Fra me e me…

 

 Una canzone può portarti indietro di mesi o anni in soli tre minuti; credo che certe fotografie oltre a fermare il tempo, siano in grado di fermare anche il mondo intorno quando le riprendi in mano, anche sbiadite e ingiallite; ho l’impressione che ,ritrovarmi tra le pagine di un libro, mi faccia pensare di non essere l’unica a provare certe cose. Credo che l’amore di una sola persona conti più del disprezzo di centomila ,come nelle seconde possibilità per un mondo migliore. Rimanere in silenzio con chi ami senza provare imbarazzo è una delle sensazioni più belle che si possano provare ,poichè si tacciono spesso troppe cose per imbarazzo. Mi piace sorridere per compiacimento , rido di rado, ma quando mi capita è sempre una di quelle risate così forti da farti arrivare a piangere di gioia- Sono certa che innamorarsi al punto di esserlo ancora, nonostante la morte, sia talmente grandioso  da convincermi che insieme siamo stati qualcosa di meraviglioso e che la cosa più bella è che ci abbiamo creduto tutti e due.. così il tuo ricordo è il tuo abbraccio nascosto in ogni mio respiro.

insieme

La dittatura woke contro la libertà e la civiltà…

 

L’Occidente è in guerra con l’Est – russo, medio ed estremo oriente – e con mezzo sud del mondo. Ma è in guerra prima di tutto con se stesso. Se non credete alle analisi e alle critiche, leggete le testimonianze dirette e le biografie. Dunque, parliamo di una ragazza veneta, progressista e radicale, che va a studiare negli Stati Uniti. E’ una storia esemplare che racconta la realtà e annuncia come finirà da noi, imitatori pappagalleschi degli americani. La ragazza partì per uno stage negli Stati Uniti quindici anni fa, poi rimase a svolgere un lavoro culturale in un’istituzione italo-americana. Ora che ha superato i quarant’anni non ce la fa più a vivere sotto la dittatura woke, che si è fatta irrespirabile, minacciosa, oppressiva, soprattutto per i bianchi e gli eredi di civiltà europea. “Qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos”. Nelle prove d’ammissione ha dovuto scrivere un saggio preliminare di buone intenzioni, non circa il suo impegno negli studi ma contro il razzismo. Ovvero, non deve solo ripudiare il razzismo ma deve anche impegnarsi a militare contro il razzismo. Non ogni razzismo, perché la cultura woke sostiene che ci sia un solo razzismo, quello dei bianchi occidentali verso i neri, i latinos e gli asiatici. All’inizio del master ha dovuto scusarsi con i compagni di corso coloured; e non per una colpa reale e specifica, ma per il fatto di essere bianca, occidentale, e dunque portatrice insana di razzismo. A settimane alterne, riferisce la donna, i bianchi devono fare anche un corso di contrizione, chiamato White accountability, responsabilità dei bianchi, in cui si devono sottoporre a un umiliante interrogatorio di due ore per rispondere del loro razzismo, pur latente, e pentirsi. Parallelamente i suoi colleghi di studi afroamericani si riuniscono in Spazi neri e sicuri, Black men (o Women) safe space, per coltivare la loro identità e denunciare le microaggressioni subite dai colleghi bianchi. In cosa consisterebbero queste “micro-aggressioni”? Frasi considerate offensive e vietate, anche se al buon senso e all’esperienza di sempre, appaiono del tutto neutre e innocue. Gli esempi rendono meglio l’idea di quale follia masochista e giacobina stiamo diventando vittime: mai chiedere a un collega di colore da dove proviene perché quella domanda implica una discriminazione etnica; guai a citare a un nero la parola campo di studi perché può alludere ai campi di piantagione di cotone e dunque allo schiavismo dei