Torna amore mio, torna spesso…non importa se solo in sogno!

“Torna”è la poesia di Costantino Kavafis che esprime la passione travolgente dell’amore
Torna

Torna sovente e prendimi,
palpito amato, allora torna e prendimi,
che si ridesta viva la memoria
del corpo e antiche brame trascorrono nel sangue
allora che le labbra ricordano, e le carni,
e nelle mani un senso tattile si riaccende.
Torna sovente e prendimi, la notte,
allora che le labbra ricordano, e le carni…

Versi di struggente passione carnale quelli di Kavafis, che aprono a una tenue malinconia dovuta alla distanza della persona amata. In Torna, il poeta dialoga con il palpito del cuore, che pulsa di una passione viva che serpeggia lungo il corpo, fino ad esplodere nel desiderio di unione. Eppure c’è una compostezza classica in questi versi, nonostante riflettano una vibrante passionalità.

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Un miracolo: essere bella ,affascinante, e soprattutto saper ispirare musica come quella di Chopin…

George Sand, pseudonimo di Amantine (o Amandine) Aurore Lucile Dupin (Parigi, 1º luglio 1804 – Nohant-Vic, 8 giugno 1876), è stata una scrittrice e drammaturga francese.
Considerata tra le autrici più prolifiche della storia della letteratura,
Femminista molto moderata, fu attiva nel dibattito politico .La sua opposizione alla politica temporalistica e illiberale del papato le costò la messa all’Indice di tutti i suoi scritti nel dicembre del 1863.
George Sand ebbe una relazione amorosa con il musicista Fryderyk Chopin, dicono che fu la sua musa ispiratrice, di quest’amore scrisse la storia nel suo libro” Histoire de ma vie”, dal quale ho tradotto questo brano.

La sua musica era spontanea , come un miracolo.Era un susseguirsi di creazioni, indecisioni e momenti di frenesia per ricatturare certi dettagli del tema che lui voleva e doveva ascoltare. Analizzava così tanto ciò che aveva concepito come un brano ,mentre tentava di scriverlo ,e la costernazione per questa sua incapacità a ritrovare ciò che egli pensava essere la sua purezza originale, lo precipitava in una specie di disperazione. Allora si chiudeva nella sua stanza per intere giornate, piangendo, camminando avanti e indietro, rompendo le penne , ripetendo o cambiando una battuta centinaia di volte, scrivendola e cancellandola altrettante volte, e ricominciando il giorno dopo con una perseveranza infinita e disperata. Qualche volte passava anche sei settimane su una pagina, solo allo scopo di scriverla esattamente come l’aveva schizzata nella prima bozza.

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Che importa quanti anni ho?

José Saramago

Ho l’età in cui le cose si osservano con più calma,
ma con l’intento di continuare a crescere.
Ho gli anni in cui si cominciano ad accarezzare i sogni con le dita
e le illusioni diventano speranza.
Ho gli anni in cui l’amore, a volte, è una folle vampata,
ansiosa di consumarsi nel fuoco di una passione attesa.
E altre volte, è un angolo di pace, come un tramonto sulla spiaggia.
Quanti anni ho, io? Non ho bisogno di segnarli con un numero,
perché i miei desideri avverati,
le lacrime versate lungo il cammino al vedere le mie illusioni infrante valgono molto più di questo.
Che importa se compio venti, quaranta o sessant’anni!
Quel che importa è l’età che sento.
Ho gli anni che mi servono per vivere libero e senza paure.
Per continuare senza timore il mio cammino, perché porto con me l’esperienza acquisita e la forza dei miei sogni.
Quanti anni ho, io? A chi importa!
Ho gli anni che servono per abbandonare la paura e fare ciò che voglio e sento.

José Saramago

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Il potere della parola…

Una parola muore
appena è detta
dice qualcuno-
Io dico che comincia
appena a vivere
quel giorno

.Emily Dickinson

Le parole cambiano il loro senso in relazione allo stato d’animo col quale le ascoltiamo, cambiano secondo la sintonia che si crea con le persone a cui ci rivolgiamo. Esse sono sempre l’espressione del momento che stiamo vivendo, nell’ambiente in cui ci troviamo. Soprattutto le parole sono rivolte ad altre persone il cui stato d’animo dovremmo conoscere. Le parole, prima di essere dette hanno bisogno sempre di essere filtrate dalla mente e dal cuore per essere le parole giuste per quel momento. Questa poesia rende chiara la fragilità della parola e la sua misteriosa durata nel tempo. La parola può essere insegnamento,persuasione, conforto, augurio, speranza, memoria, felicità così come può essere peggio di una coltellata nel cuore. E ricordiamoci che una parola detta non si cancella mai più, ma anche che una parola non detta potrebbe diventare un enorme rimpianto.

