Sarà il caldo di quest’anno, ma non ricordo notti piene di lucciole come queste che si vivono ora…

 

L’estate è nel pieno del suo fulgore, il che significa che siamo in piena stagione di lucciole. In tutto il mondo esistono più di 2000 specie conosciute di lucciole e la maggior parte di esse comunicano secondo schemi di luci intermittenti. Come fuochi d’artificio della natura, esse illuminano le notti con le loro bioluminescenze. I loro segnali hanno lo scopo di trovare ed attrarre i loro compagni, riconoscere altre specie di lucciole ed evitare i predatori. La luce prodotta dalle lucciole è il risultato della miscelazione di un cocktail di due elementi chimici :la luciferina e la luciferasi,  che condensano in un organo che funziona come una lanterna.

lucciole

Nonostante… l’incalzare degli anni, le vicissitudini, le perdite dolorose..

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Quando la bellezza invecchia, c’è un modo solo di scendere lungo questo fiume:
ascoltare la musica dell’acqua sulle rocce,
trovando qualcuno da amare, me stessa, te, chiunque.
Allora dico, salta fuori dalla barca primavera, salta via nuda ,tenera e nonostante il cuore feroce apri una svolta alla vita..

sharon

 

Realizzarsi nella vita…che significa?

Parlare di realizzazione è dire una falsità. Cosa c’è da realizzare? Il reale è quello che è, così sempre.  Noi non stiamo creando nulla di nuovo, nè acquisendo qualcosa di cui non fossimo ,già prima, in possesso. Questo è quanto ci mostrano i libri. Noi scopriamo un tesoro e scaviamo una grande buca. Lo spazio nella buca o il tesoro non sono stati creati da noi, noi abbiamo semplicemente rimosso la terra che li ricopriva. Quello spazio era là allora e ancora vi resterà. Così noi stiamo semplicemente attraversando tutta la vita con i suoi stati emozionali che si trovano da sempre in noi ,diversi ad ogni età,  diretti verso un futuro, sconosciuto e solo immaginato. Quando tutto sarà compiuto , solo allora il nostro essere brillerà nella sua realizzazione.

iris di campo

Perchè si dice…

Il 24 giugno si celebra la festa di san Giovanni Battista, o notte di san Giovanni Battista. Al santo è dedicato un celebre proverbio della tradizione popolare: “San Giovanni non vuole inganni”. Un modo di dire che ha diverse declinazioni dialettali, come quella meneghina “San Giuan fa minga ingann”. Scopriamo che significa, grazie al libro di Saro Trovato, fondatore di Libreriamo, in cui 300 modi di dire non avranno segreti

San Giovanni non vuole inganni

“San Giovanni non vuole inganni” è un proverbio di origine toscana, non a caso San Giovanni Battista è patrono di Firenze. Il proverbio è di origine medievale e trae significato dalla moneta in uso a quell’epoca, il fiorino, così chiamato proprio perché da un lato era raffigurato il giglio fiorentino. Dall’altro lato però si poteva vedere l’immagine di San Giovanni Battista, già allora patrono della città.

L’espressione “San Giovanni non vuole inganni” voleva significare che, da una parte, l’immagine era garanzia di autenticità e, dall’altra, la figura del Santo rendeva difficile ogni falsificazione. Inoltre, l’immagine avvertiva che qualsiasi copia falsa della moneta era non solo un atto vergognoso, ma anche un grave reato condannabile dalla legge.

Festa di San Giovanni, perché si accendono falò in tutto il mondo

Dalla noche di San Juan in Spagna, ai falò sulle sponde dei laghi finlandesi, fino al salto del fuoco in Sardegna: quali sono le origini della festa di San Giovanni?

Il comparatico e altri significati

In alcune zone del meridione si scorgono significati legati al detto “San Giovanni non vuole inganni” se lo si collega all’usanza del comparatico, che è quel vincolo di quasi parentela spirituale che lega compari e comari di battesimo e i loro figliocci, ma anche compari e comari di matrimonio e i due sposi. Questo legame, a seconda della zona, prevede una serie di regole da rispettare e di obblighi. In Sicilia il comparatico è quasi più importante della parentela perché sfocia nella sacralità.