suoi avi; o può evocare l’attività bracciantile di suo nonno messicano. E se cadi in quell’errore ti devi subito scusare e fare autocritica, ripudiando il “privilegio bianco” che ti ha fatto sbaglia  Alla Columbia University, dove hanno insegnato fior di docenti (anche il nostro Giuseppe Prezzolini), il mantra è nell’acronimo Prop, che sta per Potere razzismo oppressione privilegio. Naturalmente il bianco è iscritto d’ufficio, per ragioni razziali – è il caso di dire -alla categoria del razzista oppressivo e privilegiato; e gli altri per ragioni etniche alla categoria di vittima dei succitati. Dietro quell’etichetta c’è un’ideologia dominante, la critical race theory, eletta ormai a bibbia delle università americane.   E con gli ebrei? Si distingue, se sono di origine est-europea e dunque ashkenaziti, rientrano tra gli oppressori, se sono sefarditi di origine orientale sono tra gli oppressi. Analoga divisione vige sul piano geostorico: sul versante storico gli ebrei sono le vittime per eccellenza, sul versante geografico in quanto israeliani sono i carnefici per antonomasia.   E se partecipi ai gruppi di volontari che aiutano immigrati clandestini, poveri e homeless, ti devi sincerare che a guidare il collettivo non sia una bianca, altrimenti è neocolonialismo.  Poi dice che uno vota Trump… Ma per forza, per esasperazione.  Ma tu come lo sai, da quale fonte, da quale blog pieno di fake news hai ricavato questa storiella? Non è farina dei social né mia personale; la fonte è il Corriere della sera  del 4 marzo  e l’autore è un noto e credibile giornalista “di sinistra”, Federico Rampini; è lui che ha incontrato la ragazza e ha riportato questa testimonianza.  Il problema, come capite, non riguarda le disavventure di una singola persona malcapitata; è l’orizzonte prevalente negli Stati Uniti e a rimorchio, dell’Occidente intero, Italia inclusa. Noi siamo un paese piccolo, gli Usa ci sovrastano, e come si sa, ci baciano in testa quando siamo allineati; ma sono pronti a schiacciarcela se non la pensiamo come loro.  Quel clima irrespirabile, che pure il Corriere chiama dittatura, non vige solo nei salotti e nei circoli radical chic di New York ma nelle scuole e nelle università, nei media e nelle istituzioni, nei tribunali e negli uffici, nella comunicazione social e nei rapporti interpersonali; obbligati a norma di legge e di cultura a vergognarsi della nostra civiltà, storia, religione e identità e della nostra pelle. Costretti a sentirsi inferiori, in debito, in penitenza, rispetto a chiunque provenga da altri mondi. E non abbiamo aperto l’altro capitolo della dittatura, quello riguardante l’omofobia, il femminismo, il lessico corretto e il sesso in transito… La ciliegina sulla torta e insieme il paradosso di questa dittatura è che mentre in casa vige questa legge autolesionista e questa ideologia “vergognista”, poi a livello di politica estera, lo stesso Paese, con gli stessi protagonisti dem, cioè liberal, radical e progressisti, pretende di essere l’Arbitro del mondo e minaccia guerre, armi, interventi e sanzioni dappertutto.

La dittatura woke, imperniata sul politically correct e la cancel culture, sta distruggendo rapidamente una civiltà che si è formata nei millenni. Se fate attenzione vi accorgete che si sta insinuando velocemente anche da noi, in tema di razzismo, gender e affini; di solito si eludono i divieti o li si accettano passivamente, per furbo quieto vivere, per non affrontarli e criticarli. Ma prima o poi diventeranno soffocanti come una cappa, e saremo anestetizzati. Allora sarà troppo tardi per capire e per reagire.

Marcello Veneziani

La tradizione… lemma da rigettare?