Italiani con le valigie…

I migliori tra gli italiani con la valigia – quelli che insieme alla valigia portano in viaggio anche occhi e cervello – si inquietano quando sentono dire che l’Italia fino a oggi ha funzionato perché era  ingovernata, o era governata poco e male.
Si inquietano perché sanno che – fosse governata in maniera normale, come una qualunque Olanda – l’Italia funzionerebbe meglio.
Quello che chiedono, gli italiani di buon senso, sono poche leggi chiare, un capo da premiare o da punire, una classe politica mediamente capace e non troppo corrotta, che non occupi, ogni giorno, più di quindici minuti dei loro pensieri e più di due pagine sui loro giornali.
Un governo che si concentri sui treni, le poste e il bilancio, e li lasci andare avanti con la loro vita.
Sono stanchi, gli italiani, di essere speciali.
Dopo aver viaggiato, vogliono tornare in uno Stato come gli altri: magari meno spumeggiante, ma più onesto e funzionante.
Hanno voglia, deposta la valigia, di vivere in un Paese normale.

Beppe Severgnini.

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Perchè comprare la ” Collana dei libri proibiti” in vendita con”Il Foglio” dal mese di luglio.

Che cos’è la polizia del pensiero? Per tutto il mese di luglio il Foglio offre ai suoi lettori una collana editoriale speciale intitolata “I libri proibiti”. Si tratta di una selezione di grandi classici del passato che la cultura del cancelletto oggi manderebbe al rogo. Uno di questi è “Huckleberry Finn” di Mark Twain. Penso che siano pochi gli anziani di oggi che , come me sono cresciuti con un libro sempre iniziato, da ragazzini non abbiano letto questo romanzo, un classico della letteratura americana per ogni età, uno di quei libri che rimangono indimenticati tra migliaia che abbiamo letto.

Huck
“Coloro che cercheranno di trovare uno scopo in questa narrazione saranno processati; coloro che cercheranno di trovarvi una morale saranno banditi; coloro che cercheranno di trovarvi una trama saranno fucilati”. Se cerchiamo la poetica di Mark Twain, eccola. E’ l’avvertenza sulla prima pagina del romanzo, pubblicato a Londra nel 1884, e solo l’anno successivo in America, otto anni dopo Le avventure di Tom Sawyer. Storie di ragazzini in cerca di libertà e divertimento. Secondo Ernest Hemingway, Le avventure di Huckleberry Finn “è il miglior libro che abbiamo mai avuto. Non c’era niente prima; non c’è stato niente di altrettanto buono dopo”. Tutti gli strumenti narrativi arrivano da lì, tutte le avventure, la spudoratezza, tutta la vita della provincia americana, tutto il senso dell’umorismo si trova lì. Huck ha dodici anni quando decide di scappare dalle insistenti attenzioni educative della vedova perbene che lo ha preso in custodia e che cerca di insegnargli a diventare un bravo ragazzo e a non mettere i piedi sul tavolo, a lavarsi con acqua e sapone, ad andare a scuola e a messa. Huck si annoia troppo, si sente come morto, vuole scappare. “Era ben duro vivere sempre in casa, considerando quanto fossero squallidamente metodiche e corrette le abitudini della vedova; così, non appena non ne potei più, me la svignai”. Ricordo benissimo la sensazione che provai, da bambina, la prima volta che lessi questa frase sul libro che era stato di mio padre: non appena non ne potei più, me la svignai.” Che liberazione, che felicità: svignarsela. Mentre le sorelle March di Piccole donne compivano i loro doveri di brave ragazze e figlie devote, Huckleberry Finn se la svignava con una zattera sul Mississippi. E metteva in ridicolo tutte le convinzioni del mondo degli adulti, le buone maniere, l’ipocrisia e la finta generosità. Con grande realismo e senso dell’opportunità. “Se ci si deve comportare male, tanto vale farlo per bene e fino in fondo”. Huck incontra lo schiavo Jim, in fuga perché ha scoperto che verrà venduto a un mercante che lo porterà in una piantagione di cotone del profondo Sud, allontanandolo dalla sua famiglia.
Naturalmente Jim è nero, e la parola che viene usata per descriverlo è quella del diciannovesimo secolo: “negro”. Ricercato, accusato perfino dell’omicidio di Huck (che Huck ha inscenato per scappare), Jim non può che diventare il migliore amico di questo bambino che rifiuta gli adulti fintamente civilizzati e che è stato quasi ammazzato dal padre alcolizzato con un’accetta. Tra i peccati che spedivano dritti all’inferno, secondo la comunità cristiana di cui Huck non aveva nessun desiderio di far parte, dare aiuto a uno schiavo fuggitivo era forse il primo della lista. Questa è una magnifica storia di ribellione e di amicizia, e di notti stellate passate a raccontarsi il mondo intero e a osservare la follia della società. Se si deve andare all’inferno, tanto vale divertirsi. “Penso che a Jim la sua famiglia gli manca proprio come ai bianchi. Sembra impossibile eppure penso che è davvero così.”Lo scandalo dello sguardo libero di questo ragazzino ha costruito la grande libertà della letteratura americana, che adesso non può svignarsela. Del resto Jim è l’unico adulto rispettabile di tutto il romanzo, e “se avessi saputo che faticaccia era scrivere un libro, non ci avrei neppure provato”.