San Giovanni Battista punisce, secondo la tradizione meridionale, chi non rispetta la fede del compare e soprattutto chi tradisce il compare. Anche in Romagna vi è l’usanza per San Giovanni di regalare alla fidanzata un mazzo di fiori che viene contraccambiato nel giorno di San Pietro e i due vengono chiamati compare e comare di San Giovanni e in qualche modo ufficializzano il loro amore. Il Battista viene invocato nei rituali e nelle usanze fra compari e comari che tendono a tranquillizzarsi della loro fedeltà reciproca.

Vi è un’altra versione dell’origine del detto ed è legata al fatto che, soprattutto nell’Emilia centrale, venivano eseguite delle scanalature sulla facciata o su un fianco dei Battisteri, dedicati generalmente a San Giovanni Battista, pari alle unità di misura di lunghezza utilizzate nelle zone. Così se i contadini dovevano, ad esempio, misurare la lunghezza di un campo in “pertiche”, verificavano lo strumento di misurazione che utilizzavano con il “campione” scanalato sul Battistero di San Giovanni Battista, che, non avrebbe fatto inganni sulla dimensione corretta.

Arrivare dopo i fuochi

Non solo “San Giovanni non vuole inganni”: a San Giovanni Battista è legato un altro modo di dire abbastanza celebre: “arrivare dopo i fuochi”. Con questa espressione si intende dire arrivare troppo tardi, a cose fatte, quando è tutto finito e la nostra presenza non ha più un senso o, per estensione, essere poco svegli, non capire le cose al volo, non cogliere le allusioni. Le origini di questo modo di dire portano una data precisa: il 24 giugno, giorno in cui si festeggia San Giovanni Battista, patrono di Firenze. Nei secoli passati il santo veniva celebrato con processioni, banchetti, tornei, fiere, corse di cavalli e, al tramonto, con i fochi d’allegrezza, un tempo falò di scope di saggina e bracieri di sego, oggi fuochi d’artificio. Quindi, arrivare dopo i fuochi significava, e significa tuttora, arrivare tardi, a spettacolo ormai concluso.

 

Gentilezza come abitudine..

 

Anche il più piccolo atto di gentilezza ,compiuto per vite sconosciute ,ritorna, anche da molto lontano e a distanza di tempo, a chi ha uno spirito generoso Esso è stato la sorgente di questo eco. Perchè la gentilezza si trasmette e cresce ad ogni passaggio fintanto che una semplice cortesia diventa un atto di coraggio disinteressato, anni dopo, e così via. Allo stesso modo anche una piccola meschinità, ogni espressione di odio, ogni atto del demonio.

cuore innafiato

La vergogna di non essere ignoranti…le meraviglie dei social-

di Aldo Cazzullo

La risposta di Fedez a Gerry Scotti durante la diretta di “Muschio Selvaggio” si appella alla nostra ignoranza

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Il punto non è che Fedez ignori chi sia stato Giorgio Strehler . Il punto è che Fedez si appella alla nostra ignoranza, ci chiama a correi o complici, se ne compiace e ci compiace, o pensa di farlo. Fedez non chiede a Gerry Scotti (che al confronto pare Bobbio): chi era Strehler?. Chiede a noi: «Chi cazzo era Strehler, raga?». Come a dire: non c’è nessun motivo per saperlo, sono certo che non lo sappiate neanche voi, avanti così che andiamo bene.

Davvero; il punto non è la cultura generale degli artisti. Tranne rare eccezioni (un Riccardo Muti, un Francesco De Gregori), quasi mai gli artisti hanno fatto studi regolari, hanno letto molti libri, hanno una cultura accademica. Ma gli artisti hanno il radar. Hanno antenne che consentono loro di capire, e mettersi in sintonia con le persone. Lucio Dalla ad esempio non aveva studiato, ma era una persona coltissima, sapeva moltissime cose, e ancor di più ne aveva comprese o intuite. Al Bano non è Lucio Dalla; ma su Putin ha dimostrato di avere chiare cose che all’evidenza sfuggono a professori narcisi che hanno passato la vita a studiarle. Se Fedez ha risposto come ha fatto, è perché pensa, o forse sa, che l’ignoranza è ormai considerata una virtù. Forse è sempre stato così: l’italiano è l’unica lingua in cui la parola “ignorante” sia usata in un’accezione positiva; il pane genuino è “cafone”, gli osti romagnoli chiamano “ignoranti” le tagliatelle più saporite (e in un negozio di vestiti ho sentito definire “ignoranti” pure giacche che calzavano bene). Però l’era dei social ha definitivamente sdoganato l’ignoranza come valore; e a invertire la rotta non sarà la resipiscenza di un Di Maio, idolo del web quando diceva “uno vale uno” e bersaglio della Rete quando si rende conto che ovviamente non è così.

