Lovers forever…anywhere!

 

Ti ho fatto una promessa
che ricorderò per sempre.
Se la stessa terra dovesse scomparire
il mio amore rimarrà incrollabile.
Se io non rinascessi su questa terra
ritroverei il nostro amore tale e quale.
Se la morte mi porterà sottoterra
i nostri percorsi si incontreranno nel buio.
Se tu diventi un bulbo di loto
che io sia un’ape,
così non saremo mai divisi.
Se tu ti trasformassi in una caverna
che io sia un leone
per poter vivere dentro di te,
e seguire te per sempre, amanti per l’eternità-

 

ape su fiore di loto1

Un racconto dalla Lituania…

 

Una fanciulla orfana viveva a servizio di una strega, e ogni giorno portava da mangiare nel palazzo del re. Un giorno, mentre camminava per i prati, balzò davanti a lei una serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
La giovane appoggiò la bisaccia, appoggiò la brocca, in tutta fretta raccolse erbe e fiorellini, intrecciò una ghirlanda e la mise al collo della serpe.
Dopo un paio di passi appena, balzò davanti a lei un’altra serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
Così di nuovo appoggiò la bisaccia, appoggiò la brocca, raccolse fiorellini, intrecciò una ghirlanda e la mise al collo della serpe.
Si rimise in cammino, ma fece soltanto pochi passi, perché davanti a lei comparve una terza serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
Di nuovo intrecciò una ghirlanda e gliela mise al collo. Poi arrivò a palazzo e portò da mangiare alla corte del re. Quando tornò dal palazzo, sentì tutte e tre le serpi – che erano dee della fortuna – che bisbigliavano tra loro:
“Che cosa augurarle ora?”
Una disse:
“Che sia molto ricca.”
Un’altra disse:
“Che sia una buona lavoratrice.”
Mentre la terza disse:
“No. Sarà molto bella, e quando piangerà cadranno perle dai suoi occhi, e quando riderà scenderanno dalla sua bocca pietre preziose e oro.”
Ebbene, la fanciulla tornò a casa tanto bella, tanto bella! E quando la strega la vide ne rimase molto arrabbiata. Così la fece salire in solaio, le diede la ruota da filare e non la fece vedere più a nessuno.
Il giorno seguente, la strega mandò sua figlia a portare da mangiare nel palazzo del re. La giovane andò, e mentre camminava balzò davanti a lei una serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
Quella si arrabbiò, le diede un calcio e fece per colpirla con un bastone:
“Non starmi tra i piedi! Ti colpirò con un bastone ed ecco che avrai la corona.”
Dopo pochi passi, un’altra serpe si pose davanti a lei:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
Quella di nuovo le diede un calcio:
“Mi sei tra i piedi, non si riesce nemmeno a passare!”
Proseguì sulla strada, ma davanti a lei balzò una terza serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
“Non sarà mica il diavolo a mettervi tra i piedi! Ti colpirò con un bastone e così avrai la corona!”
Arrivò nel palazzo, lasciò da mangiare e subito tornò indietro.
Mentre camminava, sentì bisbigliare tutte e tre le serpi, che si erano riunite per assegnare il destino. Una disse:
“Che sia povera in ogni cosa.”
L’altra disse:
“Che non sappia lavorare.”
Ma la terza:
“Ebbene – disse – che abbia un’orribile pelle di rospo sulla bocca, e quando piangerà le salteranno rane dagli occhi, e quando sorriderà, lucertole.”
La giovane ritornò a casa, e non appena la strega la vide, si spaventò.
Da allora tentò di tutto per migliorare l’aspetto della figlia. La vestiva e la acconciava molto bene, ma lei restava comunque brutta.
La fanciulla orfana, intanto, filava in solaio. Accanto a lei c’era una finestrella molto piccola e lì vicino passava una strada. La ragazza apriva quella finestrina la sera – da lì brillava una piccola lucina, dove filava.
Una sera, passò di lì il principe, e vedendola dalla finestrina se ne innamorò immediatamente, perché la ragazza era molto bella. Quando piange, cadono perle dai suoi occhi, e quando ride, scendono dalla sua bocca pietre preziose e oro. Il principe bussò alla porta, ed entrato in casa chiese chi ci fosse in solaio. La strega però subito gli cacciò davanti sua figlia.
Oh, quanto è brutta! Il principe prese la figlia della strega, la fece salire in carrozza e la portò via. C’era un fiumicello molto fangoso di fianco alla strada. Si fermò e la gettò nel fango.
Quindi tornò indietro e questa volta salì in solaio. Lì trovò la fanciulla orfana che filava.
È così bella, così bella, pensava. Quando piange, cadono perle, e quando ride, scendono pietre preziose.
La portò via con sé, la fece sedere in carrozza, e giunto a palazzo la sposò.

