Cos’è l’erotismo?

Cos’è l’erotismo?

È il corpo che desidera
in maniera imprevedibile.
Il desiderio precede per salti,
avanza, si ferma, torna,
si allontana.
L’erotismo è darsi, è negarsi,
Prendere senza dare o dare senza prendere, non è mai la cosa giusta, la cosa sana,
l’erotismo è una volta sola,
non è legato alla bellezza,
non è stima, ammirazione,
non è conoscenza,
l’erotismo non lo conosci un’ora prima e non lo ritrovi un’ora dopo.
È un’idea dell’amore a pugni chiusi: in una mano c’è la vita, nell’altra c’è la morte.
L’erotismo è rischio,
non è rispetto,
buona educazione,
l’erotismo va dove vuole,
ma non è mai violenza
anche quando è urgente,
precipitoso,
ha sempre una sua estetica
rigorosa, non fa parlare
il corpo, non lo usa,
l’erotismo è il corpo,
è il suo canto muto,
è la vicinanza di chi è lontano,
non è soccorso, aiuto,
non è cordiale,
non arriva quasi mai alla fine,
l’erotismo non è farsi del bene,
non è capire,
non è quello dell’altra volta
e non ti assicura niente
per il futuro.
L’erotismo muore appena
lo organizzi, appena
gli dai una strada.
L’erotismo non vuole e non dà,
ha un’altra, misteriosa nobiltà.

 
Franco Arminio

 

Il tango…

 

