Napoli nel cinquecento

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Con la prima metà del secolo XVI, comincia ad affermarsi, a Napoli, anche nel campo delle arti figurative, l’opera di artisti locali, che, progressivamente si liberano dall’influenza di pittori e scultori romani, toscani e lombardi. Pri­mo, fra tutti, il pittore Andrea Sabatini (Andrea da Salerno), che rivela nei di­pinti una robusta grazia raffaelliana; e gli scultori Giovanni Mariliano, (Gio­vanni da Noia) Gerolamo Santacroce, Annibale Caccavello, i due D’Auria. Segue una nuova predominanza di ar­tisti stranieri: Giorgio Vasari, Leonar­do da Pistoia, Marco Pino da Siena, pittori; e Michelangelo Naccarino e Pie­tro Bernini, scultori. Solo sul finire del secolo, si ha una ripresa artistica napoletana, con caratteri di continuità e di originalità, specie in pittura. Quanto all’architettura, essa rimane vincolata a moduli di altre regioni italiane, e, an­che quando il barocco napoletano assu­merà una fisionomia propria, risentirà ancora dell’influsso del bergamasco Cosimo Fanzago, che lasciò a Napoli pa­recchie sue pregevoli opere.
Anche la musica napoletana ebbe, nel ‘500, i primi indirizzi di scuola locale, nel Conservatorio di S. Maria di Loreto e in quello dei Poveri di Gesù Cristo, istituito, nel 1589, dal frate francescano Marcello Fossataro.
Anche la città si allargò, per la cre­scita della popolazione, salita, ormai, ad oltre 262.000 anime, come risulta da un censimento del 1547. Fu necessaria, quindi, una nuova cerchia di mura, che, iniziata nel 1583 fu terminata nel 1587, per opera del viceré don Pedro de Toledo. La cinta andava da Porta S. Gennaro a S. Maria di Costantinopoli, per via Bellini e l’attuale Piazza Dante, lungo la collina dove ora c’è l’ospedale della Trinità, il Corso, donde proseguiva per S. Lucia a monte e S. Maria Apparente, scendendo, poi, a S. Caterina a Ghiaia (Porta di S. Spirito), salendo a Pizzofalcone e, di là, ridi­scendendo verso S. Lucia a Castelnuovo. Il capolavoro di don Pedro fu, però, via Toledo, aperta nel 1536, una delle più celebri e belle vie del mondo, che, tuttora, costituisce il centro più vitale e la gloria dei napoletani. Lo stesso vi­ceré provvide ad altre strade di colle­gamento, come l’Infrascata, del 1560, che portava all’Arenella e ad Antignano, allora villaggi, donde, attraverso amene campagne, si raggiungeva San­t’Elmo, che fu restaurato tra il 1537 e il 1549. Don Pedro sistemò, inoltre, la viabilità del borgo di Ghiaia, dal pa­lazzo Cellammare fino al Largo Ferrantina, dov’era la villa di Alfonso II d’Aragona, che, per un certo periodo, i viceré scelsero come loro residenza. Dal borgo, si proseguiva verso la chie­sa di Piedigrotta, sorta su un antico tempio e rifatta nel ‘500, intorno alla quale si celebrava ancora la più folclo­ristica di tutte le feste napoletane e si andava fino a Mergellina, ov’è la casa del Sannazaro, che fece costruire la chiesetta di Santa Maria del Parto – denominazione che ci fa ricordare il suo « De Partu Virginis » – in cui si trova la tomba del poeta.
Alcuni borghi rimasero fuori le mu­ra, come i Vergini, borgo Avvocata, S. Antonio abate e Loreto.

Napoli nel cinquecentoultima modifica: 2021-02-24T14:07:18+01:00da masaniello455