.la orfana e la strega,

 

Un tempo non molto lontano si raccontavano ai bambini favole educative con l’intenzione, tramandata da secoli, di educare .a comportarsi bene, ad amare il prossimo, gli animali, coscienti che il bene viene sempre ricambiato col bene e il male col male. Ora non so se queste scenette di lettura ad un bimbo siano ancora attuali, mi chiedo comunque, se aldilà della metafora ci sia ancora qualcuno che creda al valore dell’onestà, del rispetto in questo mondo dove tutto quello che ci circonda racconta il contrario. La fortuna pare privilegiare chiunque vada controcorrente, chiunque non conosca morale e rispetto per se stesso e gli altri, nel quotidiano si vive allo sbaraglio non seguendo più alcuna logica, anzi la logica  è usata  per un solo fine, produrre ricchezza e denaro, unici dei da adorare, nel cui nome tutto è lecito.

La femminilità tra gli impressionisti…

 

Berthe Morisot nasce nel 1841 in Francia in una famiglia borghese. Il padre è un funzionario statale, la madre la pronipote del pittore Jean-Honoré Fragonard. A dieci anni, insieme alle due sorelle e al fratello, Morisot si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con un ambiente culturale in fermento, grazie anche ai genitori che rendono la propria abitazione un ritrovo di artisti.

In quegli anni le accademie erano ancora precluse alle donne, per questo i genitori di Morisot realizzano per le figlie un atelier casalingo dove far loro prendere lezioni di pittura .Nonostante lo studio dei grandi classici della pittura, Berthe Morisot dimostra un’insofferenza verso le convenzioni e le tecniche classiche. Per questo motivo grazie a conoscenze riesce ad inserirsi nell’atelier di Jean-Baptiste Camille Corot. Questi la spinge a dipingere en plein air e, in questo periodo, Morisot entra in contatto con  i grandi artisti dell’epoca .Nel 1868 Berthe Morisot conosce Manet, con il quale instaura una profonda amicizia.
I due artisti si influenzano a vicenda nello stile e Manet la sceglie anche come musa per alcuni dei suoi quadri.Qualcuno parla di una relazione tra i due, ma Manet è sposato e qualche anno dopo averlo conosciuto, Morisot sposa il fratello, Eugène Manet.Dopo il matrimonio, con il marito Morisot trasforma la propria casa in un ritrovo per intellettuali, dove vengono invitati anche artisti come Zola, Mallarmè, Rossini, Renoir, Daumier, Monet e Degas, e non smette mai di dipingere e sperimentare anche con altri artisti e nel 1873 si associa al movimento dell’Impressionismo, fondando con Monet, Pissarro, Sisley, Degas, Renoir e altri artisti la Società anonima degli artisti, pittori, scultori, incisori, ecc. Dopo una prima mostra in cui non viene accolta benevolmente nonostante le si riconosca talento e bravura, lei non si scoraggia e continua a dipingere ed a esporre fino a diventare una degli esponenti di spicco del movimento. Dopo di lei, al movimento impressionista si aggiungono le artiste Marie Bracquemond, Eva Gonzales e Mary Cassatt.I suoi lavori hanno spesso come protagonisti donne e bambini, in particolare sua figlia Julie Morisot, e nonostante Manet le suggerisca di utilizzare prevalentemente il nero, utilizza sempre colori chiari e pennellate veloci e leggere, tutti elementi caratteristici dell’impressionismo ,realizzando bozzetti preparatori e focalizzandosi sulle espressioni e sulle emozioni dei soggetti ritratti nelle sue opere. Berthe Morisot muore improvvisamente a soli 54 anni, nel 1895, a causa di una polmonite. Sebbene in vita il suo talento sia stato universalmente riconosciuto, lo stesso non avviene dopo la morte. Sulla sua lapide nella tomba della famiglia Manet infatti viene apposta la scritta “vedova di Eugène Manet”, senza alcun riferimento alla sua carriera di artista. Anche sul certificato di morte non le viene resa giustizia, viene infatti scritto che la donna risulta senza professione.
Omaggi al talento di Berthe Morisot sono stati fatti spesso nel corso degli anni. A lei è stato dedicato un film, realizzato da Caroline Champetier e basato sull’incontro tra la pittrice e Édouard Manet. L’artista ha anche un asteroide a lei dedicato, il 6935 Morisot.

il balcone

Sanremo sarà nella Costituzione Italiana…una modifica che non richiederà referendum .

