Nature style…

C’è qualcuno, un creativo, uno stylist che abbia idee migliori della natura per vestire le sue creature ? Penso proprio di no, anzi, sono convinta che ogni forzatura dell’uomo sulla natura stessa non sia altro che un disastro. Se ci guardiamo intorno, e pensiamo a quanto la terra abbia fatto da sola,  migliorando certe condizioni ,solo coll’intuito e il buon senso  dell’uomo, rimamendo lì, a disposizione dell’umanità per milioni di anni, intatta, e guardiamo attentamente a quanto danno  sia stato prodotto da quello che chiamiamo progresso, negli ultimi due secoli, mi viene da chiedermi a cosa siano servite tante scoperte , nate dall’intelligenza di tante menti illuminate.  Purtroppo l’uomo, nella sua infinita presunzione, porterà  soltanto a quella catastrofe, o Apocalisse, come ci viene descritta nelle Sacre  Scritture.

Cosa fu la Dc..

 

Rieccola, la Dc, un pezzo della vita nostra, di noi seniores. Torna per i suoi ottant’anni, ma a dir la verità, già quarant’anni fa ne dimostrava ottanta. O quantomeno così la percepivamo noi italiani, tanto ci pareva eterna, inossidabile, antica. Andreotti ci sembrava un reperto della preistoria già quando aveva solo sessant’anni; si sprecavano ironie sulla sua, sulla loro longevità politica. Essendo poi per indole e ragione sociale moderati, sobri e morigerati, i democristiani sembravano vecchi anche da giovani. Ma quella percepita antichità della Democrazia Cristiana indicava anche un’altra cosa: aderiva così profondamente alle fibre del nostro paese da essere considerata un elemento naturale della nostra vita pubblica e privata. Avevamo per così dire somatizzato la Dc o la Dc aveva somatizzato l’Italia, pur senza alcuna enfasi di italianità e di identità nazionale. Apparve quasi l’autobiografia degli italiani, come si disse pure del fascismo: il fascismo-Stato pretese di essere la versione paterna mentre la Dc-Stato fu la versione materna.

L’occasione per celebrare gli ottant’anni della sua nascita è un convegno  a Roma, introdotto da Ortensio Zecchino, moderato da Paolo Mieli, con alcuni storici, che dà il via a una serie di incontri e seminari triennali sulla storia della Dc nella storia d’Italia: Anima e corpo della Dc.

Cosa è stata la Dc per l’Italia in relazione al suo tempo? Fu in primo luogo il più grande ammortizzatore di conflitti e guerre civili, di tensioni sociali, di passioni ideali. Venivamo da un’Italia divisa in due e la Dc fu la tregua sine die, il disarmo e l’oblio dell’Italia venuta dal passato, dal Risorgimento, dalle Guerre, dal fascismo e dall’antifascismo. Riportò l’Italia dalla storia a casa, anzi non pensò all’Italia ma si prese cura degli italiani e li riportò in famiglia, alla vita di ogni giorno. Quando si spaccia il voto alle donne come una vittoria progressista si dimentica che furono le donne a far vincere la Dc contro il fronte progressista. Votarono il partito della Madonna e della famiglia, mica l’emancipazione femminista.

