altro sguardo con Rachele.

– Da sole…s’intende…

– Certo! Tu Circe e io Calipso!

– Io…ho una casa a Tinos…se volete… – intervenne Rachele.

– Grazie Rachele! – rispose Simona.

In quella stanza dalle poltrone verdi le parole o pesano come barili pieni di sabbia o viaggiano come particelle alla velocità della luce quando c’è la voglia di comunicare. Rachele non perse l’occasione per offrire la sua casa a quelle due maturande.

E’ mattina, Rachele e suo figlio sono già nella stanza dalle poltrone verdi di similpelle. Rachele aspetta Simona. Rachele ha finito il ciclo, ma ritorna lì tutte le mattine. E’ ostinata. E’ testarda! E’ lì lo stesso! Rachele vuole vederla a tutti i costi. Rachele vuole darle le chiavi. Si siede e chiede a suo figlio le chiavi della casa al mare. Suo figlio lascia la stanza delle poltrone verdi e va nel corridoio a leggersi il giornale. Rachele stringe quel mazzo. Separa le chiavi e le guarda: cancello, portone, cantina, serra, fienile, voliera. Le lima nell’attesa di vedere Simona e non vuole sapere niente di lei…

 

Che tristezza la vecchiaia…secondo Alain Delon : “meglio morti che vivi!”

Che triste, schifosa vecchiaia sta vivendo Alain Delon. Da almeno vent’anni soffre di depressione, tentazioni distruttive se non suicide, imprecazioni contro il mondo. Ricordo le sue parole recenti di 87enne: “Invecchiare fa schifo. Non puoi farci niente, l’età si fa sentire. Non riconosci la faccia, perdi la vista…Per questo ho chiesto a mio figlio Anthony, di organizzare la mia eutanasia per quando sarò pronto… Ma soprattutto, odio questa epoca, la rigetto. Tutto è falso, tutto è distorto, non c’è rispetto, niente più parole d’onore. Conta solo il denaro. Lascerò questo mondo senza rimpianti…”.  Poi di recente la vicenda delle molestie morali, “violenza e sequestro di persona vulnerabile” che Alain avrebbe subito dalla sua compagna e badante, la giapponese Hiromi Rollin, secondo la denuncia dei figli, da lui stesso condivisa. Lui tombeur de femmes, maltrattato da una donna, nella sua residenza di Duchy.

Saranno contenti i brutti del mondo nel vedere come è ridotto Alain Delon. Lui che era il Bello per eccellenza, amato anche dalle loro donne, principe della vita più azzurra, da svariati anni pregusta la fine, ossessionato dall’idea di morire; preferirebbe andare lui incontro alla Cupa Signora, a cavallo della nera depressione, magari vestito di nero e mascherato come Zorro, che lui interpretò negli anni ruggenti. Lui, l’amatore fatale, l’incubo dei gelosi di tutto il mondo, prima abbandonato dalla sua donna, poi ridotto alla mercé di una badante. Quando aveva settant’anni, invocava una donna matura che potesse stargli vicino a spiegargli la vita. Perché la bellezza è uno stato puerile prolungato; poi di colpo ti scoppiano gli anni e non sai come regolarti. Che piacere per i mediocri, impietosirsi per il Mito in disgrazia. L’invidia cosmica muta in sadica pietà.

Molti di noi avrebbero voluto essere come lui, il Tancredi del Gattopardo o lo Zorro, ardito e seduttore, bel tenebroso di tanti film. In lui videro la vita che non ebbero, la giovinezza che non vissero, gli amori che non colsero, a loro inaccessibili. Ma poi si consolano pensando a come finiscono i corpi, come è precaria la bellezza e il mondo dorato che ti offre; e come viceversa aguzza la mente il tormento fruttuoso dei pensieri di chi deve vivere altre vite, battere altre strade, realizzare altri progetti. La feconda bruttezza di Socrate, Giotto, Leopardi…