Ci mancavano solo il presidente della repubblica, Sergio Mattarella e il giullare ufficiale delle istituzioni, Roberto Benigni, alla festa nazionale di Sanremo, che tra poco entrerà nella Costituzione, come luogo di Rifondazione della Nostra repubblica. Sanremo è la nostra Mecca.

Dopo giorni, settimane di sintomi preoccupanti, l’Italia  ha perso conoscenza. E’ entrata in un tunnel, in una sedazione profonda o forse peggio in una specie di coma para-canoro chiamato sindrome di Sanremo. Già nei giorni precedenti i tg della Rai avevano provveduto in modo massiccio a scimunire gli italiani con forti dosi di preparazione al Festival. Mezzo tg, sopratutto il tgUno, è stato per giorni un’auto-marchetta a ripetizione, della Rai alla Rai, in lode e gloria di Sanremo. In ogni telegiornale, sbrigate le marchette politiche d’ufficio, si passa tre volte al dì all’auto-marchettificio di fiction, personaggi e prodotti della Casa, a partire da Sanremo. Interrotti da spot pubblicitari su Sanremo, pellegrinaggi commossi e invasati verso la Mecca della canzone, anticipazioni e soffiate a mezzo stampa, interviste, preghiere e novene in vista dell’evento.
Poi dopo averne parlato per circa un anno, diciamo da un Sanremo all’altro, entriamo nella sala di rianimazione canora dove sono previsti cinque giorni di terapia intensiva. Il Festival quest’anno è stato preceduto da uno spot da guerra mondiale, che ha coinvolto l’Ucraina, la Russia e la Nato, Zelensky e Putin. Sanremo è la vetrina nazionale: ci andranno pure Cospito e Matteo Messina Denaro?
Non c’è più spazio per altro, tutto vale meno di un Maneskin o di una Elodie sul palco, i retroscena di Sanremo devono interessarci più della politica, i melomani oscurano i meloni. Ci sono ormai cinque sei filoni ossessivi e obbligati dell’infotainment sui temi politically correct e sugli anniversari di cui corre obbligo parlare all’infinito; e poi c’è Sanremo. L’unica variazione ai programmi sono le morti sopraggiunte, con i cortei funebri, i lungometraggi in memoria di, in onore di; le esequie in diretta, applausi a bara aperta, la gente che per poco non chiede il bis al morto, necrologi interminabili e untuosi su tutte le reti.
Ma l’unico evento pubblico e rituale che ormai surclassa il Natale e la Pasqua, le feste nazionali e le ricorrenze storiche, è Sanremo. E’ l’unica festività civile italiana che va in eurovisione o forse in mondovisione, non so bene, trasmessa pure dai cinesi coi loro palloni da spionaggio. Ed è una festa che dura ben cinque giorni, con cinquanta di preparazione intensa e trecento di elaborazione e ritiro. Il molesto Amadeus è diventato ormai il Presentatore Unico della nostra Tv, erede universale di Pippo Baudo, che fu Re d’Italia per un ventennio e più. Onnipresente, Amadeus ormai sostituisce il Presidente della Repubblica nei messaggi alla nazione, interpreta pure Zelensky e nei ritagli di tempo funge da Papa. Forse è per questo, per rimpiazzare Zelensky e per non lasciare il posto ad Amadeus, che per la prima volta un presidente, Mattarella, va in pellegrinaggio a Sanremo.
Sanremo è la capitale morale d’Italia, il luogo da cui si lanciano appelli e fiori, messaggi e trend, regole universali e transgeniche di condotta, e tutto il campionario dell’idiozia nazionale sfila in bella mostra. Il palco dell’Ariston è l’Altare della Patria dell’Italia d’oggi, ormai da decenni, con un’enfasi che ogni anno aumenta le sue dosi. San Remo ha scalzato san Francesco come santo protettore del nostro paese.
Non ho nulla contro il festival della canzone, nulla contro chi canta, contro chi ascolta, contro chi va in quel teatrino che dal vivo è di una miseria assoluta e quando arrivi davanti ti sembra una di quelle vecchie sale di serie b dove si facevano film scadenti di terza visione o a luci rosse oppure avanspettacoli di provincia con compagnie minori.
Nulla di male andarci, cantare, vederlo, lavorarci. Ma è l’esagerazione, la riduzione di un paese a buccia di Sanremo, a scatolone che contiene al suo interno questo teatrino. Quel che non si sopporta è la campagna massiccia h24, a 360 gradi, l’overdose di notizie sul festival, l’antefestival, il dopofestival, il criptofestival, il metafestival; l’infiammazione permanente di sanremite. Via, un po’ di senso della misura e delle proporzioni; non è la festa nazionale dell’Italia, il riassunto supremo della sua storia, arte, cultura e identità. Ma solo un mucchio di canzoni, un po’ di menate decorative e qualche intrattenimento; un programma televisivo come tanti. Solo più lungo, più largo, più grasso.
Fa male vedere un paese che sta facendo passi da gigante nel cancellare velocemente la sua identità, le sue tradizioni, la sua storia e la sua cultura; ma conserva, in modo artificiale, gonfiato, questo feticismo identitario di Sanremo, come unica autobiografia della nazione. Coi soliti presentatori, presidenti, direttori, che si congratulano a vicenda per i risultati raggiunti ogni anno, sempre record, senza precedenti. E i titoli dei tg che enfatizzano il numero degli spettatori, sacralizzano le performance che rimandano all’infinito, parlano riparlano straparlano, ci fanno vedere dietro le quinte, sotto le pance, in mezzo alle cosce, dentro gli orifizi posteriori, In un permanente backstage della banalità per suscitare morbosità. Suvvia, è solo una festa di carnevale come altre, come la sfilata dei carri allegorici di Viareggio o di Putignano, per dirne un paio. Sembra che l’Italia allegrona, canterina, giocosa festosa sciantosa si sia barricata lì, nell’estrema Liguria, e inondi il paese di euforica stupidità istituzionale. Via, sono solo canzonette.
Fatevi pure il vostro festival, ma per favore senza invasioni di campo nella vita seria del Paese e in ogni piega della nostra vita pubblica e perfino privata: chi vuol esser lieto sia, ma lasciate che siano gli italiani a cercare il festival e non viceversa, in quel modo epidemico e forzato. La coscrizione obbligatoria è già controversa quando riguarda la difesa della patria, figuriamoci se viene imposta per non disertare la chiamata di Sanremo.