La danza salvifica dell’amore

Quando ci innamoriamo si fa un dono a una intera comunità.
L’inizio di un amore è uno degli agenti purificanti più forti del nostro pianeta, dovrebbero inserire l’innamoramento tra le azioni ecosostenibili. Due anni fa mi sono iscritta a un corso di tango. Potrei dire che l’ho fatto perché mi piace ballare, può essere, anche se (a me piace ballare quando sono in casa, scalza, con la musica nelle orecchie e non mi vede nessuno) sospetto sia stato l’abbraccio. Due anni fa ero a Rio de Janeiro e ho frequentato un po’ per caso una lezione di tango. Ero l’unica allieva e l’insegnante, una signora piccolina piccolina, mi ha stretta a lei e mi ha fatto camminare avanti e indietro per tutto il tempo lungo il perimetro della sala. Ammetto che ero un po’ delusa, volevo imparare dei passi veri, mi vedevo già a volteggiare con la rosa rossa tra le labbra, ma lei ha detto o abraço (in portoghese, eravamo in Brasile), devi sentire l’abbraccio, ha detto. Aveva ragione, infatti poi di e in quell’abbraccio mi sono innamorata  .Due anni fa mi sono iscritta a un corso di tango, ancora ci vado, anche se ogni tanto mi chiedo come mai non smetto: quello del tango è uno degli ambienti più fastidiosi che abbia mai frequentato, teatrale direi, e sto usando un eufemismo. Da quando ho cominciato, in ordine sparso: ho perso un’amica, ho iniziato a mettere degli stupidi copri capezzoli e mi sono domandata più volte in quale punto delle mie scarpette fosse finito il mio presunto femminismo (nel tacco o nella punta?). Funziona che se sei giovane e molto scoperta balli tantissimo (alla faccia della non oggettificazione della donna), se sei donna di una certa età puoi anche fare tappezzeria (alla faccia del combattere il tabù dell’invecchiamento) a meno che tu non balli come Augustina Rodriguez (nome inventato per l’occasione). Per gli uomini timidi è durissima, gli uomini hanno tutto un loro sistema lì dentro: c’è chi si impettisce come un piccione e fa a gara a chi ha l’ego più grande, quelli nascosti dietro al palo, quelli al bancone del bar (beh, lì ci sono anche io in verità).
Il tango, a onor del vero mi dà anche delle cose belle, la prima è la leggerezza, mi diverto come una pazza, soprattutto quando ci sono i tanghi ritmici, viene proprio fuori tutta la mia leopardiana urgenza di giocare; la seconda è la musica, non è facile, ma piano piano impari a capirla – grazie Shazam – e ti avvolge mentre balli.  La terza cosa bella è l’abbraccio, dentro quell’abbraccio, se dato bene, c’è un tentativo di abbraccio collettivo, qualcosa di cui dovremmo fare uso più spesso, e dentro quell’abbraccio, mi sono anche innamorata. Quando ci innamoriamo si fa un dono a una intera comunità, l’inizio di un amore è uno degli agenti purificanti più forti.  L’amore si propaga su ogni cosa, si trasmette di persona in persona, di casa in casa; piccole particelle di baci si propagano per le strade, raggiungono anche i fiori, i pesci del lago nel parco, i cani e i gatti. È stato il suo fiato sul mio collo, il profumo della pelle, toccare il corpo di qualcuno che ancora non conosci, ma del quale volta dopo volta, impari a riconoscerne i segni, i rigonfiamenti e gli avvallamenti. È bello innamorarsi di un nome che ancora non sai, è come uno scrigno ancora da aprire, dove ci sono tutte le promesse intatte. Io mi sono innamorata ripetutamente a dire la verità. Credo di essermi sentita vergine, per quanto potesse farmi paura, mi sono chiesta se ero mai stata così tanto attratta da qualcuno. Forse accade a tutti, che quando ci innamoriamo diventiamo degli analfabeti, o forse è proprio il presupposto dell’amore: l’urgenza, se non il dovere, di andare sempre un po’ più in là; dover pensare a tutti i costi «questo è quello grande grande grande». Lo diceva anche Mina.  Mi sono innamorata di nuovo quando l’ho sentito parlare, non gli ho mai sentito dire cose stupide (cosa per me quasi orgasmica); e ho imparato anche io a parlare, quando ho scoperto a mia insaputa di usare così tanto il verbo scopare, quando te ne rendi conto, dopo ci sono sedute di terapia a capire come mai ti esprimi in maniera così sconnessa dalla tua età biologica. E non può essere colpa di tutte le serie che hai visto, c’è dell’altro. Si dice fare l’amore. E fare è un verbo bellissimo, fa pensare all’agire, all’adoperarsi dell’artigiano, come se l’amore non fosse davvero una bottega, dove nel retro si lavora. Poi ci sono i suoi occhi, che odio sempre un po’, perché più belli dei miei, mi costringono a fare di tutto per stare sulla terraferma e non affogarci dentro, come si affoga in quegli oceani dove non si tocca. Ma in veritas, io sono un disastro, e in quel grande grande grande mi ripiego su me stessa.  Bisognerebbe che la scuola ci insegnasse ad amare, perché tanto le famiglie non ne possono niente, allora dovrebbero scrivere dei manuali, stilare delle formule sui libri, delle linee pratiche da seguire, così almeno quelli come me saprebbero come fare le cose che non sanno fare e così, potremmo continuare purificare l’aria del nostro pianeta.

Chiara Cerri

Illustrazione  Laura   Bersellini
tango,lauraBersellini

Il bacio come simbolo di amore, intimità e connessione. Oggi giornata mondiale del bacio…

 

. “Ti manderò un bacio con il vento” suggerisce un modo di comunicare l’affetto tanto potente e discreto, un bacio che può giungere dovunque in qualsiasi spazio,in qualsiasi tempo,e oltre, nell’eternità, creando una connessione che va oltre la presenza fisica. In questo bacio c’è tutto, tenerezza, dolcezza, passione, ogni intimità che trascende l’umano sentire.

Il Bacio

Ti manderò un bacio con il vento
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi ma io sarò li.
Siamo fatti della stessa materia
di cui sono fatti i sogni
Vorrei essere una nuvola bianca
in un cielo infinito
per seguirti ovunque e amarti ogni istante.
Se sei un sogno non svegliarmi.
Vorrei vivere nel tuo respiro
(Mentre ti guardo muoio per te
Il tuo sogno sarà di sognare me
Ti amo perché ti vedo riflessa
in tutto quello che c’è di bello)
Dimmi dove sei stanotte
ancora nei miei sogni?
Ho sentito una carezza sul viso
arrivare fino al cuore.
Vorrei arrivare fino al cielo
e con i raggi del sole scriverti ti amo.
Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno
tra i tuoi capelli,
per poter sentire anche da lontano
il tuo profumo!
(Vorrei fare con te quello
che la primavera fa con i ciliegi)

Questi versi bellissimi sono attribuiti a Pablo Neruda, ma non credo gli appartengano, non per i sentimenti espressi, ma poichè la lirica è un po’ diversa da quella che sento nei suoi versi.