Non c’è cosa più triste di una bellezza sfiorita né cosa più amara di una giovinezza appassita. La vecchiaia che per tutti è un declino, agli occhi dei belli è una catastrofe; quelli che più hanno avuto dalla vita, dalla giovinezza e dall’amore, sprofondano ancora di più nell’abisso degli anni. Agli altri semmai accade il contrario, il tentativo a volte patetico, a volte riuscito, di recuperare in extremis quel che la gioventù, il corpo e la vita gli hanno negato al tempo giusto. Ma un mito o muore ragazzo, come James Dean, perché la bellezza è breve come un fiore e chi muore giovane è caro agli dei; oppure vive una rancorosa, depressa vecchiaia, abbandonata dagli dei. Belli e fusti divennero con gli anni grandi depressi, come Marlon Brando e Vittorio Gassman. Troppe dive vissero male il loro sfiorire, tra assurdi restauri e vite sepolte agli sguardi impietosi, per salvare il mito dalla realtà. Si dice per consolarli che i belli restano belli pure da vecchi. Ma è una pietosa bugia per risarcire corpi ormai spenti, privati dall’aura del loro fascino, decaduti dal rango di dei a quello di comuni mortali. Scatta una sorta di rivalsa negli altri, un comunismo estetico che trascina verso il basso; il piacere dei brutti nel vedere la vecchiaia giustiziera, che passa come A’ livella. Ricordo con quanta ironia era trattata una bella donna invecchiata e malata finita in una corsia d’ospedale; come una principessa caduta dal trono e finita in parodia, ridotta al rango di comune cittadina e mortale.

Era bello Delon, ombroso ma non fragile, ha perfino combattuto, è stato parà, è uomo “di destra”. Ebbe un’infanzia difficile, due genitori separati, una madre poco materna; ed è facile gioco degli psicologi dedurre che fu donnaiolo per risarcirsi di quella perdita originaria; cercava la Madre. Ma fu aiutato dalla grande bellezza.

E’ una bestia feroce, la vita. Puoi affrontarla come un leone, ruggire al sole e sentirti il re della foresta; poi basta una caduta, un momento di debolezza, o semplicemente la curva dell’età e appena sei più fragile e stanco, ti arriva alle spalle e ti colpisce furiosa. La bellezza di un tempo non ti risparmia la pena di vivere e la solitudine; semmai te l’accresce, perché da più in alto precipiti più in basso nello squallore della vecchiaia.

A questo si aggiunge la crudele dolcezza dei nostri anni, pervasi dal culto della gioventù e della bellezza, dal vitalismo e dall’ansia di prestazione; e quando non sei più del giro, finisci nel girone degli invalidi, nella discarica. Una società avida di vita, golosa di corpi pesa ancora di più sui vecchi, i malati, i solitari. Così Alain annunciò in mondovisione il suo suicidio, pur di non lasciare a Dio di scegliere il giorno della sua morte. Ma lo fa da più di sedici anni. E’ dura quando non hai un Dio che ti aspetta a Casa. Usare la morte per protestare contro la vecchiaia. Pregustare la morte per prevenirne l’orrore. Alain corteggia la morte, subisce la fascinazione della cenere, per dirla con Cioran. Il ragazzo non si rassegna a vedersi invecchiare e morire. Si sente solo e braccato e allora anziché chiudersi in casa e nascondersi per non mostrare il suo declino ai curiosi e ai necrofili, apre la porta e va incontro alla fine, annunciando uno spavaldo commiato. La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij; ma chi salverà la bellezza dall’oltraggio degli anni e poi della morte? Forse la speranza o l’illusione di un’altra bellezza, impermeabile al tempo, che non si vede a occhio nudo. Che peccato, per Delon, non credere alla resurrezione dei corpi, almeno del suo…

 MV                                                                                                                                   

Educazione sentimentale..

 

educazione

Educare il cuore

La mia speranza e il mio desiderio è che, un giorno, l’educazione formale presti attenzione a ciò che io chiamo educazione del cuore. Proprio come diamo per scontata la necessità di acquisire competenze nelle materie scolastiche di base, sono fiducioso che verrà un momento in cui potremo dare per scontato che i bambini impareranno, come parte del loro curriculum scolastico, l’indispensabilità di valori interiori  come amore, compassione, giustizia e perdono.