 MV

Fiori…

‏Fiori

Certi uomini non ci pensano mai.
Tu sì. Ti presentavi alla porta
dicendo che mi avevi quasi portato dei fiori
ma qualcosa era andata storta.

Il fiorista era chiuso. O un dubbio ti assaliva
di quelli che sorgono all’infinito
a tipi come noi. Forse, pensavi,
io i tuoi fiori non avrei gradito.

Sorridendo allora ti avevo abbracciato.
Solo il sorriso mi resta ora.
Ma guarda, i fiori che avevi quasi portato
durano tuttora.

Wendy Cope

 

fiori che

Frederick Judd Waugh, Rum raw, 1922

Perchè non siamo capaci ad essere felici?

 

Noi abbiamo veramente bisogno di poche cose per essere felici, ma non ce ne rendiamo conto fintanto che anche sola una di queste viene a mancare. Se perdi la vista,tu puoi avere tutto il potere del mondo, ma ti rendi conto che non sarai mai più te stesso, che la tua vita dovrà essere reinventata di sana pianta, che niente di quanto sognavi di fare e non potevi , e per questo era fonte di infelicità, altro non era che una cosa voluta, e per questo l’infelicità  dipendeva da te. Se ci viene da fare questi ragionamenti in momenti della nostra vita quando la realtà ce lo impone, allora perchè trascorriamo troppo tempo beato, quel tempo in cui non manchiamo di nulla di necessario e utile per vivere felici, alla continua ricerca dell’infelicità, che ci procuriamo con l’invidia, con la presunzione, con l’egoismo di possedere sempre di più, con la quasi certezza di poter contare sempre sulla nostra determinazione, e non mettiamo in conto che potrebbe esserci quell’attimo, che, senza ucciderti, mette la parola fine a tutto quello a cui eravamo abituati.