OIG2 (2)

… e io ti mando questo bacio, dovunque tu sia, arriverà col vento, che ha attraversato il mio cuore, con te, per sempre  Amore mio!

Rimedio dolcissimo per la tristezza…

Qualche estate fa tornavo dalla spiaggia di Arma piangendo per strada.Mi sono sentita chiamare, almeno due volte; mi sono girata. C’era qualcuno su un furgoncino bianco.

⁃ Sei tu, vero? – mi ha detto.

Mi sono avvicinata per guardare meglio e ho riconosciuto uno del mio paese, più grande di me di 5, 6 anni, che non ricordavo più di aver frequentato da ragazza, nel modo in cui frequentavamo chiunque sostasse sul muretto dietro la sala giochi. L’ultima volta dovevo averlo visto nel ‘96 e ricordavo che mi era molto simpatico.

⁃ Ciao, – ho detto raggiungendo il furgone: solo ciao, il suo nome non mi veniva.

Mi sono asciugata di corsa le lacrime e d’istinto ho sciolto i capelli, ma erano sudati e crespi di sale, sarebbe stato meglio tenerli legati; pensavo, ma guarda tu se in questo stato devo incontrare uno che non vedo da decenni, uno che devo fermarmi per forza. Mi sentivo brutta e per questo colpevole. Chissà se è solo femminile il senso di colpa di essere esteticamente deludenti.

– Di’ la verità, te lo ricordi, il mio nome? – ha detto lui.

L’ho fissato annebbiata, ma quando ha messo su quella faccia piena di imbarazzo mi è tornato di colpo in mente il soprannome con cui lo prendevo in giro. Appena l’ho pronunciato lui è scoppiato a ridere. Mi ha chiesto dei miei romanzi, gli ho chiesto del suo lavoro. Aveva la fede, un figlio a casa e uno prossimo alla nascita, che adesso avrà quasi sei anni. Abbiamo chiacchierato per una decina di minuti.

Prima di andare ho detto: – Ma come hai fatto a riconoscermi, a ricordarti?

⁃ Rosella, – ha risposto. – Nessuno può dimenticarsi di te.

Ecco, penso che ogni volta che siamo tristi e piangiamo e ci sentiamo orribili da ogni punto di vista dovremmo incontrare per caso qualcuno che ci dica che siamo indimenticabili. Sarebbe un mondo più giusto.

Rossella Postorino

OIG2 (2)

Si scrive per popolare il deserto… per non morire…

 

Si scrive per popolare il deserto… per non morire…
per essere ricordati e per ricordare… anche per dimenticare…
anche per esser felici… per far testamento… per giocare…
per scongiurare, per evocare… per battezzare le cose…
per surrogare la vita, per viverne un’altra…
per persuadere e amorosamente sedurre… per profetizzare…
per rendere verosimile la realta’…
Tante sono, suppergiu’, le ragioni per scrivere.
Una di piu’, ma forse una di meno (non ho contato bene),
delle ragioni per tacere.

 
Gesualdo Bufalino

 

 

si scrive1

Il fior di loto, che c’è in te…

loto
                      Se ti senti smarrito, contrariato, esitante oppure debole,
ritorna a te stesso, alla persona che sei, qui ed ora e
guardando a  come stavi prima, riscoprirai te stesso…
come un fiore di loto in piena fioritura,anche in uno stagno
fangoso, bellissimo e forte-
Masaru Emoto

Una notte d’estate e la poesia di Antonio Machado.

Notte d’estate (Noche de Verano) di Antonio Machado è una poesia che mette in scena la solitudine e il vuoto del poeta proiettati sul paesaggio di un vecchio villaggio durante una notte estiva.