Che cos’è la tradizione. Ci vorrebbe un libro per spiegarlo, e spiegarmelo (…). Si parlava di tradizione gastronomica che oggi sembra l’unica tradizione possibile. Meglio che niente, e però ce ne sarebbero molte altre: la tradizione onomastica (figli con i nomi dei nonni), la tradizione liturgica (messe in latino), la tradizione architettonica (case con scuri o persiane, chiese a forma di chiesa)…
Oggi la tradizione, qualunque tradizione, viene percepita come un fatto sentimentale, peggio, nostalgico. La tradizione come passatismo, ed è l’accezione di Pasolini: “Io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio amore”.
Proposta così è del tutto naturale che a un giovane la tradizione disgusti. Mette tristezza anche a me. Allora questa tradizione prima che un sentimento va considerata un patrimonio. Un patrimonio materiale, non troppo diverso dal patrimonio immobiliare che invece non disgusta nessuno, nemmeno i giovani: fa comodo a tutti l’appartamento di nonna…La tradizione va perpetuata perché è fonte di senso e al contempo di reddito.
Venendo al cibo: i locali alla moda passano presto di moda, le trattorie tipiche prosperano di generazione in generazione.

Camillo Langone__IL FOGLIO

 

OIG4.

Cos’ è un segreto; e anche la nostra privacy dovrebbe esserlo, in un paese civile, come pare non esserlo il nostro, nonostante si professi come una democrazia, che ignora , tuttavia, il significato della parola libertà-

Che cos’è un segreto?

Dal latino: secretum da secernere mettere da parte, da se- e cernere: separare. Un segreto è quindi qualcosa di privato che si mette al riparo dal pubblico, separato e nascosto agli altri, che non viene rivelato e condiviso. Volendo possiamo anche prendere in considerazione le parole latine mysterium e arcanum.

Arcanum: non conosciuto, ma conoscibile.

Mysterium: non conosciuto, non conoscibile.

Quindi oggi se ti svelassi un mio segreto, verresti a conoscenza di un arcano o rimarrebbe tutto un grande mistero? Possedere un segreto vuol dire essere proprietari e arbitri tra ciò che è pubblico e ciò che è riservato. Essere a conoscenza dei segreti altrui significa disporre del potere della conoscenza e della possibilità di usarla a piacimento. La segretezza esclude da questa conoscenza e dal suo potere. Qui il paradosso del segreto. Per quanto sia qualcosa che si voglia nascondere esiste anche la possibilità di rivelarlo a terzi che  lo custodiranno a loro volta o ne faranno una potente arma.
Il grande potere del segreto sta nella possibilità che il contenuto dello stesso possa essere rivelato e conosciuto. In questa intrinseca trama tra potere e segreto emerge appena l’affascinante arte del silenzio, come decisione di non pronunciarsi, di selezionare cosa dire e cosa tacere, di negare risposte. Il vero potente che si serve del segreto, lo controlla sfruttandone il potenziale nelle molteplici circostanze delle relazioni umane. Adesso mi sembra opportuno parafrasare Oscar Wilde: “date una maschera ad un uomo, e vi mostrerà la sua vera identità”.
Dopo il paradosso, la puoi far indossare perfettamente sia a colui che nasconde un segreto, sia a chi ne potrebbe venire a conoscenza. E ora che ho capito, anche con riferimento ai recenti fatti di dossieraggio, visto che siamo tutti ostaggi di questa tecnologia mortifera per la privacy di ognuno di noi, dobbiamo imparare a spiazzarla, nascondendoci il più possibile in questa realtà, che diventa ogni giorno più invivibile per chi abbia ben chiaro il concetto di libertà, anche a costo di essere fuori moda.
Stai aspettando ancora il mio segreto?!