Un pensatore Zen dice:” Noi non abbiamo bisogno di nulla per essere felici, ma abbiamo bisogno di tutto per essere tristi.

felicità e tristezza

Che gente…che mondo…

odio la Iuve

Oggi sono sconvolta da quanto ascolto e leggo sui media. Prima di tutto mi schifa quel Pm, che si vanta di essere anti Iuve e tifoso del Napoli. Come può essere credibile un simile essere che finisce sui giornali per queste cose, dopo essersi intrufolato nella faccenda Juventus, anche se dice: “e giustamente mi sono fermato lì.” Dovrebbe vergognarsi perchè il suo comportamento è l’ennesima provocazione ipocrita della giustizia nei confronti degli Italiani, che ancora credono in una Istituzione, che dovrebbe essere super partes, e che ha il coraggio di rifiutare e contestare una Riforma.
Il secondo argomento riguarda il tremendo sconquasso, che la terra ha provocato in Turchia e Siria. Identico terremoto,vittime e danni di serie A e serie B a seconda se si tratti di un paese amico, non amico della Russia, non sotto embargo per motivi geopolitici- Ho sempre creduto che la specie umana fosse una sola, di qualunque etnia, colore, lingua, religione e credo politico facessero parte gli uomini. Ho sempre creduto che la vita umana avesse lo stesso valore, in quanto vita da salvaguardare, l’unico dono di Dio , insieme alla morte,identico per tutti, e invece scopro che non solo si nasce e si muore soli, ma molta gente, troppa, viene sempre dopo quei pochissimi privilegiati, che la sorte ha posto dalla parte giusta di fronte a certi eventi, in certi periodi storici. Ho scoperto che per fornire aiuti si deve fare una specie di offerta e non sempre questa viene accettata. Aiutare perchè è un nostro bisogno, un sentire di compassione con chi soffre e ha perso tutto non è possibile ,se non si ha la forza economica di agire indipendentemente. Ecco perchè il mondo va tanto male, tutta la troppa organizzazione ha molto più interesse economico che efficienza e umanità. In Siria stamattina c’erano soltanto quei pochi soldati russi di stanza nel territorio attivati nei soccorsi ai terremotati.Che meraviglia questo mondo, dove si scopre ogni giorno che si vive solo di denaro e tante tante chiacchiere…. e a San Remo si canta..tanto per cantà!

placca anatolica

L’Ageismo é la nuova malattia…

 

L’ageista è l’odiatore più impunito. Se insulto un cinghiale rischio il linciaggio mediatico, posso però dire tranquillamente a una persona che è troppo vecchia per dire, fare, baciare… testamento compreso, con implicito augurio di sprofondare nella fossa dove ha già messo un piede. Nessuno mi arresterebbe per questo, nemmeno sarei multato. Non ci sarebbero cortei, proteste, petizioni e nemmeno denunce di comitati di rappresentanti della terza e quarta età, che si appellano alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che dal dicembre 2000 vieta espressamente qualsiasi forma di «discriminazione basata sull’età». L’ageismo non è contemplato tra i comportamenti socialmente riprovevoli, forse nemmeno perseguibile a termini di legge se si limita a scritti o parole. Sarebbe forse il caso di chiamare la discriminazione per i giovanilmente svantaggiati “gerontofobia”, forse allora sì che si potrebbero indire campagne civili per stanare il gerontofobico che cova in noi. Ogni persona in odore di gerontofobia si giustificherebbe subito affermando di avere tantissimi vecchi tra i suoi amici.