La Dc non pretese di raddrizzare le gambe storte degli italiani, come i rivoluzionari e i riformatori; non ebbe pretese correttive, etiche, non sognava l’uomo nuovo; assecondò il suo popolo e la sua indole, nel nome della libertà, ma di fatto della comodità, del quieto vivere, mettendo ciascuno a proprio agio. Fu indulgente la Dc, mai punitiva, mai vendicativa e di fronte a ogni massimalismo rispondeva col minimalismo rassicurante; gli estremisti li avversava in campagna elettorale, poi tentava di ammansirli e assorbirli. Se la destra coltivava la fiamma del passato e la sinistra si crogiolava nel sol dell’avvenire, lo scudo crociato si curava del presente. Era la realtà concreta, senza cedere al neo-realismo. Se la destra si appellava alla nazione e la sinistra si richiamava al socialismo sovietico, la Dc si piazzò a Occidente, tra la Chiesa e gli Stati Uniti, sotto la protezione delle vecchie zie. Non promosse crociate ma dighe per arginare il comunismo o il nazionalismo; era il partito delle piccole, solide certezze, rispetto alle avventure temerarie e ai focosi ideali. Il suo modello sociale era la versione soft dello statalismo fascista e socialista: un compromesso tra pubblico e privato, tra libertà e assistenza, mercato e stato. Alle forti convinzioni oppose le pratiche convenienze; trasferì l’invocazione dei santi nel campo delle raccomandazioni. Allevò clientele e spostò le aspettative sul piano personale e famigliare. Se l’Italia fu quella lungo il mezzo secolo democristiano, i meriti e le colpe della Dc furono sempre indiretti, mediati; fu sempre concausa, sia di sviluppo che di decadenza. Ovvero, non si può attribuire direttamente alla Dc il boom dell’Italia dal dopoguerra al miracolo economico; la Dc non ostacolò questo processo che avvenne più per dinamismo sociale, voglia e capacità di migliorare degli italiani nella loro vita; per certi versi lo assecondò, quantomeno garantendo un clima e sopendo le forti contrapposizioni. Allo stesso modo non si può attribuire direttamente alla Dc la decadenza della società, il caos, la perdita di valori, la scristianizzazione galoppante, la crisi di identità, appartenenza e cultura. La Dc non arginò queste derive, non si oppose, non pretese nemmeno di orientare culturalmente o ideologicamente gli italiani. Ma sarebbe ingeneroso attribuire il declino di una civiltà alla Dc, esattamente come sarebbe ingiusto attribuire alla Dc il merito dello sviluppo. Dopo De Gasperi non ebbe statisti, i suoi “cavalli di razza” furono politici navigati, a volte cinici, come Andreotti, a volte fumosi anche se di maggior respiro, come Moro. Forse Fanfani ebbe l’ambizione di essere uno statista e fare politica oltre la gestione dell’esistente. La duttilità della Dc, la pluralità di sensibilità e tendenze fu la sua forza e la ragione della sua durata.  Cominciò a declinare quando De Mita pretese di modificare l’indole della Dc, prima abbracciando l’Arco costituzionale con cui perse l’egemonia, poi cercando un’intesa col Pci e le forze laiche opponendosi al fronte avverso che univa a sua volta una parte della Dc di sempre con l’emergente leadership di Craxi (il mitico CAF). E sullo sfondo le ombre del dopo-terremoto (Irpiniagate).

Il primo crollo elettorale fu proprio con lui nel 1983, a cui seguì l’anno dopo il sorpasso dei comunisti alle elezioni europee, freschi orfani di Berlinguer. Poi la caduta del Muro, Mani Pulite, l’incapacità di rifondarsi e di accettare le conseguenze del bipolarismo; vano fu il tentativo in extremis di tornare partito popolare, senza l’ispirazione sturziana, in un mondo ormai mutato. Infine la disseminazione dei democristiani nei due schieramenti e il formarsi di alcuni partiti coriandolo. La Dc non morì del tutto, ma non si ricompose più per intero. Restò un flebile rimpianto, fino a che la tirannia del presente cancellò la sua impronta. Quel presente che era stata l’àncora di salvezza democristiana dalla storia, dai nostalgismi e dai progressismi, si ritorse contro di lei e la tumulò nel passato. L’Italia ci mise una croce sopra, non in segno di voto o di memoria dello scudo crociato; ma per seppellirla insieme all’Italia di ieri con le sue vecchie mappe e le sue vecchie mamme.