Sua Santità il Dalai Lama

 

Come usava un tempo: nel trigesimo della scomparsa un pagellino di Berlusconi.

 

Ai miei tempi, come dicevano i vecchi di una volta, nel giorno del trigesimo si distribuivano nella messa in suffragio del defunto morto trenta giorni prima, le pagelline, che alcuni chiamavano vezzosamente luttini. Riportavano simboli e figure religiose in copertina, poi all’interno si aprivano con l’immagine del defunto e nella pagina accanto un breve, affettuoso ricordo. Infine una preghiera nell’ultima facciata. Domani è il trigesimo di Silvio Berlusconi e non riesco a immaginare una pagellina su di lui; al più un video-book, con voce, battuta e risata preventiva. Anche da morto organizzerebbe tutto lui.

A trenta giorni dalla sua morte, dopo l’ultima curiosità del testamento e la rassegna dei beneficiati, scende il velo dell’oblio. Certo, difficile dimenticare chi ha lasciato eredità così imponenti, imperi editoriali, forze politiche e sparsi lasciti in vari ambiti, con una famiglia numerosa che farà ancora risuonare il nome di Berlusconi. Però la pagellina che vorremmo fare noi, è sull’impronta che Berlusconi ha lasciato non dirò sulla storia d’Italia ma nelle cose che ha fatto. Del personaggio ha fatto una commedia pimpante Pietrangelo Buttafuoco, che ha cantato e decantato la sua vita scrivendone, come lui dice, il panegirico. Azzeccato il titolo, Beato lui (ed.Longanesi). Ma a me poi viene la domanda seguente che esula dalla “cicalata” di Buttafuoco: beato lui, ma beati pure noi ad averlo avuto alla guida dell’Italia? Non mi riferisco agli eredi, ai beneficiati, ai tanti che devono dir grazie a Berlusconi; perché lui, a differenza di altri grandi magnati, ha elargito beni in lungo e in largo, a volte anche in modo esagerato e improprio. Non credo si possa dire altrettanto dei grandi “padroni” trapassati (non dirò passati a miglior vita perché non so dove siano finiti e non è facile aver miglior vita dopo aver fatto i nababbi in terra). Però, la domanda non è riferita a coloro che ebbero la ventura di lavorare, divertirsi, intrattenersi, col favoloso Cavaliere. Ma agli italiani.

Se penso al suo ruolo politico e soprattutto di uomo di stato, dovrò deludere tanto i nemici di Berlusconi che i suoi devoti: Berlusconi non ha lasciato grandi segni, memorabili riforme, svolte radicali, cambiamenti istituzionali e sociali, grandi opere; né in termini di grandezza, come lui invece vantava, né in termini di rovina, come invece accusavano i suoi nemici, che vedevano profilarsi con lui un regime autocratico. Qualche benemerenza, qualche errore, e poco altro. Non passa alla storia Berlusconi come statista, mentre il personaggio Berlusconi è stato sicuramente il più grande della sua epoca, e senza alzatacchi. Nei momenti decisivi o tempestosi, Berlusconi non ha pensato alla storia (e molti diranno menomale) né ha pensato da statista; ha pensato al suo Ego, alle sue aziende, al suo patrimonio, alle sue residenze, alla sua sopravvivenza politica e giudiziaria. Certo, se il termine di paragone sono gli altri politici, antagonisti e alleati, non c’è partita, la coppa del campione la vince lui, senza gara. Ma se giudichiamo la sua impronta politica, beh, allora no. Anche dove ha avuto buone intuizioni, per esempio in politica estera, non è riuscito a portarle avanti, è stato avversato e castigato.