Dice: Strehler non si studia a scuola. E’ vero; anche se bisognerebbe farlo. Ma basta aver letto una delle tante interviste dolenti e innamorate in cui le sue donne, da Ornella Vanoni ad Andrea Jonasson, ancora oggi parlano di lui, per capire quale personaggio straordinario fosse, con i suoi vizi e le sue virtù. Tra le quali ci fu quella di pulire dagli schizzi di sangue la casa dove i nazisti avevano torturato i resistenti milanesi per farne la prima sede del Piccolo Teatro. Pazienza se non ci si vergogna di non sapere chi è Strehler (al presente, perché i grandi artisti non muoiono mai). Sarebbe già tanto non vergognarsi di saperlo.

La Javanaise…musica per una nostalgia.

 

amarsi in spiaggia

 

Una sera d’estata…. la ragione si smorza e l’istinto prevale.
E allora giunge la nostalgia di uno di quelle notti al mare quado ci prendeva la voglia intensa e urgente, di fare l’amore con una canzone.
È la sera giusta per “La javanaise”……

Si sa che non è una canzone composta di getto, ma, anzi, scritta su commissione per Juliette Gréco. Ma la javanaise non é nemmeno un ballo: è la java quella che si danzava al ” bal musette” con la musica dell’accordéon.
Poco importa.
Se la si ascolta cantata dalla voce impastata di un Serge Gainsbourg sudato, impudico e, forse, ubriaco, la Javanaise perde tutti gli orpelli, arriva all’essenziale e si rivela per quello che è: il ricordo di un amore di una sensualità lancinante e disperata.
Chapeau !

 

 

Madre…

Quale fu il sentire della terra pregando che si aprissero le bocche della sua crosta e facendo spazio e strada alle sorgenti dei corsi d’acqua,e, nonostante questo avvenga fin dall’inizio del tempo, così una madre prepara la stanza per un bambino con lacrime fluenti ,attenta a contrastare ogni evento cattivo, malgrado sia pienamente cosciente che il massimo che lei possa fare è seguire il corso del destino.

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Ucraina: la realtà oltre la propaganda.

 

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La guerra in Ucraina inizia ad affacciarsi nella sua cruda realtà, al di là cioè delle fantasie dei media, che in questi 100 giorni hanno descritto un conflitto virtuale. Così Pat Buchanan, in un pezzo su American Conservative, spiega come l’America abbia interessi divergenti rispetto a Kiev, che invano ha tentato di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto diretto contro la Russia. Un pezzo lungo e articolato il suo, del quale riferiamo l’ultima parte, che prende spunto dall’invio di nuovi e più sofisticati missili a Kiev: “Il Cremlino ha avvertito che qualsiasi nazione che invii armi avanzate in Ucraina dovrà affrontare dure ripercussioni. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha accusato l’Occidente di aver dichiarato una ‘guerra totale’ alla Russia”. “Ciò che questo suggerisce è che la guerra sta ora generando rischi e pericoli maggiori per gli Stati Uniti rispetto a qualsiasi guadagno che potrebbero realizzare dall”indebolimento’ della Russia prolungando i combattimenti. Potrebbe essere il momento di dire a Zelensky non solo ciò che forniremo e non forniremo, ma anche quelli che riteniamo siano i termini accettabili per una tregua“.

Di interesse il cenno finale anche perché l’idea di una tregua lascia in sospeso le controversie territoriali, cioè il ritiro o meno dei russi, di difficile, forse impossibile soluzione, anche perché Mosca sta ormai offrendo la propria cittadinanza ai cittadini del Donbass e non tornerà certo indietro. Peraltro, come scrive Buchanan, tali controversie non interessano affatto agli Stati Uniti (come implicito nel discorso di Biden), i quali non combattono per l’Ucraina, ma per i propri interessi nazionali. Brutale, quanto veritiero.