Logo_del_Sistema_di_Informazione_per_la_Sicurezza


 

“Fiorita di marzo” di Ada Negri: la poesia della giovinezza in fiore…

Quando scrisse i versi di “Fiorita di marzo” Ada Negri aveva quasi quarant’anni. Forse per questo la poesia appare come un rimpianto della giovinezza perduta poichè la poetessa fa una descrizione della primavera, evento dirompente, di osservazione. La stagione “nuova” portata dal mese di marzo diventa una metafora. Il miracolo della primavera si ripete ed è un dolce languore di fiori che sbocciano timidi al primo sole, emanando un profumo inebriante e tuttavia fugace. Il vero tema della poesia di Negri non è l’elogio del trionfo della primavera, ma la fuggevolezza del tempo, come si evince dal primo aggettivo presente nel verso di apertura: “breve”.
La primavera descritta da Ada Negri dura il tempo di una fioritura, è un fragile fiore in boccio insidiato dal primo alito di gelo, proprio come l’innocenza della giovinezza che presto cede il passo a una consapevolezza nuova, a un risveglio amaro che permette un’effettiva presa di coscienza della realtà. Sono versi venati di rimpianto, scritti per celebrare più la giovinezza perduta che il mese di marzo

“Fiorita di marzo” di  Ada Negri:

La fioritura vostra è troppo breve,
o rosei peschi, o gracili albicocchi
nudi sotto i bei petali di neve.

Troppo rapido è il passo con cui tocchi
il suolo—e al tuo passar l’erba germoglia
o Primavera, o gioia de’ miei occhi.

Mentre io contemplo, ferma sulla soglia
dell’orto, il pio miracolo dei fiori
sbocciati sulle rame senza foglia,

essi, ne’ loro tenui colori,
tremano già del vento alla carezza,
volan per l’aria densa di languori;

e se ne va così la tua bellezza
come una nube, e come un sogno muori,
o fiorita di Marzo, o Giovinezza!…

 

 
monet-campo-di-fiori

Claude Monet___ Prato fiorito

La primavera cantata da Ada Negri è connotata da un forte sentimento di perdita: i versi sembrano scorrere attraverso le dita, fluire come acqua, sono inafferrabili, imprendibili, in perpetua fuga. Sembra una sinfonia di passaggio, un interludio. La stagione portata da marzo, il più instabile di tutti i mesi, in effetti è fugace, repentina, la meno stabile di tutte: non ha la lunga permanenza del gelo dell’inverno né il furore accecante ed eterno dell’estate che trascina il mondo in un limbo. La primavera è una stagione di passaggio, di durata breve, dal tempo incerto di nuvole e sole. Per queste ragioni la poetessa la associa alla giovinezza, che è l’età della vita in cui l’essere umano è più fragile, incompleto, incerto, eppure ha in sé tutte le energie per affrontare il futuro, proprio come quei fiori in boccio che si schiudono a fatica sotto la sottile coltre di neve illuminata da una luce timida che ancora non scalda. La metafora governa l’intera poesia, ma solo nel finale ci viene svelata nella sua trionfante verità con un’apostrofe che è anche una personificazione: “o Giovinezza!”. E allora capiamo che quello che l’autrice voleva dirci, in realtà, era un’altra cosa, che nei suoi versi scorreva un pianto che non si vede, le sue parole sono quasi un grido dell’anima, che non tace più. Nei fragili fiori di marzo Ada Negri scorge, dalla soglia della propria età ormai matura, il proprio “tempo perduto”. Un tempo era stata anche lei una jeune fille en fleur, un’ardente e delicata creatura della giovinezza; ma quel momento è passato per sempre, è stato un attimo, tanto che ora lei stenta a credere che sia mai esistito, lo ricorda con i contorni sfocati e indistinti di un sogno. La conclusione difatti è lapidaria: “come un sogno muori”.

fonte Solo Libri.net

Il diario…

 