Avevo vent’anni circa quando dissi per la prima volta «sei un vecchio» a mio padre, con un tono aspramente dispregiativo. Ricordo ci rimase molto male e me l’ha rinfacciato ancora per parecchio. Credo bene che se la prese, al tempo lui aveva 48 anni, gli stessi che avevo io vent’anni fa, quando rispetto a oggi ero un bambino. Il breve aneddoto è per far capire che dall’ageismo si guarisce solo invecchiando, il disprezzo per l’umano vecchieggiante fa parte della catena di omicidi simbolici che, una volta usciti dalla fase preadolescenziale di bambini che amano i nonni, necessariamente alluciniamo per scongiurare il terrore di retrocedere alla fase di autonomia limitata, che comporta il rimbambinimento senile. L’anziano è percepito, da chi è oggettivamente giovane, come appartenente una stirpe aliena. E’ capitato a tutti, compresi quelli che oggi sono decrepiti. E’ comprensibile; con gli anni il nostro aspetto cambia radicalmente, cambia il nostro modo di parlare, di guardare, cambia il nostro odore. Occupiamo lo spazio in maniera diversa perché cambiano i nostri tempi di nel percepirlo e attraversarlo. Sembriamo per questo visitatori che vengono da galassie remote, non abituati a gestire la gravità a cui è sottoposto il genere umano.

Come può il vecchio salvaguardarsi da questa legge non scritta? Quella cioè che ci porrà prima o poi tutti inevitabilmente in una categoria di discriminati? Nulla può. E’ fatale, si diventa vecchi. Chi non lo diventa significa che muore prima e non è certo una consolazione. Quando però si cominciano ad avvertire i primi sintomi di quella malattia, che se siamo fortunati ci porterà alla tomba, ci sono molte cose che è meglio non fare. Per prima cosa direi che è inutile mascherarsi da giovani. Meglio vecchi a tutti gli effetti, che vecchi patetici. Vale naturalmente per vecchi maschi, femmine, gender fluid di ogni categoria. La cosmesi della vecchiaia è un rivelatore spietato di pavidità. Si accetti eroicamente che il proprio tempo comincia a essere agli sgoccioli. Ci sono passati quasi tutti, meglio farsene una ragione che consumare ore e giorni nel disperato restauro fisico, o nella rincorsa allo spirito della contemporaneità, che non capiremo mai nella sua vera essenza. La nostra dimensione ideale si nutre di nostalgia, non vale la pena di cercare di arrampicarsi sulle impalcature mentali su cui potrà scorrere il futuro.

Seconda trappola da evitare è quella di citare esempi eccelsi di genialità decrepite che hanno fatto la storia. Scienziati, pensatori, artisti, poeti… Sono una percentuale minima di sopravvissuti nell’intelletto, talvolta anche nella carne, allo spappolamento fisiologico. Non fanno testo sono felici eccezioni, nature extra ordinarie, persone con virtù eroiche al limite della santità, che come è noto preserva persino le salme dalla putrefazione. La maggior parte dei vecchi sono lagnosi, ancorati al loro passato, arrabbiati nel vedere la moltitudine che sopravvivrà alla loro fine. I vecchi non mollerebbero mai quello che si sono conquistati, non lasciano spazio ai giovani, si zavorrano con le unghie alla terra per non esserne inghiottiti. Lo so che quello che sto scrivendo è una bieca manifestazione di ageismo del più vile. Sono vecchio anche io però.

E’ proprio il bello d’esser vecchi poter gridare quanto sia orribile la vecchiaia, senza che qualcuno ci dica che siamo dei giovani ingrati e scellerati. Al massimo diranno che siamo dei poveretti, anche un po’ rincoglioniti. Meglio così; solo se riusciremo a ispirare compassione ci salveremo da chi pensa che è ora che molliamo, dall’indifferenza di figli ingrati, dal disprezzo di chi vorremmo ancora come amante, dalla rabbia di badanti schifati della nostra misera incontinenza. Poi naturalmente continueranno tutti a dire che la vecchiaia è bella, lo fanno però solo per vendere adesivo per dentiere, presidi per la verecondia, crociere in bassa stagione. Solo da qualche anno c’è qualche speranza per alcuni vecchi di tipo “comune” particolarmente fortunati. Sono quelli che invece che essere buttati nell’indifferenziato vengono riciclati per i casting di Maria de Filippi, di Mara Venier, di Barbara D’Urso, di qualche talk del pomeriggio in di tutta la tv crepuscolare pubblica e commerciale.

anziani

Il buio che si può vincere.

 

Nessuno può cadere tanto in basso a meno che non possieda una grande profondità. Se una simile cosa può capitare ad un uomo, essa cambia il suo meglio e il suo massimo nel suo opposto. E questo significa che quella profondità significa una potenziale altezza, e la più nera oscurità una luce nascosta.

Carl Jung

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