 Marcello Veneziani 

Essere giovani…

La gioventù non è un periodo della vita, è uno stato d’animo; non è una questione di guance rosee, labbra rosse e ginocchia agili; è un fatto di volontà, forza di fantasia. Vigore di emozioni: è la freschezza delle sorgenti profonde della vita. Gioventù significa istintivo dominio del coraggio sulla paura, del desiderio di avventura sull’amore…

E spesso se ne trova di più in un uomo di 60 anni che in un giovane di venti. Nessuno invecchia semplicemente perché gli anni passano.

Si invecchia quando si tradiscono i propri ideali.

Gli anni possono far venire le rughe alla pelle,

ma la rinuncia agli entusiasmi riempie di rughe l’anima.

Le preoccupazioni, la paura, la sfiducia in se stessi

fanno mancare il cuore e piombare lo spirito nella polvere.

A 60 anni o a 16, c’è sempre nel cuore di ogni essere umano il desiderio di essere meravigliati, l’immancabile infantile curiosità di sapere cosa succederà ancora, la gioia di partecipare al grande gioco della vita. Al centro del vostro cuore e del mio cuore c’è una stazione del telegrafo senza fili: finché riceverà messaggi di bellezza, speranza, gioia, coraggio e forza dagli uomini e dall’infinito, resterete giovani. Quando le antenne riceventi sono abbassate, e il vostro spirito è coperto dalla neve del cinismo e dal ghiaccio del pessimismo, allora siete vecchi, anche a vent’anni; ma finchè le vostre antenne saranno alzate, per captare le onde dell’ottimismo,c’è speranza

Samuel Ullman__Essere giovani

 

essere giovani

Nè ieri, nè domani …oggi forse..

Cominciano ad andare via tutti:le persone, i sogni,i fumi di tutte le battaglie.
Persino le ragioni e i torti ,che mi hanno infiammata,adesso si confondono
e si congedano. Nella mia nuova età  averla vinta è triste, ti fa sentire più sola. Ho sulle spalle più addii che anni.  E gli anni che ho vissuto insieme ad altri sono rimasti in mano a me soltanto. Mi capita di tirare fili,che mi ricadono addosso, non c’è più nessuno, dall’altra parte, a tener saldo quel che mi legava: a un’amica, a un ricordo, a un uomo conosciuto e perso.
Ho chiuso tante porte su un amore o l’altro. E ho chiuso gli occhi  di chi andava via, mentre temevo di avere le mani troppo fredde e mi chiedevo
che sono stata:  abbracciare la bambina,  la ragazza e me.  E dire a tutte:
cerca di star bene.  Ma è ancora presto  per vivere all’indietro.  Devo tirare dritto  e vedere cosa c’è poi-

 

stai bene

Per un’arte disobbediente e disimpegnata..

Le installazioni ideologiche alla Biennale di Venezia richiamano un saggio di Dave Hickey sulla sorvglianza. L’augurio è che si vada nella direzione opposta a quella tracciata

“Figli obbedienti del panopticon, così devoti alla causa dell’impegno, della sorveglianza”. E’ la definizione che degli artisti suoi contemporanei forniva Dave Hickey, critico d’arte americano antiaccademico, antidottrinario, anticensura, in un libro del 1993 ora tradotto da Johan & Levi: “Il drago invisibile. Quattro saggi sulla bellezza”. Oggi è tal quale. “Figli obbedienti alla causa dell’impegno” gli innumerevoli artisti che, ovinamente filopalestinesi, a fine maggio pubblicarono sui social “All eyes on Rafah”. “Devoti alla causa dell’impegno” i non pochi artisti che nell’antioccidentale Biennale di Venezia (fino al 24.11) timbrano il cartellino ideologico con installazioni, bandiere, video, ricami, angurie e scritte “Cuori uniti contro il genocidio”. Sogno pertanto la bellezza lodata da Hickey, sogno artisti disobbedienti e disimpegnati, sogno quadri non virtuosi, viziosi, con donne senza velo e senza veli, liberamente, impoliticamente nude.

Camillo Langone__da IL FOGLIO

diezione opposta

Che bello vedere ammainate le bandiere dei politici ambientalisti e abortisti!