Sul piano poi delle idee, dei valori, dell’egemonia culturale non ha nemmeno ingaggiato la battaglia; ha seguito un po’ la linea della vecchia Dc, lui occupandosi al più di intrattenimento televisivo ma abbandonando il campo alla sinistra sul piano culturale. Anche nel suo ruolo di principale editore italiano; onore al suo spirito liberale ma nessuna visione culturale è stata opposta. A parte l’anticomunismo e la difesa delle libertà soprattutto economiche; per molti, magari, basta già questo. Ma se parliamo di visione, di idee, di cultura politica e civile, nessuna traccia.

Qui entra in gioco il ruolo che ha avuto a livello televisivo il cosiddetto berlusconismo, definita “egemonia sottoculturale” (Massimo Panarari). Cosa è stato il modello berlusconiano? Da una parte divertimento, ricreazione, consumi, quiz, film, pubblicità a più non posso, drive in, grasse risate e belle gnocche, una specie di americanizzazione, prodotta da un imprenditore che pure in politica veniva definito Arcitaliano. Dall’altra programmi tv, a partire da quelli di Maurizio Costanzo e di Maria De Filippi, format importati, tipo Grande Fratello o Isola dei famosi, che contribuivano a far nascere un’Italia agli antipodi dello storytelling politico del centro-destra (family day, mondo cattolico, italianità, radici locali, valori tradizionali). Un po’ diversi nelle sue reti, furono i programmi d’informazione, con voci dissonanti. Ma ora, alla morte del Cavaliere, si annuncia un largo riciclaggio della sinistra Rai in Mediaset, a suon di soldi.

La sua tv ha contribuito non poco al volto e all’anima dell’Italia presente. Il berlusconismo come fenomeno televisivo è stato un po’ la smentita di Berlusconi leader del centro-destra. Mancava anche in questo caso l’anello di congiunzione: l’elaborazione di un progetto, una visione culturale. Prevaleva invece una visione commerciale: l’importante è vendere, allargare il target, sia dei consumatori che degli utenti televisivi e degli elettori. Va’ dove ti porta il cliente. Allegria. Niente passato o futuro, solo presente.

La prevalenza commerciale ed egocentrica del berlusconismo oscurò la possibilità di diventare fenomeno storico, con un’incidenza politica e culturale. Fu fenomeno di costume, in certi casi di malcostume. Fu la rivincita degli anni ottanta sugli anni settanta, gli anni del privato, delle tv commerciali e dell’edonismo godereccio sugli anni di piombo, del collettivismo e delle cupe ideologie. Poi venne l’era dello smartphone e dei social e anche la neoItalia delle tv berlusconiane fu un po’ superata.

Silvio Berlusconi ebbe vita beata e tormentata, piena di ricchezze, nemici e agguati; voleva piacere, ricevette odio. Fine della pagellina di Silvio Buonanima, professione seduttore, in politica, commercio e vita privata.

 MV

Quando basta l’abito per accreditarsi..

 La Menzogna disse alla Verità ‘Facciamo un bagno insieme, l’acqua del pozzo è molto bella’.
La Verità, ancora sospettosa, provò l’acqua e scoprì che era davvero bella.
A quel punto si spogliarono e fecero il bagno.
Ma improvvisamente la Menzogna uscì dall’acqua e fuggì, indossando i vestiti della Verità.
La Verità, furiosa, uscì dal pozzo per riprendersi i vestiti.
Ma il mondo, vedendo la Verità nuda, distolse lo sguardo, con rabbia e disprezzo.
La povera Verità tornò al pozzo e scomparve per sempre, nascondendo la sua vergogna.
Da allora, la Menzogna gira per il mondo, vestita come la Verità, soddisfacendo i bisogni della società…
Poiché il mondo non nutre alcun desiderio di incontrare la Verità nuda.
la nuda verità

Una bella amicizia…

 

E’ bello, quando si vive una relazione di amicizia poter essere sempre se stessi, potersi muovere, fare ,esprimere senza che l’altro ti osservi mai con occhio critico, magari in silenzio, ma col fare di quello che preferirebbe altro. E’ bello accorgersi di vivere una presenza, che non pretende da te nient’altro che il tuo esserci sempre, la tua comprensione, ricambiata, l’ascolto senza giudizi o consigli non richiesti. Si può vivere un ‘amicizia così; è molto più semplice di quanto sembri. La vita non è un problema da risolvere ma un mistero da vivere..per questo ci stiamo accompagnando lungo il cammino senza sapere per quanto tempo.