Notte d’estate
È una bella notte d’estate
Tengono le alte case
aperti i balconi
del vecchio paese sulla vasta piazza
Nell’ampio rettangolo deserto,
panchine di pietra, evonimi ed acacie
simmetrici disegnano
le nere ombre sulla bianca arena.
Allo zenit la luna, e sulla torre
la sfera dell’orologio illuminata.
Io in questo vecchio paese a passeggiare
solo come un fantasma.

Noche de verano, (testo originale)

Es una hermosa noche de verano.
Tienen las altas casas
abiertos los balcones
del viejo pueblo a la anchurosa plaza.
En el amplio rectángulo desierto,
bancos de piedra, evónimos y acacias
simétricos dibujan
sus negras sombras en la arena blanca.
En el cenit, la luna, y en la torre,
la esfera del reloj iluminada.
Yo en este viejo pueblo paseando
solo, como un fantasma.

Antonio Machado

Il caldo di una notte d’estate, i climatizzatori che non facevano ancora sentire il loro rumore notturno, i balconi delle case ai piani alti, per far entrare la frescura della notte.
Tutto questo creava comunità, appartenenza, identità collettiva .Questo paesaggio risveglia il senso di solitudine di chi lo vive , come Antonio Machado,espressione di un malessere esistenziale per una perdita recente , oppure ,chi lo ricorda può ritrovarvi luoghi antichi, sommessi momenti di piacevole solitudine in periodi giovanili, quando le notti semplici e silenziose facevano da sfondo a sogni e desideri. Chi non ha avuto momenti come questi, che ripensati ad anni di distanza non ci vedano ,come il fantasma di Machado, aggirarsi tra tutto quello che non c’è più ed è stato , per noi, tantissimo? E l’orologio della torre ci  fa scorrere ,proprio  davanti agli occhi, il film della vita che scorre e di quello che è stata la nostra esistenza.

borgo estivo

Ci salveranno i nascenti…

 