Più articolato un articolo di William Moloney su The Hill. che spiega la realtà oltre la propaganda, che cioè l’idea di Putin di prendere il controllo del Donbass “non appare più così irreale, come riferito in precedenza”. E come l’opinione pubblica americana ed europea inizi a interpellarsi sulla guerra e ad assumere posizioni critiche verso la propaganda politico-mediatica. Non solo la guerra sul campo di battaglia, anche la guerra economica va diversamente di come avevano sognato le cancellerie occidentali: “Un altro elemento della convinzione comune che sta crollando è l’idea che le sanzioni paralizzanti imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea avrebbero presto messo in ginocchio l’economia russa”. “Invece, ci sono prove che potrebbe accadere il contrario, con sanzioni che fanno più danni alle economie occidentali che a quelle russe. Lungi dal registrare le ‘macerie’ previste dal presidente Biden, il rublo a maggio ha toccato il massimo da due anni e le esportazioni russe di energia e agricoltura hanno prodotto ricavi record, perché l’Europa e gran parte del resto del mondo non possono farne a meno” (sul punto rimandiamo a un più dettagliato articolo di Larry Elliot sul Guardian, dal titolo: “La Russia sta vincendo la guerra economica – e Putin non è più vicino al ritiro delle truppe”).“Collegato a tali fenomeni – aggiunge Moloney  – è l’assoluta irrealtà del mito fondamentale di questa guerra, vale a dire che gli Stati Uniti hanno radunato quasi il mondo intero contro la Russia, ormai quasi totalmente isolata. In verità, su 195 paesi del mondo, solo 65 hanno accettato di aderire al regime sanzionatorio americano, il che significa che 130 hanno rifiutato, tra i quali Cina, India, Brasile, Messico, Indonesia, la maggior parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, paesi che insieme costituiscono il stragrande maggioranza della popolazione mondiale”.“[…] Un esempio lampante del rifiuto dell’assunto del dominio degli Stati Uniti si è avuto nel corso” del recente G-20. Infatti, “quando la delegazione statunitense ha abbandonato la sala durante l’intervento del delegato russo, solo tre delle 19 delegazioni presenti l’hanno seguita. Ciò dice a qualsiasi osservatore obiettivo che non è la Russia la superpotenza più isolata al mondo, ma forse gli stessi Stati Uniti”.

Dismessi i feroci accenti propagandistici della prima ora, continua Moloney, – l’idea di assassinare Putin, il regime-change a Mosca etc – “gli Stati Uniti e i loro alleati sembrano aver assunto una posizione diversa e sembrano barcamenarsi per trovare un percorso accettabile verso un compromesso che ponga fine alla guerra”. “Con quasi tutte le nazioni occidentali che stanno affrontando lo spettro di una crisi economica più o meno profonda e il governo degli Stati Uniti sull’orlo di un massiccio rigetto da parte degli americani” – per i quali, come dicono i sondaggi, “la massima priorità è mettere a posto l’economia Usa e ripristinare il sogno americano” in rapida consunzione – “il mondo sta cambiando in modi inaspettati e profondi”. Non si tratta di esaltare le magnifiche e progressive sorti della Russia, che comunque uscirà ferita da questo avventurismo. Solo registrare che certe derive propagandistiche iniziano a mostrare la corda. E che nonostante i falchi continuino a alimentare una narrativa farneticante e a spingere per un approccio solo muscolare al conflitto, tanti iniziano ad abbracciare una posizione più realista, l’unica che possa chiudere questa maledetta guerra. Se ne parlerà sicuramente al Bilderberg, una sede decisionale alta dell’Occidente, che non a caso stavolta si è riunito a Washington. Presente anche Kissinger, che ha espresso posizioni più che realiste sul tema.

Infine, da registrare, di ieri, la visita del presidente dell’Unione africana, il presidente del Senegal Macy Sall, in Russia per tentare di sbloccare la crisi del grano che sta affamando il mondo. Putin ha ribadito la sua disponibilità ad aprire un corridoio sicuro nel Mar Nero per il transito di tale risorsa (Associated Press). Ma sul punto si attende la visita di Lavrov In Turchia che potrebbe aprire prospettive concrete (Anadolu). Vedremo.