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Di che vive una famiglia di oggi?

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ILLUSTRAZIONE DI ZAC

 

Chicken & Chicken

 Arianna aveva sette anni e tutti i sabati aspettava suo padre davanti al portone di casa. Era alta un metro e pesava ventisei chili. L’azzurro dei suoi occhi era potente quando ti guardava. Quasi imbarazzante per la sua forza e bellezza. Se non ci fosse stato il setto nasale a fare da argine e gli zigomi alti, quell’azzurro sarebbe straripato sui tratti del suo piccolo volto come un fiume in piena. I suoi sguardi, senza dire una parola, spesso sbriciolavano gli argini rassicuranti e consolatori degli adulti intorno a lei. Arianna era stata bocciata in prima elementare. Un anno in silenzio. Muta. Aveva deciso di non parlare più con gli adulti. Poi dette un’altra possibilità a quel mondo e piano piano cominciò a leggere e a scrivere. Arianna era una bambina che amava vivere, giocare e nascondersi nel silenzio. Il resto, per lei, sebbene non ne fosse pienamente consapevole, era soltanto regole, sintassi, accenti, frasi convenzionali da rispettare. Le piaceva osservare le facce degli adulti durante il suo mutismo. Proposte, suppliche, sorrisi forzati, imbarazzi, gesti nervosi. Fondamentalmente detestava usare le parole, i suoni, le punteggiature, gli accenti. In fondo aveva ragione: le regole grammaticali e quelle convenzionali non possiedono un contenuto affettivo. Sono regole e basta! Regole da rispettare! Necessarie, senza dubbio, ma non sono tutto. Comunque la bambina, fondamentalmente, non amava vivere nel mondo degli adulti.

Suo padre parcheggiava la Bmw X 5 alle ore 13.30 nel parcheggio di via Olona. Alle 13.45 Arianna era già fra le sue braccia in Via San Vittore. Quella bambina, con dietro quel portone gigantesco, ricordava Alice nel paese delle meraviglie in una delle sue trasformazioni. Piccola, silenziosa, rimaneva immobile e tranquilla. Sapeva che sarebbe arrivato suo padre. Sapeva che avrebbero pranzato da Chicken & Chicken. Amava alla follia le alette fritte di pollo. Sua madre detestava e disapprovava il fritto, ma accontentava sua figlia. In fondo lo avrebbe mangiato soltanto una volta alla settimana con suo padre. E quelle alette fritte l’avrebbero resa felice.

Elisa, una mattina, dopo due anni dalla nascita di Arianna, senza tanti giri di parole annunciò al marito: ”E’ finita! Non sono più innamorata di te! E ho  voglia di vivere con mia figlia!”. Non disse altro. Chiuse la porta e uscì di casa con in braccio la figlia. Da quella mattina, erano  già trascorsi cinque anni. Lui si buttò nel lavoro e negli aperitivi milanesi per un anno intero. Tutte le sere a mangiare riso freddo e olive ascolane. E qualche rapporto occasionale  con un’altra divorziata, magari leggermente depressa, che non faceva altro che parlare prima di lavoro, poi al terzo bicchiere di vino si metteva  a piangere raccontando del suo ex e concludendo in macchina con un rapporto sessuale frettoloso. Lei ebbe una storiella con un collega sposato. Ma il ruolo di amante la stufò ben presto e si dedicò totalmente alla crescita della figlia. Entrambi rimasero su quel tram e continuarono a vivere su quei binari, ma questa volta da soli e non in coppia. Nessuno dei due cercò da quel deragliamento di cogliere un tratto inaspettato e nuovo nei loro caratteri. Si adattarono alla separazione come a una delle tante fermate che si incontrano lungo la linea.