La cicogna, in versione Dhl, mi ha portato lo scorso pomeriggio un vagone di neonati. Era di maggio, ero in mezzo a un tripudio di fiori nel nostro giardino, e ho ricevuto questo dono inatteso. Non aspettavamo nessuno, tantomeno neonati, l’età gravida è ormai lontana, passata per sempre. Eppure è arrivato un carico di creature, fresche di nascita, accompagnate da un corteo di madri col pancione. Non è un sogno e nemmeno un delirio, ma una sorpresa che ti riconcilia con la vita, col suo sorgivo stupore, con l’infanzia che arriva da un misterioso aldilà e ti guarda con quegli occhi nuovi e una vita intera davanti. Pensate, per un momento pensate, al nostro presente, così avaro di bambini e di natalità, che giudica oscena la fertilità e offensiva, bestiale, retrograda la maternità. È il tempo in cui l’aborto diventa un dogma costituzionale, la devozione lgbtq+ si fa legge europea. È il tempo dei figli di Nessuno, degli uteri in affitto, della compravendita di feti. È il tempo in cui gli esperti dicono che la statua di una mamma che allatta è divisiva e va tolta dagli spazi pubblici. È il tempo che ha separato il sesso dalla procreazione, le voglie dal destino; che reputa offensivo ogni accostamento tra donna e maternità. È il tempo del declino e della decadenza. Poi ti arriva a casa un librone pubblicato da Taschen di una fotografa australiana, nota nel mondo per le sue foto sulla nascita e sulla maternità. Il libro si chiama Small World, ma quel Piccolo Mondo è la promessa che il Mondo grande non finirà. Arrivano i rinforzi, c’è il ricambio.
Il libro, con brevi testi in più lingue, parla con le immagini, come accade ai miti e alle fiabe. Lei, l’autrice delle fotografie, sia benedetta, si chiama Anne Geddes, è stata madre tempo fa, ma semel mater sempre mater, una volta che si è madri lo si è per sempre. “Attorno ai bambini appena nati – dice Anne – c’è solo il bene ed è questo che mi affascina”. L’inerme, assoluta purezza del bene e del bello in natura. La gioia di vedere neonati, dice, non invecchia mai.
La sua, a scherzarci su, è l’Opera Maternità e Infanzia. È una sfilata di madri di ogni continente, con le pance piene di figli, e tanti neonati.
L’amore materno è il primo amore che non si scorda mai più della passione fiammeggiante che si accese nella nostra mente, nel nostro cuore e nel nostro corpo la prima volta che ci innamorammo. E’ tua madre, che hai conosciuto prima di venire al mondo, e ti ha nutrito, amato e accudito già prima di nascere. E’ quello l’amore più carnale e più spirituale, anima e corpo, amore necessario come l’aria che respiri, che ti accompagna per tutta la vita, dalla nascita alla morte.
Quelle immagini valgono più più di una predica pur benedetta del Papa sulla natività, più di un discorso del ministro della famiglia, interrotto dai democratici abortisti; più di una legge, un saggio, una benemerita manifestazione in favore della vita. Quell’album di foto racconta la vita nascente, lo stupore di venire al mondo, la meraviglia di esistere; e l’amore naturale a prima vista suscitato da quelle primizie viventi. Prima di ogni pensiero c’è la visione, che sprigiona vita, promessa e bellezza.
Il libro della vita nascente ci è pervenuto in dono da una amica carissima, Marilena; è già troppo che dica il suo nome, conosco la sua riservatezza, l’ho già oltraggiata con questa indiscreta delazione. Quelle immagini ci riconciliano col mondo, con la realtà, fanno bene alla vita. L’amore tornante per la vita che nasce, che apre gli occhi, scopre il mondo e si rallegra di essere vivo. Hai voglia a ragionare, alla fine l’unica risposta al morire e all’invecchiare è il nascere, la vita che sboccia, lo spettacolo di un neonato all’Inizio. Certo, non sei tu a nascere, a te tocca il declino; ma è bello sapere che il mondo non finisce con noi, che la vita continua oltre la morte. L’importante è spostare il baricentro dalla tua vita singola alla vita del mondo, che si avvicenda e torna a fiorire. Tutte le culture di morte che negano l’essere, desiderano il non essere, il nulla, il vuoto, la liberazione da tutto, tacciono davanti a un campo fiorito e al profumo di maggio, al bambino che nasce, al bambino che cresce, alla madre col pancione. Sono mamme e bambini di ogni parte del mondo, di ogni razza e colore, perché la vita è universale e si estende al regno animale e al regno vegetale. Non escludo che anche i minerali abbiano i loro battesimi. Poi, certo, la vita non è un pranzo di gala; è difficile, per chi nasce e per chi si prende cura, ci sono mille problemi, a volte si soffre. Scomodo, costoso, faticoso. Ma val la pena vivere e ben disporsi verso chi nasce.
Non riesco a descrivervi con le parole le immagini che sto in questo momento sfogliando. Ogni figura è una sorpresa, una tempesta di vita e di colori, sguardi piovuti dal cielo, finestre di luce, una diversa dall’altra, con la promessa del giorno che viene. Venuti alla luce, o dalla luce, dopo l’anticamera buia nel grembo materno. Tutto albeggia in queste figure, è la festa dell’uomo che nasce; eppure l’uomo è una bestia cattiva, a volte brutale, vive tra rabbia e dolore, è mortale, e sfoga la sua mortalità infliggendola agli altri. Pensa di scaricare il male sugli altri. E così lo moltiplica.
Queste immagini nascenti per un momento sospendono sconforti e tristezze di un’epoca senza eredi, di un nonno senza nipoti, di una società che mal sopporta le creature; e di città che si svuotano di figli e di bambini, si riempiono di vecchi, con famiglie destinate a estinguersi nel giro di pochi anni o quantomeno di veder emigrare gli ultimi epigoni in imprecisati altrove, spesso non luoghi. Ma ogni angoscia sembra svanire o sopirsi nel battito d’ali che senti sfogliando quelle pagine, gremite di neonati, tra facce e destini che ti guardano e tendono la mano per ricevere protezione e darti speranza. La vita che nasce è la più bella risposta a ogni perdita; passata, presente e futura.

Marcello Veneziani