 

Mi piacciono le non elezioni: come quella di Federico Pizzarotti, che a Parma mi impone la raccolta differenziata, e quella di Emma Bonino, che mi ha sottratto innumerevoli connazionali con mezzo secolo di impegno pro aborto.

Non sono un elettore, non mi piacciono le elezioni: mi piacciono le non elezioni. Mi piace la non elezione di Federico Pizzarotti, l’uomo che mi ha rubato il cassonetto: da sindaco di Parma mi tolse il prezioso contenitore per impormi la raccolta differenziata, un sistema da colonia di insetti, bene, oggi il mio cassonetto è vendicato. Mi piace la non elezione di Emma Bonino, la donna che mi ha sottratto innumerevoli connazionali, con mezzo secolo di impegno pro aborto: in confronto l’elezione di Ilaria Salis appartiene all’ambito del meno peggio perché fra le varie accuse che pendono su quest’ultima non c’è quella di aver soppresso creature inermi. So perfettamente che i politici sono conformisti per statuto e perciò quasi tutti ambientalisti e abortisti, e che fra destra e sinistra, su questi come su altri temi, le differenze sono semplici sfumature, ma un conto sono i gregari e un conto sono le bandiere, e mi piace vederle ammainate simili bandiere.

Camillo Langone__da IL FOGLIO                        

                         bandiere ammainate                                       

Cadere e rialzarsi…

 

Quanto è difficile abbandonare il nostro modo di pensare?
 Quanta paura abbiamo di perdere qualcosa?
 Quanto sarebbe facile mandare avanti tutte le sofferenze, come si fa con un film troppo noioso o disturbante, e arrivare direttamente al punto in cui si rialza.
E invece dobbiamo attraversare il dolore, tanti dolori, tanti dispiaceri anche se ce ne sono alcuni che non supereremo mai.
Ci sono cose che dobbiamo fare, momenti da dimenticare ,parti di noi , luoghi e persone da abbandonare.
Abbiamo percorso tante strade , convinti di essere finalmente su quella che ci avrebbe portato a quella meta, solo sempre intravista, come un miraggio ,per accorgerci poi che ancora era una strada sbagliata, oppure non la nostra strada.
Ma se riusciamo a comprendere che se le cose belle a un certo punto finiscono, anche quelle brutte prima o poi lo faranno, poichè questa è la legge della vita.

caduta

La magia de “L’Infinito” di Giacomo Leopardi, che ci spinge a guardare oltre i confini imposti dal reale per vivere il piacere e la felicità.

 

L’Infinito è una delle poesie di Giacomo Leopardi più belle, dove il Poeta riflette oltre le cose materiali varcando l’immaginazione per entrare negli spazi sterminati dell’interiorità ,unica via per la ricerca del piacere e della felicità, che ,non trovando conferme nel reale, genera quel Pessimismo tipico del grande genio ,che è consapevole fino in fondo di ciò che lo circonda e dei limiti che la vita gli ha offerto.

Ma, oggi si può benissimo guardare all’”Infinito” da un altro punto di vista, anche perché quella solitudine che dona al poeta quell’”ermo colle” nell’era della “connessione perenne” rischia di non essere possibile, poichè l’uomo si dedica poco o niente all’introspezione.
Questa poesia è oggi patrimonio dell’Umanità.

L’Infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Giacomo Leopardi

La lirica è un viaggio verso l’infinito piacere e la felicità,oltre la realtà della vita, come la Divina Commedia fu il viaggio di Dante verso Dio. Per Leopardi come per noi l’Infinito non è altro che un viaggio tra il finito e l’infinito, nel mondo delle illusioni dove l’uomo vuole cercare la felicità in un futuro, che poi si rivelerà essere un meraviglioso irraggiungibile miraggio. Viene fuori il pessimismo , che è il light motiv di tutto il pensiero leopardiano, la dolce tristezza di un cuore restio alla resa dell’evidenza di una natura matrigna, che lo induce alla continua riflessione sulla vita dell’uomo. Infatti possiamo trovare la felicità soltanto in quel luogo oltre il colle, oltre la siepe, quando ci perdiamo in quello spazio infinito, che ci mostra la bellezza dell’eternità.

