Ma davvero il mondo deve dire grazie all’Occidente per tutto il bene che abbiamo fatto a noi e agli altri? È quanto sostiene Federico Rampini in un libro che esprime gratitudine all’Occidente sin dal titolo (Grazie Occidente, ed. Mondadori) e rivolge in positivo quel che aveva scritto in un suo precedente saggio dedicato al suicidio dell’Occidente. Rampini è un osservatore attento e sagace, progressista ma scevro da molti pregiudizi radical. E la sua riabilitazione dell’Occidente e della sua egemonia mondiale, della colonizzazione e della globalizzazione di marca occidentale, sono una chiara, aperta polemica contro gli occidentali che si vergognano di esserlo e della storia dell’Occidente e della sua opera di civilizzazione nel mondo; un occidente che si autodenigra, si cancella e si vorrebbe correggere, intollerante con se stesso e sottomesso verso il resto del mondo. Quali sono i meriti dell’Occidente? Li tutti sappiamo tutti anche se molti dimenticano o non vogliono ricordare. Così li riassume Rampini: “il mondo è popolato da miliardi di persone che devono la loro stessa esistenza a noi. La scienza occidentale, pensiamo alla nostra medicina e alla nostra agronomia, è stata copiata e applicata dal resto dell’umanità con benefici immensi. Se la longevità è aumentata, la mortalità infantile è crollata, il livello d’istruzione è cresciuto nel mondo intero, è perché l’Occidente ha esportato progresso. Dove si combatte per migliorare i diritti umani – per esempio la condizione della donna – il paradigma da emulare siamo noi. Il nostro modello industriale ha sollevato dalla miseria grandi nazioni(…). Viviamo in un’epoca in cui pronunciare queste verità è scandaloso, è proibito. Il conformismo dominante impone una versione bugiarda della storia, in cui la «razza bianca», europea o nordamericana, ha seminato solo distruzione”.
Vero, innegabilmente vero, anche se la parola Occidente qui diventa intercambiabile con modernità.
Questa era, del resto, la tesi di Oriana Fallaci, o quantomeno dell’ultima Fallaci anti-islamica; prima ancora era il credo occidentale di una certa destra atlantica, colonialista, magari un po’ wasp, che da noi leggeva Il Giornale di Indro Montanelli e prima ancora Il Borghese di Mario Tedeschi, che si riconosceva nei repubblicani americani, in James Burnham di Suicidio dell’Occidente e in Barry Goldwater.
Personalmente non condivido l’immagine dell’Occidente benefattore del mondo e causa di ogni bene del vivere moderno, che mi pare speculare a quella, altrettanto unilaterale, dell’Occidente come maledizione del mondo e causa di ogni male del vivere presente. Nella sua crescita smisurata, l’Occidente ha arrecato vantaggi e svantaggi a se stesso e al mondo intero; meglio tener fuori ogni ideologia moralista sia di tipo salvifico che malefico. La storia dell’Occidente è soprattutto la storia della volontà di potenza, l’espansione illimitata della tecnica e dell’economia, il capitalismo, la ricerca del profitto e del dominio planetario. È la vittoria del regno della quantità sul regno della qualità. Sicuramente l’occidente ha portato longevità e benessere; ciononostante dobbiamo riconoscere insoddisfazione e malessere nell’occidente e nel mondo, senso di alienazione e di sradicamento, paura del futuro e angoscia del presente, solitudine e depressione, nichilismo. Evidentemente, la crescita materiale dell’Occidente, la maggiore durata della vita e il miglioramento delle condizioni di vita non bastano all’umanità o sono stati ottenuti a un prezzo troppo alto; c’è qualcosa di immateriale ma tangibile, di spirituale e vitale, che attiene all’intelligenza e al destino, la sua mente e la sua anima, il senso della vita e i legami comunitari che è stato mortificato, e che configura la nostra epoca dello scontento. L’Occidente ha trasformato il mondo, ma nel senso della civilizzazione, della Zivilisation, direbbe Oswald Spengler, non della Kultur. Viviamo infatti la deculturazione globale.
Cosa è accaduto? Non siamo scivolati nel peggiore dei mondi possibili, ma al piano delle conquiste corrisponde purtroppo anche il piano delle perdite; dietro ogni progresso, in un campo, c’è sempre un regresso in un altro. E allora quando facciamo i bilanci dobbiamo saper ponderare i successi e i naufragi, le vittorie e le sconfitte, i lati radiosi e i lati infami della sua globalizzazione.
E dobbiamo completare la diagnosi di Rampini: è vero, l’Occidente si vergogna di se stesso, si rinnega. Ma rinnega in primo luogo la sua civiltà, la sua cultura, le sue radici storiche e religiose, le sue tradizioni, il suo mondo reale, il sentire comune dei popoli, i legami più forti che nascono dall’identità, dall’appartenenza, dagli affetti più intimi e veri. I mezzi sostituiscono i fini, sicché abbiamo potenziato i mezzi per vivere e abbiamo perduto gli scopi che rendono la vita degna di essere vissuta; abbiamo infiniti accessori ma abbiamo perduto l’essenziale, che dava senso alla vita. È un bene barattare l’essere con l’avere, il pensare col fare, il vivere col durare?
Il rimedio non è tornare indietro e rinnegare lo sviluppo, sarebbe insensato; si tratta di affrontare con intelligenza critica i due piani, farli interagire, capire che l’uomo ha bisogno di entrambi, più il senso della realtà e del limite. Cercare nuove sintesi, audaci pensieri ancora intentati.
Perciò io dico che l’Occidente non va benedetto né maledetto, va capito, studiato e scomposto nelle sue parti. Perché non è il mondo e non è più il sistema-mondo ma una porzione del mondo, neanche preponderante; non può ergersi a giudice supremo del pianeta. Quel che descrive puntualmente Rampini è accaduto fino al secolo scorso; ma ora lo scenario è più vasto e articolato, le potenze mondiali in campo economico e tecnologico sono più altrove, come altrove è il grosso della popolazione mondiale. C’è più vita fuori dall’Occidente. E va rimesso in discussione come categoria unitaria perché di occidenti ce ne sono almeno tre e non concordano, neanche sul piano geopolitico e strategico, nei loro interessi primari. Stiamo alimentando la guerra alla Russia con le nostre armi e le nostre dichiarazioni e stiamo facendo precipitare la situazione in Medio Oriente col nostro disarmo e il nostro silenzio sugli eccidi, le incursioni in territori stranieri e le stragi di civili. Stiamo rischiando di intraprendere una via senza ritorno.
Insomma, è giusto che l’Occidente non si vergogni di se stesso, e riscopra la sua civiltà nata dalla grecità, dalla romanità e dalla cristianità; ma svegli la coscienza critica di se stesso, sappia ripensarsi e riconoscere il mondo mutato che lo circonda. Questo significa andare verso la realtà del mondo i oggi, oltre l’occidentalismo globale.
Marcello Veneziani