Fin da piccola, dalle prime emozioni percepite come tali, ho sentito il bisogno che  non andassero perdute, mi piaceva conservare per il giorno dopo i fiorellini raccolti, oppure qualche pietruzza colorata.  Da che imparai a parlare con me stessa usando la penna, da che ho memoria, avevo sempre un quaderno, un’agenda con me. Iniziai senza avere un ordine cronologico, appoggiavo dei pensieri su spazi vuoti, a volte morivano là senza tante cerimonie, a volte i pensieri si arricchivano di ghirigori, di foglie, fiori, intrecci di volute e segni di matita, che prendevano forma attraverso sforzi di fantasia, a volte li trasformavo in piccole storie. Crescendo i quaderni furono agende e l’agenda divenne una specie di ordine temporale per quei pensieri arruffati di vento, di pioggia e di sole.  Poi le agende divennero panciute, inglobarono piccoli fogli, scontrini da conservare, ricordi sotto forma di biglietti da visita e ancora pensieri cerchiati, orari posticipati, frecce nervose tracciate su appuntamenti pesanti. Brani di testi, che mi avevano colpito, che sentivo miei e non volevo andassero perduti ,diventarono presto lo scheletro di questi miei pensieri indimenticabili, che alternavo con emozioni  particolari da appuntare per capirne i motivi e confrontarle. Andò avanti tanti anni e ancora oggi ho un’agenda con me, la sfoglio nelle sale d’attesa, nei momenti sospesi, nel tempo che aspetta di riempirsi d’altro. Dentro biglietti di cinema, ricette, lista di cose da fare, da comprare, da ricordare. Fogli piegati come segnalibri per ricordare qualcosa. A volte ci trovo in mezzo una penna dimenticata, a volte delle persone. E’ il fardello della mia vita, che mi porto appresso, un compagno piacevole nei momenti vuoti, fuori casa, quando non uso il PC per aiutare le mani stanche, anchilosate, che faticano a scrivere a mano, ma  che, ancora devono annotare pensieri, brani, ed emozioni  qui.

diario-segreto-benefici-1589540178

Felicità o serenità?

 

La felicità di certo è il massimo che ognuno possa volere, infatti con se porta il tutto ;tuttavia non mi piace concentrarmi su di essa.Penso sia più importante il concetto di serenità e armonia. Il concetto di felicità presuppone una gioia incontenibile, che si desidera esternare mostrandola a tutti , abbracciando, sorridendo, dicendo anche apertamente -sono felice- palesando la meraviglia di quello che si prova. Basterà comunque un nulla, per quanto piccolo , ma doloroso possa essere , a distruggere tutto in un attimo.
Invece la serenità è una cosa completamente diversa, lo star bene presuppone la disponibilità d’animo e di pensiero all’accettazione del nostro quotidiano, come inevitabile componente della vita e come riconoscimento dei nostri limiti nel suo confronto, nonostante ogni sforzo. In questo modo si riesce a vivere in armonia non solo col mondo , che ci circonda, ma anche con noi stessi e a collezionare con cura nel cuore ogni momento di felicità.

OIG4

La Sardegna del 2040 come quella di D’Annunzio…

 

“Pittoresca e sostenibile, proprio come la visione della nuova presidentessa Todde, in una regione fra le più povere d’Italia e d’Europa, con le scuole che cadono a pezzi..”

Così inizia un articolo di Camillo Langone su IL FOGLIO, uno di quei brevi articoli, che adoro, senza ideologie specifiche, ma  semplicemente ovvii, ossia la testa e il buon senso che si esprimono-

 Sardegna, voto di povertà. Sottraendo tempo a più amene letture ho studiato il programma elettorale della presidentessa che chiamo così anche per far rima con giudicessa, titolo di Eleonora d’Arborea, grande sarda di grande anticonformismo, laggiù nel Medio Evo. Di grande conformismo è invece se non la neoeletta il suo programma, e basti il lessico ridottissimo e pappagallesco: “inclusione”, “inclusione”, “inclusione”, “sostenibile”, “sostenibile”, “sostenibile”… E di grande pauperismo, come se in una regione fra le più povere d’Italia e d’Europa, con i seggi allestiti nelle case private perché le scuole cadono a pezzi, scarseggiasse la penuria. La coalizione di centro-sinistra punta sulla transizione energetica “mirando a neutralità climatica e indipendenza dalle fonti fossili entro il 2040”. Essendo le fonti fossili le uniche a garantire energia sufficiente e conveniente ho pensato che la Sardegna del 2040 potrebbe somigliare alla Sardegna del 1882, quella visitata da Gabriele D’Annunzio: “Ripenso a Selargius dalle case di fango, dove vive solo un lamento intorno a una mola consunta ch’era girata da un asinello bendato”. Tutto molto pittoresco e sostenibile.