infiito

Mai la messa con le chitarre e coi bonghi…

 

Meglio quella in rito ambrosiano, con devozione vibrante e preghiere in latino, canti in latino e brevi omelie in italiano

tetto chiesa

Ma vacci tu, Diotallevi, alla messa coi bonghi. Il sociologo Luca Diotallevi, Dio lo illumini, è convinto che la crisi del cattolicesimo si risolverebbe se tutti i cattolici confluissero nelle parrocchie. Basta distinguo! Basta movimenti! Basta messe in latino! Tutti dal parroco amico di Zuppi! Bene, domenica scorsa sono stato alla messa in rito ambrosiano antico a Santa Maria della Consolazione, Milano. Arrivato in anticipo immaginavo di trovare una chiesa semideserta e invece, pur non piccola, era strapiena. Nessuna possibilità di sedersi se non per terra. Una messa incredibilmente giovane, tanti ragazzi, tantissime ragazze (sedute per l’appunto anche per terra), parecchie donne velate. Devozione vibrante. Preghiere in latino, canti in latino, in italiano solo la breve omelia. Frequenti inginocchiamenti, sforzo minimo per chi dispone di inginocchiatoio, medio per chi disponendo di sedia deve inginocchiarsi sul pavimento ma può appoggiarsi allo schienale davanti, notevole per chi come me pone le rotule sulla pietra senza attenuante alcuna. Organo a canne. Comunione alla balaustra (sulla lingua). Chi frequenta una messa così (la consiglio per domani) mai frequenterebbe quel pezzo di modernariato anni 60-70 che è la messa cattoprotestante, stile Cei, con le chitarre e i bonghi. Mai.

 

Camillo Langone

da IL FOGLIO                                                                                         

Papa Francesco II

 

 