Un consiglio di una lettrice accanita, che ama la libertà di pensiero intesa come valore eterno e universale ,per chi non conoscesse questi libri è di non lasciarseli scappare in questa edizione a poco prezzo offerta dal Foglio. E’ un modo come un altro per capire meglio la storia, il pensiero umano nelle varie epoche del mondo, e per dire no a quel pensiero ,che sta diventando dominante, di cancellare, distruggere tutto ciò che è in contrasto col modo corrente di vedere le cose, una dittatura del pensiero che contraddice lo stesso nuovo modus vivendi.

Sarà questo poesia? Un ricordo, un’ emozione improvvisa, una lacrima di nostalgia?

 

Da un tuo cortile aver guardato
le antiche stelle,
dalla panchina in ombra aver guardato
quelle luci disperse
che non so ancora chiamare per nome
né ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio d’acqua
nel segreto pozzo,
l’odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzioso uccello addormentato,
la volta dell’androne, l’umido
– forse son queste cose la poesia.

Jorge Luis Borges

 

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A proposito di imbecilli…

Fernando Savater
Sugli Imbecilli  .Etica per un figlio.

 

Il senso della vita
Lo sai qual è l’unico dovere che abbiamo nella vita? Quello di non essere imbecilli. Ma non ti credere, la parola “imbecille” è più sostanziosa di quello che sembra. Viene dal latino baculus, che significa ” bastone”, e l’imbecille è chi ha bisogno del bastone per camminare. Non vogliamo offendere gli zoppi o i vecchietti, perché il bastone a cui ci riferiamo non è quello che si usa, molto giustamente, per sostenersi e che aiuta a camminare un corpo danneggiato da un incidente o indebolito dall’età. L’imbecille può essere agilissimo e saltare come una gazzella alle olimpiadi. Non si tratta di questo, perché è uno che non zoppica nei piedi, ma nell’animo: è il suo spirito che è debole e zoppetto, anche se il suo corpo fa giravolte di prima classe.
Esistono vari tipi di imbecilli, a scelta:

Quello che crede di non volere nulla, dice che tutto gli è indifferente, e non fa altro che sbadigliare o dormicchiare anche se tiene gli occhi aperti e non russa.
Quello che crede di volere tutto, la prima cosa che gli capita davanti e il suo contrario: andare via e restare, ballare e rimanere seduto, mangiare l’aglio e dare baci sublimi, tutto in una volta.
Quello che non sa che cosa vuole e non si disturba a cercare di capirlo. Imita i desideri di chi gli sta vicino oppure sostiene il contrario “perché si” ,e tutto quello che fa è dettato dall’opinione della maggioranza tra quelli che lo circondano: è conformista senza averci riflettuto o ribelle senza motivo.
Quello che sa di volere, sa ciò che vuole e, più o meno, sa anche perché, ma senza energia, è pauroso o debole. Alla fine si ritrova sempre a fare quello che non vuole e rimanda a domani quello che vuole, sperando di essere un po’ più convinto.
Quello che vuole con forza, è aggressivo, non si ferma davanti a niente, ma sbaglia nel giudicare la realtà, si lascia depistare completamente e finisce per scambiare per benessere ciò che lo distrugge.

Ciascuno di questi tipi di imbecillità ha bisogno di un bastone, ossia di appoggiarsi a qualcosa d’altro, qualcosa di esterno che non ha nulla a che vedere con la libertà. Devo dirti pure che gli imbecilli in genere finiscono piuttosto male, checché ne dica la gente. Quando dico che “finiscono male” non voglio dire che li mettono in carcere o che sono inceneriti da un fulmine (questo capita solo nei film), voglio dire che in genere si mettono da soli i bastoni fra le ruote e non riescono mai a star bene nella vita, che è quello che interessa tanto a noi due. Però ti devo anche informare di una cosa: qualche sintomo di imbecillità ce l’abbiamo tutti; e dai, io perlomeno li scopro un giorno sì e l’altro pure, spero che le cose a te vadano meglio… In conclusione: allerta! in guardia! l’imbecillità è in agguato e non perdona!

Da “Vieni fuori, Grillo parlante”

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Vorrei quel che non sarà mai più…

Quel Che Non Sarà Mai…

Vorrei sentire il tuo odore profumato di te
che risveglia tutti i miei sensi,
e mi fa sentire viva
vorrei toccarti,
percorrere le linee dure del tuo corpo,
che mi fa sentire donna
vorrei assaggiarti
piano piano
per sentire il tuo sapore ribollire sul mio palato,
che mi fa avere ancora più fame
vorrei fare l’amore con te
perdermi in te e tu perderti in me,
sentire il nostro piacere che esplode insieme…
che ci travolge…
e ci fa sentire amanti
e sentire quell’estasi che solo un atto d’amore può…
vorrei quel che non sarà mai…

Anne Sexton

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Noi viviamo costantemente nell’incertezza e viviamo ogni giorno cercando di sfuggirla-

 

La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida. L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.

Zygmunt Bauman – L’arte della vita

 

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