Facevano il tratto di strada in silenzio, mano nella mano. La mano della bambina cominciava a sudare e si trasformava in una grondaia rotta. Era sempre così. Il padre stringeva con delicatezza la mano di sua figlia per trattenere meglio quel flusso d’acqua fino all’entrata del Fast Food.

 

Arianna ordinava sempre Family Meal. Una porzione troppo abbondante, ma c’era un patto fra loro due, che sarebbe durato una settimana: la bambina avrebbe mangiato una sola aletta di pollo fritto e un po’ di patatine e il resto del piatto lo avrebbe finito a casa suo padre nei giorni successivi.

La televisione accesa con il volume alto, cartoni animati, tavoli arancioni, pareti rosse, plastiche colorate, personale in rosso, odore di fritto, clientela che mangiava e parlava con la bocca piena.

E luci sparate sulla testa come in un vero allevamento di polli. Un allevamento di polli che ritrovi identico a Milano, a New York, a Berlino, a Tokio, a Dallas.

Arianna mangiava la sua aletta di pollo fritto e non staccava gli occhi dai Simpson. Suo padre la guardava, mangiando qualche patatina. Il piatto doveva rimanere quasi intero: sei pezzetti di pollo fritto rispetto ai sette, qualche patatina in meno, una salsa e mezzo rispetto alle due, una bibita che lui avrebbe bevuto sul lavoro. Quando finiva l’aletta di pollo fritto, Arianna rimaneva un’oretta a guardare il cartone animato e riprendeva la mano del  padre. Il piano rosso del  tavolo dove loro erano seduti diventava un lago artificiale, un lago di ceralacca.

Uscirono, sempre mano nella mano, e si salutarono davanti al portone di casa. Lui la sollevò e lei suonò il campanello numero cinque. Poi lei ritornò sulla terra e aiutata da suo padre aprì il portone. Scomparve e lui voltò le spalle. Aveva con sé, nella mano sinistra, il sacchetto con il piatto Family Meal. Prima di entrare nel parcheggio buttò quella porzione di alette di pollo fritte nel solito cestino della spazzatura davanti al Pam e si accese una sigaretta.

 

 Questo racconto è pubblicato su “Il Corriere della Sera”, il primo di una serie che il giornale si propone di pubblicare durante l’estate. Lo propongo per chi non l’avesse letto curiosa di sapere quali emozioni susciti in chi lo legge. Da parte mia ho provato una tristezza infinita, uno scoramento nel constatare come si sia ridotta oggi  la vita famigliare. La cosa che più mi rattrista è che tutto questo avviene in nome del diritto alla felicità, che è sacrosanto per ogni persona,  in nome dell’amore che non è eterno ed ognuno può permettersi di rinnovarlo,  e infine per favorire una crescita felice, equilibrata dei figli, che hanno il bisogno e  il diritto di crescere in ambiente sereno. In questo quadretto famigliare io non vedo tanta felicità .Rimarchevole il finale!!

Amore in libertà…

L’amore ,l’innamoramento sono emozioni, che vanno ascoltate, mai ragionate. Se qualcuno ci ama non introduciamo nessuna condizione. Se amate qualcuno non storpiatelo. Lascia che il tuo amore si espanda, dona all’altro più spazio di quanto ne abbia mai avuto quando era solo. Nutrilo, ma non avvelenare il suo nutrimento, non pretendere di possederlo. Lascia che sia libero, più libero di quanto non sia mai stato. In questo caso l’amore crescerà in una profonda intimità. Quando l’amore porta con sé la libertà, riesce a liberare veramente il nostro io, che non avrà mai bisogno di nascondere alcunchè . Quando l’amore fa sentire l’altro rispettato, affidabile, sostenuto, quando l’amore ci fa vivere uno stato di benessere, liberi, allora scende a intimità maggiori. In questo caso diventa sempre più profondo. Diventa l’esperienza più elevata, suprema della vita.

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