Sardegna

Alessandro, la gloria finisce in un bacio gay…

L’Occidente comincia con Alessandro Magno e finisce con lui. Fu lui il primo a demarcare i confini tra Oriente e Occidente, a combattere i persiani, a sentirsi erede di Achille che assedia con gli altri achei Troia, simbolo dell’Asia Minore. Fu lui il primo imperatore, il primo Caesar precursore dei cesari romani, a spingersi fino in India, a unificare gli occidenti, dalla Grecia a Roma, che si sottomise a lui e da lui apprese la vocazione imperiale. Fu lui, Alessandro dai capelli rossi e ricci come un Sinner dell’antichità, a segnare simbolicamente l’atto costitutivo dell’Occidente, la decisione di tagliare il nodo di Gordio, altrimenti insolubile da secoli. La supremazia dell’Occidente fu in quella decisione-recisione, il primato dell’agire sulla pazienza di sciogliere, l’azione risoluta che spezza la profezia oracolare e secolare legata a quel mitico nodo. Ne scrisse millenni dopo Carl Schmitt. Fu lui, Alessandro, a fondare l’egemonia, definito – come suo padre – Hegemon della Lega ellenica. Ma nell’Occidente contemporaneo, che è passato da Callistene e Plutarco a Netflix e al gay pride, Alessandro Magno è l’imperatore gay che ha una tresca col suo generale Efestione; del film resta per l’immaginario collettivo dello storytelling occidentale il loro bacio omosessuale. Qui finisce l’Occidente, nel politically correct, a cui seguirà qualche altro racconto su Alessandro l’Inclusivo, l’Accogliente coi migranti, che abbatte i confini perché sogna un mondo di eguali, senza frontiere, non solo sessuali. Eppure Alessandro era grande per ben altre, eccezionali imprese, senza precedenti nel mondo antico. Aveva vinto battaglie e conquistato terre lontane, in rapporto al suo tempo, aveva unificato sotto il suo scettro popoli e aveva fondato il primo impero d’Occidente. Alessandro il Macedone era grande perché aveva avuto come precettore il più grande filosofo della sua epoca, e non solo, il maestro di color che sanno, il grande Aristotele, che fu il suo primo spin doctor e influencer, altro che Fedez e Casalino. Alessandro bambino era già così risoluto e capace da domare il mitico cavallo Bucefalo, che lo accompagnò in tutte le sue battaglie per tutta la sua breve vita, e anche dopo, al suo funerale. Alessandro fu il primo uomo di potere che blandì un intellettuale e gli offri qualunque cosa per ingraziarselo e dargli un riconoscimento. Ma ebbe la sfortuna di incorrere in Diogene il cinico, che viveva come un cane e un barbone, per strada; e quando l’imperatore si parò davanti, e gli chiese cosa potesse fare per lui, la risposta del pezzente fu grandiosa: Scostati dal sole. Ossia l’intellettuale non chiedeva onori e ricchezze, ma che l’Imperatore lo lasciasse libero di godere la luce del sole, che non gli facesse ombra. La richiesta del filosofo fu di non frapporsi tra lui e la luce, il calore dei raggi, lo splendore della visione del mondo illuminato dal vero signore dell’universo. Fu la più grande lezione di libertà e umiltà di un filosofo, la fondazione del pensiero libero. E Alessandro, che si rivelò veramente grande, non si irritò per l’insolente risposta, come era nel suo temperamento irruento, e per il rifiuto che l’ultimo uomo, più povero e impotente della terra aveva opposto al primo, più grande e potente uomo del mondo. Ma commentò che se non fosse Alessandro avrebbe voluto essere Diogene. Una lezione che vale anche oggi, che il potere occidentale è alla frutta.   