Habemus papam Francesco II. È subentrato al suo omonimo predecessore e spiazza un po’ tutti, in particolare coloro che amavano e coloro che detestavano il papa di prima. E’ decisamente contro l’aborto, che definisce senza mezzi termini un omicidio, è fortemente impegnato nella difesa della famiglia e della natività, condanna l’eutanasia, gli uteri in affitto e non si trattiene dal denunciare che “c’è troppa frociaggine” nella Chiesa, usando un linguaggio che per taluni è “papale papale” per altri è scurrile, non adatto a un Papa. E’ vero che poi si è scusato, sollecitato a gran voce dai bigotti del politically correct che amano correggere le dissonanze con l’ipocrisia; ma le scuse possono riguardare quel che ha detto, ma non sopprimono, non revocano quel che ha pensato; sono una rettifica dell’espressione usata, ma non possono essere una ritrattazione delle sue convinzioni.  Da anni il Papa denuncia la presenza di una lobby gay all’interno della Chiesa, e vede insinuarsi il pericolo di un reclutamento omosex nei seminari. Ciò non toglie che il Papa ribadisca il rispetto, l’apertura e l’affetto verso tutti, gay inclusi, indipendentemente dalle inclinazioni sessuali. Il Papa non equipara le coppie omosessuali alle famiglie, anche perché sarebbe incoerente col magistero della Chiesa, ma non vuole giudicare né occuparsi delle loro scelte intime, private. Però da tempo mostra disagio per la presenza di conventicole gay, gruppi di pressione, lobbies appunto, all’interno della Chiesa; quello che altrove viene chiamato “amichettismo”. Certo, dicendo che in Chiesa “c’è troppa frociaggine”, il Papa ha dimenticato la storia recente della Chiesa. Due o tre predecessori recenti di Papa Bergoglio, erano “in odore di frocità”, per restare nel suo gergo da caserma più che da parrocchia. E di alti prelati gay si intuisce la presenza anche tra i cardinali odierni.  In tema di accoglienza dei gay in Chiesa, la condizione, ribadita anche di recente, è che non pratichino la loro attività sessuale. C’è chi si indigna che il Papa e la Chiesa non riconoscano “quell’elemento fondamentale della loro personalità che è la sfera erotica”, come scrive su la Repubblica Luigi Manconi, in un articolo peraltro non banale. Ma se è per questo, anche ai sacerdoti eterosessuali la chiesa interdice la sfera sessuale. Non si può giudicare la Chiesa come se fosse un’associazione qualunque, non si possono ignorare i principi morali e religiosi su cui è fondata, tra cui la castità e l’astinenza. Chi fa quella scelta sa già in anticipo a cosa va incontro, quali sono le rinunce a cui si impegna; nessuno lo costringe a farla, ma se la fai poi ti devi attenere alle regole. E’ come se qualcuno scegliesse la carriera militare e poi dicesse che aborre l’uso delle armi. Per semplificare la linea della Chiesa bergogliana in tema di omosessualità potremmo dire in sintesi: gli omosessuali hanno pari dignità di ogni altro essere umano e credente; le porte della Chiesa sono aperte per lui. Sul piano dei comportamenti, nessuna interferenza sulla condotta delle coppie omosessuali che possono essere riconosciute a tutti gli effetti unioni civili ma non equiparate ai matrimoni e alle famiglie. Così porte aperte della Chiesa agli omosessuali ma se prendono i voti devono avere un comportamento conseguente, non possono praticare la loro omosessualità. E’ la distinzione tra l’essere e il fare: la Chiesa rispetta la persona ma se entra in seminario o in parrocchia, non può comportarsi come se fosse fuori. E non parliamo poi della pedofilia.   Torniamo al Papa Francesco II. A dir la verità, non è un rovesciamento di posizione rispetto al passato, semmai un assestamento, un riequilibrio, forse un po’ gesuitico, comunque un’integrazione: la linea del Papa si è meglio chiarita e articolata negli ultimi tempi, con l’ultimo documento papale e alcune sue dichiarazioni recenti. Bergoglio è nella linea della tradizione cattolica sui temi che riguardano la vita, la nascita, la morte, i matrimoni, la famiglia, il sesso; mentre sul piano storico, sociale e civile è decisamente dalla parte dei poveri del mondo, contro il capitalismo, lo sfruttamento e il consumismo, per l’accoglienza dei migranti, per la giustizia sociale e per la pace. Potremmo definirlo un conservatore rivoluzionario, socialista e reazionario; per forzarlo nelle categorie politiche, ha una posizione di destra morale e di sinistra sociale, con qualche impronta giovanile di peronismo.  Il vero problema che resta per il pontificato di Papa Francesco non è la sbandata a destra o a sinistra, come gli viene rimproverato a turno, secondo i versanti. Il vero problema irrisolto è la crisi della Chiesa, la scristianizzazione del mondo, il declino della fede, soprattutto in Occidente; le chiese deserte, la subalternità psicologica all’invasione islamica, l’incapacità di risvegliare la spiritualità, l’assenza di modelli positivi, di esempi, di santi. Si tratta di un processo che travalica i secoli e i papi. Bergoglio qui è perdente come i suoi predecessori, ma senza la loro autorevolezza, appare più inadeguato, non ha il carisma di Giovanni Paolo II né la dottrina di Benedetto XVI. E per avvicinare i lontani, ha allontanato molti vicini, credenti nostrani.  Insomma, a parte qualche caduta di stile, Francesco II ha riequilibrato la barca di Pietro, troppo sbilanciata sul versante opposto dall’altro Francesco. È stato infine divertente vedere l’imbarazzo del Partito Progressista Bergogliano, che vedeva in lui il leader del campo largo – come ha detto il giullare di quel mondo, Roberto Benigni – e invece si è trovato spiazzato dalle sue parole frociate.