Ma di Alessandro oggi si racconta, si fanno le fiction, perché è considerato il precursore dell’amore gay, l’archetipo politico-militare dell’omosessuale; non solo i filosofi dell’antichità, ma anche i grandi condottieri, gli imperatori sono ormai riconosciuti solo se hanno qualcosa che sia woke, omo, al passo dei nostri giorni.  E poco importa aggiungere che Alessandro ebbe anche grandi amori etero, ebbe figli e ben tre matrimoni, pur essendo morto giovane, all’età di Cristo. Quel che importa sottolineare è che aveva una love story con Efestione, come si dice di Achille con Patroclo: quel che importa è ridurlo al nostro presente, alle sue ossessioni, ai suoi piccoli ma tenaci pregiudizi. Netflix, come già aveva fatto con Cleopatra, si inventa un Alessandro paladino e precursore Lgbt. E sforna un “Alexander: the making of a God” allineato ai più beceri conformismi woke dei nostri giorni. Il ministro della cultura del governo conservatore greco, Lisa Mendoni, oltre a sottolineare le numerose inesattezze storiche e la scarsa qualità della fiction, coglie il nodo “gordiano” della questione: non possiamo interpretare le pratiche e le persone di 24 secoli fa, applicando il nostro metro attuale. Quello è in effetti, al di là del feticismo lgbtq+, il problema: la riduzione di tutta la storia, nei suoi millenni, nelle sue grandezze e tragedie, al metro piccino dei nostri giorni; quello che viene chiamato presentismo o meglio egocentrismo del presente. Peccato che lo stesso governo conservatore greco si sia adeguato alla ventata woke introducendo i matrimoni omosessuali. Al di là delle possibili obiezioni, c’è un argomento preliminare: se la gente ha deciso di votare per un governo conservatore anziché progressista, è perché vuole vedere tutelati e difesi alcuni valori, alcune distinzioni e priorità, alcune salvaguardie, come per la famiglia naturale e tradizionale. Altrimenti voterebbe direttamente per i progressisti. Ma al cinema, a teatro, in tv, ormai è tutta un’orgia woke: del passato si parla solo se allude all’oggi, in modo correct. La storia dell’occidente finisce in un attimo fuggente…

Marcello Veneziani                                                                                                           

Benefici errori..

 

Certe volte bisogna prendere le decisioni sbagliate, perché quelle giuste sono tali solo col senno di poi. Ma noi viviamo adesso, non poi. E bisogna imparare a sbagliare bene, a fare gli errori giusti, e magari a non rifarli più. O a rifarli altre centro volte, dipende. Chi non sbaglia mai non è saggio. È morto. Sbagliate, e fatelo continuamente. Col cervello, convinti di ciò che comporterà, e se ci saranno conseguenze, felici di incontrarle. Perché gli errori giusti esistono. Sono momenti trasparenti di libertà che ci permettiamo di prendere per seguire noi stessi. Perché la coerenza, come la definisce la gente, non esiste. Cosa c’è di più coerente del dar retta ai propri istinti? Chi l’ha detto che se anni fa eravamo contrari ad una cosa, ora non possiamo farla? Chi è il giudice? Dov’è il tribunale? Ascoltatevi. Assecondatevi. Pentitevi.Vivrete,allora, una vita intera sapendo di aver fatto una marea di scemenze, certi però di essere stati davvero voi stessi, di aver vissuto una vita che è appartenuta a voi,e a nessun altro.Irripetibile. Unica. Vera

errori benefici